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Full text of "L'Avarchide di Luigi Alamanni"

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L’ AVARCHIDE 

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Canta, o Musa, Io sdegno e T ira ardente 
Di Lane do Ilo del re Ban figliuolo. 

, C. /, Si. i. 





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A J essere ingenuo, tacere non posso clic il poema clic or ti 
presento, fu dagli storici assai censurato, siccome privo di estro e 
di calore, non essendo clic una imitazione pressoché servile del- 
l’ Iliade. Ma il vederne eseguite varie edizioni, ed il riscontrarlo im- 
presso nella raccolta de 1 più celebri poemi fatta per cura del chiaro 
aliate Pierantonio Serassi, mi è pruova, che se mancano invenzione 
c calore, il trovarvi sparse per entro ottime massime di morale, il 
sentirlo dettato con pura lingua, e assai volte con armonico verso e 
leggiadro, il fece, più che non crede il Ginguenò, gustare e leggere 
ila chi ama occupare qualche ora di ozio in grate letture. 

li per ciò che io te l’offro, o cortese ^ è per ciò che il corredai 
di nuovi argomenti ad ogni canto e di nuovo indice delle materie. 

Pensa che questo poema fu l’opera della vecchiezza di quel 
celebre, che aveva dettato 1’ altro classico della Coltivazione ; pensa 
che l 'Alamanni, è uno de’ poeti che diedero maggior lustro all’Ita- 
lia, e pensa che il lavoro che t’ offro è testo di lingua. 

E per dirti qualche cosa intorno alla tessitura di esso, sappi che 
I’ Autore prese il titolo d’ Avarehide dall’ antico nome della città 
assediata, come il nome dell’ Iliade deriva da quello il’ Ilio. Avar- 
cum o piuttosto Avaricum , è 1’ antico nome della città di Burges 
nel Borrì. Gli eroi del poema sono Artù, Lancilntto Tristano, e gli 
altri cavalieri della Tavola ritonda, e l’ Alamanni operare li fa e 
discorrere come Agamennone, Achille, Ajace e gli altri eroi della 
Grecia. 


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Tutti gli avvenimenti particolari dell’ assedio sono foggiati sulle 
particolarità dell’ assedio di Troja ; caratteri per caratteri; discorsi 
per discorsi ; battaglie per battaglie. E vero ciò dice Ginguenè, che 
manca il nerbo e la vita, che i nomi oscuri e barbari sono opposti 
all’ armonia del verso ; ma le altre notate qualità, non possono far 
dannare questo poema, come egli porta sentenza. 

I fatti son fatti, ed è vero quello, che per la bontà del verso, 
l'opera si legge con piacere, c con istruzione di chi vuol apparare 
la propria lingua. 

Fiiavcesco Zaisotto 


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L AVARCHIDE 


ini s i 


un 


ARGOMENTO 


jRfr l acerbo parlar del reo Careno 
/)’ ira 9* accendo n Lancilollo e A riuro, 
Ai le offe te fra loro hanno pia fi ino. 
Ai rat consiglio di gurrnrr utuluro ; 
Chi Lane Hot ta . pica d' aspro rene no. 

Di partire dal campo in cuor fa pi uro ; 
Ma consolato dalla madre , a parte 
Jhmun co' tuoi, lungi dal fero Marte. 


C * 

anta, o Muo, lo «degno e t Ira ardente 
Dì Lancilotto del re Bau figlinolo 
Contri 'l re Arturo; oode ti iuiiranirnle 
Il Britannici' pianse, e’I (Vinco stuolo; 

£ tante anime chiare afflitte e «peutr 
Lasciar le membra in sauguiuoso duolo, 

I)' empi uccelli e di cau rapina indegna ; 
Come piacque a colui che muove e regua. 

li 

Or chi fu la ragion di tanta lite ? 
Gaven, che deli' Orrania era signore. 

Che porto invidia alle virtù gradite 
Di Lancilotto, e gli pungeva il rure. 

Che per opra di lui (unir fallite 
Le nnxrc, eti ci bramò con troppo ardore 
Di Claudiana di Clndasso figlia, 

(die fu bella e leggiadra a maraviglia. 


Ma temendo di lui, gran tempo tenne 
L'uno e l'altro dolor nel petto ascoso, 
Fin che T ristati con le «ne genti vcune; 
All' arrivar del quale il re famoso 
Fe''l consiglio aduoare, ove convenite 
Ogni duce maggior onde fu oso. 

Di dar principio alle dannose risse ; 

E drizza tose in piedi, cosi disse : 

IV 

Invittissimo Arturo, poi ch'io veggio. 
Clic tutto il rielo •' vostri onori aspira ; 

£ che nulla temenza avrai di peggio, 

(die ne possa d'altrui fare iugiiisl' ira . 
D'aperto palesar divoto dileggio 
(Come colui, ch'ai suo dover rimira) 
Quel, rh a voi sia vergogna, e strazio e multe 
A chi segua di voi l' istcssa sorte. 

v 

Qui con voi Unti duci avete e (ali. 
Tanti gran cavalieri, e tanti regi, 

Che di quanti mai furo, e lidi mortali 
Biporlar ne porrian le palme, e i pregi ; 
Se uon fo>se tra lor chi gli immortali 
(Non pur simili a noi) par che dispregi ; 

£ non sol voi, ma Chi nel ciclo ha regno 
(Cred* io) che ticu di comandargli indegno. 

vi 

Questi per sempre aver l'impero iu mano, 
E voi siguoreggiar rmr gli altri insieme, 
Fa d' ora in ora ogni disegno vano 
Del lungo assedio, che i unnici preme ; 
Tal rhe 'I fin è più che già mai lontano, 

£ nien eh’ al romiuciar si mostra speme 
D’ espugnar piu lo sventurato Avarco, 

Che prender »i dovrà nel primo varco. 









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L WARCHI I) E 


8 


E kfne ad uopo fu, che d altra parte 
Eran là giunti di Cludasso i figli, 
Ch'avean già molte mura a terra «parte, 
E molli vostri rampi eran vermigli ; 

Quel rli'i» facessi allor con forza ed arte, 
Altri a narrarlo la fatica pigli ; 

So ben, che I* un con pare, e i due con guerra, 
Fei, che non danneggiar la vostra terra. 

XIXVI 

Or se, scacciati quei, venuto sete 
Qui per punirgli, e far sicuro voi, 

Con qual cor, con che voce affermerete. 
Che guerreggiate per onor di noi? 

Desio di gloria, e di vendetta sete. 

Non amor del re Bano, o d' altri suoi. 
Del quale nr vi conosco troppo parco. 

V' ha qui menalo ad espugnare Avarco. 


Cosi detto s' assise, e 'I re sdegnoso 
Rispose : Senza fin grazie vi rendo 
Dei buon ricordi, e del desio bramoso 
Di tutto quello, ove la voglia intendo : 
Che cerchiate per voi pace e riposo. 
Lasciando me, nessuno affanno prendo ; 
Che molti altri ho speranza all* onor mio 
D* aver più amici, e sovra lutti Dio. 

xuu 

E non ri tendo voi penserò avere 
D'ogni lite e queslion purgalo il rampo; 
Il qual pia iu pare non polca tenere. 

Nè contro al vostro orgoglio avere scampo} 
Se *1 ciel vi disi d'ogni altro cavaliere 
Di forza e di valor supremo lampo. 
Dovreste in guerra usarlo, e tra i nemici. 
Non, cura' or, nei consigli e tra gli amici ; 


E quando ei fosse pur, divolamentc 
Vi prego, che lasciate ornai l'impresa; 

Ch* io uun intendo voi, né vostra gente 
Adoprar per aita n per difesa : 

Ben ho fatto e farò più che dolente 
Con questa man chi m'apgia fatto offesa; 
Sicché potreste indietro ritornare, 

Se voi per questo sol passaste il mare. 

XXXVIII 

Da voi rifiuto ogni paese e loro 
Già da* miei prr addietro posseduto; 
Perch'io prezzo niente, non che poco. 
Ricchezze, possessioa, regno o tributo ; 
Ogni altra rosa in somma mi par gioco. 
Se non quel vero onor, che n* é dovuto, 
DelTistessa virili, che da noi nasce, 

E di cibo immorlal gli animi pasce, 
xxxix 

Lisciatemi pur voi povero e solo 
Con l'arme, c coipensirr, ch'io porlo in seno; 
Che s' io non potrò far Iropp'alto volo. 
Nella mia libertà slarninmi almeno : 

E poi che, quanto più v’ adoro e colo. 
Tanto ioo più schernito da Gaveno, 

E meno il mio servir sempre v’ aggrada ; 
Non intendo per voi cinger più spada. 

xt. 

Cosa che senza colpa io posso fare. 

Non essendo tenuto a giurammio, 

Né di cavalleria, nè d altro affare. 

Che d' ogni nodo libero mi trillo ; 

L* omaggio iu vostra man lassai pigliare 
Da Boorle, e dagli altri, a coi consento 
Quanto mai trovrran di tutto il bene 
De* nostri antichi, che Clodasso tiene. 

, XLI 

E ver, che nel mio cor disposto ave*. 
Di vni sempre seguire in ogni guerra ; 

Ma dispose altro la fortuna rea, 

Che *1 laminili disegnato spesso serra} 

Nè desio men di quel che già solea 
Di vedervi felice e grande in terra: 

Dio vi dia pur vittoria, e metta in core 
Di pregiare e innalzar chi merla onore. 


Nè conir’ a me, cui la bontà divina 
Ha più degno, eh' a voi, donato loco ; 
Gitene or dunque, dove più v'iorhina 
L'alta vostra superbia, e 'I vostro foco; 
Che quel che 'I ciclo in atto mi destina. 
Non mi potrà fallir, sia mollo o poco ; 
Altresi a voi, che *1 Re della Natura 
Egualmente di tutti ha dritta cura. 

xlv 

Poi che *1 re si tacca, più non potendo 
Il fido Galealto ornai soffrire, 

Incominciò: Per quel ch'io veggio e 'olendo. 
Troppo infiammati suo gli sdegni e 1* ire, 
Invittissimo re, nè brìi comprendo, 

Come vi possa l'alma consentire, 

Per si breve ragion di perder tale, 
Ch'assai più sol, che lutto il mondo vale. 

x«. vi 

Lassiamo andar, che '1 suo partir vi foglia 
Di mano ogni vittoria ed ogni spene ; 

E che ne dee venir dìsnore e doglia 
Alla vostra corona, agli altri pene ; 

Perchè T uom putite aver talvolta voglia 
Di convertire in mal I’ avuto bene, 

Ma qual potrete dir giusta ragione 
Che da voi nasca nn simil guiderdone ? 

Xl r ll 

Chi non sa di costui l'alto valore, 

E 'n servigio di voi le divin'opre, 

O rh'egti è senza orecchie, o ch'egli è fuore 
Di questa vita, e molta terra il cuopre ; 
Ma qnaudo ei fosse ascoso, al vostro core, 
Ch' è il sommo testimonio, ognor si scuopre, 
Ognor si mostra I’ alta sua virlute, 

Che partorì piu volte a lui sadule. 

XLVIII 

Non è presente ognora agli occhi vostri 
Quel, eh* ei fé’ conir' a me nel gran bisogno? 
Ei sol >* oppose ai gravi assalti nostri, 

Gli affrenò sol (nè a dirlo mi vergogno) 
t he chi '1 scrivesse, i più famosi inchiostri 
Tutti presso di lui parrrbher sogno ; 

Col suo valore il mio furore rslinse, 

E con la sua boutade alfine ii vinse. 


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L AVARCHIDE 



Voi, chiaro Lanciotto, che ripieno 
Di valor, e d’ ardir piò d’ altro estimo, 
Sappiate pur, eli' aneli* io mi tenni almeno 
Secondo sempre, e ben sovente il primo ; 
Nè giammai di timor mi strinse freno, 

£ ponetemi il Cielo in allo, o in imo. 
Con Ettor, con Giron, con Febo il Bruno 
Combattei spesso, e non cedeva a alcuno: 

LXIV 

E col vostro re Ban, col re Boorte 
Mi ritrovai piò d' una volta in pruova | 
Vinsi e perdei, come volea la sorte. 

Che non sempre P islessa si rilruova ; 

E se lor non venia subita morte, 

Io passava di qua con geute nuova 
Per dar soccorso a quei, ma in mezzo il mare 
Ebbi d’ ambedue lor le nuove amare. 

ixv 

Questo dich* io, perchè sappiate il vero, 
Ch'io v'amo, e v* amerò qual proprio figlio; 
E che vogliate credere al sinrrro 
Mio prego, ed amorevole consiglio : 
Rendete obbedienza al sommo impero 
Del vostro Arturo, e pongasi in raglio 
Ogni altra rosa andata, che sovente 
L' uom di tosto crucciar tardi si pente* 


Ricordatevi poi, eh' un tal guerriero 
Non si truova talor dopo molti anni, 

E chi Pha, noi dee perder di leggiero. 
Ma ben servarlo a simiglianti affanni ; 

Egli ha molto giovato al vostro impero, 

E molti a tutti noi schivati danni ; 

Egli è pur sempre (e tutto il mondo salto) 
Stato del vostro campo argine e vallo. 

LXZI 

Al buon vecchio reale il grande Arturo 
Tal feo risposta, e molto meno irato: 

Ben vegg’ io quanto sia saggio e maturo 
L'alto cousiglio, die da voi n’ è dato, 
Ottimo re dell' Orcadi, e vi giuro. 

Che la forza e I* onor in' han qui menalo, 
CIP io I ho mai sempre col inedesmo amore, 
Che sì deve un fi^lìnol, portato in core. 

LXXIt 

Ma con qnal dignità soffrir pois* io, 

E gli oltraggi, e gli schermi, che mi face? 
Chi P adorasse pur qual proprio Dio, 

A pena seco aver potrebbe pare : 

Sempre sprezza e contrasta al parer mio, 
K di maggior tenermi gli dispiace : 

Di nessun piò gli cale, ogni uomo sdegna 
Quest' anima d’ orgoglio e d' ira pregna. 


E ritornivi a mente, come voi 
Non srte in molte parti a lui simile : 

Dio gli ha dato poder sovra di noi, 

Come al degno paslnr sovra I* ovile ; 

E P aver riverenza ai signor suoi, 

Nasce da nobil animo e gentile; 

E quanto in voi risplende piò il valore, 
Tanto piò onor vi Ila rendergli onore, 
txvu 

E voi, famoso re, dovreste porre 
Ogni perturbazione ornai da parte ; 

Legare i sensi, e la ragione seiorre, 

E rivestire il cor di reai arte ; 

La quale è, dolcemente di riporre 
Nel camroin drillo dii da lui si parte; 

E serbare il corrurrio all’ ultim’ ora, 

Che veggia altrui d' ogni speranza fuora. 

LITUI 

Chè troppo spaventevole è quell* ira, 
Ch'arrenda chi può far ciò che gli aggrada : 
Chi non guarda al principio, indarno lira 
Il fren da poi, che mal riirnova strada: 
Rare volle cadrà chi fiso mira 
Il cammin che dee far. nè ad altro bada; 
F. dii piò lien colle sue forze speme. 

Piò traova intoppo, che P abbatte e preme* 

LXJX 

Non ba tanto fallito, che non merle 
Lanrilotto da voi largo perdono ; 

Che spesso prende P uom per vere e certe 
Le cose, che incertissime poi sono; 

Pen sò, che voi gradiste quelle offerte, 

Ch* ei fe’ de" prigionieri, e eh’ e*«o dono 
Non vi dovesse offendere ; or che sente 
Avvenirne il contrario, si ripetile. 


Qui Lanrilotto, lui mirando torlo, 
Sdegnato piò che mai, rosi dicea : 

Voi mi vedrete pria sotterra morto. 

Che seguirvi inai piò, rora’ io solea ; 

Per altro nuovo mare, iu altro porto 
Mi condurrà la mia fortuna rea ; 

E la ragion mi fa sperar di' un giorno 
Bramerete anco iudarno il mio ritorno. 

Lxxiv 

Finite le parole, vòlse il piede 
Verso il suo padiglion poro lontano; 

E Galeaito pio, ripien di fede 
Il seguitava sol tacilo e piano. 

Vota lasriò di sè la rral sede 
Arturo, e seco ogui altro capitano ; 

Poi ripien di pensier, turbalo e bruno, 

AI proprio albergo ritornò ciascuuo. 

LXXV 

Posesi Lanrilotto lungo il rio, 

Lonlan da tutti i suoi, doglioso e solo ; 

E d' uccider Gaveuo ora ha desio, 

E di dare al suo re perpetuo duolo ; 

Or, dove il porterà suo destin rio, 

DÌ prender brama un disperato volo ; 

E mentre questo e quel danna ed appruova, 
Viviana innau/i agli occhi si rilruova. 

LXXVI 

Alla qual cominciò : Cara e gioconda. 
Piò di* essa madre, eh' io non vidi mai. 
Chi v' ha menato qui sopra quest' onda 
A contemplar le mie vergogne e i guai ? 
Ond'oggi «i gran numero ni* abbonda. 

Che per mille, oltre a me, sariano assai ; 
Or son gli onori, or son le palme queste. 
Che tante volte già mi prediceste ? 


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L AVARO II II) E 




XCI 

Mentre coni parlava, gli risponde 
Sorridendo la donna in lai parole: 

Non della lana i monti, o del Wll 1' onde, 
O (qual di Giove la Trbana prole) 

Là 've più eli' a noi qui lardo i asconde, 
O più tosto, e più bel si mostra il sole ; 
O dove sralda più, convieu cercare. 
Volendovi coi merli eterno fare. 

xcvm 

E ’n questo convenente gli promessi, 
Ch* ci mi facesse un loco fabbricare, 

Il qual serralo eternamente stessi, 

Nè forza o ingegno vi potesse oprare ; 

Ma che '1 modo d' aprirlo io sola avessi, 
Lontana, o presso, eh' io '1 bramassi fare, 
Perdi' aveva un nemico, eh’ io trinca, 

Che non mi conducesse a morte rea. 

XC>! 

Perchè in questo paese, e ’n qnesto loco, 
In queste nostre parti ime e palustri 
V’ è dato ad esser tal, che parrai) gioco, 
Quante altre antiche furo opere illustri: 
Stancherai!)! le penne, c verrà fioco 
Per voi più d'un porta, e gli anni e i lustri, 
E i secoli infiniti non potranno 
Fare al gran nome vostro ingiuria o danno. 

xcix 

E eh’ ancor mi mostrasse il modo e l’arte 
D* antiveder, qual ei, ciò cb' esser deve, 
Che s' io mi ritrovassi in qualche parte 
Senza T aita sua, mi fosse leve 
Per la virtù di sue celesti carte 
Esaminar mia sorte, o lieta, o greve ; 
Schivando accorta ogni mortale inganno, 
Che mi potesse far vergogna o danno. 

xdti 

E rrediatemi certo, eh' io non dico 
Cosa, che non mi sia Lrn manifesta; 
Però ehe intera di Merlino antico 
La divina scienza oggi mi rrsla ; 

Che nel tempo cb* ei fu mio raro amico, 
Udii cortese la preghiera onesta, 

Ch’ io gli fei, di chiarirmi V arti oscure 
Di preveder le cose a noi future. 

c 

Amore (oprando in Ini, siccome suole 
Mai sempre usare in ogni suo seguace) 
Fe*, che Merlino, il qual sapea del sole 
Tatti i segreti, e d’ ogni errante fare, 
Non conobbe esser false le parole ; 

Ma stimando il mio dir certo e verace, 
Fabbricò il loco, e di ertimi la dottrina, 
Per cui si scorge la virtù divina. 

XCIV 

E pria rhe ciò avvenisse, gli avea detto 
CI»* io d'aver un figliunl bramava multo, 
Ma che sopra il mortai fosse perfetto. 

Di virtù colmo, e d' ogni vizio sciolto, 
Che s» chiamasse il cavalicro eletto. 

Ove il cielo ogni bene avesse accollo ; 
Frmmi risposta : Donna, a non mentire, 
Di voi non deb he prole riuscire: 

a 

Onde agevol mi fu qnasi in quell' ora, 
Mostrando far di quello albergo prnova, 
l)i serrar!' ivi, dove ancor dimora, 

E 'n cui l'alto saver nulla gli giova: 

E di traci* indi ini ritiene anrora 
L'antica ingiuria, e la temenza nuova, 
Che ’l Ciel mi mostra, die s’ ei fosse sciolto. 
Mi saria con la vita ogni ben tolto. 

XCV 

Ma vi apprenderò il modo, onde potrete 
Averne un, che fi* Lai, ch’appunto nacque 
Il passato anno, a cui le stelle liete 
Proinetton quanto onore in uommai giacque: 
In tal modo, in tal tempo il troverete, 

E mi fé* ben vedere il luogo e Tacque, 
Là V io v'accoUi, e l'incantato lago, 

In cui soletta d' abitar m* appago. 

Cll 

Vedeva ancor, che'l gran valor di voi 
Dovea nel tempo mortalmente odiare ; 

Non sperand* ei giammai, di’ alcun de' suoi 
Potesse a pari altezza sormontare; 

Nc pensava io possenti ambi due noi 
IV alla sna gran dottrina contrastare : 

Che la spada non vai conir' a quell' arte, 
Ed io so molto men, che le sue carte. 

xcvi 

Nè mancò tutto quel di farmi poi. 

Che v’ è avvenuto, e vi avverrebbe, chiaro; 
Affermando : Ei sarà mai sempre a voi, 
Come del ventre stesso, amalo e caro; 

E de* pregi diviu, dei inerti suoi 

Fta 1 vostro cor, più che di vita, avaro. 

Cosi dicea sovente, e non trovai, 

Che d' un momento sol fallisse mai. 

CUI 

Così merla penlon la rotta fede, 

E *1 mio duro voler, che sembra ingrato; 
Che l'altrui mal, che per suo brn procede, 
Sovente ha Ira' miglior prrdon trovato. 

Or per tornare a voi ; d* onore erede 
V' ha fatto il Ciel, die sempre sia lodato. 
E ciò sia in questo loco, in questa terra. 
In questo tempo istesso, iu questa guerra. 

XCVlt 

Desiando esso poi di sposa a verme, 

Non mi piacque accordarmi alle sue voglie, 
Che poi eli' uscir di me non dovea germe, 
Volli sola restar fra le mie soglie; 

Ma perchè di me semplice ed inerme, 

Non riportasse alfin vittoria e spoglie 
Uom, ch'era armalo d' immortai sapere, 
Mi convenite al mio stato provvedere. 

civ 

Pregovi or dunque, o mio famoso figlio, 
Che senza altro pensar, qui vi restiate, 

E che nel mio materno «ila! consiglio 
(Qual eonvirusi a ragion) speranza aggiate, 
Che vedrete in tal pena, e ’n tal periglio 
Le genti altere, die vi furo ingrate, 

E ’n roti sanguinoso e largo strazia. 

Che vi farà pietoso, non die sazio. 


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«7 


L AVARCH1DE 



CT 

Nel fin delle parole, il gran guerriero 
Tulio cangialo in cor, rispose tale: 

Prrrh* ogni vostro dello amico e vero 
Sempre ho trovalo, e con gli effetti eguale, 
Vi credo interamente, e *' all* impero 
D* Arloro annunzia il Ciri futuro male, 
Voglio obbedirvi, e qui restar da parte, 
Senza ferro vestir, nè seguir Marte. 

evi 

S* io noi vedessi alfine in tale stato, 

Che l'onore, e '1 devrr forza mi fesse, 

Ch' al non fallire iu ciò pur m' han legato 
Di chiara nobiltà le leggi istesse ; 

Ma da necessitade in piu d' uq lato 
Lui vedrò prima, e le sue genti oppresse ; 
Non per conforto mio, che nobil petto 
Non può deli' altrui mal prender diletto ; 

evu 

Ma perchè tutto il mondo, ed egli impari 
A non esser ingrato a chi ben serve; 

A noo mai dispregiar gli amici rari, 

L’ empie lingue onorando e le proterve ; 
Né sotto un giogo fare andar di pari 
Leoni arditi, e limidette cerve. 

Ma saggiameule, e con ragion disporre. 
Poi secondo il de ver levare e porre. 

eviii 

E perchè suoi la gregge, e ’1 vile armento 
Dormir ron guardia di fossato o muro, 

K *1 feroce leou senza spaveuto 
Aperto in mezzo i boschi star sicuro, 



Noo vo* che cinga il nostro alloggiamento 
Cosa, che renda il passo angusto o duro : 
Meco la guerra avrà, non eoa la soglia, 
Chi di quindi scacciarmi avesse voglia. 

CI* 

Così detto, spianar gli argini e i valli, 
E riempir i fossi feo a intorno. 

Quanto lo spazio tiene, ove i cavalli, 

E gli altri suoi gnerricr farean soggiorno; 
Comandando ai compagni ed ai vassalli, 
Che non veilister arme notte o giorno, 

Se contro a lor non si vedrà 1* assalto, 

Ed a suoi fé* ‘I medesmo Galealto. 

ex 

Così tutto ordinato, già Viviana 
D' averlo ritenuto assai contenta, 

Da lui disparve, e eia poco lootana. 

Sotto il suo lago, a primi studi intenta ; 
Ed ei con Galealto, dell* umana 
Miseria ragionando, sì lamenta ; 

Poi ranchiudon fra lor, che 1* nom lodalo 
Dee quieto stare a quanto il Ciri gli ha dato. 

exi 

Ma perchè già inchinava all* occidente 
Febo, menando il giorno in altra parte, 
Prende ristoro ornai tutta la geute 
Tra le semplici mense a terra «parte: 
Sullo 1' albergo poi, che rozzamente 
Di frondi è fallo con salvalic' arte. 

Si ripon lassa, sopra giunchi c paglia, 
Infiu che ‘I nuovo di nell* alba sagiia. 


3 


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A VARCHIDE 


ARGOMENTO 


yirturo sorge dalle piume e aduna 
/ capitan per assaltare A varco. 

Aringa /or, nè tace causa alcuna 
Che lo spinge a brandir la spada e. f arco: 
Prendesi di pugnare , e la digiuna 
lì rama si spegna in pria ; poi sotto il carco 
JìelC armi ognun si mostra al rege Arturo, 
Clodasso pur co’ suoi esce dal muro. 


IVIcntr’ogni altro mortai di mrr sciolto, 
Dava riposo all’ affannate membra ; 

Di gravosi pensieri Arturo avvolto, 

1 1 sonno ha in bando, e d'avvampar gli sembra ; 
Meli' alma Ita fisse le parole e ’l volto 
Di Lanrillolto irato, e si rimembra 
Di quanto è stato, e '1 punge ancor l' immago 
Del fido Galcalto, e del re Lago. 

li 

L’ ira lo spinge c sprona, tema il frena 
Di non portare a' suoi danno e disnore, 
Che non vorria però sentir la pena 
In altrui gir del suo commesso errore ; 

Ha la mente reai di dubbio piena, 

<tn» combatte il profitto, e qui l‘ onore : 
Vince alfin la virtude, e vuol eh' ei vada 
Per piu lodata e più dannosa strada. 

in 

Die* egli, eh’ un tal re mostrar si deve 
Più sempre ardito nell' avversa sorte, 

Che nulla impresa è perigliosa, o greve 
All' alto, valoroso, animo forte ; 

E se 'I prender Avarco fia mrn leve, 

Non avend’ ri di Lancillotto scorte, 

Che mollo ancor maggior fia la vittoria, 
Senza quel die ricopre ogni sua gloria. 

IV 

Cosi fermo nel cor, pria che 1* aurora, 
Spiegali i biondi crini, annun/ie il giorno; 
Sopra del letto suo sedendo ancora, 

Le sete e gli ostri si ravvolge intorno : 

Poi l'uno e l'altro piè traendo fuora, 

Di panno porporino il face adorno, 

K 'n basso armato di ben culla pelle. 

Gli spron l'adatta dell’ aurate stelle. 


La reai chioma sua ricopre poi, 

Onde possa sprezzar la pioggia e '1 sole ; 
Cinge»! indi la spada, che de’ suoi 
Fu lunga posscssion di prole in prole; 
Veste il bel manto, eli’ a quegl' altri eroi 
Mostra, che sovra lor l' onora e role; 
Prende lo scettro al fin, che in alto pende, 
E, quale ardente sol, di gemme splende. 

vi 

Monta sopra il cavai, non un di qoelli, 
Ch* usava in guerra, e ’n perigliose pruove; 
Ma picciolo, e che insieme i piedi snelli 
D’ un lato istesso dolcemente muove; 
Vieta, eh' alruno il segna, o gli altri appelli; 
Ma tutto sol, mostrando gire altrove, 

Al padiglion, che poco Innge avia 
11 vecchio re dell’ Orcadi, i invia. 

VII 

Trnoval, che del suo letto uscito a pena 
Tutte le vesti intorno anco non ave, 

Tal che di maraviglia I' alma piena, 

Gli dice : O sommo re, qual caso grave 
Davanti al giorno, e cosi sol vi mena 
Verso colui, cui nulla è più soave, 

Che I* obbedirvi ? e perché non più tosto 
Fu di farmi chiamar da voi disposto ? 

VIU 

Risponde Arturo : Io vi volea soletto 
Innanzi all' apparir de’ duci nostri 
Aprir nuovo prnsier, eh' io porto iu petto, 
)n cui pubblico ben par si dimostri, 

Glie non trovando mai d* amor difetto, 

Né d' alla fede, ne' ricordi vostri, 

Ragione è ben, che ciascun mio consiglio 
Scuopra a voi prima, come a padre il figlio. 

IX 

Sappiate adunque, che 1' andata notte. 
Che sola in gravi cure consumai, 
Conoscendo le cose a tal condotte, 

Che se ne può temer vergogna e guai. 

Poi che I' aperte strade n'ha interrotte. 
Chi 'I devea meno, e di cui men pensai ; 
Disposi in me, col pio voler di Dio, 

Di non ceder (temendo) al tempo rio ; 

x 

Ma qual franco noerhier con vela c remo 
Al contrario soffiar volger la prora, 

E n'awegna che può, ch'io nulla temo, 
Che 'I porlo amalo non si trine ancora. 
Che se in vera concordia oggi vorremo 
Spiegar I' alla virtù, che in noi dimora, 

So ben, eh' A varco non terrà sicuro, 

Ferro o fuoco, eli egli abbia, u fosso o muro. 


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L AVARCniDE 




XI 

Ma perchè io dubbio son, ch’una gran parte 
Dell* esercito nostro noi contenta, 

Che chi invidiando si starà in disparte. 
Chi pereti* a Lanrilotlo ha l'alma intenta. 
Questi èsno amico, e quegli il tiene un Marte, 
E senza lui veder tatto paventa, 

Ma spero in voi, che (se *1 vorrete usare) 
11 vostro dolce dir può il tatto oprare. 


XTSf 

Certo che d' on si ardito cavaliere. 

Con gli altri poi, ch* a lui d'intorno sono 
In si stretto bisogno (a dirne il vero) 
Troppo saria il soccorso utile e buono ; 

Ma senza quello ancor sicuro spero, 

Prima per somma grazia, e proprio dono 
Di Chi fa il tolto, e poi per l’opre vostre, 
Che la vittoria fia nelle man nostre. 

XII 

S* a voi dunque paresse, io loderei 
Di chiamar tosto il pubblico consiglio, 
Al quale apertamente conterei 
L* onor di talli in quanto sia periglio ; 
E come oggi sarem di viltà rei, 

E del primo valor posti in esigilo, 

S* alcuna prnova non mustriaiu di noi : 
Voi seguirete ragionando poi. 


xtx 

E ben dir si poma, che quella speme, 
Ch* avea ciascun di noi nel suo valore, 

Ne farea incauti, e mrn concordi insieme. 
Che ’l soverchio sperar padre è d’ errore. 
Ma $' alqnanto timor gli animi preme. 
Vira più sano il consiglio e saldo il core ; 
Tal che noi aon arem, chi dritto stima, 
Più dubbioso il trionfo oggi che prima : 

xm 

Dolce e ridente il valoroso vecchio 
Risponde: Or vrgg* io ben l'alta virtnsle 
Di i’andragon, come in un chiaro specchio. 
Che col senno reale in voi si chiude; 

All* obbedir più pronto «n* apparecchio, 

Ch* a ricercare ornai martello o mende 
Per fabbricar consigli entro al mio seno, 
De* quali ottimi e certi sete pieno. 


xx 

E tanto più, che forse oca i nemici. 
Che gli sdegni de* nostri avranno uditi ; 
Pensando i Cieli a* lor disegni amici, 
Molto più del dover saranno ardili. 

E *n brevissimo tempo se infelici, 

E noi vedranno di lassù graditi, 

Pur che noi di«pnniam con gran ragione 
Di bene osar la dritta occasione. 

XIV 

Così fermo io tra lor, fu comandato, 
Che la tromba reale immantinente 
Al pubblico consiglio in ogni lato 
Chiamasse i maggior duri, e l'altra genie; 
Tosto clic tutto il popol fu adunato, 
Sovr* alto trono astralo degnamente 
Po*».» il re prima, agli altri illustri foro 
Dati dovuti seggi ai merli loro. 


xxt 

Loderei dunque molto, che *n qnest'ora, 
Quando si crede meno, ordin si desse 
Di trarre il nostro escreato di fnora, 

Che con diversi assalti ricingesse 
La città intorno, a dimostrar eh* ancora 
Avrai quei cori, e quelle roani iit«sse, 
Quel medesimi valore, e quella gente, 

Ch* han provato olirà il mare, e qui sovente. 

XV 

Allora in chiaro e placido sembiante 
Riguardandogli intorno, il sacro Arturo 
Cosi dicra : Colui, eh* ha sempre a vanir 
Il presente, il preterito e *1 futuro. 

Che 'ntrnde il tutto, e con le luci sante. 
Aperto scerne quel ch'agli altri è scurii, 
Sprsso conduce 1* uom per via di pene 
Al proprio desialo e sommo beue. 


XXII 

E quando anco, signor, paresse a voi. 
Che ciò fos«e a tentar troppo periglio, 

Ma senza quello irato, e gli altri suoi 
In pare dimurar, miglior consiglio ; 

Col proprio amor, come se fuise a noi 
Padre ciascun di voi, fratello, o figlio. 
Prenderò tatto in grado, e ’n questo giorno 
Presto son nel mio regno a far ritorno. 

XV| 

Ed ora che i mortali spesso fanno 
Cose, che colme a noi srmhran d’ errore, 
Ch* alfin reggiamo, onde %' attende il danno, 
H nostro olii venire e *1 nostro onore : 
Alle prime virtù, che in allo stanno, 

Non arriva peusier d' innari vaiorei 
E perche il lor voler più ascoso vada. 
Non tengon sempre la inedcsma strada* 


XXIU 

Chi comon è di voi, non di me solo, 
Quel che ne dee seguir dimore, o gloria : 
Radiami non sentir nell' alma duolo 
D* avervi ascosa, o tolta la vittoria, 

0 che la colpa mia chiudesse il volo 
All'eterna di voi chiara memoria: 

Nè d’ altro calme, il resto pongo in Dio, 
E *n voi moderator del voler min. 

XVII 

Io noo posso negar, eh’ io dovea forse 
A più gran sofferenza ieri armarme ; 

Ma 1* altrui fero orgoglio tanto scorse, 

Ch* io piu non volli, e non potei frcuarme, 
Ch* assai giusta cagione a dir mi porse, 
Ch'io non lenirà restar senza quell* arate, 
Ch* eì troppo apprezza, tra voi tali e tanti 
Re, duchi, coliti e cavalieri erranti. 


XXIV 

Qui si tacque, e *1 re Lago il dir riprese: 
Famoso re, poi ch* all* antica etate 
Ogni legge, ogni gente, ogni parse 
Conceduti la suprema diluitale; 

Rispondo il primo, e dico, che 1* imprese 
Con si chiaro valor già cominciale, 

E lungo tempo andate, e al fin ristrette, 
Non si devun lasciar, se non perfette. 



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L AVARO II IDE 



XXV 

E'I vostro alto e magnanimo disegno 
A {Termo, e che la terra ornai a’ attaglia, 
r.hè pur troppo per noi sarebbe indegno, 
Dar vilissimo indugio alla battaglia; 

E non veggia Clodatso, eh' un tal regno, 
The non pensiam, rhr so vr 'ogni altro taglia, 
Sia per avere un solo o due perduto, 

AH’ estrema ruina oggi venuto. 

xxvi 

Gran danno veramente è stato e grave, 
Di Galeallo, e più di Lanrilotto, 

Ch’ al gran bisogno abbandonati n’ ave, 

E ’1 più saldo pensier nel mezzo rotto; 

Ma per questo so ben eh' alcun non pavé. 
Che per servire a voi sia qui condotto. 

Di far fede ora, e sempre a quelle mura, 
Come contr* a virtù niente dura. 

XXVII 

Noi non venimmo in questo (ito strano, 
Di rosi nobil re seguendo i passi, 

Per far chiaro con I" opre, che fia vano 
Di noi l'alto rumor, ch'ai mondo fa ssi ; 

Ma più tosto a mostrar presso e lontano, 
Che '1 valor nostro il grido superassi ; 

E ne vedrete ancor la pruova intera. 

Pria che questo mallin si vulga in sera. 

XXVIII 

So, che ciascun, coiti’ io, si lagna e duole 
Della terna, che in noi pensale sia; 

Come importar quell' ultime parole, 

Che del tornare indietro apron la via ; 

Ma prima fermo, oscuro, e freddo il sole, 
La terra in alto, e 'I foro in basso lìa. 

Che veggiate mancar la voglia in noi. 
Mentre in vita sarem, d'obbedir voi. 

xnx 

E s* io giunto al ronfia, che cangia e fura 
Il volere e'1 poter, così prometto. 

Che faran quei, che nell* età più dura 
Ilan le memLra robuste, e fermo il petto ? 
Vi pregheran, che sol prendiate cura 
Di pur tosto inviargli, ove *’ è detto; 

E vi prometteranno, in qual sia sorte. 

Che voi gli loderete, o iu vita, o in morte. 

XXX 

Cosi detto, s' assise; allor Gaveno 
Comincia : Indarno fia tutti altri adire, 
Dopo un tal re, che largamente è pieno 
Di senno, di valor, d' arte, e d' ardire ; 

E certo son clic tutti abbiamo in seno 
Il medesmo, eh’ ei dice, alto desire. 
Chiaro mio re, di far quanto a voi piace, 
Nè senza darvi A varco essere iu pare. 

XXXI 

Nè crediate, eh* alcuno aggia temenza, 
Perrh' un sol cavaliero stia da parte. 

Anzi più speme è noi di poter senza 
Lui, veder quelle mura a terra sparte, 

Ch’ ancor eh ei mostre fuore alta eccellenza. 
Non è però nel fine Ercole o Marte ; 

Ma sì orgoglioso è ben, die spesso tale 
Dispreiza c biasma, chi più d’ esso vale. 



xxxti 

Riguardate ogni dure e capitano, 

Ogni famoso re, eh* avete intorno, 

Che più d* un troverete a lui sovrano. 

Ma d* altra cortesia 1’ animo adorno : 
Poscia ove si ritrnovi il buon Tristano, 
Ch* all’ antico valore ha fatto scorno, 

Con si fiorito stnol, eh* egli ha condotto, 
Si dee cara tener di Lanrilotto ? 

XXXIII 

Muovami par le vostre altere iusegne, 

E ronosra il nemico, di’ ancor vive 
Quella virtù, che tutte 1' altre spegne. 
Come ogni lume il sole, ove egli arrivc; 

E vedraosi illustrissime opre e degne. 

Più che di quante mai si narra o scrive. 
Che firn donate al vostro nome solo. 

Non al superbo del re Ban figliuolo. 

xvxiv 

Come tacque Gaven, subito sorge 
Il buon Tristano, e dire : Invitto Arturo, 
11 parlar di costui ragion mi porge 
Di ragionarvi aneli' io piano e sicuro 
Di quanto il min veder sì frale scorge 
Nello stato presente e nel futuro. 

Con quella fé, con quello integro core. 
Che debbe un cavalier, che cerchi onore. 

XXXV 

Quant* ha del bnon voler di tntli noi 
Raccontato Gaveno è fermo e vero, 

Che mille vite, e mille oggi per voi 
Spender siam pronti sotto il vostro impero. 
Quel che ne seguirà, si resta poi 
Palese ad altri, ch* all* itman pensiero, 

Che non può veder egli, e non poss'io. 
Ciò che n’ abbia disposto in cielo Dio. 

XXXVI 

Deve il saggio di sè prometter I’ opra. 
Ma non 1‘ effetto mai, rhe’n lui non giace ; 
Duoimi poi che Gaveno oscuri e cuopra 
Delle somme virtù la chiara face ; 

Quello oppressandn, eh’ ad ogni altro è sopra 
(E fia detto con nostra, e con tua pace) 
Che Lanrilotto è tal, eh' io posso dire 
Non aver di valor pare o d'ardire. 

xxxvn 

S' ei fosse stato in proova alla battagli» 
D’ ogni sorte con lui, coro' io più volle; 
Con più dritta ragion, di quanto vaglia. 
Poiria credenza aver da chi 1* ascolte : 
Quanto ferro schiantare, e snodar maglia 
Gli ho poi veduto intra le schiere folte 7 
Come pronto a scovrir dov' è 'I vantaggio 7 
E come al comandare accorto e saggio ? 

XXXVIII 

Questo dirli' io, perchè non sia celato 
Il ver, come ai signor sovente avviene; 

E perchè ti può dir grave il peccato 
D' un cavalier, quando silenzio tiene, 

Ove con sì gran torto sia biasmato 
Quegli, a cui lode eterna si conviene; 
Non per dire al mio re novella cosa, 

Nè eh' a si gran bontà venisse odiosa. 


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l’ avarchide | 


XXXIX 

XIV! 

Ma if pur piare al Ciel, di tale aita, 

Che o’ ha fatti illustrissimi e immortali 

Al più prave bisogno, oggi privarve ; 

Sopra quanti son oggi, e che mai furo ; 

Non sia per questo in noi inaura e fallita 

Pur che noi stessi,a sì gran volo, l'ali 

Quella virtù, che ’n tanti luoghi apparve s 

Non cerchiamo impedir di visro impuro. 

Forte che )' ampia strada v’ ha impedita 

Perchè il fin delle imprese a noi mortali 

(f.om’ altri ha detto) per più gloria darre: 

Rende tntto il passato, o chiaro, o seuro; 

E pur Ha realissimo consiglio, 

E la gloria acquistata in danno e scorno, 

Lo sprezzar per onore ogni periglio. 

Senza ben seguitar, faria ritorno. 

xt. 

XLVIt 

E quanto a me, non venni a tale impresa, 

E s* al mezzo rammin dell' opre altere 

Con speranza d' altrui, che di me stesso ; 

Non cercassimo a lui termine degno ; 

Avvenga ti, ch'assai pii duole e pesa 

Il penar di molti anni, in poche sere, 

Di non vedermi Lanrilotto presso : 

S’ avria posto 1' oblio sotto il suo regno ; 

Movete ornai, che nottra voglia intesa 

Convien, ch'or più che mai cresca il volere 

E tutta al fare il voler vostro istesso : 

Di pervenire al destinato segno 

Già scolorala ha il sol la bianca aurora; 

D'espugnar la città di tanto nome. 

E mentre noi parliara, sifugge l'ora. 

E carchi andar di preziose some. 

XLt 

XLVIII 

Lieto più che mai fosse, il re Britanno, 

Nè malagevol fi a, se ’l core istesso, 

Diceva : E questi sono i cavalieri, 

Qnale avemmo infin qui, ne resta in petto. 

C.he con 1’ opere illustri onor si fanno. 

Chè questo è 1 chiaro dì, che n’ ha concesso 

Non col mostrar orgoglio, e gire alteri : 

Il nostro re, per si onorato effetto ; 

Qual faremmo a* nemici scorno e danno, 

Ed oggi adempiermi quel ch'ha promesso 

Se due soli, olir' a voi, rotai guerrieri 

Più d un profeta, e più d' un vale ha detto, 

Nell'oste avessi? e con voi tntto solo, 

Allor che del futuro volse il Cielo, 

Spero loro anco dar perpetuo duolo. 

Alla vittoria e *1 tempo aprirne il velo. 

XLII 

xux 

Poi chiamato in disparte Mitigante, 

Non vi sovvìen, eh* alla isola di Vette, 

Di Bandegam figliuolo, il re di Gorre, 

Là *v è più sgnarda la famosa Antona ; 

Comandò, di’ alla plebe intorno stante, 

Ch’eran le nostre nari in un ristrette. 

Dovesse il tutto in alta voce esporre ; 

L' aura attendendo, che dall' Orse suona ; 

Ed ei, passando molto spazio avanle, 

f h’ Arturo il grande, e le sue genti elette, 

Giunto al mezzo di lei, silenzio imporre 

E poi di grado in grado ogni persona, 

Fe' da' reali araldi, acciò ch'udisse 

Al sacrificio avean le luci intente. 

Ciascuno il suo parlare, e cosi disse : 

Che ’n sul lito si fea devotamente: 

XWIt 

t 

Poi che noi trapassammo il nostro mare, 

Che in un momento, d' allo ivi apparire 

Onorati fratelli, e dolci amici, 

Vcggiam volando il fero nrrel di Giove: 

Seguendo il sovran re, per vendicare 

E di colombe timide assalire 

1 ricevuti oltraggi dai nemici, 

Schiera, che fugge, e non sa, lassa, dove ; 

Già sei volte vedemmo il sol lustrare 

E mentre ha di predar maggior desire. 

Del suo ciel le medesime pendici ; 

In questa, e ’n quella il crudo artiglio muove-, 

E sette volte poi la sua sorella 

Sei ne permute indarno, ad una ad una, 

Tornar congiunta alla medesma stella. 

Nè per pasto di lui ne resta alcuna : 

xtiv 

fi 

Tal che poco a ciascun fia meraviglia, 

Che tntte sopra noi caddero a terra. 

Quando saprà di noi l’alto desio. 

Altre nel collo, altre oeil' ali offese ; 

Dì riveder la dolce pia famiglia, 

Dopo la festa, irato il voi riserra 

E far ritorno al suo terren natio. 

Dietr'nna al fin, che la raggiunse e prese ; 

Che se la pace della guerra è figli*, 

E si tenacemente in piè 1' afferra, 

E '1 dì chiara ha i nalal dal tempo rio, 

Clic non più come 1* altre in hasso scese; 

Ben par che'l giorno ornai soverchio attenda 

Poi con la preda sua tant' alto sale, 

A far, che 1’ uua e l'altro il parlo renda. 

Che noi poteo seguir vista mortale. 

XI.V 

Lll 

Ma se noi guarderemo a quanto è stato 

Taurino allor, che di Merlino è figlio. 

Fatto infin qui da noi, con somma lode; 

E de' celesti augurii ha l'arte vera, 

Le ciltadi, e il paese guadagnato, 

Tutto informato dal divin consiglio, 

E 1’ altrui vendicate ingiurie e frode ; 

Disse : Il Motore eterno d’ ogni spera, 

Non ci dovria parer, che indarno andato 

Colui, che quanto vuole opra col ciglio, 

Sia *1 di veloce, che le vite rode ; 

E fa pioggia e «cren, mattino e sera. 

Anzi a Dio ringraziar tenuti sento. 

Ne promette all' impresa alta vittoria, 

Dei molli affanni e del sudore estremo, 

E die sovra '1 mortai n' andrà la glorsa. 


* 


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LUI 

Ma qnal percosse qui 1* aquila invano 
Le sei colombe, nr tenute 1' ave. 

Nella settima poi, T adunca mano 
Vincitrice se ’n pio, di preda prave ; 

Tale il sest* auno in quel paese strano 
Vedrem, che indarno di dolor n’aggrave; 
Ma nel settimo poi, dorata salma 
Avrem di lauro, e dì famosa palma. 

U» 

Or non volete adunque, anime chiare. 
Dell' annunzio del Ciel vedere il fine ? 

Che cioqne volte ancor veggiam tornare 
Cinzia, ch’or fnppa il sole, or s’awiciue? 
Grande error certo fora il disprepiare 
Per breve spazio le virtù divine, 

E tanto più che in sè congiunto tiene 
Il dovere, e l'onore, e ’l nostro bene. 

LV 

E perch'io so, come a gran torto adopra 
Chi di sprone il destricr corrente stringa ; 
Non vi voglio altro dir, se non, eh' all* opra. 
Con magnanimo core, ogn' nom s’ accinga : 
Ciascun drll' arme luride si cuopra, 

E col ferro il valore intorno cinga ; 

Con sicuro sperar di dentro Avarco 
Dormir, di preda e di vittoria carco. 

in 

Ma innanzi convenevole ristoro 
All' affannato corpo dia ciascuno, 

Perchè frale è la forza di coloro. 

Che soverehia soffrir sete o digiuno ; 

Poi per discerner meglio il valor loro. 
Ogni gente, ogni duce, ad uno ad uno. 
Comanda il re, di' a lai davanti vegna. 
Con 1’ ordiue richiesto, e con la insegna. 

i. vii 

Così diss’ egli, e‘l popol lieto intorno 
Fere il ciel risonar con chiaro grido ; 
Quale il vento, rhe vini dal mezzo giorno, 
Spingendo il mare al più sassoso lido, 

Ove il monte più rotto innalzi il eorno, 
Preparando agli ucce! sicuro il nido : 

Poi l’ un 1* altro invitando in alta voce, 
Muovon verso 1* albergo il piè veloce, 
tviii 

Chi porge ivi nuov* esca al suo corsiero. 
Chi la sella gli pon, chi addrizza il freno. 
Chi riguarda il suo scudo, chi al cimiero 
Le piume adatta, che veuian già meno ; 
Quel si ricuopre d' arme ardente e fero ; 
Quell’ altro chinde i suoi pensieri in seno; 
Questi ha vergogna di voltarsi al cielo ; 
Quest' altro il prega con divoto zelo. 

LIX 

Tra i privati gnerrier, già intorno al foco 
Chi legne apporla, e chi vivande appresta ; 
Chi sgombra sassi, e fa spazioso il loco. 
Ove la mensa poi si truovi presta. 

Che ciascun la fatica prende in gioco, 
Mentre la fame vincitrice resta: 

La qual poi superata, ogni uom riprende, 
O 1’ asta, o 1’ arco, che vicin gli pende. 


tx 

Ma il magnanimo Arturo d' altra parte, 
Soli* ampio padiglion, che intorno ornato 
Di seta e «T ostro, con mirabìl arte. 

Ha riccamente ogni sostegno aurato, 

Dal tuo divo german, quel che le carte 
Celesti ha tutte intere rivoltato; 

E di Gallia passato a Pandragone, 

Difese ivi di Dio la pia ragione. 

in 

Nè sol l’alta dottrina, e*l tanto esempio, 
Mostrò contra i nemici allor del vero ; 

Ma con I’ arme compagno al duro scempio 
Degli Angli fu con l'onorato Utero: 

Il qual mancato poi del sommo tempio, 
Sotto d’ Arturo ancor, tenea l’ impero , 

Da costai dunque allor divntn e pio. 

Fu il suo richiesto nnor renduto a Dio* 

UDÌ 

Dopo il qual, con le taci al ciel rivolte. 
In atto, e ’n voce omO, cosi direa : 

Alto Signor, rhe le nuslr' alme hai tolte. 
Col morir del tuo figlio, a morte rea; 

Fa, eh* avanti che in notte il dì si volte. 
L’orgoglio abbassi, che soverchio arra 
Conte’ a te, contr'a noi Tempio Clodasso, 
Che di crudele oprar non fu mai lasso. 

LXI1I 

Cosi detto, partissi, e gli altri ancora 
Vanno a prender ristoro, e Tarme appresso; 
Ma per voler «lei re rnn Ini dimora 
Il re Lago, eh’ amò qual padre istesso ; 

Il buon Trista»*, clic so vr’ ogni altro onora; 
li saggio Maligante, e i giunti ad esso 
linerie, e Lionel : poi non chiamato 
Restò Gaven, che sempre gli era a lato. 

i.xir 

Fatti assedere all’onorata mensa, 

Di preziosi cibi intorno piena. 

Or a questo, nr a quel dona e dispensa 
Il re, con fronte placida e serena ; 

In quel modo migliore, in rni si prosa, 
Che scorger possa alcun di loru a pena 
Chi sia più in grado alla reale altezza, 

Ma che di sorte rgual ciascuno apprezza. 

LXT 

Quando aìfm fu di vino e di vivande 
Il desio convenevole adempito. 

Disse il re Lago : Poi che ’l sole spande 
Già raldi i raggi, in alla parie gito. 

E dell’ estivo «li, rIT oggi è ’l piu grande, 
Il quarto del eammin quasi ha fornito ; 
Non lardiam più di dar princìpio all’ opra, 
E seguire il voler di Chi sta sopra. 

t*n 

Noi disse invan, eh’ Arturo immantenente 
Comandar fa, che le sonore trombe 
Empiano il ciel di grido alteramente, 
Onde il Game, e la valle ne rimbombe : 
Al cui roco romor, I’ armata gente 
Lascia gli alberghi, a guisa di colombe, 
Ch’ escan fuor nell' aur«»ra, ad ali stese, 
De' seminati campi ai danni intese. 


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l’ avarciiide 



um 

E qual poi di lontan la fiamma appare, 
Ch' a' bocchi depredar le chiome suole ; 
Tal delle Ineid'armi il lampeggiare 
Si vede tremolar, che muove il sole : 

Nè tante le stagion più belle e care 
ilan frundi, erbette, fior, rose e viole $ 

Nè tante ha stelle il ciel, quanta si vede 
Gente sopra i destrieri, e gente a piede. 

txxrv 

Ove 1* Usa, e *1 Sual mischiato insieme 
Le piacili' acque, ove si gode in seno 
La ricca e bella Udona, che non teme, 
Che *1 nutrimento suo le venga meno ; 
Ov’Ulla, e Beverlai l’un l'altro preme, 
Per vicinanza, in quel medesmo seno ; 

E dove Patrio lon quel loco ingombra. 
Ove 1' acque insalar si vede all’ ombra. 

LXVtlI 

E come il buon pastor, che le sue gregge 
Sopra gli erbosi colli a pascer mena, 

Che con la verga in man muove e corregge. 
Mentre che questa spinge, e quella affretta ; 
('.osi la schiera sua governa e regge, 

Talor loda porgendo, e tal or pena, 

Ogni onorato dure, e guarda intorno. 
Come T orditi miglior più venga adorno. 

txxv 

Quattro anch'ei sopra lor portava insegne, 
Non men che 1’ altre, di valore ornale : 
Altrettante ne innalza, nè più indegne, 
Agraven seco, di Gavcno il frate, 

Sotto cui va la grnte, ch'oggi spegne 
La sete in Dona alle sue gregge amate; 
Dico Assoime, e Lineolnia, e dove il Trenta 
D* irrigar pure Aneastro s' argomenta. 

LXIX 

Poi più di tutti Arturo, il re sovrano, 
Pirn di divino onore andar si vede; j 
il mi sembiante alteramente umano, 

Di Giove al sacro aspetto ivi non cede, 
Nell' altre membra a Marte prosternano, 
E nel petto a Nettuno, esser ti crede ; 

E qual l' invitto tauro ai basti armenti, 
Tal quel dì si mostrava all' altre genti. 

LXXVt 

Lucano, il bratto ardilo, aveva quelli, 
Sotto il numero eguale alle primiere, 

Più vicini all' Avon, eh’ ampi ruscelli, 

Nel principio assetato, veggion bere, 

E tra i colli d' intorno erbosi e belli, 
Noriuganìa, e Lecestria risedere, 

E Nortanlona, nel cui lito aprico, 

Son Butrone, e Coveutria, e Varrivico. 

tu 

Or, voi figlie chiarissime di Giove, 
Sacrate Muse, cui niente è scuro. 

Cantate a me, perch'io gli canti altrove, 

I duri e i re, che seguitarli Arturo ; 

Ch’ a narrar 1' altro stunl, che seco muove, 
Voce aver converria di ferro duro, 

Con mille lingue, e mille bocche poi ; 
Oud' io dirò quei soli, c gli altri voi. 

f.xxm 

Ma in compagnia del primo duce diero, 
Per meglio esser condotti all’ opre rare, 

Il possente Avirago, e ’l buon Gnndero, 
Ch* han, non men di Lucan, le spade chiare: 
Gli altri popoli poi, presso al sentiero, 
Ove più irato di Germania il mare. 
Combattendo gli scogli, aito risuona, 

Verso la CanUbrigia, « 1' Unitine tona ; 

&XXI 

Del paese Nortumbrio, ove a Boote 
Spande il Tueda le sue fripid’ onde, 

E ’l tien diviso dalle terre Scote, 

Lè dove il Cheviota il di gli asconde; 
Non lontan dalla Tina, che percuote 
Dall' Austro il fianco, con 1’ erbose sponde, 
Voller le geuti aver per doce loro 
Solo il re valoroso Pctinoro. 

LXWIIt 

Ove da molli rivi cinta intorno, 

La vaga Eli, qnal isoletta giace, 

Ove lieta Yalpole il destro corno 
Ingombra, e ricche le sue valli face, 

Dellu scettro ducal fecero adorno 
Il possente Agreval, che in guerra e ’n pace 
Tal conobbero in Ini senno e valore, 

Che ’l voller tutto solo a tanto onore. 

lxxii 

Sei chiare insegne avea spiegate al vento, 
Ove sotto ogni due mille rontaro 
Guerrier pedestri; e ciaseuu mille cento 
Cavalier d'esso, e d'altri segoitaro: 

Poi Girgantin, eh* avea tanto ardimento, 
Che *1 teneva al sno re pregiato e caro, 
Quei di Dunelmia e Ricciaraoudia mena, 
Ove la Tesa, e 1 Vere empie l'arena. 

(.XXIX 

Ma Ganesraoro il nero quelli avea, 

Che son sopra l’ Oceano orientale, 

Di Norlfolcia. e SolTolria, che solca 
Mostrar fra 1' altre, che più in arme vale; 
Con qnei di Nordoviro, e gli reggea 
Con la qninta bandiera, all' altro eguale : 
Poi veniva il superbo re Gaveno, 

Ch' alla pietrosa Orcauia regge il freno. 

tsxui 

Seco erau di Darlingia, e d’Alertone, 

E dell' altre citladi, e ville intorno, 

Per sangue e per virtù quelle persone, 

Ch’ avean più il nome di chiarezza adonto, 
Sopra cui sole quattro insegne pone, 

Ch' a molle più di lor Cariano scorno : 
Appresso era Abondano il fortunato. 

Che i guerrier d E borace avea da lato. 

LUX 

Era figlinol costui del gran re Lotto, 

E della bella Elia, saura d‘ Arturo: 

E però velili insegne avea condotto, 

Di sluol più ricco assai, che in arme duro, 
Oud 1 avea troppa invidia a Laucilotto, 

Non scudo al par di lui forte e scettro, 
Che con ogni altro avuto ardire avrebbe 
Di contrastar, cosile poi seco anch'ebbe. 


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um 

Quei dì Canzio, e di Rnffj eoo lui mena, 
D' Esseiia, e Midelsesia, dove è aiuta 
La ricchissima Londra e bella, piena 
De' Len della fortuna in ogui guisa, 

Della Tamigia in su la riva amena. 

Che dal cor di Ciprigna mai divisa 
Non fu, poiché le lassa in dolci tempre 
I suoi candidi cigni a pascer sempre ; 

unu 

£ gli mantirn seenri dagli assalti 
Del Britannico mar, che la rispinge 
Verso il suo fonte, a perigliosi salti. 
Quanto in due dì va l'uom, che non s infìnge: 
E quei della Sussesia, che mrn alti 
Da' liti son, che 1’ Ocean dipiuge ; 

Con gli altri di Surrea, pur seguon Torme 
Del re, ch'io dissi, eh' a virtù gl' informe. 

LI XXI II 

Il saggio Haligante, che fu figlio 
Del vecchio Bandigamo, il re di Gorre, 
Famosissimo in arme, ma in consiglio 
Tal, eh* a quanti vi fur, si dee preporre. 
Con parlar dolce, e con allegro ciglio 
Reggeva quei del lì lo, che discorre 
Viulonia, e Vetta, l'isola, che siede 
Al mar, che Neuslria a mezzo gioruo Cede. 

LXXXIV 

Altresì di Cscestra e Bercberia, 

Là verso il monte, onde Tamigia parte, 
Ogni prode guerriero esso seguia, 

Con sette sue bandiere all' aria sparte : 
Poi di Dorcestria, e di Sarisburia, 

Sul li lo pur della medesma parte, 

Menar Gerfletto, Ostorio, e Prasutago, 
Con quattro sole insegne il popol vago. 


Ma perché la beltà fu in basso stato, 

E I' età giovinetta anco il premea. 

Fu d* uoa sola insegna accompagnato. 

Che di Slromorra, e di Norvallia avea: 
Mandrino il saggio, che '1 seguia da lato, 
Menava quei dell' isula Anglisea, 

Con gli altri di Bangaria, ed ha la terza 
Bandiera sopra lor, ch'ai vento scherza. 

LXXXIX 

Taurin che di Merlino era figliuolo, 

E dell' arte paterna dotto a pieno. 

Degli uccelli osservando il gusto e*l volo. 
Prediceva le pioggie e 'I ciel sereno ; 
Quante stelle soslien questo e quel polo, 

E qual propria virtù chiudano in seno, 
Conoscea in tutto, e '1 corso de' pianeti, 

E quai fossero a noi dogliosi o lieti. 

xc 

Egli in somma vedea così’l futuro, 
Com'ogui altro il passalo, o quel ch'ha innante: 
Due frali ha seco, a cui non giace oscuro 
D erbe valor, di Cori o d’ altre piante. 

Né di morie poteo 1’ artiglio impuro 
Sopra alcun mai, eh' a lor veuisse a v ante ; 
Con T onde chiare, o con radici sole. 
Risaldando ogui piaga, o con parole. 

XCI 

L’ uno era Pellicao, T altro Serbino, 

E tulli tre sei insegne aveauo insieme, 

Di Landaffa, e d’ Lrfordia, che 1 confino 
Tra T Uvaltia, e Cornubia addentro preme; 
Con quei che ’l fiume Logo bau per vicino, 

E T ondosa Sabrina, ov ella geme. 
Scendendo al mar, che in occidente guarda, 
E col turbo reflusso la ritarda. 


lodi vien Gossemanle il core ardito, 

Con quei di Sotnmerselo, e di Devona, 
Che poste son tra l'uno e l’altro lito, 

Ove il mar di Boote e d* Austro suoua ; 
E d' altrettanta gente era fornito, 

Che tutti tre quei primi, e non men buona: 
Cremo il Senetcial veniva poi. 

Che '1 terzo piu di lui menò de’ suoi ; 

LXXXVI 

Ch' eran della Cornubia, ove più sporge 
Al sito Occidental, verso la Spagna, 

E dove più vicina e dritta scorge 
Di qua dal mar, l'Armorica Brettagna; 
Ma quei della Sutuallia, che più sorge 
Dritto al Settentrion, che 'I mar non bagna, 
Ove il Pembruco popolo, a Milfnrte, 

Non pensò mai trovar di sé più forte. 

LXXXVII 

Ebbero in duce loro il forte Ivano, 

Che 'n fra quattro stendardi gli divide : 
Poi Meliasso, che in beltà sovrano 
A ciascun altro fu, che mai si vide, 

Fuor eh* al figlio onorato del re Bano, 
Ch' ebbe in tutto le stelle amiche c fide ; 
Nacque costui d’ Agiate, e di Caropo, 

Nè inai simile a lui fu innanzi o dopo. 


Gli altri intra quella, e I corso deU’Avone, 
Di Glicestra, Stafordia, e di Vigorna, 

Sotto il quarto onorato gonfalone 
Mandoro han primo, che la schiera adorna, 
Perdi' ha di ben condurla ogui ragione, 
Quando iuuauzi s'addrizza, o indietro tomi, 
Pure elesicr Costante c Vertigero, 

Che gli foaser compagni a tale impero. 

xeni 

Mena in guerra Uriau quei di Liceslra, 
E quei di Derida, ove bagnando il Trenta, 
Questa lassa a sinistra, e quella a destra. 
Non Itinge al monte, uude rusccl diventa, 
E per la piaggia sterile, e silveslra, 

Per sassoso cauunin ratto s* avventa ; 
Cinque insegne ha spiegate, e ’n compagnia 
Conde vallo, e Couun seco verna. 

xc«v 

Quanto ha Lancaslro, e quanto intorno gira 
Dopo il fiume Ribel, vicino al mare, 

Che 'aver I' occaso, e nell Ibcruia mira, 

Col buon Landoue, il destro volle andare: 
< untbria, e Carlela, che piu all' Orse tira. 
Là dove il Cheviata in allo appare, 

E dove all* Ocean passa Solveo ; 

Brun senza gioia per suo duce aveo. 


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IfT 

Porian iti interne i due, ma TcUmoro 
Conduce quei, che son lungo il Taeda, 
Tra Landonia, e la Marcia, che ’n fra loro 
Veggiou Forlea del mar famosa preda, 

Con quei di Fifia, ove in «i bel lavoro 
Ila tempio il divo Andrea, eh' a nullo ceda; 
Con pii altri d’ Edimborgo, e di Bombare, 
E tre insegue fra tolti alte spiegaro. 

Cll 

Qnei da Loquabria, che 1 mede imo Nessa 
Van seguitando pur, nel Grampio monte. 
Ove la selva snrge assai più spessa, 

E son le fere più mordaci e pronte, 

Han la cara di lor larga rimesta 
In Bralleno, il guerrier d’ altere e conte 
Virtù ripieno; e quattro insegne spiega 
All* aura in allo, di' or le drizza, or piega. 

a evi 

Quei d* Atolia Alibello han per suo duce, 
Coi compagni, che »on tra ‘1 Tavo e l'Erna; 
E di Marnia, e d’ Angusta, che conduce 
La fronte innanzi, clic piti Tonde scema; 
Dne insegne porta sole, e quel, che luce 
Di ricchezza, eh 1 avanzi ogni moderna, 
Dico Argauorn, mena quei, eh* avea 
Tra le tue foci in mezzo Dona e Dea. 

cui 

Amillan qnei «T Argadia appres o mena, 
Ove più verso Ibernia esce il Novanto, 

L* antico promontorio, a cui T arena 
Bagna il padre Orean dal terzo canto; 
Tre insegne ha sole, e qnei, eh’ al mondo ha 
Gloria sovra tatti altri, e porta il vanto (piena 
D* esser in rorrer lancia ardito e dolio, 
Fuor solamente il chiaro Landlolto ; 

* acni 

Sei raenainsegne: e*l buon Malrhino il grosso 
Quei di Moravia, e di Canoria ha seco, 

Là dove è il Porto di salute, scosso 
D’ ogni scoglio, che sia sopr' acqua, o cieco; 
Ove non fu mai d'àncora rimosso 
Legno, per vento nubiloso e bieco : 

Li di Nessa, e di Nardo T acqua beve, 

E di Liudorna poi trauquilla e leve. 

CIV 

Io dico di Norgallc il cavaliere, 

Che mena qnei di Glatco e di Dumbbno, 
Pur lungo il Grampio, ov’ ei circonda altero 
Lomundo, il lago, che gli assiede al piauo, 
E di molte isolette tien T impero, 

Colme di grnti, che non stanno in vano, 
Ma con quattro bandiere il forte duce 
Seguono, ove a grao gloria gli conduce. 

levili 

Quattro insegne ha di lor:Finasso il bianco 
Ha quei di Calancsia, e di Storlanda, 

E di Travernia, che si scorge al fiauco 
L’ Orcadi, ove più Tali Borea spanda; 

Ivi l'esca domestica vien manco, 

Ma sol fere selvagge in luce manda ; 

Onde a fornir la mensa fa mesliero, 

Che sia ’l pupo! più d altro ardito e fero. 

CV 

Taolasso vien dappoi della montagna, 
Con quei di Gallovidia, eli* han la sede 
Sopra il mar detto Rin, eh’ a torno bagna 
Il promontorio Mule, che si vede 
Solveo vicin, rhe nell’ Oceano stagna, 

Poi cacciato da quello, indietro riede 
Presso all'isola Mona, e questa gente 
Han sopra lor tre insegne solamente. 

xcix 

Coni' eì ton senza par, che quasi ienudi, 
Al più gelalo ciel, menali la vita; 
Prendono i cibi sanguinosi e crudi ; 

La terra è il letto, eh* a posar gli invila; 
Nullo c, eh* a Bacco s’ affatichi, o sudi, 
Che la più semplice acqua è piu gradila. 
Di questi aduoque sou quattro bandiere, 

E di dardo ciascun, e d' arco fere. 

CTI 

Il buon re Lago poi, che d* anni grave, 
L* unico suo figliuolo ha seco Eretto, 
Conduce qnei dell* Orcadi, dond* Ave 
Lo scettro iu man d* imperadorc eletto; 
Dell' Orcadi, ove il sol, se '1 verno aggrave. 
In lai brevissim* ore ha il dì ristretto, 

Ch* a pena visto si ripnn tra T onde, 
Poscia all* estivo ciel poco s' asconde. 

c 

Bandegamo, il fratei di Maligante, 
Che del padre onoralo il nome porla, 
Famoso duce e ra valimi errante, 

Al popol di Russia fu 6da scorta; 

Ed a quei della Lulia, ch'ha d* avanir 
L* Ebridi, verso il silo, che conforta 
I fiori e T erbe a trar la fronte fnora, 
Là ver Tapril, con la sua lepid’ ora. 

evu 

Stanno a guisa di cerchio aggiunte insieme, 
Pur d'assai poco mar fra lor distiate, 

Ove più T aquilone intorno geme 
Al sen Deuealion, che T ha ricinte : 
Pomooia è la maggior, rhe '1 mezzo preme 
Delle treni’ una, che di gloria ha vinte ; 
Benché famosa è por Bure e Renolse, 

Che ’n ver la Cataoesia più $’ accolse. 

CI 

Ivi tra boschi stan paludi e laghi. 

Che Nessa, e Nardo eoo Liudorna fanno ; 
Ma di pesci e di cacete assai più vaghi, 
Ciie di dare al lerren d* aratro aiTanou, 
Cui nullo è, che seineuli, o che l'impiaghi, 
CIT al cullo naturai contenti stanno : 
Quattro insegne ha spiegale di costoro, 

Ch han pelli intorno di selvaggio toro. 

eviti 

Era il medetmo poi signor di Tile, 

Ove più varia il di, perché non pare 
Giammai tal volta, e poi cangiando stile, 
Molti corsi di luna aperto appare : 

Regge anco T Irta, cui nnlla é simile 
Di grandezza fra lor, eh* é senza pare, 

Ma più ver l'occidente s' allontana, * 

Ove ancora è dell’ Ebridi «ovraua. 


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AVARO II IDE 


Son del medesimi poi Lcaitsa e Sciita, 
Mollo a quelle virine, e son disgiunte 
Da si breve couiin, riie si diria 
Una, e se forse due, troppo congiunte: 
Or il suo vecchio re lo sino) seguia. 

Di fido e vero amor I' anime punte; 

E ben sedici insegne hanno spiegale, 

Le più vaghe di tutte e meglio armale. 


Menò adunque Bavrn quei, che si stanno 
Tra la Sehelda, e la Musa iu su la foce. 
Or' han sempre temenza, e spesso danno 
Del furor di Nettuno, rh* assai nuoce: 

Nè il Baiavo valore, and’ essi vanno 
Superbi Ira i viriui, aspro e feroce. 

Gli può scampar, rhe ben sovente vede 
Di pesci albergo la nativa sede: 


Poscia di qna dal mare, ove «i stende 
Della Gallia il famoso c bel paese, 

Quanto la terra Annorica comprende, 

E dal Britanno scn ricrve offese, 

Dal loco, ove superba Era gli rende 
Dell' onde il drillo, che ’u Gcbrnua prese, 
Fin nella foce, ove ditceude Olina, 

Ch'ai monte di Michel dritta a' inchina ; 


Sei insegne ha di costor : Nestor di Gave 
Ha quei ; più lunge poi di tal periglio, 
Ove carca è di merci, e d' oro grave 
La ricca Anversa in popolar coniglio, 

Con le vaghe rii là, che virine ive. 

Guanto nel sangue suo talor vermiglio, 
Bruggia, e'I dotto Lovan, ch’a buoni insegna, 
De' quai tutti portò la sesta insegna. 


Ubbidisce all'impero di Tristano, 

Del re Meliadusse il germe eletto ; 

A cui del popol suo ripose in mano 
Lo scettro il re, che si chiamava Ovetto; 
Di cut ‘I padre onorato era germano, 

E di trmpo minor, ma più perfetto : 

E con dodici insegne era venuto. 

Per dare al campo al maggior uopo aiuto. 


Nè mrn n* ha Lionel dell* altra parte, 
Ch'alquanto all'anslro, e l'occidente inchina, 
Ove son le famose in molte carte. 

Tra gli Ambiani, e la Samarobrina, 
Alrebati, cittadi intorno sparte. 

Ma lontane all’ odor della marina : 

Dopo costui srguitano i quattro figli 
Di quel, che ebbe dal ciel gli aurati gigli. 


Però che *1 dì medrsmo arrivai’ era. 

Che ’ntra' due primi fu l' amara lite : 
Bloroherisse, e Blanor menano schiera 
Di genti, a quei per vicinanza unite 
Della famosa Nrostria, dove altera 
S’ accompagna la Sena ad Anfitrite 
Con sommo onor, ma in tutto ciò si sdegna 
Di lassar il terreno, ov' ella regua. 


Dico del re de’ Franchi Clodaveo, 

Il primirr, che (fa i suoi conobbe il vero 
Del inondo Salvator, che scarco feo 
L' uman legnaggio del mortale impero : 
Questi per vendicare il torto reo, 

Ch* a Lanciotto fra Clodasso altero, 

Gli mandò volentier con quelle schiere. 
Che piò annate, e miglior potesse avere. 


Di tante alme città Gorite e chiare. 

Sei sole insegue bau seco de’ migliori. 

Che '1 possente Boa» non vuol restare, 
Senza i suoi, preda a* barbari furori. 
Gostanza, e 1* altre poi più presso al mare, 
Ha il consiglio affermato de' maggiori 
Di mandar pochi, c bene usi iu battaglia, 
E non popol maggior, che poco vaglia. 


Childcberto il maggior di quelli è duce, 
Che 'n mezzo pasce all' onorata Sena 
Lutrzia la reai, d' ogni altra luce, 

Lute/ia d' oro e di virtù ripiena ; 

Lutr/ia, ov' ogni ben piove e conduce 
L' alta celeste possa e la terrena ; 

Con tutto I popol poi, eh’ ella ha d' intorno 
A farle il sen d' osili bellezza adorno. 


Con 1’ Amoral di Gallia. e Pcrscvalle, 
Un numero altrettanto s'arcouipagua, 

D' abitator della spigosa Valle, 

Che la tranquilla Somma irriga e bagna, 
Chiù quei, rhe dalla fronte e dalle spalle 
Ornano i colli, c vrston la campagna 
Verso i Calesi, e gli ultimi Morini, 

Che le Britlannic nude han per confini. 


Le genti di Suesson mena Clotaro, 

Pur del gran Clodoveo figlino! secoudo ; 
De' Remi ancora, ov’ é ’1 terreno avaro 
D'alberi, ma di spighe assai fecondo; 

I Bellovaci poi, con gli altri a paro, 
Porgon le spalle all’ onoralo pondo : 
Cloilamiro di quelli arma la schiera, 

Che bevon 1 acqua, oude superba è l’Era. 


Baveno a Lanciotto assai congiunto, 
Siccome Bloinberisse anco e Blauoro, 

Non volle, nè quei due, mostrarsi aggiunto 
All ira sua, perchè slringca costoro 
La fe, rii' a Arturo diedero in quel punto, 
Ch'ebbero sproni e spada, e cinto d oro, 
Come molli altri ancor, con quei legali, 
Che per cavalleria furo sforzali. 


Seco mandò la nobile Orliense 
La chiara gioventù, che'n lei fioriva ; 

Con tutti poi delle sue selve immense, 
Abitator tra I’ una e 1' altra riva 
La rrgia Blrs, la vaga Ambuusa, arrense 
1>' amor il verde lauro, e non d’oliva: 
Seguono il duce lor, con tanta fede, 
Come alla giusta impresa si richiede. 


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QUI 

T co dori co il quarto ha quei più Innge 
Tra la Modella ascosi, e tra la Mota; 

1 Lotte-ringhi, e gli altri, che disgiunge 
Con la fronte Yosego in allo ombrosa ; 
Torme, Argentina e Spira, dove aggiunge 
L' altero Ben con la sua barba ondosa : 
Ciascun sedici insegne sole accolse. 

Che di pari ouorargli il padre volse. 

l 

cm 

E tanto più s'accendon, poi che sanno 
Che '1 Goto imperator molti in aita 
Ila mandali a Clodasso, c passai' hanno 
Per 1' Alpi aperte, e per la via più trita ; 
Omi’ essi allor senza timore o danno 
Gir non potean, che loro era impedita; 
Besta solo il rammin siruro in mare, 

Che nuovo, lungo, e periglioso appare. 

cxxtv 

Venne con lor Sicambro, il duce antico. 
Che i quattro giovinetti in guardia prende: 
Oslorio ha seco il suo perfetto amico, 

Che del sangue medesimo di*reode; 

Questi passar per mezzo 1* inimico 
Lito german. che quanto può difende 
Quei di Clodasso, e senza tema, o danno, 
Il Ben, mal grado sno, superai' hanno. 

cxxxt 

Ma la chiara virtù, eh’ è scorta e chiave 
D' ogni serrato varco, gli provvide, 

Ch' ove 1' Amo va in mar, non mancò nave, 
Ma molle ne trovar sicure e fide ; 

Venti ne appresta, e fa ciascuna grave 
D’una sua insegna, olirà i nocchieri e guide ; 
E '1 chiaro ciel, eh' a' bei disegni aspira, 

O l'Euro, o 1 Aquilon di e notte spira. 

(tur 

Però che di Franennia, che si giare 
Lungo l' Irrima, all' onde del Afognno, 
Sola al suo Clodoveo figlia verace, 
Come si convenia, partiti sono; 

Che de' suoi più nemici ivi di pace. 

Di venti chiare insegne ha fatto dono: 
Poi con lor Meroneo venne e Lotaro, 
Ch* agli Alemanni in guerra comandare. 

exxxit 

Cosi il Liguro, il Gallo, e''l mare Ispano 
Trapassando veloci, e '1 Frelo ancora; 
Volgonsi presso a Gade a destra mano, 
Con 1* austro addietro, che lor presta 1' óra; 
Il Promontorio sacro di lontano 
Lassando, e ’l Nerio, e *1 Can labro di fu ora, 
L* Aquilania, e TArmorica riviera, 

Scesero al fine a Manie sopra T Era. 

curi 

Dc’qnai sole otto insegne spiega al vento. 
Scado la gente lor ridotta a poco. 

Che '1 numero miglior all or fu spento, 

Che ‘1 franco Clodoveo, con ferro e foco, 
]>' essi oppresse il furore e 1* ardimento, 

Di libertà spogliandogli, e di loco ; 

Ma quei, cui perdonò, fede e valore 
Gli mostrar poscia sempre, e puro amore. 

cxxxm 

E già '1 terz' anno avea rivolto il sole, 
Che sotto Arturo fea mirabil pruove : 
Lancilotto non v* era, onde si duole 
Ogni nobil guerrier, eh' ivi si truove ; 
Staisi irato da parte, e veder vuole 
Il fin della battaglia, che si muove ; 

E i suoi, che *n diece insegne avea compresi, 
Tutti son di diversi e «Iran paesi: 

ex «ni 

Presso ai quattro fratei del manco lato 
Ne veniva il chiarissimo Boorte, 

D uri fratei del re Bauo in Gave nato, 
Nè mollo men di Lancilotto forte; 

Del paludoso Angiò, d’ arbori ornato, 

E di Torsi fruttifero ave scorte. 

Con quanto abbracci d' ognintorno 1' Era, 
E d’ otto piene insegne adduce schiera. 

CXXXIV 

Di Germania, di Gallia e dì Bretagna 
1 miglior cavalieri, e pien d'onore, 

Chi della bella Italia, e chi di Spagna, 
Dell* alte sue virtù corsi al romore ; 

Non ha invidia fra lor chi più guadagna. 
Ma chi mostra più ardire, e più valore ; 
Molli ha di Gorre, e molti suoi cugini 
Di Berri, e d' altri luoghi a lui vicini. 

cxxvtn 

Dopo costui seguia Fiorio il Toscano, 
Che nobilmente sopra 1' Arno nacque. 
Vicino al chiaro monte Piesolano, 

Ove perde Mugnone il nome e Tacque; 
Che giovinetto già s' oppose in vano 
Al gotico furor, ma vinto giacque; 

Nè potendo soffrir quel fero giogo, 

Si dispose a cangiar Tortona e luogo. 

cxxxv 

Ma sopra tulli i suoi, più illusli furo 
Quei ravalìer, rhe liberati avea 
Della dogliosa guardia, ove in oscuro 
Sito, 1' empio rastei chiusi tenea, 

Poi quel fresco di forze e d' anni doro, 
Chiaro Lambego, il tutto corregge# ; 

E ’l segni sempre in ogni ina fortuna, 
Che nudrito 1’ avea fin dalla cuna. 

CXXIX 

E con tatti i miglior di sangue e d’ opra, 
Nel paese onorato a lui vicino. 

Intra '1 Tcbro, e la Magra, ove "1 mar copra, 
E la nevosa fronte d‘ Appennino, 

Con pregar lauto, e con promesse adopra, 
Che gli conduce a mettersi in cammino 
Di dare al grande Arturo alto soccorso, 

11 cui nome reai per lutto è corso. 

CXXXVl 

Non v* era anco il possente Galealto, 
Che Lancilotto suo mio può lassare, 

E fatto ha contr* Arturo il cor di smallo, 
Per l' ingrato voler, che in esso appare ; 

E vieta, che non vadano all'assalto, 
di'ti sente contro Avarco apparecchiare, 
Le sue genti, rhe seco avea menate 
Dall' isole lontane Fortunale; 


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C XX* VII 

Di Cerne, e d' Autolaa, dell' «lire molle 
Esperidi, cui ’l sol la fronte preme, 

E dell' ultime terre più rivolle 
Drir occidente su le piatir estreme, 

(ih' a tante altre isolette in seno accolte, 
t.lie l' Icaro e 1' Egeo n' hall meno insieme. 
Tra 'l Bretton Cavo, e I Frclo Magagliano, 
Là dove appare il gran Temistitano. 

escavili 

Ma il popoloso numero, e 'nGoitn, 

Che dal terreo natio primiero venne. 

Poi che fu con Arturo in pace unito. 
Rimandò nel suo reguo, e sol ritenue 
Venti insegne di tutte, ed ha seguilo 
Mai sempre poscia, ovunque il rauiiniu tenne, 
Lancilolto, di cor si amico e fido 
Che di Pilade antico avanza il grido, 
r xxi ix 

Cosi di questi due le genti sole 
Mancavan tra color, di' a guerra vanno. 
Che in pace, or sotto l'umbra, or sotto il sole. 
Or correndo, or lottando a cerchio stanno; 
Ma il magnanimo Arturo, un nuovo sole 
Nel giorno piu serrn del più bell' anno. 
Sopra un fero corsier d* altrre membra 
(.un 1‘ armi lucentissime membra. 

CXL 

Una candida iusegna solamente 
Ha innanzi, ovunque sìa, die in allo porta 
Caradosso Brebasso, il re possente. 

Alla qual va d'intorno, e face scorta 
Numero senza fin di nobil gente. 

In arme ardita, e nel coniglio accorta, 

E tulli cavalieri, or questi furo 

I regi, c capitan, di' aveva Arturo. 

CXLI 

Ma dimmi, o Musa, tu chi '1 più perfetto 
Cavaliero, e destrier fu in tutta l'oste? 
Dei destrier fu quel da Sicambro eletto 
Nell* aspre regioni all* Euro poste, 

Su I* onde d' Ebro, allor eh al giovinetto 
Giustino imperator fur 1’ armi opposte 
Dai Tartari virin, eh' egli il soccorse, 

E co' Franchi, eli* avea, l'alma gli porse. 

extu 

Ch'olire a moli' altri don gli (u cortese 
Di questo nobilissimo destriero, 

Ch'ai par de' venti al corso si distese. 
Grande olir’ a modo, e bel, forte e leggiero; 
Securo e fido in perigliose imprese, 

Perdi' al freno era umile, all'arme fero: 
Tra i cavalier di tutti era sovrano 

II possente e chiarissimo Tristano: 

CXLtlI 

Però che Lancilotlo ivi non era, 

Cli' avanzava ciascun d'alto valore; 

Né ’l suo cavai, di cui del sul la spera 
Non vide, o vedrà mai forse it migliore; 
Ma quello in ozio con l' amica schiera, 

Di crucciosi pensier nodrisce il core. 

K 'l buon corsier sotto I' albergo ombroso. 
Tra la paglia e tra 'I Gcn preudra riposo. 


cntv 

Ma il campo tatto in arme insieme accollo 
Mostra col suo splendor, eh’ arda il terreno, 
E ’l romore, e I' andar del popol folto 
Tremar fa il loco, clic ’1 riceve in seno; 
Come là negli Arimi, ov' é sepolto 
Vivo Tifeo, tra ’l Sipilo e ’l Celenn, 

Cli’ ad ogni acceso folgor, che ’l percuote, 
Di spaventoso soon la terra scuote. 

CXLV 

Corsa è in Avarco la veloce fama, 

Ch* Arturo in arme a lei rivolge il passo ; 
Tosto il consiglio paventoso chiama 
Dei miglior duci c cavalier, Clodasso. 

Chi le mura guardar securo brama, 

Fin che veggia il nemico afflitto e lasso ; 
Chi vuole, uscendo pur, presso alle porte 
Porsi in loco, che sia vallato e forte. 

CXLTI 

Ma il chiaro Srguran, eh' a nullo cede 
Di valor, di prodezza e d' ardimento. 

Con orgoglioso dir già muove il piede 
Verso le porte, e l'apre in un momento: 
Spinge ehi lardo va, muove chi siede, 

A chi non mostra ardir mrlte spavento; 
Fa sonar d' ognintorno altrre trombe. 

Sì che I' aria e la terra ne rimbombe. 

c XI. vii 

Veggionsi quinci e quindi arme e destrieri 
Con fretta ritrovare, e muover d’ aste ; 
Qnei, che vili eran pria, divenir feri. 

Si che d' nno il valor per molli baste : 

Ma i vecchi infermi, e gli altri male interi, 
Le madri pie, le verginelle caste 
S’ atterrali supplicando ai sacri altari. 

Che gli difenda il di dai dauni amari. 

CXLVIIf 

Nella parte d’Avarco all’Occidente, 

Che d' alquanto nell' austro si rivolte, 
Lontan, come potrebbe arco possente 
La saetta avventar solo in due volte. 
Giace uu piano arenoso, ove sovente 
Inonda 1’ Euro, alle gran pioggic e folte, 
Che gli viene a man destra e sì distende 
Dove an colie alla fronte assiso pende ; 

CXLIX 

11 qnal detto dal vulgo è Sabbioniera, 
Perchè tal la natura l'ha mostrato: 

Ivi adunque adunar riascuna schiera 
Fa il forte Segnran dal manco lato; 
Venne egli it primo, ed ha la gente fera. 
Che dalla fosca Ibcrnia avea menato, 

D‘ Ullouia, di Momonia, e di Lagina, 

E di Coniuccia, eli' all' occaso inchina. 

cr. 

Ha seco Banduin, di Persia detto, 

Con Ideo 'I forte, antichi cavalieri ; 

Vien Palamede poi, 1* altero petto, 

Ch’ avea di tutte I' Ebridi i guerrieri. 

Ed a lui degnamente dicr soletto 
Di quaranta e tre isole gli imperi . 

E non disdisse a lui 1’ Ila, e la Iona, 

Che pur raro, u nou mai cede a persona. 


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l’ avarciiide 


CLI 

Viro Galliranle poi «li Giron figlio, 

Di Girone il Cortese, il maggior dorf, 
Che giammai fosse, d' arme o di consiglio, 
E di vrra bontà divina Iure, 

Eh' or piangrria, se con l'aurato giglio 
Non vedette il figli uol, eh’ oggi conduce, 
Srguran tuo cugin, routro alle squadre, 

Le quai più clic tè «letto amava il padre. 

C1YIII 

Diè Rossano, il selvaggio, duce a' suoi, 
Che fu sempre fra lor di sommo onore : 
L'altra, die col Danubio scende poi 
Tra’l Savo, e '1 Sai», Pannonia inferiore, 
Fortunato, e Grifon fer duci voi, 

Perch* odiaste Tristan d' acceso core : 

Poi di quei tra T occaso e ’1 mezzo giorno 
Gente infinita avez Clodasso intorno. 

CUI 

Fu il nobil giovinetto capitano 
Di quei di Mona, Titola, cui bagna 
D' Ibernia il mar, eh' al lito proemiano 
Quasi congiunta appar con la Bretagna: 
Poi di parte e popolo lontano, 

Ch' altro cerchio riruopre, allr' onda bagna. 
Venne Brunoro il Nrro con la schiera 
Di quei che ton tra '1 Hcoo e la Vitcra. 

CUS 

Quei d’Aqnìtania in cui l'Oceano inonda 
Pircne, e '1 promontorio Cnriano, 

Ove Aturia, e Sigmen riversa Tonda, 

Non molto Ton dall' altro di lontano, 
Mena Nabon, che nacque alla sua sponda. 
Del Visigoto sangue e dell* Alano, 

Che Rosmunda la bella era sua madre 
Ch* Alarico di lui fece esser padre. 

filli 

Dell* Usfalia, e di Frisia, ove io mar cade 
La torba Amasia, e quei due primi insieme; 
Di quei, che lungo T Albi han le contrade, 
('he la selva Semana adombra e preme, 
Tnringii, e Misnii, e per più batte strade 
Di Brantvic le fredde parti eslrrmr, 

Mena le schiere il fero Diuadano, 

Che di Brunoro il Nero era germano. 

a.x 

Meni’» la gente Terrigano il grande 
Drl fertile Santonge e del Polliero, 

E dove a Burdigallia T acque spande 
L' ampia Garona, con sembiante altero: 
Gli altri, clic son tra le pietrose lande 
Del terreo Limosino alpestre e fero. 

Di Caors, Prrigotlo, e i virin loro, 

Han per duce il valente Palamoro. 

ctiv 

I Sassoni, che pur tra T Albi e T acque 
Del gelalo Suevo hau fredda tede 
Volser duce Faran, che tra lor nacque, 

E di barbaro orgoglio a nessun cede ; 

E cui la cortesia rosi dispiacque. 

Che virtude estimava il romper fede : 

Gli altri di Schiena sopra il fiume Odero 
FI» ber per capitan T ardii» Estero. 

cut» 

Poi seguendo a levante i Pirenei, 

Dnv' è la famosissima Tolosa, 

L’onorata Nrrhona, che con lei 
Contese un tempo, e ne divenne odiosa ; 
Ma piaugea seco allora i tempi rei. 

Che T avean posta in servitù noiosa, 

De' Visigoti sotto il duro impero, 

Che diè lor capitan T empio Agrogero. 

CtV 

I feroci Boemi, ch'entr'al trno 
Della frondosa Errinia ascosi slaouo, 

Della fontana il nobile Drnmen», 

Per coudneergli a guerra, eletto »' hanno : 
Quei di Pumrria, a cui bagna il terreno 
L' Ocean dove a lui correndo vanno 
La Vistola, e T Ortei, per rapo e duce 
Hanno Arvino il fellon, clic gli conduce. 

CL*lt 

Gli eltri, clic son su T onde di Rnscena, 
Drll'Orbio, e di Latago assai più presso, 
Or' al Galliro mar la torba arena 
Rmlan col doppio corno avvolge in esso, 
E ‘n cui stagnando T acqua, intorno piena 
Di trista impressimi fa T aria spesso. 

Tal che Nrmanso, e Mompelier ne piange, 
Che *1 frenato Nettuno ivi non frange. 

ctvt 

L'Astia, ch'ai monte Anobe in mezzo giace, 
E qua ii sopra il Ben dritta si stende, 
Tutto il popul viriti, di' a lei soggiace, 
Fa, die '1 Nero perduto in guardia prende. 
La Suevia avversaria d’ ogni pare, 

Più versu T Alpi, ond' il Danubio scende 
Tra i Vindeliri, Rrzii, e T Eno, e Lieo, 
Presero il duce fironadasso aulico. 

ttxm 

* Ebber duce Gaiindo, e quella gente, 

Ch'olir’ all* Ostie del Rodano ha Provenza; 
D' Arli reai, eh' allora ebhe, e sovrnte 
Sovr' ogni altro vicin somma eccellenza ; 
D'Acqua Srstia e Marsilia, eh' altamente 
Già manteuea la greca riverenza. 

Tutta per capitano avea Margondo, 

Ch' a nessun' alleo in arme era secondo. 

CLVII 

Il Nonco terreo, eh' all* occidente 
Ila Tonde d' Eno, e dal settentrione 
Riga il Danubio, e *1 cinge all’ oriente 
11 Lezio, ch'ha nevosa ogni stagione, 

A Buslarino il grande, la tua gente, 

Nrl qual mollo si fida, io guardia pone: 
L' Austria, che stende il tuo valloso piano 
Dall latro e 1 Narabune al giogo Albano, 

CLXIV 

Menava Gracedon della Vallea 
Quei, eh’a levante son tra '1 monte e '1 mare, 
Ov’ ha il porlo Tolon, che se’ polca 
Meglio i venti schivar, non avea pare, 

Ov' il Foro di Julio ancor piangea, 

Che pure allor tante memorie chiare 
Furo in lui tutte spente, e poco meno 
D' Antipoli faceva il lito ameno. 


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AVARO II IDE 


CUT 

Quanto ritorna poi verta Boote, 

Che più lun|te a Nettuno ebbe la tede. 
Ove nel sen del Itodano fi pnote 
Veder Sorga e Durenza, che s'assirde; 
E dove al fianco rapida percuote 
Lisrra, e di «è «testa il face erede; 

Qui Valenza gentil lassando a tergo, 

E là il «acro Avignon, di venti albergo. 

CMCXII 

Quei, che son poscia in sul fiimo«o Beli 
Onde il nome ebbe la provincia prima, 
Infin li, dove loro il passo vieti, 

Serra Morena con l’altera cima, 

Dv’è tra i rolli erbosi, e i rampi lieti 
Cordova, che più d' altra ivi si stima, 

E T I «pali, eh' adorna l'Oceano, 

Merangiò della porla han capitano. 

cixn 

Con quel, eh’ ad essi d* ogn’ intorno giace 
Diede a suoi capo, e duce Matana»*o. 

Ciò che più all* Alpi gelide soggiace, 

Dell* Allohrnge valli al chiuso passo. 

Ove al saggio Granopoli non tace 
La Lisera, che vien di sasso in sasso 
Fino alla nobil Vienna, ba la sua schiera 
Donata a Mara boa della Riviera, 

munì 

Poi quei più vrrsn il F reto, e *1 mezzo giorno, 
Che si veggion viein T antica Cade, 

Ove cinte da* monti d* ogn* intorno 
Può Granala vrdcr le sue contrade; 

Cosi l'altro paese assai più adorno 
Di fior, che ricco di felici hiade, 

Di Maliga, di Murzia e Cartagcna, 

Il forte Morassalto in guerra mena. 

curii 

Con Sismondo da poi sno primo figlio, 
Vien Gunebaldo, il fero Borgognone, 

Che del sangue fraterno era vermiglio 
Tre volte stato, e funne empia cagione 
Perfidia, e crndellade, e rio consiglio 
Di torre a quei le debite corone; 

E menar lutti qnei, che ’nlorno stanno 
Di Sona all* onde, che sì dolce vanno. 

ctxxtv 

Valenza, che nel sen della montagna 
Giare Idnbeda, ed ha dall* occidente 
Il Godamom, che *1 lerren le bagna, 
Come fa il Sema quel dell* oriente; 

E con le rive al lito a' accompagna, 

Ch* all* onda Balrarida consente. 

Degli abitator suoi diè in mano il freno 
Per questa guerra al perfiJo Druscheno. 

curiti 

D'altri popoli appresso, e d' altra parte, 
Della nocca Signor venia Verrai lo. 
Menando quei, ch'ai mrzzo giorno parie 
Dai Galli il Pirrneo, dov* è più alto ; 

E drl Cantabro Oceano Tonde sparle 
Ai Culli Biscain dan fero assalto, 

Con quei d'Austria, a cui tra’ sassi e Tacque 
L' opera pastora! più d' altra piacque. 

CLUT 

Qnei, che dell’aeqne del reale Ibero 
Bevon nel primo fonte d* ond* egli esee, 
Con qnei, eh' al mezzo corso, ove più altero 
Con la Singa, e col Sicori •’ accresce, 

Infin ch’ai mar privato del sno impero. 
Presso a Torlnsa il doppio corno mesce ; 
Han per duce il re Loto, e gli altri poi, 

1 di' han più verso Pircne ì campi suoi. 

CUCII 

Quei dell'aspra Galizia han Ferrandone 
11 Povcr, ch’ebbe in man tulio il parse. 
Che da’Ravanei monti s’interpone. 

Fin dove il fiume Linia il rorso stese. 
Ove il gran Promontorio al mar «’ oppone. 
Che dal fin della terra il nome prese ; 

Gli altri, che d’ indi van «opra il Dnero, 
Mena Calarlo il picciolo, ma fero ; 

CUCITI 

Dico T antica e chiara Taragona 
Con quanto abbraccia il periglioso lido. 
Ove T ornata e vaga Barzalnna 
Ha il suo ripien d 1 odor leggiadro nido, 
1 Infin là, dove anror la fama sunna 

Del tempio di Ciprigna, allor più fido 
Forse, ch'oggi ai nocchieri; e capitano 
Han chiamato Roderco, il erodo Alano. 

et. XX 

Con quei, che bevon di Pisarga T onde, 
Asterga, e Borgo, e di Palenza appresso, 
E di Nazera anror, che si nasconde 
De'monti all'ombra, ond'é'l Navarro oppresso. 
Qnei lungo il mare infin là, dove abbonde 
Il Tago d'oro nell* arene impresso 
Con tutto T altro, ove Nondaga corre. 
Diede Lisbona in guardia ad Esdaburre. 

CLXXVtl 

Bha vien poi, del grao Teodorico, 

Degli Ostrogoti il re, che in Roma allora 
Teneva il seggio, sommo dure antico; 

E di Geppidi stimi menava ancora ; 

Nè ’l mcuava quel re con core amico, 

■ Per trar Clodast» di miseria fuora, 
Quanto, perdi* al re Franco C.lodoveo, 
Benché cognato suo, grand' odio ateo. 

CLXXI 

Quei, eh* abbrarcia il Dnero e Gnadiana, 
Più con tr* all* Orse alquanto, e l'oriente. 
Ove ha Toleto, la città sovrana, 

Che di molte giornate il mar non sente, 
Safaro ruminerà, persona ulram, 
D'altronde uscito, che d" Ibera gente; 

Ma perch' era Tralci di Palamede, 

Avevan somma in lui speranza e fede. 

Cixxnit 

Appresso il re degli Ertili Odoaero, 
f.h’ a Ravenna infelice il giogo pose, 
Menava il popnl suo superbo ed acro 
Conlr’ all* umane e le celesti cose ; 

Che più d'un nome, e piu d* un tempio «acro 
Distrusse e spense già, non pure ascose; 

I.* ultimo fu Clodinu, il Marie «letto. 

De' figliuoi di Clodasso il piu perfetto. 


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L AVARCHIDE 



cmiii 

I «aggetti e vassalli sero avea. 

Che piu cari e fedeli erano al padre, 

Poi rhe *1 vecchio Clndasso non polca 
Seguir, come già feo, l' armale squadre; 



E perchè molta in Ini speme lenea, 

E vedute n' aveva opre leggiadre, 

Dopo il buon Seguran fé’ lui primiero, 
Sovra '1 sommo de‘ suoi famoso impero. 



CANTO III 



ARGOMENTO 


Jl, er desio di Careno e di C/odino 
/ duo re litiganti in etti han patto 
Ogni lor differenza; e nel divino 
Giudizio in pria lor giuri hanno riposto: 
La battaglia ha dipoi j alai destino , 

Chi un dardo vibra il reo flruschrn, nascosto, 
Dal qual resta Cavea di sunguc tinto y 
Quando Clodino a lui dovasi vinto. 


P oi eh' ha tolte d' intorno ogn' alto dorè 
Le sne genti ordinate a schiera a schiera; 
Il vecchio re dell' Orradi, in cui luce 
Dell' arte marzia! la norma vera, 
Comandato dal re, tutti conduce, 

Ove lassa a man dritta la riviera 
Del piccini Euro in loco aperto e piano, 
Dalle piagge e da' fossi assai lontauo. 

li 

Ivi in due parti egnai tutto divide 
Il nnmero infinito de’ guerrieri ; 

Durili a sinistra, e quelli a destra asside, 
Assegnando tra lor larghi sentieri ; 

Si che ben possa, chi gli regga e guide, 
Menar per entro insegne e cavalieri : 

Le genti della fronte spesse e strette, 

L* altre, che seguon poi, più rare mette, 

in 

Tra quei dinanzi pon le più Innghe aste, 
Nelle spalle, e ne' fianchi ancor ristesse i 
Ogni scodo nel mezzo, a fin che baste 
De* primi a sostener le forze oppresse ; 

D arcieri e frombalor le schiere vaste, 
Sciolte da tatti gli altri ha intorno messe; 
Poscia di cavalier distese I' ali 
In ciascun corno, 1’ noe all’ altre eguali. 


IT 

Fu del sinistro duce il buon Tristano, 
Gavrn dell'altro, e così vuole Arturo; 

Gli arcier, eh' eraoo a piede a destra uiano. 
Guido quel giorno il buon re Pcliuuro ; 
Lionello, il nipote del re Bano, 

Menò i compagni, clic dall'altra furo; 
Della destra i cavai meuò Boorte, 
Maligautc dell' altra, il saggio e 1 forte. 

v 

Ne mrn di qnesli fuor d* A varco venne 
Il fero Srgurano a guerra armato; 

Ma divisi in Ire parli i suoi mantenne, 

E con ordin mcn saldo in ogni lato. 
Sopra i primi a venir l' impero leune 
Palamede, il possente nominato ; 

Degli altri Seguran a terza parte 
Conduceva Clodia, chiamalo il Marte. 

vi 

Palamoro il valente in guardia avea 
Di lutti i cavalier Te larghe torme : 
Yen-alto della Bocca condurrà 
De* pedestri leggirr le varie forme ; 

Or 1‘ uno e V altro campo si vedea 
Con ritenuto passo segnar I' orme, 
Apportando ciascuno a poco a poco, 

Al suo spcrauza, e tema all' altro loco. 

▼il 

Di barbaresche voci, e stran romore, 
Empiuti T aria, venendo quei d‘ Avarco ; 
Come i gru peregrini, che I’ algore 
Temon «lei verno di tempeste carco, 

Allur eh’ a ritrovar seggio migliore. 

Fan sopra il mare il periglioso varco, 

Che delle lunghe file al gridar roco, 
Bisuona intorno ogni propinquo loco. 

▼iti 

11 contrario parca di quei d' Arturo, 

Che tacendo venian nel core inteso, 

In qual guisa il ferir sia più sicuro, 

E possa l’avversario esser più offeso ; 
Duale i saggi vi I La ri , che 'I campo impuro, 
Ch' aggia dì folte spiue orrido peso, 
Voglian purgar, che disegnando vanno 
Di schivarse all' oprar punture e danno. 


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l’ avarchide 


IX 

XVI 

Poi siccome sovente in cima ai monti 

Non volse ai giusti prechi contraddire, 

Vìeu nebbia folla all' apparir del porno, 

Il magnanimo re, ma gelici concesse: 

Che uoq pon di pastor gli occhi piò prooli, 

Cosi lieto Gaven con multo ardire 

I.’ avventar d un basino vederse intorno; 

Correndo verso lui la rena presse. 

Tal la polve facea delle due fronti, 

E dice : A contentar vostro desire, 

Ch 1 andava al ciel tra 1' uno e 1' altro corno, 

Vengh’ io con 1’ armi e con le voglie istetse 

Pria ch'arrivati sieno in qoei confini, 

Ch* io veggio e sento in voi cui tosto spero, 

Ove scorger si pon chiari e vicini. 

Morto o vivo teuer sotto il mio impero. 

X 

xvu 

Spinge allora animoso il gran corsiero 

Ben conobbe Ctodìn l'aquila d'oro 

Clodino, i suoi lassando, e fassi avanti ; 

Nel rampo porporin, di’ avea Gaveno ; 

E con voce alta minaccioso e fero. 

E gli risponde : Assai di voi m' onoro, 

Dice: Ove sono i buon guerrieri erranti, 

Nè per sangue di me v’ apprezzo meuo ; 

Onde il Britanno mar va rosi altero, 

Ma poco apporta al nurzial lavoro 

Nè vuol, che d'altro si ragioni e canti? 

Bellezza, nobiltà, sialo e terreno ; 

Vengan meco a provar, se in questa parte 

lo cercava un di voi piò ardito e forte, 

Parco del suo valor sia stato Marte. 

Come saria Trislau, come Boorle. 

XI 

XVIII 

E quantunque avvenuto sia talora, 

Ma pur senza sdegnarvi non rifiuto 

Che di noi riportate aggiano spoglie ; 

Di pruvar, chi noi piò in arme vaglia, 

Fortuna il fece, che i men degni onora, 

Senza sperar, vincendo, esser tenuto 

E che contra virtode arma le voglie: 

Mollo in pregio maggior di tal battaglia: 

Oggi è venata, a quel eh' io speri, l' ora, 

Or non fu in tempo alcun già inai veduto 

Che l' infedel 1' antica usanza spoglie, 

Per gran foco avvampare arida paglia, 

E di sé lasci libera la strada 

Come in quel punto d' ira il fero Orcano 

Si, che solo il valor cinga la spada. 

Ardeva, al dir del cavaliero strano. 

Xlt 

XIX 

Venga chi vorrà por degli infiniti 

E gli risponde al fine : In altra parte, 

Cavalier d' oro ornali, e di splendore, 

E innanzi a questo di, so il troppo orgoglio, 

Ch'io veggia a prtiova, se saran forniti 

Quel, di' ogni cortesia da voi diparte. 

Di virtò dentro, come d' arme fuore, 

tome i semi miglior da' campi loglio : 

Che non sempre addivien, che sien vestili 

Voi vi file appellar dagli altri Marte, 

D' un medesmo color la fronte e '1 core ; 

S' egli è vero il romor ch'udir ne soglio; 

E venga or, perchè indarno attenderei, 

E questo baste assai, per dar riposta 

Poiché saran mischiati i buoni e' rei. 

Alla vostra vanissima proposta. 

Xltl 

XX 

Al cominciar drll'alle sue parole. 

Pnr poi che 'u pregio tal vi piace a verme, 

L' uno esercito e 1’ altro il passo tenne ; 

Patteggiamo in fra noi la nostra guerra, 

Dando quella udienza, che si suole. 

(die sead io vinc.ilor, Clodasso inerme 

A chi dir cosa, ch'assai pesi, arrenar; 

Lasse in forza de* nostri oggi la terra, 

Onde a molti d’ Arturo, ciò clic' vuole, 

Se prigioniero, o morto riteuerme 

Agevolmente a conoscenza venne ; 

Vi conrcdesse il Ciel, qoanlo si serra 

Ida intra i primi aGaven, che in umil preghi 

Di qua dal nostro mar, si renda a voi, 

Chiede al gran re, ch'ai suo voler si pieghi: 

E ’u Brettagna ritorni Arturo, e i suoi. 

XIV 

xxt 

E che lasci provar le forze seco. 

Risponde a lui Clodino: Il più felice 

Di che molli anui pria drsire avea, 

Di quanti io vidi mai, fia questo giorno, 

Dicendo: Egli è Clodin, 1 animo cieco 

Se '1 medesmo giuraudo afferma e dice 

Contra virlude. e pien d’ invidia rea, 

Colui, eh’ è sopra voi di scettro adorno ; 

Che in ogni mio disegno ha sempre meco 

Perchè in si grave impresa a noi non lice 

Conteso a torto, e se mi conredea 

Obbligar chi ne regge a danno e scorno ; 

Della sorella sua le nozze amate, 

Ma tengo feruta speme, clic 1 mio padre 

Or saria senza sangue questa etale. 

Mi donerà sé stesso, c le sue squadre. 

XV 

Xftil 

S' io d' nna vostra suora, ci di Clodasso 

Fate il medesmo voi; poscia si vegua, 

Figlio è primiero, e del suo regno erede : 

Ogu' indugio lassando, tosto all'opra; 

Non è fra tutti i suoi di valor casso, 

Ctiè non senza cagiou voglia si degna 

Anzi in arme adoprarc a nessun cede ; 

Avrà svegliala in noi, Chi sta di sopra : 

Tal che non può stimar piò indegno, o basso 

Così posto fra loro, alla sua insegna 

L'un, che l'altro di noi, chi '1 drillo vede: 

Torna ciascuno, e quanto punte adopra 

Resta sul, che chi al Ciel fia piu gradito 

D accordare il suo re, clic induca 1 alma 

Si vegga viucilor, V altro schernito. 

A commetter in lui si grave salma. 


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ÀVA.RCIIIDE 


XXIII 

Narra al mio S epura no e Palamede 
riodino il tulio, e lor soggiugne poi : 

S’ aveste, alti signor, talvolta fede 
In quel poco valor, che giace in noi; 

O se sperale mai qualche mercede 
Render al sommo amor, eh' io porto a voi s 
Fate, che ’l padre mio voglia d' Avarco 
Sopra gli omeri miei por oggi il carco. 

XXIV 

£ '1 farà veramente, se v* aggrada 
Di dimostrargli ben, quanto Gaveoo 
Sia più nobil, che forte, e la sua spada 
Quanto sia della mia pregiata meno ; 

C che per tal sicura e breve strada 
Potrà iu pace riporre il suo terreno, 

Senza mettere in rischio oggi altramente 
Cosi bella, onorata e chiara gente. 

xxr 

De' due chiari gnerrier quantunque fosse 
Lor la nuova richiesta acerba e dura. 
Quell' allo supplicar gli animi mosse, 

£ dì lui contentar preudon la cura ; 

£ Dinadan, che ’l primo ivi trovosse. 
Mandati volando nelle regie mura, 

Clte ciò narre a Clod.ttsu, r i preghi appresso, 
Che per meglio ordinar venga egli stesso. 

XXVI 

Ritrova il vecchio re, che in alto assiso, 
Con qnei, che per età non vcslon maglia, 
£ con le donne intorno, a mirar fiso 
Slava quel che srguia della battaglia, 

Col eor tremante e 1‘ animo diviso 
D' ogni dolcezza, e come piuma, o paglia 
Dei venti preda, al tempestoso gioruo, 

Or alla, or bassa si raggira intorno ; 

XXVII 

Cosi fanno i pensier, che tema e spene 
Nella canuta meute cangia e muove; 

Ch' or per se la vittoria aperta tiene. 
Come se '1 peonie (tesser Marte e Giove ; 

Or si dipinge aver norrlle pene, 

Simili a molte già provate altrove ; 

£ mentre questo e quello il sana e punge, 
Dinadan vede, che correndo giuugc. 

XXVIII 

Fecesi tatto pallido nel volto, 

Ch'ogni sangue, ch'avea, ricorse al core; 
£ se l'altro tardava a parlar molto. 

Quasi radea di subito timore ; 

Ma lieto Dinadano, a lui rivolto, 

Disse: Ottime novelle, alto signore. 

Vi pori' io ; che ’n voi sta, eh' un giorno solo 
Purghe il vostro terreo d' ogn‘ aspro duolo. 

XXIX 

La gran lite, eh* abbiatn, riposta fia 
Quando non spiarcia a voi, nella virtude 
Drl buon vostro Clodin, di' a guerra sia 
Con uoui, eli' ha di poter le furie nude ; 
Quest' è Gaven, che la fortuna ria 
\ uul, eh' a suo dauno s' a ila lidie e sude ; 

£ se vinto sarà, promette Arturo, 

Lassare Avarco libero e sicuro, 


Con tutte 1* altre ville, e quel paese, 
Ch'egli ha mai guadagnalo sopra voi, 

£ rilornarsen poscia ad ali stese, 

Olirà il Britanno mar, con tutti i suoi ; 
Ma se *1 Ciclo a Gaven sarà cortese, 

£ le sue stelle irate coutro a noi, 

Che gli darete Avarco, e quanto io mano 
Rìteuete de' Franchi, e del re Bano. 

xxxi 

Ma ciò male esser può, che quella parie, 
Ch'aggia il dritto e ’l valor per guida e duce. 
Come avem noi, può camminar senz’arte, 
Ch' al desiato corso si conduce : 

Or tutti i vostri in pubblico e ’n disparte. 
Quasi allumali dalla eterna luce, 

Sun di stessa sentenza, clic vi parria 
Venir là tosto, c 1 latto ivi si faccia. 

XXXII 

L* antico re di meraviglia pieno 
Si fece, udeudo il subito consiglio ; 

Poi con core e con volto assai sereno 
Disse : Quando a Dio piace, che ’l mio figlio 
Porga le spalle solo, c spanda il seno 
Al comun peso, al pubblico periglio, 

Non andrò contro a lui, ebe ’ndaroo adopra, 
Chi s' oppone al voler, che vien di sopra. 

xxxiti 

Poi volto agli scudìer, comanda loro, 

Di tosto aver 1' usata sua leltica, 

Di fuor lucente di finissimo oro, 

Cui gran fregio di gemme a torno intrica, 
Dentro scolpiti di sotlil lavoro, 

Quanti ha nel maggio fior la terra aprica; 
In essa dai mrdcstni si fa porre, 

£ per compaguo vuole il re Yagorre, 

xxxiv 

Suo germano ed amico, a cui I' etade, 

Si come ancora a lui, la guerra vieta ; 
D’alto consiglio, e pien di veritade, 

£ che rado smarrì la dritta mela : 

Poi ratti van per le più corte strade, 

Ove la gente sua dubbiosa c lieta 
L' altendea, per veder quale il fin sia 
Del desialo accordo, eh’ era in via. 

xxxv 

Dall’altra parte, più impedito truova 
Gaveoo, e più spinoso il suo sentiero; 

Nè puotc argomentar si Leu, che muova 
Arturo a contentare il suo pensiero, 

Che dicea quanto è impresa dura e nuova 
11 lutto espor, sotto l'infido impero 
Di forluua, in un sol, che in un momento 
Sia di mille e nuli' anni il frutto speuto. 

xxxri 

Pur ripensando meco, eh’ assai pare 
Il valor sembra, eh* ha di voi ciascuno ; 

£ che più accorto, c di più senno appare 
Gaven dell' altro, e di furor digiuno ; 

E che da sangue c morte conservare 
Tauta e tal gente col periglio d‘ uno, 

£' pur rosa degnissima e richiesta, 

A chi d' alta corona orui la lesta ; 



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L. — 

5i 

L AVARCHIDE 

52 


xxxvti 

Quando agli altri parrà, contento tono 
Di rimettere in voi la lite nostra, 

Sperando in Quel che dal celeste trono 
Il verace cammino a' servi mostra, 

Che non vorrà lattare in abbandono 
11 ben di lutti noi nella man vostra : 

Parli adunque Tristan, parli il re Lago, 

E quei, de' cui consigli oggi m' appago. 

xxxnn 

Allora il re dell’ Orcadi risponde : 
Famoso Arturo, il più sovente Dio 
Nel ror dei buon con la tua grazia infonde, 
Di ciò che può giovargli, alto desio : 

Del contrario volere opre, di' abhonde, 
Cieco dell intelletto il crudo e 'I rio, 
Quale è C loda sto ; e per dir vero il diro, 
Non per biasmare a voi chi v' è nemico, 
xxaix 

Tal ch’olirà ogni disegno nostro umano, 
Sendo I’ occasion te stessa offerta, 

Dovria creder ciasrnn, che non sia 'n vano, 
Si breve strada a si gran lite aperta, 

E cbe’l pio Redentore, il suo cristiano 
Popol, che *1 segue per la via più certa, 

E eh’ a ragion combatte, in guardia prenda, 
Non quel, eh' ogn' al Irò, c la sua luce offenda. 


Mosse il primiero il valoroso Arturo, 

E io alla voce al ciel rivolto, disse : 

Padre il cui gran Figliuolo unico e puro, 
Avvolto in «man vel, fra noi già visse, 

E ritrasse nel ciel dal centro oscuro, 

(dii le divine membra al legno affisse ; 

Te chiamo testimon, per te prometto 
Dal mio lato servar quanto a* è detto. 

xtv 

Che se fia ’l tuo voler, eh’ oggi Gaveno 
Sia per man di Clodin, prigione o morto, 
Ch’abbandonato il Gallico terreno, 

Ratto ricercherò ’1 Britanno porlo ; 

E che lutto il mio campo terrò a freno 
Si, che fatto non vegna oltraggio, o torto, 
Mentre che ’l suo Clodino a guerra fia, 

Ma si, come un de' miei, sicuro sia. 
xr.vt 

E •* io fallassi in ciò, la tua pietade, 
Che fu sempre infinita, cange stile ; 

E di nnda giustizia apra le strade, 
Facendo il mio poder negletto e vile ; 

E sotto forza altrui le mie contrade 
Sien di barbare genti albergo umile ; 

E cosi in basso raggia ogni lor gloria, 
Che uulla uuqua dì noi viva memoria. 


Poi rivolgendo gli occhi a quel che puote 
Nel futuro veder colui eh* è saggio ; 
Nessuna tema 1' alma mi percuote, 

Che mi mostre in Clodino esser vantaggio ; 
Come ancor pare a voi, ma d' rgnal dote 
Fornito appare il nobile pai-aggio; 

Facciasi adunque, e s' aggia larga speme, 
Ferché mezzo è prigion colui che teme. 

X LI 

Il medesmo affermò Tristan. dicendo : 
Quantunque aggia più d'un che ciò potria 
Far, non men che Gaven, pur non intendo 
Dirne il contrario, clic già detto sia ; 

Poi son colai, che vincitore attendo 
Quel, che piii di fortuna amico fia ; 

Ma rontr’ a Segurano, o Palamede 
Vorrei più forte man, più fermo piede. 


Dall’altra parte un sacerdote all’ora, 
Che lunghissima avea barba e capelli, 
Della sacrala gregge ha tratti fuora, 

Senza difetto alcun, due vaghi agnelli t 
1/ un è sembiante alla più bianca aurora, 
L’ altro ha più della notte oscuri i velli ; 
E dove è più’l terreo di polve scarco, 

Gli pose inuanzi al vecchio re d' Avarco t 

XLVIII 

Che recatasi in man la spada antica, 
Che per memoria ancor non vuol lassare; 
Ove più follo lor la testa intrica, 

Risegò il pel, che fra le corna appare ; 

E 'I fere intorno della schiera arnica 
Ai cavalicr più cari dispensare : 
ludi, tenendo al ciel le luci fìsse, 

In devoto sembiante così disse : 


Disse il medesmo il saggio Maligante, 
Ritorte, e Lionello, ed altri molli: 

Nel campo, allor che ferme avea le piante, 
Già si vrggion cangiar pensieri e volli ; 
Riconfortano i vili il ror tremante. 
Pensando di periglio essere sciolti; 

1 più forti hanno invidia, sdegno e duolo, 
Che di tanti l’ onor giaccia in un solo. 


Giove, che de* mortali e degli Dei 
Padre, ciascuna età verace appella ; 

Nè senza le gli effetti buoni o rei, 

Può di lassù produrre alcuna strila : 

E tu lucente Noi, che cagion sei 
Di cangiar le stagion di questa in quella; 
E voi notturni Dei, signor di Lete, 

Che i difetti fra noi punir solete : 


Già gli araldi reali in ogni parte 
Hanno a tutti silenzio imposto r pare ; 

Già l’nno e l’altro re viene in disparte, 

E di comune accordo a ciascun piare. 

Che Gaveno e Clodin, chiamalo il Marte, 
Dehban fra lor donar certo e verace 
Fine alla lor question, prima die 'I giorno 
Farcia all'uccaso suo fosco ritorno. 


Siate voi testimon, servate voi 
Quel rh’ io prometterò, che per voi giuro, 
(die $’ oggi il mio Clodin, de’ giorni suoi 
Vedrà iu man di Gaveno il fine oscuro, 
f.h’ Avarco, e lutto quel, eh* è sotto a noi, 
E già fu del re Ban, torni d' Arturo ; 

E mentre il re d’ Orca ni a in guerra fìa, 
Dagli altri miei guerrier sicuro sia. 



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tl 

E s’ io pii mentirò, veder poi» 1 io 
Preda questa ritta d'arme e di foro; 

I.a pia consorte, i figli, il popol mio 
Servi de' lor nemiri in chiuso loro ; 

Ed io fra loro in lungo esilio, e rio, 

Mi consume di doglia, a poro a poco ; 

Nè ardisca a voi drizzar lamenti o preghi, 
E •’ io *1 facessi par, nessun si pieghi. 
ut 

Detto cosi, nella sagrata gola 
All'ano e l'altro agurllo il ferro mise; 

Il sangue in alto distillando vola 
Prr le vene maggior, eh' erano incise ; 

E mentre la fral anima s' invola 
Dalle tremanti membra in terra affise, 

Con 1' anfora, die tiene, aurata e tersa, 
Puro ed annoso viu sovr* essi versa, 

LUI 

Onde alcun fa, di' a rimirare inteso, 
Divoto il ciel pregava tra 'I suo core ; 

Così reggia io di simil piaghe offeso 
Bi versai con lo spirto il sangue Cuore, 

Chi primo arri, coatra il de ver, disteso 
Il sacrilego braccio, e pira d' errore, 

Per disturbar la guerra, che in un solo 
La pace apporta a così grande stuolo. 

UT 

Poi che tutto ha compilo il re Clodasso, 
I Britanni guardando, e’ i suoi d' Avarco, 
Dice: All'albergo mio rivolgo il passo, 
Poiché d' ogni dover mi sono scarco, 

Ch’ io non potrei soffrir vedermi, ahi lasso. 
Già di tante miserie, e d' anni carco, 

In sì mortale impresa e ’n tal periglio, 
Senza soccorso altrui, si caro figlio. 

LT 

E chiamato Vagorre, fan portane 
Nell'ombrosa lettica, che gli attende; 

E quanto più poteo ratto, disparse 
Da quel loco fatai, che '1 cor gli offende : 
Or già si vede in mezzo appreseutarse, 

Chi del campo ordinar la cura prende. 

Che fu il buon Malignile e Palamede, 

E ciascuno il vantaggio al suo provvede. 

LVl 

Fanno in prima purgar di sterpo e sasso, 
E per tutto adeguar, reietto loco: 

Poi inisuran lo spazio a passo a passo. 
Dividendo il confin tra 'I molto e I poco, 
Che nou troppo al principio, o nel fiu lasso 
L* incontro sia, poi che già spento è 'I foco. 
Che più riscalde il corso, ma in qnei punto, 
Ch' al suo sommo vigor ciascuno è giunto. 

LVU 

Van l a arme visitando in ogni Iato, 

Se raddoppiata viene, ove s' allaccia ; 

Se l'elmo è fermo assai, a’ egli è fidato, 


Lvtn 

Il medesmo, ch'ali' uom, fanno al destriero 
Cominciando dal piè fino alla fronte, 

Se ben ferrato sia saldo e leggiero, 

Da non gravare al gir le voglie pronte ; 
Se 'I fren dritto di lui tenga l‘ impero, 

E non troppo s'abbasse, o troppo monte; 
E se ciò che '1 governa e che 'I sostiene, 
Armato sia di fuor, come conviene. 

LIX 

Se la testa è col petto d'arme ornala. 
Quanto è '1 bisoguo, e con ragione assisa ; 
Se la sella è ben posta, e ben serrata, 

Da non temer di seggio esser divisa ; 

Se T una e 1' altra staffa è ben locata, 

Tra '1 lungo e *1 corto, in assai forte guisa; 
E vau tutto guardando, come deve 
Chi ponga sopra sè fascio sì greve. 

U 

Poi di scudo possente a tutte prove 
Il petto al suo guerriero armò ciascuno ; 
Gaven d’oro v' avea l'uccel di Giove, 

In campo porporin, che volga al bruno : 
De’ medeimi color, eh’ all’ aura muove 
La fronte annosa, e non coutenta d' imo 
Seco! di vita il sempre verde pino, 
Ombreggiava lo scudo di Clodino. 

LZI 

Già presenta a Gaven la nobil asta 
li magnanimo Arturo iu tai parole : 

Bench' ad alma reai sena' altro basta 
La virtù sola, di' ella onora e cole, 

Che si dee manteuer candida e casta 
D’ ogni difetto nmau, qual puro sole ; 

Por dirò questo ancor, che vi sovvegna 
D' esser quale a tal opra si convegna ; 

ut II 

E che in mille e mill* anni la fortuna 
Non vi porria trovar cagion più chiara. 
Del nome vostro alzar sopra la luna, 

E d* ornare e giovar la patria cara ; 

E che per vostra man, serena o bruna 
Fia la sorte di noi, dolce od amara : 

Non sia ingannata in voi la somma fede 
D’ uom, che di tanto onor vi face erede. 

LXIII 

Gite con fermo core alla battaglia, 

Né lo abbasse timor, né )’ alzi spene ; 

E dopo il prùnu incontro, se vi assaglia 
Con furioso passo a vele pieue, 

Sostenetevi alquanto, e non vi caglia 
Del vano onor, che dai men saggi viene, 
Ma come stanco sìa, pronto e leggiero 
Yi dimostrate allora, e prode e fero. 

LXIV 

Movete adunque, che 'I favor divino 
Non v' abbandonerà, per quel eh' io spero. 
Cosi diceva, e già nel suo vicino 


Se crolla in lesta, o se la vista impaccia. 
Se la maglia é ben forte, e tien guardalo, 
Ove piastra non sia sotto le braccia ; 
Prendon la spada appresso, e guardali, come 
Trovin sicure in lei le guardie e’1 pome. 


Popolo esercitava il sommo impero 
Tristano c Seguran, si che '1 confino 
Disegnalo a guerrier, rimanga intero : 
Tenendo ogn' uomo a fren che innanzi gisse, 
Per cagione schivar di nuove risse. 


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"ìH l’ AVARCHIDE r ,,, ^ w 

u» 

Fan che riasetma parie a terra stenda 
Lo scodo, o I’ asta, per piò amico se gnu : 
Nè fra tutti è più alcun, che ad altro intenda, 
Cb’ a veder, cui di lor dimore il regno : 
Questi di speme par, che 1* alma incenda. 
Quei mostra dì timor non dubbio segno ; 
E tra lor ragionando in diversi alti. 

Chi condanna, e chi loda in gioiti patti. 

LXXII 

Ma riprese le forze il buon Garrno 
Con quanto ha più poter, ver lui s'avventa : 
Drizzasi al loco, ove lo scudo ha meno, 

E in ogni modo d' impiagarlo lenta ; 

E d'una punta al fine il trova a pieno, 
Ove più l'alma avea, che gisse, intenta ; 
E se quel doppio acciaro rra mtn forte, 
Clodin poco loulana avea la morte. 

LXTI 

Poi che fu il campo volo d* ogn intorno, 
Questo e quel cavaliero in mezzo appare, 
Di sembianti colori e d' arme adorno, 
Come d’ ambo il valor si mostra pare : 

1 possenti corsier, raspando intorno, 

E rimordendo il fren, non pon restare; 

E i pennuti cimier, che in allo stanno, 
Minacciando al uemico o morte o danno. 

LXX Iti 

Pur no *1 difese tanto, che la spada 
Tra le sinistre roste, che nel petto 
Son poste in alto, non facesse strada. 

Ma di picciol periglio e .gran sospetto: 
Perchè Clodin pensando, ch'ella vada 
Pili oltre assai di quel che fu 1' effetto, 

Non vuol perder più tempo, e pon da parte 
La ragion del ferir, lo schermo e 1’ arte. 

LXVII 

Tosto che *1 marziale allo romore 
Delle sonore trombe il segno diede ; 

L’ uno e 1* altro guerrirr con più furore. 
Che 1 folgore dal eiel, che i monti (lede, 
Va per mostrare il primo suo valore. 

Che nell* incontro della lancia siede, 

Che fu colai, che in mille pezzi andaro 
1 tronchi al ciclo, e lardi rilornaro. 

LXXIV 

E qual fero leon, dal cacciatore. 

Che ferito si senta, olirà si getta. 

Non mrn, che della vita, o d'altro onore, 
Pien di caldo desio d'alta vendetta; 

E senza accorgimento, a gran furore, 

La spada ad ambe man lenendo stretta, 
Di tre colpi il feri, ma tutti in vano, 

E troncata alla fin gli usci di mauo. 

LITUI 

Fu il colpo di ciascun si acerbo e crudo, 
Che i due cavalli in piè restano a pena ; 
Gaven rompe a Clodiu T aurato scudo, 
Con assai gran periglio, e molla pena, 

Che ’1 saldo ferro, che ’1 trovava ignudo, 
Chiara vittoria, e d ogni gloria piena 
Gli polea dar, s' nn punto solo allora 
Fosse integra rima sa 1' asta ancora. 

LXXV 

Nè per questo restò, ma con le braccia. 
Quanto più forte può, nel mezzo il ferra ; 
E crollando e sentendo»! procaccia 
Dal possente corsier cacciarlo a terra : 

Non sa Gaven ciò che in quel punto farcia. 
Che con la spada far non gli può guerra, 
E sì oppressalo e cinto si rilruova, 

Ch' arme, o senno adoprar poco gli giova. 

I.XIt 

Ma Clodin fere a lui la spalla destra, 
Ove col braccio in alto era congiunta, 

E gli facea nell* arme alla finestra, 

Se ben dritta venia 1' acuta punta; 

Ma la fortuna, al suo voler sinestra, 

La (orse io fuor, come fu al mezzo giunta; 
Ma il ferro rnppe, che tenea coperto, 

Ov* il braccial più in alto viene inserto. 

MITI 

L'aspra necessità pure il consiglia, 

Che debba usare aneli' ei l' illessa forza, 

E nel modo mede sino a lui a' appiglia, 

E di trarlo di sella assai si sforza : 

L'uno e l'altro di lor lassa la briglia. 

Sì che ponno i destrieri a poggia ed orza 
Gir come aggrada lor, ma sono intenti 
Coi piè ferine, e coi tenaci denti. 

LXX 

E per alquanto spazio, quella mano, 
Con la me (lesina parie, ebbe impedita; 

Ma r onor, eh' ogni infermo rende sano, 
Alla battaglia seguitar l'invita: 

Trae fuor la spada, e non la trasse in vano. 
Che quella di Godio vede apparila 
Già contr'a Ini, che sopra l'elmo il fere, 
E T ornato cimier gli fa cadere. 

LXXTII 

Pur cercando le groppe rivoltane, 

Per ritentare alfin sorte novella, 

Vrnner di troppo spazio a lontanane 
1 due buon cavalier, eh' erano in scila ; 

Nè volendo ostinali abbandonane, 

Anzi con maggior possa in questa e'n quella 
Parte, mentre ciascun sospinge e preme, 
Ristretti più che mai caddero insieme. 

LXXI 

E fu *1 colpo colai, che con la testa 
Al collo del deslrier tutto piegosse ; 

L‘ altro, che *1 vede a tale, ivi non resta. 
Ma raddoppia a gran forza le percosse, 
Spesse assai più, che grandine moleste 
Al buon villan, che le sue spighe ha scosse; 
Ma vinto dal furor sovente falla, 

E gli dà su lo scudo, o su la spalla. 

LX XVIII 

E fur sì accorti al lor, che nessun piede 
Nelle staffe di lor sospeso resta ; 

Nè con altro romor la piaggia fìede 
La qurrre antica, cui la srure infesta 
Del paslor ripercuote, infin che vede 
Rovinar d* alto la frondosa testa, 

Onde il bosco rimbomba, e n'ha spavento 
Ogni vicino uccello ed ogni armento. 


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txxix 

Che i «tur bnon ravalier prrmon la lem, 
Senza rinb^piu avere in quello sialo; 

Se non che ’l destro braccio aggrava e serra 
A sé stesso Clodin, che da quel la lo 
Stampò la rena e I' altro a nuova guerra, 
0 fosse il ino sapere, o fosse il fallo, 
Avea la miglior man di sopra iciolla. 

Che gli fu nel cader ventura molla. 

r.xxxvi 

Or mentre che fra lor girando vanno, 

E migliore stagion ciascuno aspetta, 
Drnschcn, che s'asscdea con quei, che stanno 
Fuor d’ ogni schiera, che sia tarda e stretta; 
Ma che sciolti e lepgier la guerra fanno 
Sol di frninha, di dardo, o di saetta; 

Tra' quali ci fu il più dotto e fu signore 
Presso a Valenza, al fiume Goldamorc, 

im 

E perchè pii la spada avea gettato. 
Fin nel primo abbracciar, che 1* impedia. 
Va cercando, ove l'elmo era allaccialo, 
S' ci potesse trovar di triodo via ; 

E quantunque di gnaulo ci fosse armato 
Si, che la man min molto V ohbedia, 
Tanto va pur tentando a poco a poro, 
Cbe melica 1' avversario in dubbio loco. 

itvxvu 

Non perché di Clodin pietà il movesse, 
0 lo scampare i suoi d' a«pra ventura; 

Ma d' invidia compunto infido elesse 
Trar con l'arco Gavcno a morte oscura: 
Così tacitamente 1’ orme impresse 
Per la gran calca, e quanto punte ha fura 
Di gire a quei d’ Arturo si coperto, 

Clic '1 disegnato colpo andasse certo. 

rxxxt 

Ma Clodin quanto può si seriole, e mnove 
I piè, e le braccia, e 1* insidiala fronte; 

E se mai 1* ebbe al maggior uopo altrove. 
Ivi tutte sue forze avrva pronte 
Ma in tutto ciò di nulla mai rimuove 
Gavcn, cbe si faria lo scoglio o '1 monte ; 
Che gli slaccia alfin 1' elmo, e con furore, 
A mal grado di lui, gliel trasse fuore. 

txtxvttt 

Tosto eh* è giunto al loco disegnato. 
Che '1 possa rimirar di dritta parte; 

La faretra prendea, eh' ei porla a lato, 
Fabbricala in nn corno con moli' arte, 

D’ nn capro alpestre, iu tra i gran gioghi nato 
Del Pirrneo, che 1* Aragonia parte 
Del terren Gallo, e*n cava pietra assito 
Con l' istrssa sua man l'aveva ueeiso. 

max ti 

Ma nel tirar, di' ci fe’ dal hraccio sciolte 
Onde il premea, Clodin, che ‘1 tempo vede, 
E con leve destrezza indi si tolse, 

E in un momento pnr si trovò in piede ; 
Poi con patto sollecito ricolse 
La spada di Gaven, che 'n terra siede ; 
L'altro risurge aneli’ ei tritio e smarrito, 
Che mezzo il suo sperar vedea fallito. 

I.XXXIX 

Or quella adunque, di grandezza pare 
A quanto nn uom le braccia stenderla ; 
Da Conon fatta riccamente ornare, 

Come arnese più caro si potria, 

Loca a* tuoi piedi, e fassi innanzi stare 
Gente, eh* a quei di là rnopran la via 
Di poter lui vedere, e basso io terra 
L* un ginocchio posando, la disterra : 

LXXXIIt 

E tanto piò, che la sita spada in mano 
Sceme dell'avversario, che 1‘alleode; 
Tosto il possente scudo, poiché in vano 
Nella pedestre pugna al collo pende, 
S'adatta in braccio, e stando a lui lontano 
L'elmo già di Clodin con man riprende 
Per le dorale fibbie, onde s' allaccia, 
Perdi' officio dì spada almen gli faccia. 

xc 

E 1 più saldo, pungente, e duro strale 
Tra molti, clic vi son, traeva fuore, 
Pennuto io basso di finissim' ale. 

Onde più dritto è 1’ impeto e maggiore ; 
Truova poi l'arco, che non ave eguale, 
Di fortezza infinita, e di valore, 

Che fuor che Palamede e Segurano, 

Ogni altro cavaliero il teude in vano. 

LXXXtV 

E s’ invia verso lui con largo passo. 
Stimando nel sno cor vantaggio avere; 
Che tosto ha rotto il brando, o 1 braccio lasso 
Chi sopr’ elmo ben fino e scudo fere : 

E spera anco nel sangue, che già in basso 
Pur tra 1' arme talor vedea cadere ; 

E non poca speranza anco gli presta 
Scernergli a' colpi suoi nuda la testa. 

xri 

Questo con salda mano al mezzo prende, 
Indi pon dello strai la ferma cocca 
Sii la rigida corda, e quella stende, 

Fin che col ferro la sinistra tocca ; 

Poi, con la destra, eh’ al deslr’ occhio prode 
Dopo aver beo mirato, a pieno scocca, 

E con tanto forare il corso prete, 

Ch' a mille il sibilar 1’ orecchie offese. 

LXXXV 

Clodia, clic del medesimo s’ accorge, 

E ti sente le forze assai mancare, 

Nè gran speranza alla vittoria porge 
Il brando, che non sa dove adoprare, 

Si ben coperto il sno nemico scorge 
D’ arme, eh* è tnlta intera, e senza pare ; 
Ond' ei misura i colpi in tal maniera, 

Che la spada, eh’ egli ba, dimori intera. 

xcu 

Il minacciante strai volando gi'o 
Tra gente e gente, d’incontrar bramoso; 
Giunge dritto a Gavcno, a cui ferio 
La destra rascia, dove periglioso 
Non pure è il loco, ma mortale e rio, 

Tra mille nervi, e m Ile vene ascoso: 

Ma T arme, e prima il ciel gli furo aita, 
Ch' ei non perdesse tubilo la vita. 


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l’ AVARO II IDE 


xcm 

Però che ’1 Cno acciaro aitai sostenne, 
Che non andasse il colpo addentro mollo; 
Fece il voler divin, che ’1 ferro tenne 
Senlier passando d* ogni danno sciolto. 
Tosto giù il sangue sotto 1' arme venne, 

£ di tal doglia in un momento avvolto 
Fu il misero Gaveno, e tanto acerba. 

Che non reggendo il piè cadde su l' erba. 


xeni 

Cosi senza aspettar risposta alcuna 
Fa riportar Gaveno in miglior parte ; 

Ove d' intorno a lui ratto s' aduna 
Serbino e Pellican con la lor arte: 
Taurino ancor, che '1 corso della luna. 
Con 1' altre stelle io cielo accolte e sparte, 
Ottimamente osserva, ivi si truova ; 

E di quanto può in sé, ciascun gli giova. 

xeiv 

Restò meraviglioso e sbigottito 
Clodin, che'l suo nemico a questo vede: 
Poi ben tosto s* accorge, che fallito 
Avea '1 ino campo la promessa fede ; 
Getta la spada io terra, e ratto è gito 
Là dove l'altro lamentando siede; 

E come qnel eh' ha pur reale il core, 
Assai seco si duol del suo dolore. 


xenu 

Serbìn con dolce forza la saetta 
Tutta intera col ferro ha tratta fuore ; 
Guardala, e di velen la truova netta. 

Di che prima dubbioso aveva il core ; 

Poi la coscia disarma, e spoglia in fretta, 
Per veder ben la piaga, ove dimore ; 
Premela intorno, e poi col ferro tenta, 

E di trovarne il fondo a’ argomenta. 

xcv 

Dicendo: Io mi vi rendo prigioniero, 
Che facciate di me quel eh’ a voi piace, 
Infin che si rilroovi il certo e’1 vero 
Dell* atto crudelissimo e fallace ; 

E s' io poi, come giudice e severo, 

Non fo guanto a giustizia si conface ; 

A voi mi voto eternamente servo, 

Con meno onor che fuggitivo cervo. 


XCIX 

Certo, che nessun nervo offeso avia, 
Nè infino all’ osso il colpo è penetrato, 
Disse lieto a Gaven : Di morte ria 
Non solo oggi assicuro il vostro stato; 
Ma pria che 1 sole a mezzo giorno sia. 
Sarete in guisa san, che vendicalo 
Di vostra stessa mano esser potrete 
Dell'oltraggio imunan, che sostenete. 

xcvi 

Ancor volea seguir, se '1 grande Arturo 
Non venia ratto, e di dolor ripieno 
Non dicea fero, e con sembiante oscuro : 
Gitene por con la vittoria iu seno, 

Da scellerato cavalier impuro, 

Colmo d* invidia, d' odio e di veleno, 

Di fede avverso, e di bontà nemico, 

Di tradimenti, e d’ ogni vizio amico. 


c 

E mentre ancor dicea, già Pellicano 

I preziosi unguenti ivi gli apporta ; 
Stendegli intorno con salubre mano, 

E la ferita acerba riconforta. 

Taurino, al ciel mirando umile e piano, 
Con sacri detti ogni dolor ne porta; 
Indi in erboso, chiuso, c fresco loco 

II lasciar dalla turba lunge un poco. 


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l’ avarchide 




CANTO IV 



ARGOMENTO 

-#*•>***■ 

otta la fede ti dispone Arturo 
Entrar to' tuoi guerrier nella battaglia; 
E a pur Clodatso a / periglioso e duro 
Ballo di Marie, e fa arder che vaglia, 
l’ala mede, eoa mano e cor securo, 
Semina il campo di nemica maglia ; 
Tritlana accorre, e fa strage altrettante. 
Con Palamede a fronte è Costernante. 


I * , 
n questo tempo pia <f Avareo 1* oste 

Tulle l a arme lassate area riprese, 

E nell' orditi medesmo eran riposte 
Le proti appa rerrhiate a nuove offese ; 
Gii l’ insegne, che fur per terra poste, 
Hanno al ciel minaccienti Tali stese; 

Già le trombe sonore in ogni parte 
Sveglian il' alto romor Bellona e Marte. 

il 

Perchè tosto Tristano e Malipante, 
Boorte e Lionello, e pii altri insieme 
Dirmi, eli' è tempo ornai di pire avanle 
Verso ’l nemico, che vicin gli preme ; 

Ma il magnanimo Arturo, che le sante 
Di lassù leggi, e gli spergiuri teme, 

Più che I’ arme mortali, ordine diede, 

CK' a Afre nasse ciascun la mano e '1 piede. 

ni 

Poi riguardando al ciel, dicea : Signore, 
Che vedi aperto il tutto, e *1 latto sai, 
Rivolgi sovra il popol peccatore 
L’ aspra giustizia, e i meritati guai ; 

E ’n quei, che senti d' ogni colpa fuore, 
Drizza di tua pietà gli ardenti rai ; 

La ragion pia rol tuo poter difendi, 

E sciolto ine d’ ogni promessa rendi. 

iv 

Così detto, fé’ alzar la bianca insegna, 

E chiamar d' ogni loro alla battaglia ; 

E già sopra il drstrier lieto *’ indegna 
Di mostrar nel sembiante, che gli raglia 
Poco de* suoi nemici, e che si teglia 
Tal la vittoria in man, che non I’ assaglia 
Alcun nuovo timore ; e ’n colai dire 
Ai miglior ragionando apporta ardire. 


Valorosi miei dori e cavalieri. 

Andiamo al sommo onor con lieto petto, 
Che ne promette Dio degli empi e feri 
Nostri avversari in questo giorno eletto; 
Perchè il mondo conosca, e in esso speri, 
Che' non lasse impunito aleno difetto, 

Ma le cose mortali intenda e cari, 

E più dell’ altre tutte gli spergiuri. 

ri 

E vi sovvegna poi, che quelli stessi 
Son, che già tante volte avem provati, 

E tante volte rotti, e ’n fuga messi, 

Che son tìnte di lor le piaggie e i prati ; 
Or tra si gran trionfi, e soiì spessi, 

Che sempre con onor saran lodati, 

Quest' ultimo verrà sì degno e tale, 

Che la gloria di quei farà immortale. 

▼u . 

Poi quindi trapassando, ove scorgea 
Tra' più bassi guerrieri alcnn, eh' al volto 
Si mostrasse temere, alto dicea: 

Entriam, cari figliuoi, nel popol folto, 

Con sicuro pensar, che morte rea 
L* aggia all’ estremo dì per noi raccolto ; 
Ma non convien tardar, che la Fortuna 
Contra i pigri alla fin la fronte imbruna. 

mi 

Nè dona il ciel favore a qnei che stanno 
Lenti a veder ciò che n’ apporti 1' ora ; 

Ma solamente a quei eh’ arditi vanno 
Con la man prunta, ove sè stessa onora ì 
Chi desia di schivar futuro danno. 

Al presente periglio *' armi allora : 
Moviamo il passo, e con sicura speme, 
Che non taglia il coltri dell' nom, che teme. 

IX 

Seguitando olirà ancora, al loco arriva, 
Ove de’ forti Neustri avea la schiera 
Blomberisse, ed a quella innanzi giva. 
Quasi feroce cane in vista altera : 

Tra gli estremi Blanor dietro seguiva, 
Come pastor, che la sua gregge intera 
Va mantenendo, e punge in opra, o'n detto, 
Chi non servasse a pien 1' ordin perfetto. 

x 

Contento nel sno cor, gioioso disse 
(Dolcemente chiamandolo) il re Arturo : 
Chi non fa il gran saver di Blomberisse, 
Della chiara vittoria andar sicuro, 

Tutte ferranti faci, e l' altre fisse 
Serrando in voi, più di' adamante doro, 
Quanto alberga lassù valore? ond’ io 
Sprezzo con voi fortuna e ’1 destin rio. 


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L AVARCHIDE 


Ed irgli a lui: Nel buon voler di' io porlo, 
Quanto in cosa mortai fra noi »i possa, 
Non è '1 vostro sperar, signore, a torto, 

Se rispondesse a quel la breve possa ; 

Si vi promett'io ben, clic prima morto 
Sarò posto sotterra in poca fossa, 

Che slanci) di servirvi, e d’ esser tale, 

CI»' alla vostra credenza io venga eguale. 


1 pedestri gnerrier pose alle spalle 
De* cavalieri, e fece che i migliori 
Fusser nel primo, e nell* estremo calle. 
Nel mezzo i nuovi, e mia ferori cori ; 
Quasi fra due grati monti mi* ttmil valle, 
Ch' a viva forza par, ch'ivi dimori; 

Poi dì saggi ricordi empirà le menti 
L* antico duce all' ordinale genti. 


Pendegli grazie con sembiante umano, 
E ’n parlar dolce, e di sue lodi adorno ; 
Poi si volge il buon re, dove Tristano 
Accoucia a guerra il suo siuistro corno, 
E più d* un chiaro duce e capitano, 

E più d’uo cavalier lenra d'intorno; 
Poi di guerrier pedrstri si vedrà 
La grande schiera, eli* alle spalle avea ; 


Stato alquanto a mirar l' invitto Arturo, 
In tai parole il buon volere apria : 

Fosse oggi il corpo alle fatiche duro. 
Come I invitto cor pronto saria. 

Padre onorato mio, eli* io son sicuro, 

Che lutto il mondo ancor vi troieria; 
Fosse in altrui la debile vecchiezza, 

E *n voi la già borita giovinezza. 


Che folta nebbia sembra, che dal mare 
Di zefiro il soffiar sospinga a terra, 

Clic d‘ atra pece oscuro fumo pare. 

Che rabbiosa tempesta in grembo serra ; 
Ond* il rozzo pa^Jor tremante andare 
Cercando scampo alla vicina guerra 
Si vede, e rimcnar le gregge seco. 
Quanto può ratto, al piu vicino speco. 


Gli rispose il re Lago: Or fon* io tale, 
Qual era, allor eh' appresso a Maina Ito, 

La bella donna, ehe non ebbe eguale, 
Difesi solo al periglioso assalto 
Di cento cavalier, che del mortale 
Velo spogliali, al gran Fattore in alto 
Quaranta ne mandai, venti rcstaro 
Feriti in terra, e gli altri si saivaro. 


Disse allor lieto il re : Germe onoralo 
Del più famoso tronco, che mai finse ; 
Dico di quel, ch* a pien già mai lodato 
Essrr nou può, del buon Mrliadussc, 
Tanto v’ ha spinto in alto il vostro fato, 
Cuu le natie virtù, che "n voi produsse, 
Ch'uopo non sono a voi conforti o preghi, 
Pcrch* a nubili imprese il cor si pieghi. 


Ma noi concede Dio, che tutto insieme 
Non vuol douare ad uno ; allor mi diede 
Gioventù senza senno, ed or mi preme 
Vecchiezza tal, ma che più lungc vede; 
Ond’ io tengo, allo re, iicll' alma speme. 
Poi che forza non ha la man, nc I piede, 
Che '1 nostro consigliar fia di tal peso, 
Che di molli il poter ne resti offeso. 


Così piacesse a Dio, eh* animo tale 
In qualch* altro dì noi spirasse aurora, 
Ch'assai più basse di speranza l'ale 
Avria Clodasso, e chi con lui dimora ; 
Ma con voi lutto solo, c indio eguale, 
Pria che dell' Ocran sia V ombra fuura, 
Appetto io di veder condotto a porto 
Il viaggio, iufiu qui dal Ciclo scorto. 


Passa olirà Arturo, c vede assai lontano 
Mitigante co' suoi di Vetta intorno, 

FI seco Ilaudegamo il suo germano, 

Con quei della Russia, presso a Lindorno, 
Ch* aUrndcau la riposta da Tristano, 

Se dovrau rimcnar sotto al suo corno 
Le genti, come prima, e ancor uou era 
Lor tornala di ciò novella vera. 


Olirà passando poi, vicìn ritruova 
Il vecchio re dell Orcadi tra* suol, 

Che 1* ordine intermesso ivi rinutiova, 

Con cerchio intorno di famosi croi ; 

Eretto il figlio, a cui d’ insegnar giova 
Ciocché iu guerra conviensi, e seco pui 
Patrido al cerchio d oro, il bruu MaUuzo, 
Plcnoro, Malagraute, c I pio Driauxo. 


Allora irato il re, dice : O signori, 
Tauto famosi nella vostra Gorre, 

L* questo il modo a guadagnar gli onori, 
Che vi fauuo a indi' altri iuuanzi porre ? 
Ch' or vi restiate ascosi tra i peggiori. 
Quando ogni vii guerriero innanzi corre ? 
E voi dovreste pur, s*io dritto estimi, 
Esser con l' arme iu mano ornai fra’ primi. 


Tosta eli* ha de'cavai la torma innanzi, 
Comanda: gite ognor ristretti insieme; 

Nè per suo troppo ardire alcun a’ avanzi 
D' uu passo pur, se 1 mio corruccio teme, 
Né dall'orma primiera, ov* era diauzi, 

Mai torni il pie, se ben la forza il preme; 
Che lo spavento, e '1 rifuggir d’uu solo, 
Fece perder soycfilc il graude stuolo. 


Tutto sdegnoso Malìganle allora. 
Rispose : L come il cor vi può soffrire, 
lu cui tal senno e cortesia dimora, 

A tali a torto, e tale oltraggio dire ? 
Guardale poi, quando venuta Tura 
Fia dal pubblico seguo di ferire ; 

E se iuuanzi alle nostre orma si segna, 
Yrngaue pena in noi del fallo degua. 


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L AVARCHIDE 


K 


K1 


Quando vide il prati re roti turbato 
Quel, che tanto onorò, rìdendo dille t 
Prendete in gioco ciò, figlio onorato 
Del miglior ravalier, rhe gii mai ville, 

E vi sovvegna ben, che in ogni italo 
Ho mio in voi le mie speranze fine; 
Seguite pure, e '1 ciel rivolga in gioia 
Questa breve tra noi panata noia. 

xx vt 

Cosi ni tra panò, dove Coorte 
I cavalli ordinando intorno giva. 

Seco aveva Baveno, e*l saggio e forte 
Nestore il «no fratei, che lui seguiva, 

Ch* a belgici gurrrìer faceano scorte, 

Non lunge all' Euro iu la delira riva: 

I qnai parendo al re starsi in riposo, 
Comincia allo a chiamar tutto sdegnoso : 

xxvtt 

Che tardale voi qui f perché non sete 
Con gli altri ornai tra le primiere squadre ? 
Coorte, r dico a voi, che ritenete 

II nome sol dell* onorato padre, 

Che di unii’ altro al mondo ebbe mai tele, 
Che d’ esser primo all' opere leggiadre, 
Pronto, accorto svegliato, e senza teina, 
Di valor colmo, e di virlude estrema, 
xxvt it 

Noi vidi io già, ma tal per me t* lidio 
Il mio re Pandragon di lui narrare, 
Quando egli uccise «abitante il rio, 

Clic videa la Errtapna soggiogare; 

Che presso a Camdolto I* assalto, 

Sendo tolto soletto in riva al mare, 

E quegli avea cinquanta cavalieri. 

De' miglior di Sassonia, e de' più feri; 

XXIX 

E'n fra gli altri Sarondo e Filidasso, 

E di tulli sol nn dimorò in vita, 

Che fu Magarlo, a coi Boortc, lasso 
D’ arrider lauti, gli donò spedila 
J.a strada, e comandò, eli* a ratto passo 
Andasse agli altri a dir, come seguita 
Fosse fra lor quella battaglia fera, 

Di cui sol testiamo rimase u’ era. 


Tal fn il vecchio Boortc re di Gave, 

A cui par, che 'I figliuol simiglie poco: 
Fe’d* Arturo il parlar noioso e grave 
Al giovin onoralo il ror di foco ; 

Ma cugio scodo a Lanrilotto, pavé 
Di non far, come quegli, e 'I prende in gioco: 
Ma il famoso Baveno, al re rivolto, 

Così dicca, con arrossito volto : 
x«xi 

Non ne ritiro, signore, in questa parte, 
Il voler neghittoso, o la viltade; 

Ma per muoverci a guerra, eoo quell' arte, 
Che si eoovien, per l’ animose strade ; 

Nè cederemmo in arme al proprio Marte, 
Nun eh' ad altro mortale, in altra etade ; 
K come l' opra par, eh' aperto mostri, 

Vie miglior ci tegniam, ohe i padri nostri. 


XXXII 

Che quei d'alto valor, come voi dite. 
Perder Gave, Benicco, e i regni loro ; 

In esigilo menar le regie vite, 

E nell' attrai terreo sepolti fòro : 

Ma noi con queste spade assai gradite 
Avem di palma e trionfale alloro 
Le lor ceneri ornate, e molte terre 
Racquislate di lor con molte guerre. 

xxxiti 

Ma il pio Boorte riprendea Baveno, 
Dicendo: Or non più no, eh* a noi nou lice 
Di contender col re, ma tutto a pieno 
Ascoltando, obbedì# ciò eh’ esso dice, 

Che suo sari I' onor, se '1 Ciel sereno 
Gli dari della guerra il fin felice 
E se 'I contrario fia, sua la vergogna : 

Però ben provveder per tutto agogna. 

xxxtv 

Cosi dello, il deslrier più innanzi sprona 
E con cura maggior comanda intorno. 
Questo chiama e lusinga, e quello intuona 
Con alte voci, e gli minaccia scorno ; 

Or percuote il cavallo, or la persoua 
Di quei, che fanno all' obbedir soggiorno ; 
Tal che diede in un punto alla gnu torma 
Di tulli i cavalier dovuta forma. 

XXXV 

Or, come suoi Nettuno, eh* al soffiare 
Di zefiro, sospiuto il lito inonde, 

Che prima di lontan si sceme il mare 
Montare al ciel con le sue torbid' onde \ 
Fui, come in bassa valle, ritornare. 
Drizzando il passo alle vicine sponde ; 

Ove in allo mnggir, di spuma carco, 

Gli scogli ingombra, e 1' arenoso varco ; 

XXXVI 

Cosi pareano allor le schiere folte, 

Che separate pria son poste insieme, 

Le qnai eoa lento gir si soa rivolte 
Verso il nemico suo, che già le preme : 
Poi che fur più virine in un raccolte 
Con I' arine e con 1’ ardir le forze estreme, 
Con più avvisato cor, con menti nuove 
Si couforlan fra loro all' alte prove. 

xxwtf 

Veggono I duri avanti, e d'essi soli 
S' udian le voci esercitar I' impero ; 

Gli altri gurrrier, qnai «empiici figliuoli, 

A cui mostrino i padri il buon sentiero, 
Tacili van ; nell' un dei fermi poli 
Guarda la notte il provvido nocchiero 
Con si gran cura, come questi fanno 
Chi può loro apportar vittoria o danno. 

xxxvtti 

Vengo» quei di Clodasso, d* altra parte 
Cou vie più gran rumor, che nell* aprile 
Non fa la greggia, che '1 paitor diparte 
Da' nuovi agnei dentro al serrato ovile, 
Per trar più lar£o il latte, ove in disparte 
Sente afflitta chiamar con prego umile 
Il nutrimento suo la dolce prole, 

Che iu voci spesse si lamenta e duole. 


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AVARCH1DE 


Eran le lingue poi varie e diverte. 

Come vari e divertì hanno i parti : 

Di contrari color ton l'armi asperse, 

E di mille maniere, gli altri arnesi. 

E ben pou quei d' Arturo anco vederte 
Di tirane patrie, ma gran tempo appresi 
Alla medetma scuola; in lor 1' u santa 
Come spetto addivien, natnra avanta. 

XL 

Già quinci e quindi ti vedean volare 
Lo spavento e '1 timor con trepid' ali, 

Or alti in aria a tuo diporto stare, 

Or ne’ cori avventar ge^ti strali; 

Poscia scacciati in altra parte andare. 
Dall* ira avversa, a cui non sono eguali ; 
Dall* ira, eh' al principio lento il pasto 
Muove per un sentier, eh' è oscuro e basso 

XL! 

Indi l' ali spiegando a poco a poco 
Prende aperto canimin, eh* al del sommate; 
Poi fatta <n vista di color di foco 
Infin sovra le nnbi alza la fronte ; 

Questa adunque avvampando in ogni loco, 
Farea del sangue altrui 1' anime pronte, 

E nulla cura aver della sua torte, 
Portando solo in cor desio di morte. 

XLII 

Or già il buon Maligante, e 'I pio Boorte, 
Questo a man destra, alla sinistra quello, 
A* più levi cavai facendo scorte, 

Muovon più presti, che rapace augello ; 
Dietro lor la pedestre sua coorte 
Spinge il re Pelinoro e Lionello; 

Le quai di fromLator sono e d'arcieri, 
Tutti al corso prontissimi e leggieri. 

XLIIf 

Il romor de’ destrirr, dell' arme il suono. 
De' gnerrier il gridar, 1' orribil trombe, 
Svrgìian si grave e tempestoso tuono. 

Che 'I mar, 1’ aria, e la terra ne rimbombe 
Per cui cadute in basso aquile sono, 

Non pur cornici, o pavide colombe; 
Tremò intorno la valle, e d* Euro I’ onde 
S' alzar crollando tra 1’ erbose sponde. 

Otl-tv 

Mosser di quei d* Avarco, al muover loro 
Non men bramosi del mortale assalto, 

Con genti eguali, il forte Palamoro, 
Farabo, e Loto, che seguia Yerrallo. 

Primi allo incontro a ritrovarsi fòro 
1 cavalicr, eh' adamantino smalto 
Quinci srmbraro, e quindi elette incodi, 
Tanto strepito fcr 1’ alme e gli scudi. 

XLV 

I tronchi delle lance hanno il sentiero 
In un momento sol lutto ripieno; 

Puossi steso veder più d' un destriero 
Lottar con morte, e mordere il terreno ; 
Ivi oppresso riinan quel cavaliero. 

Quel tulio estinto e quel di sangue pieno; 
Quel, che più ferma ancor soslic» la vita. 
Quantunque a piè, col buon voler s’ aita. 


De* pedestri, impiagato il petto o '1 banco, 
Chi va col volto a terra, e chi riverso ; 
Chi vive ancor, ma spento ha in lutto e stanco 
Il suo primo valor, di polve asperso ; 

Chi lo scudo ha impedito, e ‘1 braccio manco 
Di più d' un colpo, che 'I passò traverso ; 
E chi si truova san, cangiando varco. 

Ora in questo, or in quello addrizza 1' arco. 

XLVII 

Ma con saggio silenzio, a passo tardo. 
Vengo» 1‘ armate, e le più gravi schiere. 
Col cor ben fermo, e con so Itil riguardo, 
Dei lor duci adempir tutto il volere t 
Intra due corni il candido stendardo 
Del Britannico re si può vedere, 

Nou tra i primi a ferir, ma io mezzo il ralle. 
Che la fronte di lor veggia, e le spalle. 

XLVIU 

Sopra un alto corsier, che di colore 
Ra ssembra all* oro, e mille oscure rnote 
Della chiarezza adombra» lo splendore, 
Come stil di piltor più accorto puote; 

E in campo, che simiglia al uoovo albore. 
Il ciel, che l’euro d' ogni nebbia scuote. 

Il suo scudo reai, eh* al collo pende. 

Di tredici corone aarato splende. 

xux 

Con mille intorno cavalier perfetti. 

Di condor degni ogni onorala impresa, 
Clic tutti insieme in un drappello stretti, 
In ogui parte han presta la difesa. 

Le trombe ha presso, e gli altri suoni eletti 
A frenar P arme, o spingerle all' offesa, 
Tristan va innanzi al suo sinistro corno. 
D'aurate sopravveste, d'ostro adorno. 

t 

E per gir, rame gli altri, è sceso a piede, 
Non dell' armi durissime ravvolto ; 

Gravi pur si, che se i bisogno vede. 

Che convenga stornar chi in fuga è volto, 
Oude possa talor chi non provvede 
Ballo iu più d' una parte suffrir mollo ; 
Montando esso a cavai, restino intere 
Centra ogui colpo, che la lancia fere. 

Li 

In sette doppi poi di fino acciaro 
Il gravissimo scudo al braccio avea. 

Ove nel campo verde a lui sì caro 
Il dorato leone allo surgea ; 

Così sen già con le sue schiere a paro, 

Ma spesso l'occhio intoruo rivolgea : 

Dne dardi ha soli in man, che tutta spene 
Nella spada fatai secura tiene. 

Ut 

Del corno destro, ancor che d'anni pieno, 
Il saggio re dell' Orcadi ha la cura ; 
Perché impiagato allor scudo Gavcno, 

Egli in vece di lui tutto procura, 

E 1 generoso cor, eh' ei porla in seno, 
Facca forza in quei giorni alla natura; 
Che col picciol cavallo è iu ogni loco, 

Nc mai stanche ha le membra, o ‘I parlar rucu. 



Ufi 

Or giunti ornai vicin dì pochi passi. 

Con piò furor comanda il buon Tristano, 
Che si affretti il cammin, non si, che lassi 
Arrivin dove oprar si dee la mano; 

Ma più che grinta alquanto, e stretti e bassi 
Vadan con 1' aste, che '1 nemico in vano 
Possa fra loro entrar d* alcuna sorte, 

Che non truovi serrate esser le porte. 

I.X 

Poiché tanto ristretti son già insieme, 
Che dell* aste ferir non han più forma ; 
Fan, eh* essa schiera lentamente preme 
Per gli spazi lassati indietro l’orma; 
L'altra, eh' è più sicura, e che men teme, 
Con gli scudi ferrati annata torma, 
Succede al primo loco, in si bell* arte. 

Che non appar cangiata alcuna parte. 

tir 

Fan tutte risonar le pìaggie e i colli 
Di quelli i colpi, che ferir primieri ; 
Sospinge saldo ogn’ uom, nè par che crolli, 
O muova il piè de* fermi suoi sentieri ; 

Ma già si veggion far vermiglie e molli 
L* erbe del nuovo sangue de* guerrieri 
E diverso gridar già 1* aria frange. 

Di chi minaccia altero, e di chi piange. 

1X1 

Rcstan maravigliasi e sbigottiti 
Dei nuovi successor quei di Clodasso : 

E se, come leoni in selva ardili, 

Non correan tosto con veloce passo 
Palamede e Faran, eh’ era o seguiti 
Dal crudo Fortunato e Bronadasso, 

Che con minaccie e forza gli han rivolti; 
S* eran già, spaventati, in fuga volti. 

ir 

Non son de’ duci piò le voci intese, 

Cosi alto è il romor, che ingombra il cielo, 
Qual rapido torrente, poi eh* nfTe«e 
Febo nel suo raonton del veran il girlo, 
Che ricchissimo donde in basso scese. 
Spogliando all* alpi il suo canuto velo, 
lu cosi orribil suono, e *n tal fragore. 

Che si fuggon le gregge e *1 pio pastore. 

I.XII 

Poiché fermati gli han, trapassa avanti 
Palamede e Faran. ma iodietro resta 
L’altra coppia di lor, che spioge innanli 
Chi con timido cor lunge s* arresta ; 

E gli riduce all' ordin tutti quanti, 

Ch* aver solean nella primiera testa, 

E sopra i morti, allor che in terra stanno. 
Nuova altra guerra, e perigliosa fanno. 

avi 

Molti son morti già, molti feriti, 

Che dagli altri calcati a terra stanno ; 

Ma dei miglior guerrieri, e più graditi, 
Sopra il campo d’ Avarco è’! primo danno; 
Perché fra gli altri giovinetti arditi 
Fn il figliuol del re Armorico Britanno, 

E cugin di Trìstan, chiamato Ovetto, 
Che*) misero Agelao feri nel petto. 

r.xnt 

Vanti premendo si, che i forti tendi 
Toccan 1 un l’altro, e l’ano l’altro piede 
Son fra lor giunti, e dove sten più nudi, 
Rimirando ciascun, di sotto Sede ; 

Poi con aspre minacce, e detti crudi 
Corre ogni duce ove il bisogno vede : 

Tal che chi per onore, e chi per forza, 

Di virtù dimostrar sé stesso sforza. 

itti 

E scampar noi poterò arme, eh* avesse. 
Che tutta oltra passò l'asta fatale: 

La qual convenne ivi entro rimanesse, 

Né forza, o ’ngegno al ritirarla vale ; 
Cadde traverso allor, come cadesse 
Arbor percosso da celeste strale, 

Che di strepito il bosco empie, e la valle, 
Tal la piastra sonò sopra le spalle. 

tXIT 

Mentre fa Palamede agli altri strada, 
Trovò in fra i primi il forte Aremedonte, 
Che nacque in Borcheria, dove si vada 
La famosa Tamigia presso al fonte: 

Pongli su l’elmo la possente spada 
Con tal furor, che gli parti la fronte 
Per mezzo a punto in fino al collo, come 
Suole acato colici ma laro pome. 

LTtlI 

Bamerto, che tra i Veneti era nato 
Sovra ogni altro d* Ovetto amico e caro, 
Perchè del suo signor 1* atto onorato 
Fosse a chi fu lontan per vista chiaro, 

Si fece innanzi, e dal sinistro lato, 

Ove lo stool nemico era più raro, 

Prese Agelao nel piede, e d' indi trarlo, 
Quanto ei può più si sforza, e polca farlo. 

IXf 

Cadde col volto in giù fra F erbe steso, 
E *1 risonar dell* arme alto s* adio ; 

Vico poi Pedasso, al vendicare inteso 
Del ino caro germano il caso rio, 

Né men che 1* altro sì ritrnova offeso, 

E mai snccesse il sno disegno pio, 

Perchè mentre eh* ei tenta lui ferire, 

Si vede ogni percossa indarno gire. 

tnc 

Ma il fero di Baviera Bnstarioo, 

Che pria n’ ebbe dolor, come or vergogna; 
Poi eh* ha perduto un dolce suo vicino, 
Che non resti a* nemici almeno agogna ; 
Onde a qnel, che tien l'occhio e *1 capo chino, 
Intento meno a quel che più bisogna, 

Col ferro agato ambe le tempie passa, 

E sopra il primo ucciso morto il lassa. 

f.xvi 

Ma Palamede a lai fatta nascose 
L'invitta spada nel medeimo loco, 

In cui rhinsi fra lor natura pose 
Della vita mortai gli spirti e 'I foco : 
Cosi qual sasso, a coi torrente rose 
Della riva il sostegno a poro a poco, 
Andò riverso a terra, ìnntil salma, 

E scotendogii i piè, si foggi 1* alma. 


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umi 

Dopo i dut picn d’ ardire esce Filanto, 
Lo icudirr di Tristan, che irto mena, 
Ovunqu’ ri vada, e ’n lui si fida laolo, 

Che ((li dà sovra opn' noni credenza piena, 
Nato d’ Alrhio, che di mitezze il vanto, 
Di quanti son Ira l’Offa e la Villeua, 
Nell* Armorico «en, porta, e figliuolo 
Ebbe negli ultimi anni questo solo. 

ixvnt 

Vien dritto a Palamede, ed allo il chiana: 
Rivoltale, signor, ver noi la vista, 

Che non sempre 1* is tesso gloria e fama 
Sopra ciascun vittorioso acquista » 

Ctr a qnel, cui la fortuna or pregia ed ama, 
In un punto poi viene odiosa e trista; 

E ben sovente 1’ uum più lira in allo, 
Perchè poscia rovini a maggior salto. 

LUX 

Così parlando ancor, ver lui »* avventa, 
E con la spada il fianco gli percuote, 

E quanto può, impiagarlo «'argomenta; 
Ma le speranze van d' effetto vote, 

Che non in altra guisa in damo tenta 
Dchil ferro tagliar ben salda cote, 

Che facess' ei quell' arme, eh* è sì dura, 
Che forza converria sopra natura. 

lxx 

Ma Palamede a quell' omero trova 
Con grave colpo, che 'n tal forza scende, 
Ch* arme doppia, di’ avesse, non gli giova, 
Nè lo scudo fortissimo il difende, 

Che fu pur fabbricato a tutta prova 
Là, dove all’ Occidente il corno stende 
Il suo natio terreo, d'ottima tempre, 

E ’l re Mcliadusse il portò sempre. 

USI 

E dopo lui Tristano, il suo figliuolo, 
Infin che Marco, il re di Cornovaglia, 

Gli donò quel, che fu nel mondo solo, 

E eli' al presente avea nella battaglia ; 

E diè l’altro a Filanto, ch'or di duolo 
Mortai non lo scampò, per qoanl' ri vaglia, 
Perdi’ all' uopo maggior, lasso, gli falla 
Di ben coprirlo alla siuislra spalla. 

LXXlf 

La qaal fu in modo offrsa, di' a gran pena 
Si poteo sostenere, in fin ch'ancora 
Un nuovo colpo, ma traverso, mena 
Nel luogo stesso, ove il percosse allora ; 
Onde cadder rotando in su la rena 
Lo scudo e *1 braccio alla medesima ora ; 
Di ramo in guisa, che dal faggio atterra 
Pastore alpestre, onde la tnandra serra. 

(XXIII 

Non restò in piede il misero Filanto, 
Ma qnal candido fior, die iu riva siede 
D’ un verde prato, a coi passando a canto 
Con 1' nn decorni suoi l'aratro Cede; 
Snpr' allo scado, e sul sinistro canto, 
Dietro al sangue che versa il corpo cede ; 
K poi che ’n terra i piè tre volte accolse, 
Gli occhi d' oscura nebbia il ciel gli avvolse. 


i-xxiv 

Non si prende di lui cura altrimenti 
11 forte Palamede, e innanzi muove. 

Qual libico leon, che i grassi armenti. 
Senza cani, o paslor. Ira i colli Iruove, 
Che lassa questi e quei di vita spenti, 

Con desioso cor di prede nuove, 

E mentre pur iiu sol vivo ne resta, 

L’ empia fame a sbramar mai non s' arresta 

LUV 

Incontra poi Laerco, e 'I biondo Arele, 
Quel di Ehoraro, e dì Liinonia questo, 
Ch’ebber di vendicar soverchia sete 
Del giovinetto il raso agro e funesto ; 

Nè le mature spighe al campo miete, 

Per la calda stagion, villan più presto 
Chè facesse ei, gettando dalie spalle 
Le teste d* ambe due sopra la valle. 

IXXVI 

E perdi’ era (li lor nrl mezzo entralo, 
Sol due colpi bastar, dritto e riverso; 

Con gli elmi intorno, dal mrdrsmo lato 
Non cader tutte, ma in contrario verso; 

E ’l busto di ciascun, cosi troncalo, 

Si vide alquanto in piè di sangue asperso ; 
E poscia in basso gir, di torre in guisa, 
Dalla nemica man sotterra incìsa. 

LXXVJl 

Per questi, e quel di pria, si gran timore 
Avea compresa del sinistro corno 
La parte destra, che ’1 più nobil core, 

Per la vita scampar, non cura scorno: 

E ciascun si fuggiva, se il roniore 
Non fosse andato già per molti a torno ; 
Tanto che, come suol, con levi penne 
Di Tristano all’ orecchie al fin pervenne. 

lxxvui 

Il quale assai lontao, dall' altra parte 
L Iberico Eussoro ucciso avia. 

Che dell' indovinar sapea ben l’arte, 

Per cui conobbe già sua morte ria 
Nel gran Toltedo, e non mentir le carte ; 
Perchè mentre 1’ insegna ivi seguia 
Di Safaro, il fralel di Palamede, 

Duce di quei, dove Castiglia siede, 

LXXIX 

Il famoso Tristan, dritto alla fronte. 

Di forza estrema con la spada il fere 
Sopra 1' elmo durissimo, di' un monte 
Avria potuto intero sostenere. 

Perché le stelle, ne’ suoi danni pronte. 

Gli avea n fatto di lunge antivedere, 

Ch’ alla testa il minaccia il suo destino. 
Onde a tre doppi il fece saldo e fino. 

LXXX 

Ma ’l del, die ’l volea par, ritrovò possa, 
Ch’ olirà ogui creder suo tutto il divise, 

E là, dovr il più duro dell' altre ossa, 

Per guardia più fedel natura mise, 

Fé' trapassando ancor profonda fossa, 

Infin che sopra il collo il colpo assise; 
Onde tosto convien, rhe morto giaccia, 

Di cervella ripicn 1' cimo e la faccia. 


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h AVARCHIDI 






Incontra il primo il nobil Corinete, 

Ch’ ebbe il natal dell* Era in in la foce : 

In coi di vero onor troppo alta aete. 
Giovando all* immortale al corpo nuoce; 
Perchè di molto ardir tal gloria miete, 

Ch* ancor ne viene in noi chiara la voce ; 
Ma fornì gli anni nell* età piò acerba, 

E di piaga mortai cadde su l'erba. 

xcvr 

Ch'nna punta gli vien, dove a* appiglia 
Nella gola alta all' ultimo palalo 
La più carnosa parte, eh' assottiglia 
L’ esca, e le fa il cammin più leve e grato; 
Poscia il prode Ifiooo tra le due ciglia, 
Inftn nella memoria ha trapassato, 

Con loro appresso Acastore ed Aranco, 
Questo al ventre percosso, e quello al fianco* 

xcvti 

Gii si fuggii ciascun, come si vede 
Di storni far la popolosa schiera, 

Quando il rapace uccello alcun ne fiede. 
Privo d' esca miglior, vicino a sera ; 
li grido pur del forte Palamede 
Più spavento apportava che Megera 
Od Aletto non fan con 1* aspre voci, 

A chi lorde ha le man di colpe atroci. 

xcviu 

Ma in qnesta è sorvenato Gossemante, 

11 core ardilo, che di quelli è duce 
Di Sommerscto, e se gli oppone avante, 
Con molti capitan, che seco adduce; 

E ’n minaccioso orrìbile sembiante. 
Mostrando alto lo scado, in cui rilaee 
Mischiata in nn la porpora e 1' argento, 
Rallumava il valor, eh* ei truova spento, 

xctx 

Dicendo: O cavali», non vi sovviene 
Quei che voi foste, e quei che fur costoro? 
E quante erbe in più lochi, e quante arene 
Già dipingeste voi del sangue loro ? 

Se voi sarete quei, eh' esser conviene, 

Gli troverete ancor, qua» sempre foro ; 

Ch' or non più, che s* avessero altre volte. 
Hanno in porfiro fin le membra avvolte : 

C 

Nè taglian men eh* allor le nostre spade, 
Pur eh' aver dispooiam gli stessi cori : 
llilroviam di virtù I’ antiche strade, 

Coi medesmi desir de' primi onori : 


Non con sen tiara della passala etade 
Oscurare or le palme e i verdi allori ; 

Ma d' addoppiargli e rischiarargli tale. 

Che non gli noccia mai colpo mortale. ^ 

ci 

In cotai detti questo e quel raccoglie. 
Che senza altro sperar ratto foggia ; 

Già del primo timor gli animi scioglie, 

E nel cammin lasciato gli rinvia ; 

Già di caldo desire empie le voglie 
Di vendicar ciascun la sorte ria. 

Chi del compagno sno, chi del germano, 
Chi dell' onta, eh' avea d' esser lontano. 

cu 

Ed esso innanzi a tutti >' appresenta 
Con la schiera ordinala, e ben ristretta : 

E va con grande ardire, ove s* avventa 
Contro a chi trova in guisa di saetta 
L' Ebrido altero, e con la spada il tenta 
Sopra la destra spalla, e ben che eletta 
Fosse la piastra e grossa, noi difese. 

Che *n fin quasi su 1' osso il colpo scese, 

cm 

Dicendo : Or senta il forte Palamede, 
Come il suo Gossemante core ardito 
Opra in guerra la mano, e non il piede, 
Quale il popol peggior da lui fuggito; 

L* altro col ferro sol risposta diede, 

Glie ’n su la fronte in alto l'ha ferito, 

Di forza tal, che se veniva a pieno, 

Gli convertiva in notte il di sereno. 

civ 

Ma il fero colpo per traverso lato 
Venne sfuggendo, e nello scudo il colse, 
Ond‘ ei ragiona in sè medesmo irato : 

Or ringraziate il Ciel, che cosi volse. 

Che ben vi diè più che benigno il Fato, 
Poi eh’ all’ unghie di morte oggi vi tolse ; 
Ma Gossemante col primiero ardire 
Di minacciar nou cessa e di ferire. 


E stala orribil la battaglia fora, 

Perchè prode è ciascuno e valoroso ; 

Ma de' guerrier lo stuol, che gìugne allora 
All’ impresa onorata, vien noioso ; 

Tal che per viva forza all’ istess'ora. 

Si truova l’un dall' altro essere ascoso; 
Nè potendo, ore avean te voglie intente, 
Spiegau le lor virtù sovr’ altra gente. 




L AVARO H IDE 





ARGOMENTO 

Segar la fera pugna, in cui fan pruove 
Chiarissime , stupende Eretto e Lago ; 

A Drunoro ed a* rasoi, sempre con nuore 
Hìseoue don tormento , e fee pretago : 
Domi però cadean ; ma a lor si muoi '0 
Eoorte invitto di salvarli vago; 

Giunge, e di sangue, empie tf intorno il campo. 
Tal che i prodi guerrier trovano scampo. 


M. io quella parte, ove le picciol'onde 
Per sentiero arenato l'Euro spinge, 

Non più eh* altrove il suo furore asconde 
Marte, o con rumo ardor la spada siringe; 
Ausi le verdi pria Borite sponde 
D'altro fero color bagna e dipinge; 

E tutto intorno all* infelice fossa 
Ha stampalo il terrea di sangue e d* ossa. 

» 

Ivi il buon re dell Orcadi tenea 
La vece di Cavea, mentre è ferito ; 

E con senno e con arte si movea, 

Non però tal, che men si mostri ardilo ; 
Ma il valore e 1 consiglio correggea 
Si ben tra lor, che nullo era impedito; 
Ed avea già con I' aste sue primiere 
Oppresse di timor 1* avverse schiere. 

tu 

De'quai fu conduttor Brunoro il Nero, 
Però che il re Clodino era lontano; 

Sero estimando in nobil cavaliero 
Opra di cor rozzissimo e villano 
Si tosto ripigliar I* ingiusto impero, 

E con ogni ragion muover la roano 
Sopra la gente pia, eli' a torto offesa, 

Pur credca, che dal Ciel fosse difesa. 

ir 

Cosi 1* un corno e 1' altro il proprio duce 
Avea cangiato, e non con men virludc 
Di lor ciascuno all' opra si conduce, 

Né di quei men valor nel petto chiude : 
Ben che d'anni ineguali, in ambe luce 
Gloria serobiaule, perché in mille crude 
Battaglie si trovar contrari e 'nsieme, 
la cui senno mostraro c forze estreme. 


Or mischiati fra lor da ciascun lato, 
Non si discerne alcun, che muova il piede; 
Ma sta qual torre o sasso alto piantato, 
Che d* aperti confio termine siede ; 

Poi col braccio e col ferro insanguinato 
Contra il fero vicin spinger si vede ; 

E senza cura aver della sua sorte, 

Solo inteso restar nell' altrui morte. 

TI 

E fra molti miglior più d'altro appare 
Il figlimi! del re Lago, il forte Eretto, 
Tutto pien di desio d'allo montare 
In brevissimi giorni al fiu perfetto 
Di somma gloria, e ’n dietro a sé lassare 
Gli altrui canuti onor, lui giovinetto; 

Cosi dove scernea più gran periglio, 

Di più ionanzi passar prgndea consiglio. 

TU 

Né a sì nobil disegno fu nemica 
Nel primo incominciar fortuna infida, 

Ché con sommo valor ratto s’intrica 
Tra i più folti nemici, ed ella il guida 
Ove Bocalion danno e fatica 
Dava ai Britanni, e loro appella e sfida, 
Dicendo : Ove son or quei tanto ardili. 
Che mioaccian si spesso i nostri liti ? 

vin 

E quando son lontan, srmbran linai, 

Poi pecorelle vili, ove noi seroo ? 

E s* al calcar le nostre regioni 
Hanno oprato in rammin la vela e *1 remo, 
Al tornar fia meslier più che di sproni, 
Per chi non fòsse pur dì vita scemo ; 

I quai pochi saranno, iufin che basta 
Questa mauo a portar la spada e 1’ asta. 

IX 

E mentre dice por, sopra gli viene 

II valoroso Eretto e drillo pose 

Il ferro entro la bocca, eh’ ancor tiene 
Parlando aperta, e tutto in essa ascose ; 
Cosi senza altro dir, qual si conviene. 

Al folle ragionar silenzio pose ; 

Cadde egli a terra, come sciolta salma, 

E mordeudo il terrea si fuggi 1* alma, 
x 

Olirà varcando poi trova Mecisto, 

In Frisia nato, e nel medesmo loco, 

Che del compagno suo doglioso e tristo 
Per desio di vendetta ha il cor di foco ; 
Ma il fero giovinetto, al nuovo acquisto 
Volto il pensiero, il passo affirena un poco, 
Fin di' ei a’ appressa, e poi ver lui si getta, 
Come d' arco miglior leve saetta. 



£ pria eh' a lai ferir predo il vedesse, 
Il colpo gli addrizzò, dove le code 
Son nel mezzo del petto aggiunte e spesse, 
Delle parli migliori in guardia poste t 
E passò leveniente oltra per esse. 

Nelle spine del dorso a quelle opposte ; 
Così la man, percosse quelle a pena, 
Lasciò 1’ asta cader sopra la rena. 


Arca Branoro il Nero in quella parte, 
Onde allor si morra, l'asta troncata ; 
Però dal suo scudier, cU' era in disparte, 
Lo scado ha tolto, dorè in argentata 
Sede surge il leon, che in estrana arte 
Di rosso e bron la reste area cangiata ; 
Poi tratta fuor la sua pesante spada, 
Facea col suo valore agli altri strada. 


Ed ei tutto incurvato, c riversando 
Per la bocca doglioso 1* esca e ‘1 vino, 
Andò col volto in giù di vita in bando, 

E diè 1' ultimo fine al suo destiuo. 

Trovò dopo costui, che ran cercando, 

Se sarà il ferro lor del suo più fiuo, 
Adillo, Polipete, Ablero, Elato, 

Ai quali ad uno ad un la morte ha dato, 


In compagnia non solo ha Dinadano, 
Ma Nabeno il fellone ed Agrogero, 

Che fu chiamato il crudo, e Terrìgano 
21 grande insieme, e Graccdono il fero j 
E perché da qnel loco iva lontano 
Di quei, che dimorar, lassò l' impero 
A Margondo, Gaiindo, e Gnor baldo. 
Che ‘1 teoesser composto, unito e saldo. 


Tutti nati in Usfalia in mezzo V onde 
Di Yisurgo e d* Amasio, a cui del Reno 
La destra foce di non molto asconde 
L' acque, eh' all' Occan ripone in seno. 
Segue oltra Eretto, e qual 1' aride fronde. 
Poiché il calore estivo già vien meno, 

Nel tardo autnnno d' aquilone al fiato 
Caggion, nudo lassando il irouco amato ; 


Ma come all* arrivar del can più filli 
Suol r orecchie levar lupo rapace, 

Ch' avea trovata in solitari lidi 
La greggia stanca, che nell* ombra giace ; 
Che la fama al predar vuol, che s'affidi, 
E ’l contrario di lei temenza face; 

E mentre è in dubbio ancor, tal forza ha sopra. 
Che del bosco Convito •’ asconda e cuopra ; 


Tal da’ colpi di lui cader si vede 
Gente infinita poi di sangue oscura ; 

E ’n guisa fa, ch'ornai ciascun col piede, 
Non con la man la vita s’asserura: 

Già tulio il corno a lui soletto cede, 

Chi per forza d'altrui, chi per paura, 
Perchè i pochi e miglior di tema sciolti 
Son via portali dal fuggir de* molti. 


Cosi nel sonrenir di gii erri er tali 
Fe' il valoroso Eretto, che si duole, 

Ch* aggian tarpate a tal vittoria l'ali, 

E desia di seguir, come pria suole ; 

Ma I* arme di coslor, ch* han pochi eguali. 
Già lo sforzauo a far quel, che uien vuole; 
Onde i colpi schifando accolto e basso, 

Si ripose fra* suoi con lento passo. 


Ma il feroce Brunoro, e Dinadano, 

Il suo caro fratello, han Insto udito 
Il gran danno de’ suoi, mollo lontano 
Da Marigarlo il grande, che ferito 
Vicino al braccio nella destra mano 
Non potendo altro far, volando c gito; 
E grida in alto suon : Drizzate il passo, 
Ove il pupo! vi chiama afflitto c lasso. 


E quanto puote il meglio ivi conforta 
Ciascuno a non temer 1’ atra trinpesta, 

Ch* una subita nube loro apporta, 

Che quanto ha più furor, piu tosto resta ; 
E per ben lor fermar salda la porta, 
Raddoppia insieme alla primiera testa 
Quanti scudi ha quel lato, c curvi a terra 
Vuol, chesosteugan sol, non muovati guerra. 


E senza oltra più dir, ratti gli mena, 
Ove d’ un sol trmra la folta schiera ; 

All' apparir de' quai tutta ripiena 
Tornò di gioia, c di speranza altera ; 

Non altrimenti, allor che rasserena 
Il ciel, dopo l'algente, orrida, e fera 
Del rio vero» staginn, tornati gli augelli 
Sopra i rami a cantar gaietti c snelli. 

xvii 

Colai si scerser tutti rivestire 
Lo smarrito vigore, alla mercede 
Rendendo a Dio, che non volca soffrire, 
Clic lungo fosse il danno, che gli diede ; 
Or già ricinto il dispogliato ardire, 
Ciascun verso i nemici toma il piede ; 

E col favor de' duo' gran duri insieme, 
Ove indietro fuggiva, innanzi preme. 


Ms quei, rimessa in un la miglior parte, 
Mossi d'alto disio di vcudicarse, 

Vc-nian con tal ardir, che *1 proprio Marte 
Quasi avria con Ir’ a lor le forze scarse; 

E ben ch'ivi rilrovin con multa arte 
Ai disegni animosi conlrastarse, 

Nou perdon la speranza, anzi l'impresa 
Yan seguitando più, eli’ è più difesa. 

XXIV 

Son le due schiere già sì giunte insieme. 
Che *1 braccio con la man resta impedito ; 
Nessun ritira il passo, c ciascun preme, 
Senza avanzarsi il termine d' un dito ; 
Ciascun gli altri minaccia, e nessun teme, 
Né del suo percussor cura il ferito ; 

E non gli scudi pur, ma dami in alto 
Le celale c i ciuiier l' istesso assalto. 



|jsT^j L’ AVARCHIDE 

nr 

Ma il feroce Brunore, che non rede 
D’ ottener la vittoria alcuna via. 

Mentre il *110 Din aitano a quei provvede , 
Con pochi dei miglior qneto l' invia 
In quella parte, eh' alla destra siede. 

Ore la minor pente e la piò ria 
Stava di quei d’ Arturo, che 1* eletta 
AH' insegna d' Eretto era ristretta. 

XXXII 

Ma di pregio maggior desire il prese, 
Che di Creoso allor 1’ orme segnio, 

Fin che, in van sospirando il suo paese, 
Per le man di Nabon miser morio; 

In Ciaero e in Assro, non nen si stese 
Per qnel ferro medesmo il destin rio. 
Che gli fe* d* nn sol parto uscire insieme, 
E d’ una istessa morte ivi gli preme. 

«n 

Cremo il Senescial soletto trova, 

Che presago di ciò, d' intorno chiama : 

11 passo in ver di me correndo muova, 
Chi la vita salvar cerca e la fama; 

Che la schiera, ch’or viene altera e nuora, 
Il nostro sangne e la nostr’ onta brama 
E «e non prowegpiam con sommo ardire, 
Porria forse adempir lo suo desire. 

XXXIII 

Uccise Gracedono il bel Dolopo, 

Che della vaga Alarla era figlinolo. 

Di C reuso sorella, eh* assai dopo 
Il partir venne del Britanno stuolo ; 

Nè le ricchezze, nè la forma ad uopo, 

Nè T esser di tal madre incito solo, 

Lasso ! gli faro, allor ebe 1' empia spada 
Se gli fece nel cor mortale strada. 

XXVII 

Coti diceva, e poi eli* insieme ha posto 
Lo tlnol, che di Cornubia area menato ; 
Per dar baldanza a' suoi, quanto può tosto, 
D’ assalir cerca il gran nemico armato. 

Il qual è nel ino cor fermo e disposto, 
Che '1 passar indi non gli sia vietato ; 

E con impeto tal fra lor percuote. 

Che la valla al romor la fronte scuole. 

XXXIV 

Di quella stessa man cadde Lampeto, 
Nato in Arforda al promontorio U vallo. 
Che fa nadriio in luogo ermo e segreto, 
Da chi temea la pena del sno fallo ; 
Perchè Fifeda del famoso Cleto, 

Che del sno padre Ivano era vassallo, 

11 partorì nel bosco, e ’n guardia diede 
D' un pastor vecchio alla sincera fede. 

XXVIII 

Ma non rede per questo il buon Cremo, 
Che lo scndn tìen saldo, e ‘1 ferro spinge, 
Che in altra parte, e in altri tempi era oso, 
Ove il terren di saogue si dipinge; 

Ma poi elie ’l suo sperar torna delato, 
Brnnoro irato contro a Ini s’ accinge, 

E con la spada nello scodo il fere. 

Che non potè più intero rimanere. 

XXXV 

Poi palesato il ver, dopo il perdono, 

Fn dell* amante ino la donna sposa : 

Ma qnanlo era per Ini più largo dono 
D'incognito abitar la selva ombrosa ! 

C.h' or non saria dal fero Gracedono, 

In troppo acerba età, qnal fresca rosa, 
f.li’ ancor non apra il sen, disteso al piano 
Dalla marmorea testa sì lontano. 

xtrx 

Che qnantnnqne si fin fosse 1* acciaro, 
Che pochi altri n* avea simili ad esso; 
Tntte 1* ottime tempre noi saivaro, 

Che ’l sinistro ino lato ha in terra [messo ; 
Cremo gli rendeo colpo più amaro, 

Che di vibrante punta il colse, presso 
Della gola in quel loco che sostiene 
L’ osso, che dalla spalla al petto viene. 

xxxvt 

Ma Terrigano il grande Orene accise, 
Lo scndier valoroso di Mandrino, 

Che al piò basso del ventre il ferro mise, 
E tremando il gettò col capo chino ; 

La fronte in fino al ciglio poi divìse 
A Calenor, che fa di Breslolino, 
Dell'isola virina a Bangaria, 

Ove l’arte piratica il nntria. 

XXX 

E passò alquanto dentro, ma il periglio 
Fn del danno in quel punto assai maggiore. 
Che se bene tornò *1 ferro vermiglio. 

Non gli toUe però spirto, o vigore ; 

Ma in qnesto mrm rivolgendo il ciglio 
Cren so, ove sentia piò gran remore, 

Nahon vede, Agrogero, e Cìracedono, 

Che quasi tre leon fra* cervi sono. 

xxxvn 

Ed Agrogero il crudo presso a loro 
Non men bagna il terren di nuovo sangue, 
Ch' avea reriso al misero B inoro 
Tatto il destro ginocchio, e fatto esangue; 
Questi del re Gaven l' ampio tesoro 
In guardia aveva, ed or povero lingue, 
Senza sepolcro sopra, o pompa intorno, 
Lonlan di Conturbi!, suo nido adorno. 

XXXI 

Degli oscuri guerrieri uccisi han tanti. 
Che la terra dì lor parea coperta ; 

D' altri poi duci e cavalieri erranti, 

O scndicri, o cagin di fama aperta, 
Morto è Lamete, che in destrezza, quanti 
Ebbe mai la Cornubia al corso esperta, 
Vince a già tatti, e vincerebbe ancora, 

Se dallo stadio suo non ascia Inora. 

xxxnu 

Uccise appresso Clizio e Palidarco, 

D' Essesia qnesto, e di Mildesia quello; 
Percosse F un, dove ronginngon V arco 
Le ciglia insieme, e trapassò il cervello; 
Dell* altro al manco lato orribil varco 
Fece, dove più il cor si addrizza in elio. 
Or quando lai cader la gente vede. 
Tutta allo scampo sno rivolge il piede. 


6 


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XXXIX 

Quai giovinoti loon, che in lacci avvolta, 

0 in mozxo ai cacciatoi*, la madre morta 
Scorgon dogliosi, ond' ogni speme è tolta, 
Ch* aver solean, della fidata scorta ; 

Ch’ ove la selva è più spinosa e folta, 

E dove è più la strada ombrosa e torta, 
Fuggon per ritrovar se pon, l'albergo, 

Nè per temenza mai guardano a tergo ; 

U 

Tal si vedeva allor 1* alili Uà schiera. 

Che di tai cavalicr si sente priva : 
Seguonta, quanto pon con vista altera, 

1 quattro buon guerrier lungo la riva ; 
Perchè non possa mai tornare intera 
Nell' ordin primo, che disperso giva; 

Ma poi che lunge assai mostrali le spalle, 
Si ritiran fra' suoi per altro calle. 

xu 

E dove Dinadano, e 1 forte Eretto 
Ilan di pari fra lor paline e cipressi. 
Drizzami al fianro, in un drappello stretto, 
Ove i Britanni scudi eran piu spessi; 

1 quai guardando a quri, eh' aveano a petto, 
Questi avvisar de' lor compagni istessi ; 

Che chi ha nella vista, o lancia, u spada. 
Non può sccruer sì ben, chi venga, o vada. 

XLII 

Trovami adunque d' ogn' intorno cinti. 
Che con quri quattro poi sono altri molti, 
Che da' lor duri fur ratti sospinti, 

Pria che la sorte sua contraria volti, 
Perchè maravigliando hanno dipinti 
Di temrnza e di duol già tutti i volti; 

Ma il giovili valoroso nulla teme, 

Anzi con più furor minaccia e freme, 

xtui 

Dicendo: Or ch'egli è'1 tempo, vi sovvegna. 
Onorati compagni e fratei cari, 

Della virtù, rhe anticamente regna 
Ne* maggior nostri sopra gli altri chiari; 

E che seguite or qui l’altera insegna 
Del gran re Lago eoi non visse pari 
Oggi in consiglio, e già in opre leggiadre, 
E eh* è non men di voi che di me padre ; 

XLIY 

E che là sotto il fosco c freddo ciclo 
Dell’ Orcadi il terren nostro natio 
Non si teme di morte il crudo gelo, 

Ma di pigra viltà ]’ effetto rio : 

Non s’ onora chi in pace cangiò il pelo. 
Ma dii con I' arme in man giovin mono ; 
Folle errore è il salvar la vita in sorte. 
Che ti sia grave poi più eh' altra morte. 


Con tai parole il giovinetto ardito 
Di sostenere i suoi pregando adopra, 

E non in vati, che da’ migliori udito 
Il suo chiaro voler fu inciso in opra ; 

Ma il popolo mimico, eh* è infinito, 

Al breve stuol, eli’ avea, venuto è sopra, 
Tal eli' è forzato Eretto a poco a poco, 
Senza fronte voltar, cedere il loco. 


XLVf 

E si conginnge a quei, che indietro stanno 
Che tra gli ordin piu larghi 1' han raccolto. 
Poi lutti insieme unitamente vanno 
Ove il fero avversario era più follo; 

E nuova altra battaglia insieme fanno, 

Ove non apparia vantaggio molto. 

Tra’ primi colpi loro, in fin che vcone. 

Chi gli altrui mise in fuga, e' suoi sostenne. 

XLVtt 

Venne il gran Marabon della riviera. 

Con l' aspra gente, che tra 1’ Alpi giace. 
Onde scendendo rapida Lisera 
L' Allobrogo terreo fecondo fare ; 

Margondo ha in compagnia con pari schiera 
Di quei, che stanno, ove riposo e pace 
Il Hodan porge al suo veloce piede, 

E ‘1 mar di Gallia con due corna Cede. 

XLVIll 

Non può il valor degli Orcadi durare 
Contro a numero tal, che nuovo è giunto ; 
Ma in questa al verebio re le nuove amare 
L'orecrliie insieme, r '1 core hanno compunto; 
Ond* egli ordin lassando, clic restare 
Deliba in suo loco Ivan, l’ istesso punto, 
Appellando i miglior con ratto corso. 

Dell' amato figliuol viene in soccorso. 

XLIX 

Di coi 1' ardente amor, l'onor del regno 
Di tal foco avvampò 1' annoso petto, 

Che di vecchiezza fuor non mostrò segno ; 
Ma come fosse ancor d’ età perfetto, 

Le membra ha pronte, e di vaghezza pregno 
Di tosto pervenir dove era Eretto; 

Così veloce va, che gli altri a pena 
Han di lui seguitar si sciolta lena. 

L 

Leva quanto alto può lo scudo aarato 
Con le vermiglie teste del Dragone : 

Ch' a' suoi, che di lontan 1* aggiau miralo. 
Sia di fermo sperar dritta cagione ; 

Or come fu tra' suoi lieto arrivato, 
Cominciò con dolcissimo sermone : 

Non temete, figliuoi, eli’ ora è con voi. 
Chi sempre vincitor condusse » suoi. 

Li 

Nè vi spaventi no, se gli inimici 
Son piu numero assai, che voi non sete ; 
Elie sempre i pochi e i buon son più felici. 
Come per prova ancor tosto vedrete; 
Abbatte uu sol falcou molle cornici. 

Un leon mille gregge mansuete ; 

Nè questo il primo di sarà, che i molti 
Ho già solo, o con pochi io rotta volti. 

zìi 

Tenete pure in man forte la spada, 

E *u petto di virtù smaltato il core. 

Che in simil casi, alla mcdesroa strada 
Va la dolce salute, c'1 chiaro onore; 

Che più perde la vita, chi più bada 
A voler lei scampar con suo disuore ; 

E per prupria difesa il ciel ne diede 
La mano c 1' arine, e non la fuga c 1 piede. 


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Kl 


Confortando rosi, tanto olirà pasta, 
Che’l prode Eretto in gran periglio truova, 
Perchè parte è ferita, e parte latta 
La pente tua, che ’n vita ti ri truova i 
Or vedendo il figliuol congiunta e batta 
Al toreorto venir la trhiera nuova, 

E 'I pio vecchio, e magnanimo parente, 
Gran dolcezza e dolor nell' alma «ente. 

UT 

E dice: O sommo onor de' canati anni, 
O dolci astino padre, e qual mia torte 
Rea vi conduce or qui Ira tanti affanni. 
In rischio, a mia rapina, d' amara morte? 
Troppo to’ era il soffrir pii avuti danni, 
Sovra i cari compagni e tidr scorte. 

Senza che s* aggiungesse qm-l, per cui 
Mille vite darei, salvando lui. 

l.v 

Deh! tornate, sipnor, poi che v’è stato 
Amico il Cielo in tale aita darme ; 

Cir altra forza bisogna in questo stalo. 

Più intepri difensori, e più salde arme. 
Rispose il vecchio re eoo volto irato: 
Dunque vnoi tu, fipliiinlo, oppi privarme 
Di quel, eh' io bramo più, ch‘e d' esser Ureo, 
Per coi dolce m' è solo il mondo cieco? 

ITI 

Lattami pur venir, che poche notti 
Ha in sua forza di me Fortuua fera, 

E i giorni a Unto onor Gn qui condotti. 
Qual mai chiuder porria più degna sera ? 
Ester hen potino a te troncati e rotti 
Mille disegni, ch'hai l' eUde intera; 

A me il sepolcro sol punte esser tolto. 
Che non fu dai migliori in pregio molto. 

Lvtt 

Così detto va innanzi e vichi truova 
L* Aiiobropo Alritoo, di cui la tetta 
Percuote si, eh' a lei salvar non giova 
Ferro ben saldo, che partita resta ; 

Poi vago d* acquistar vittoria nuova. 

Segue olirà a tuo poter, nè mai t'arresta, 
Fin che truova Apaitrofo e Peonide, 

E de' dooi questo impiaga, e quello uccide. 

tvm 

Perdi’ al primo pattò la destra tempia, 
E tutta l'altra poi Caputa spada; 

Ma la Fortuua sua men dura ed empia 
Ebbe il secondo poi, che vuol, che vada 
11 colpo indarno, e non del tutto adempia 
L* incomioriata pria mortale strada , 
Ch'entrò nel petto, e non andò si addentro, 
Che potesse toccar dell’ alma il centro. 

r.ix 

Tale all’ alto valor, che ’n core area, 
L'invi Itissinio vecchio allarga il freno, 

Che quello stesso allora esser crede*, 

Ch' al verde tempo, e di vigor ripieno ; 

E tanto olirà varcò, che nou polca 
Ritrarsi indietro, ch* a' nemici è in seoo, 
Nè sbigottito vira per questo o stanco, 

Ma piu die fosse ancor sicuro e franco. 


Ma il giovin misere! , come s’ accorge, 

In che stato dubbioso il padre sia; 

Non più dogliosa appar, te '1 figlio scorge 
Dentro all' onde cader, la madre pia. 

Che qual può lagrimando aiuto porge, 

E chiamando ciascun, che truova iu via ; 
Tale er'egli iu quel punto, e in alle grida 
Tutti appella color, cui più s'affida, 

MB 

Dicendo : Ora è, signor, qnel tempo eletto. 
Nel qnal fi a guadagnar perder la vita. 

Per salute di quel, dentro al cui petto 
Ripose il Ciel la tua virlode unita; 

Né possa esser già mai saputo o detto. 

Che fra si altera gente e si gradita 
Foste ucciso dell' Orcadi il re Lago, 

Senza amplissimo far di sangue un lago. 

uir 

E ’n tai chiare parole ultra si mise, 

E hen segnilo fu dagli altri suoi ; 

Ippologo, Difmno, Anero accise. 

Tatti Borgoodi, e Siri dando poi. 

Tal che la stretta schiera si divise* 

La porta aprendo a’ valorosi eroi ; 

Cosi spingendo co’ compagni appresso 
Trovò il famoso re da molti oppresso. 

inn 

E *n tra’ primi Nabooe ed Agrogem, 
Qnasi del tatto all' ultimo suo punto 
L’ avean condotto ; e bene avea mesliefo. 
Che ’l soccorso di Ini fosse ivi ginnto ; 

Ma quando udì virino il grido altero 
Del carminio figlio, fu compunto 
Di tal dolcezza, che ripreso ardire, 
Ricominciò di subito a ferire, 

LZIV 

Dicendo : Or vegg’ io ben, che dai leoni 
Non usciron giammai damme né cerve ; 

Nè bisogna al buon cor verga nè sproni, 
Perchè ’l dritto sentier d’onore osserve. 
Non van con tal romor folgori c tuoni 
Per l’aria errando alle stagion proterve, 
Che'l prode Eretto per la schiera avversa, 
Che tutto il suo poter nel padre versa. ‘ 

LKV 

Dona an colpo a Nabon, che piò vicino, 
E con forza piu grave il vecchio offende ; 
Ma fu d' ottima tempra, e troppo fiuo 
Il ferro, ehe la testa gli difende ; 

Pur del grave suo peso, a capo chino. 

Tutti smarriti i seusi, ai distende ; 

Potei* in verso Agrogero il brando mosse, 
E ’l destro braccio io allo gli percosse, 

un 

Per coi gli fé’ cader la spada a terrai 
Cosi impedito l‘ uno e l’ altro duce, 
Trinnfator della pietosa guerra 
In teatro sentiero il padre adduce ; 

Ma in questo mezzo si ristringe e «erra 
Gran gente, che di nuovo riconduce 
Rrunoro il Nero, e 1 forte G recedono. 

Con altri cavalicr, d»e 'ntoroo sono. 


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L AVARCHIDE 



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L’ AVÀRCHIDE 



uni 

Qoal r ritira sta gì on talora avviene, 
QnanJo il piò caldo dì le piagge fende, 
Che d' atre aubi inghirlandato viene 
L’ Auitro, che aovra il mar l' ali distende t 
£ scurando le luci al ciel serene, 

Cerer, Bacco, Pontone, e Palla offende 
Con grandine sassosa, orrida, e eroda. 

Che le piante e la terra ha fatta ignuda. 

ixxxnu 

Lì non ad un ad un, ma a schiera a schiera, 
Stende tutti all' arena, e molti uccide. 
Nulla parte di lor rimane intera, 

Ch' ove insieme gli scema, gli divide; 
Infili che Marebon della Riviera, 

Che par che nel valor troppo s* affidi*. 

Con gli Allobrogi suoi ristretto Iruove, 
Che spiegate l' insegne incontra muove. 

unn 

Tal sopra i suoi nemici allor Boorte 
Il valore c '1 furore iu un distese ; 

A questo aspro minaccia, a qnel dà morte, 
L’ uno empiè di timore, e 1' altro offese j 
Poi rotte avendo le primiere porte. 
Intento solo a quello il rentier prese. 

Ove il re Cago, e 1' onorato figlio 
Giunti cran ambo all' ultimo periglio. 

tulli 

Tosto che ’l vide tal l' accorto duce, 
Cangia a’ consigli suoi novelle forme, 

Che ’1 fren tanto ritien, che si conduce 
Marabon per ferire all' ullim' orme ; 

Apresi poi nel mezzo, e i sooi riduce 
Egualmente divisi in doppie torme; 

E nel lor destro, e lor sinistro lato 
Dietro agli ordin primieri è ratto entrato. 

LX XXIII 

Perchè quel scura scudo, e senza spad*. 
Che gli si ruppe in man, si vede, e lasso; 
11 forte Cretto ha 1’ elmo su la strada, 

E del destro braccial si truova casso : 

Pur con 1' altro a guardar la fronte bada, 
E eoi brando, eh* ba intero, cuopre il basso; 
Il terzo è poco men che sbigottito, 

Che'l sinistro ginocchio avea ferito* 

xe 

Cosi 1' aste schivando delle fronti, 

Con sua piò sicurtà percuote i fianchi. 

In prestezza rotai, eli' ancor che pronti, 
Voltar non pomi, ove la forza manchi ; 
Poscia entrato fra lor, confusi monti 
D* arme e di gente fa, che vinti e stanchi, 
E calcati son tutti dallo intoppo 
Feroce de’ corsier, che peaan troppo. 

LSXXlV 

Come al tempo novel dopo la pioggia, 
Che da Zcfir sospinta inondi e bagne ; 
Che veder punsi in disusata foggia 
L’erbc abbattute, e i fior per le campagne; 
Che 'Isol poi chiaro e bel. che in alto poggia, 
Porti dolce coufurto a chi si lagne ; 

E di si bel ristoro il mondo adorni. 

Che quanto era il dolor, la gioia tomi ; 

XCI 

Ma con sommo valor lirara strada 
Ai suoi mostra il magnanimo Boorte ; 
Sempre ha in danno d‘ alcun la grave spada 
Di sangue aspersa, e dì color di morte; 
Tosto eh’ ei può trovar chi inrontra vada. 
Gli mostra aperte le tartaree porle ; 

E di stuol popolare uccisi ha tanti, 

Che del credere uman vanno piò inaiati. 

LXXXV 

Tai fur da prima, e lai sì fero appresso 
I guerrier di Buorte all' apparire; 

Per timor più «!' altrui, che di se stesso, 
Che nessun cura il proprio suo morire: 

Or poi che ’n fra le schiere olirà *' è messo, 
Con 1’ urlo del cavallo, e col ferire, 

Si larga e bella piazza intorno face, 

Ck* ci può T arme ricor, che ’n terra giace. 

XCII 

Poi tra’ dori Aretaone e Pidila, 

Del Rodan nati alla sinistra riva, 

Dentro la nobil Vienna, in cui gradita 
Di Roma è ancor la gran memoria viva: 
Fu quello offeso di mortai ferita, 

Ove al collo congiunto in alto arriva 
Della spina del dorso il nodo primo, 

E traverso il tagliò dal sommo all' imo t 

txxxvi 

Ri pon sopra i drilrier, eh' avea de'suoi, 
Il vecchio re dell' Orcadi, e ’l figliuolo, 
Palride al cerchio d' oro, c gli altri duoi, 
Che fur feriti dal crudele stuolo, 

Che possao dare ai loro ordine ; e poi 
Quei sicuri lassando prende il volo 
lnver Brunoro il Nero e Terrigano, 

Che 'n luogo erau di là poco lootauo. 

xeni 

L’altro ne! destro lato fu percosso, 
Ove T omero al braccio si contiene ; 

E tutto interamente tagliò V osso. 

Che piò largo e sotlil di dietro viene : 
1 sandro ancor, che da pietà commosso, 
Di vendicarli avea fallace spene 
Con la testa in due parli compagnia 
Fece ai cari cugio per l’atra via. 

LXXXV1I 

E messosi tra loro, ambo gli atterra, 

L* un colla groppa, e I* altro cou la lesta, 
Del suo nobil corsier, che in aspra guerra. 
Or col piede, or col morso altrui molesta: 
Poi nel popol vicin ratto si serra. 

Che ’n nuova tema, e sbigottito resta ; 

Cir ove pria si credea vittoria avere, 

I due duci migliur vide cadere. 

XCIV 

Melanzio poi che la nevosa valla 
Dell' aspro Tarantaaio patria avea, 

Con la testa troncata dalle spalle 
Diè fine acerba alla sua vita rea. 

Che quanto ivi conlien 1' alpestre calle, 
Di giogo insopportabile premei ; 

Nè vi poteva alcun goder sicuro 
La famiglia nò i ben, nò il patrio muro. 


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ter 

Adrrslo poi, del qual mai più felice 
Non vide alcun la rapida Lisera, 

Che ipota avra la vaga Berenice, 

Che fu dell* alma tua la vita intera, 

Per le man di Boorte, 1* infelice 
Innanzi al mezzo dì fu giunto a aera, 

CI»’ alla gola il percosse, ed ei morendo 
Il suo lontano amor, chiamò piangendo, 
xcvi 

Ma il valoroso Lago, eh' è disciolto 
Dal numero infinito, di’ avea intorno; 
Sopra 'I cavai montalo, e ’n se raccolto, 
Alla gurrra intermessa fa ritorno. 

Dicendo agli altri con allegro volto: 

Or gimo a vendicar 1* avuto scorno. 

Che beu provvide il riel fidate scorte. 

Poi die qua spinse il nobile Boorte. 

xcvu 

Cosi col figlio Eretto, e gli altri insieme, 
Ove la gente avversa è più ristretta. 

Con impeto rrudrl la pnoge e preme, 

E sottosopra attraversata getta; 

Quel morto è in tutto, e quel languendo geme, 
Quel d'uscir della calca in van »' affretta, 
E qnel, che più srampar credea la vita. 
Più dagli stessi amici I* ha impedita. 

XCVIlt 

Por fra quei, che fuggir, resta Piroco, 
Che 'n sul lago Lemanno avea la sede, 

In cui gli abitator del ferlil loco 
Avcan, piò che in alimi, speranza e fede; 
E quello Dio fra lor, ch'ha in guardia il foco, 
Il sommo sacerdozio gli concrde; 

Ma questa volta, invan da lui pregalo. 
Non potè in suo favor vincere il fato; 

xcix 

Che mentre al vecchio re con l’asta intende, 
Disegnando a ferir quello e ’l destriero, 
Nel forte scudo di traverso il prende, 

E sfuggendo ha fallito il suo pensiero: 

Ma il re spronando avanti in basso scende 
Un colpo, che ’l trovò drillo al cimiero, 
Ove sopra la inrudr avea Vulcano, 

Ch’ un doralo mar tei sostiene in mano. 

c 

Quello abbatte lonlan, poscia divise 
La celata, eh' avea di doppio acciaro, 

Là fabbricata in maestrevol guise. 

Ove il Rodan riprende il corso chiaro. 
Da* servi del suo Dio, eh’ all" opra arrise; 
Ma non per tulio ciò fé" gran riparo, 
Perch’olirà anror la già sacrata leste 
In due parti disgiunta iu essa resta. 

ci 

Ucciso Eretto avea Bellorofonte, 

Che cosi s’ appellò costui, che nacque 
Nelle fredde radici del gran monte. 

Che a Li «era dà ber le gelide arane ; 
Perché là intorno al suo nevoso fonte, 
Vinto per le toc mani, e morto giacque 
Un mostro rio di vista orrenda e fera, 
Che fu simil tenuto alla chimera. 


Cll 

Ma il braccio contro a qnel ti forte allora. 
Verso il giovine ardito or parve frale. 
Pereti’ ove più il ginocchio spinge in fuora. 
Perente invan, eh' a trapassar non vale ; 

E l’altro a Ini nella medesiin’ ora 
Sovra il cullo drizzò colpo mortale. 

Che ’n basso gli gettò la fronte d'alto, 

E fé* iu terra rotando amaro salto. 

citi 

Patride al cerchio d’ or 1* empio Proete 
Con la gola impiagala morto stese. 

Cui di torto regnare ingiusta sete 
Indusse a tal, che ’l proprio frate offese ; 
Nè il sen della pia madre Filemete, 

Nè I' aspro lagrimar, lasso, il difese : 

Dopo il qual fu tiranno ingiusto ed agro 
Luogo il Rodan del popolo Yeragro. 

civ 

Plenoro, eh’ abbattuto era par dianzi, 

E ch'ha d'offender quei dritta ragione ; 
Come gli altri a cavai si mette innanzi 
Là, dove incontra il misero Ezione, 

Ch' a’ dolci versi e placidi romanzi, 

Più eh' all* opre di Marte, studio pone ; 

Ma teguia Graredon della Vallea, 

Che di lui spesso udir diletto area. 

cv 

Tra lauri, aranci, e mirti era nodrito 
De* colli Provenzai, che'ncontra stanno 
Al mai sempre a' nocchier securo lito, 

Che le Stecade in cerchio all' onde fanno; 
Or qui I' empio destin I' ha fatto ardito 
Di gir contro a Plenoro a suo gran danno; 
Perchè, mentre eh" ei pensa ove ferire, 

Pnò il cor sentir di greve punta aprire. 

evi 

Pian«er le Mnse allor, ma non poterò 
Col dolce lagrimar disdire al Fato ; 
Matagrante anco spinge il suo destriero. 
Ove scorge Scamandro a lui voltato ; 

Dona un colpo alla spalla, e tutto intero 
Il braccio della spada gli ha troncato : 
Cadile il meschino, e piange entro al suo seno 
Che lassò mal di Sorga il lito ameuo. 

evo 

Or poi che vendicato in maggior parte 
Ha gli oltraggi sofferti da' nemici, 

1/ antico re dell’ Orcadi si parte, 

E torna ove aspettato è dagli amici. 

Che sbigottiti ancor sono in disparte, 

Sena* online tener, lassi e’nfeliei. 

Come greggia in tra lupi, che lontani 
Aver senta da lei pastori e cani. 

eviti 

Ma quando vidrr lui lieto apparire. 
Come sceso dal ciel gli vanno intorno ; 

Ivi ciascun narrando vuole aprire 
Il ricevuto danno, e 'I sommo scorno ; 

Di vendicane ogni uom mostra desire. 
Pria else nell' Ocean s’ altnffe il giorno ; 
Poi sopra la Fortuna, o in altrui pone. 

Di quanto avvenne, lor, I' aspra cagione. 


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CIX 

Il valoroso re ciascuno ascolta 
£ come il merlo chiede, or bissata or loda; 
Scusa l'altrui fallire, e ’n meglio il volta. 
Esalta il forte oprar, che '1 buoo ue goda; 
Poi la geute, che fu disgiunta e sciolta, 
Alle intermesse schiere in un rannoda; 
Così ridotti alla mede ini a via. 

Con tal parole alla battaglia invia: 

ex 

Maraviglia non sia, a* avviea talora. 

Che i più forti guerrier si veggian vinti. 
Che nou sempre la grazia io noi dimora 
Del ciel, eh’ a bene oprar ne tiene accinti; 



Lo qual sovente t suoi piò cari ancora 
Con avversa fortuna ha in basso spinti,' 
Per ammonirgli e rendergli pii» accorti, 
Ch' ai sommo del suo ben gli ha poscia scorti, 
rxi 

Rendiam pur grazie a lui, che ne dimostra 
I»* errore, ove il pii» saggio più s* intrica. 
Che non c la vittoria in forza nostra, 

E ’ndarno senza lui I* uom s' affatica; 

Ben sempre gli è nrlle terrene chiostra, 

L’ onorata virtù, sovrana, amica : 

Con la qnai dunque, c con la sua speranza, 
Seguitiamo il cainmin, eh' ornai n’ avanza. 


tregue la pugna ancor , u il fier Boorte 
Uccide a mille a mille quei f A varco : 
Aè Urunheno salute avvien che apporle 
Ferendolo col suo desirissim’ arco ; 
Ch'egli d' in metto a' suoi gli arreca morte, 
F. di tntu Fermilo fa pur scarco; 
Frappano ancora il biondo sposo Argino,* 
Ma piagne poscia il suo fatai destino. 


In Lai parole all'ordin suo primiero 
Ricondotto ciascun, muove a battaglia : 

Ma in altra parte vincitore altero 
Rompe affinato ferro, e salda maglia 
Il famoso Boorte, e già T impero 
Ili tutti ha in mano, ove i nemici attaglia. 
Che di Ini sol 1' aspetto e sol la voce. 
Più che 1 ferire altrui, spaventa e uuocc. 

li 

Il grave scodo d’ermellini adorno, 

Con Ire purpuree bande, che gli cinge, 
Adoprava il medesimi quasi il gioruo, 

Che di Medusa il capo si dipiuge, 

Che per fuggir da lui la gente iu torno, 

L' nu l'altro con timore urta c sospinge: 
Cosi Irioufator per tutto giva, 

E nessun piò di riguardarle ardiva. 


iti 

U cimicr, eh' una fiamma sostenta, 

Che di vivo piropo avea colore, 

La vaga stella, e Incida parea. 

Che davanti all'aurora spunta fìtore. 

Nella secca stagion, che all' onde rea, 

N’ apporta Febo al suo più grave ardore, 
Che vien più sfavillante e più soave, 

Ch' altra luce, che in mar le chiome, la ve* 

IT 

Dopo il fuggir di molti, alfia ritraova, 
Ove per altra strada ai danni grevi 
Paiamoro ha condotto aita nuova, 

De' suoi cavai, ch’ai corso avea più levi; 
Cosi la crudel guerra si rionuova, 

£ chi cadeva pria, par si rilevi, 

£ tal riprenda ardire, e tal vigore. 

Che già ’1 vinto minaccia il vi nei lare. 

T 

Non torba dò ’l magnanimo Boorte, 

Anzi più lieto assai nel cor diviene, 

Che gli sembra onorato per vie torte, 

Chi per T altrui fuggir palma sottiene ; 

Or che sente i nemici avere scorte 
Di maggior forze, e di virtù ripiene, 

Spera, quelle abbattendo, dritta lode 
Riportarne più chiara, e ’u se ne gode. 

vi 

E gli pare or trovarsi a guerra eguale, 
Che d'arme e di cavai sembiante fosse; 

Or qual rapace necci, che stenda 1‘ ale 
Alla preda affamato, il destrier mosse ; 
Batto Esclaborre tra i priemier Tassale, 

E con T asta durissima percosse 

Lui, die la spada ha sol, ma il curò poco, 

Nc per colpo cangiò pensiero o loco. 



ARGOMENTO 


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L AVARCDIDE 




XXI 

All’ apparir de'quai riprende ardire 
Di quei, ehe ti fupgian, la miglior partei 
Ivi altro unovo modo bau di ferire 
Di loolan quelle genti, e n giro «parte ; 
Poco puote il valore incontra gire, 

Ch' han più che di leon, di volpe l'arte^ 
£ già piu d* un famoso cavaliero 
È ferito da lor, più d' un destriero. 

xxvm 

Mosse il fido Baven tolto pietoso, 

£ dì tema ripien del colpo rio, 

Tirò lo strai, che intorno sanguinoso 
Della piaga stillante fuori uscio; 

Boorte schivo ancor d' ogni riposo, 

Bi volto al ciel diceva : O lume pio, 

Gli* accendi ogn’ altro, e fida scorta sei 
Dei migliori, abbagliando i crudi c rei : 

xxii 

Non però di Boorte la virtnde * 

Per novello accidente anco vien meno : 

M.i con più sdegno, e più furor si chiude 
Dell' aperte ali nel profondo seno ; 

Nè gran ferro affocato sopra incnde 
Balte mai fabbro, allor eh' al suo terreno 
Vuol dare il pio cultnr sementa nuova, 
Ch' al vecchio aratro il vomcro rinnuova ; 

XXIX 

Se* ti fa a grado mai 1' alta speranza. 
Che ’n te sol ebbi, e non altrove uoqnauco, 
Vengami oggi da le forza e baldanza, 

Che la mia spada, o '1 cor non resti stanco, 
Fin che Druschen, eh’ ogni perfidia avanza, 
Per questa maoo offeso venga mmeo, 

E eli io dimostri al mondo, che mal vada, 
Chi non segue de' inni la dritta strada. 

XXI II 

Com' ei senza arrestar la grave spada 
Sempre menando a cerchio gli percuote ; 
Quel pon morbi riverso su la strada. 

Quel della inano, e quel del braccio scnote; 
Quell' urla col deslrier, mentre di' ei bada, 
Ove alcuno impiagar più drillo puote ; 
Tal che sol di lontan fallaci e leuli 
Pon commettere i colpi in aria ai venti. 

XXX 

Co tal dicea. nè par finite a pena 
Avea le devotissime parole, 

Che le membra leggier, salda la lena 
Trnova, e più fermo il cor di quel che suole ; 
Già sente asciutta la percossa vena, 

Nè 1' omer l' impedisce, o '1 colpo duole ; 
Sprona lieto il cavallo, e si rimette, 

Ove non cara ornai dardi o saette. 

XXIV 

Ma il rio Dro<cheno, che in Valenza nato 
Tra ‘1 fiume Goldamoro era, e la Sema, 
Poi che sente il suo popolo affannalo, 

Di morte in preda, e di soverchia tema, 
Qnanto può ascoso si tirò dal lato, 

Ove Boorte allor la gente prema *, 

Poi trnde l'arco, e di possente strale 
Addrizza verso lui colpo mortale. 

XXXI 

Che se pria tra* nemici ardito c forte 
Fa più d' alcun, come mostrò 1' effetto, 

Or che gli sembra aver divine scorte, 

In tre doppi valor ^li crebbe in petto ; 

E con più grau desio dell* alimi morte, 
Entrò tra i primi, ov* è lo stani più stretto, 
Avendo sempre la crudel ferita 
Più nel cor, che nell' omero, scolpila. 

XXV 

E nell' omero destro il prese a punto 
Ove più la corazza in basso viene; 

Passa tutto olirà, e gli Ita quel lato punto. 
Da cui con molli rami cscon le vene: 
Lieto grida Druscheno: a morte è giuuto, 
Chi dava ai nostri iuevitabil pene ; 

Non sia chi tema più, signor d' A varco, 
di' alla nostra vittoria aperto è il varco. 

xxxn 

In guisa di leon, che levemente 
Fu ferito al principio dal pastore. 

Che difendea la greggia e '{mantenente 
S'ascose in parte di periglio fuote, 

Ch’ ei dell'ira novella ha il core ardente. 
Né ritrovando qnel, doppia il furore 
Sopra 1’ abbandonata e poverella, 

Che col morso, e col piò strazia e flagella. 

XXVI 

Di tatti quei d' Arturo oggi il migliore 
Fia scarco prr mia man di vita ornai ; 
Rivesliam pure il solilo valore, 

Per tosto vendicar gli avuti guai ; 

Or risorge per me P ispano onore, 

Che più che '1 chiaro sol dispieghe i rai. 
Ovunque arco si tenda, o spada stringa, 
£ quau tu 1' Oceano intorno cinga. 

XXXUI 

Tal è il chiaro Boorte tra i nemici, 
Ove uccise con molti il fero Ormeno, 
Che già fu numerato un dei felici 
Signor, ch'avesse mai Valenza in seno, 
Ricco d'alti tesori, e più d’amici, 

Che 1 facevan gratissimo a Druscheno; 
Or per piaga, eh' al petto s' attraversa, 
Lo spirto e '1 sangue doloroso versa. 

XXVII 

Così direa vantando il fero Ispano, 

Che lui morto credra, che vive aurora; 
Boorte in alto di timor lontano 
Chiama Bavrn, che presso a luì dimora : 
Or noo vi pesi, o caro mio germano. 

Di traruiì il ferro della spalla foora, 

A ciò ch’io possa i fatti, o i detti almeno 
Vendicar di mia man sopra Druscheno. 

xxsrv 

Percuote appresso lppenore, eh’ adduce 
Sotto Loto i cavai, di' avea )’ lbero, 

E 1 passò tutto dalla destra luce, 

Fin dove ha la memoria il seggio altero ; 
Lo scudier dì Roderco il nobil duce, 

Che sopra il Cataan reggeva impero, 
Aslinoo detto, sopra l‘ erbe stese 
Di mortai colpo, che nel collo scese. 


7 


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L AVARCHIDE 


lOO 



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lxih 

Perché non pituita sopra l'elmo a pena 
Fu 1' nltima percossa, che Yerralto 
N’ andò riverso su la secca arena, 

Come svelto troncon, che caggia d’alto; 
Smarriti ha i sensi, e non può trar la lena, 
Non però morte ancor I' ultimo assalto 
Gli ha dato al tutto, ma Boorte il lassa, 
Come s’ ei fosse estinto, ed oltra passa ; 

xuv 

Poi che veggion Verralto quei d* Avarco 
(Un dei dnci maggior) condotto a tale. 
Con la schiera di qjuei, che suol con 1’ arco 
Contro ai feri nemici esser fatale ; 
Druscheno ancor, ch'assicurava il varco 
A tutti lor col suo famoso strale. 

Esser disteso sanguinoso a terra; 

Ciascun pien di timor lassa la guerra : 

lxt 

E rifugge volando, ove le mura 
Ha per sua sola speme e per difesa ; 
Nessun più dell’onor, uè d'altro cura. 
Che di scampar dalla presente offesa, 

E con sì freddo ghiaccio ha la paura 
Di ciascun 1’ alma strettamente impresa, 
Che l’un l'altro in cammin preme e conquide, 
E per morte fuggir 1' un l’ altro ancide. 

LITI 

Non vai di capitan prego, o conforto, 
Nè altero minacciar, né forza osare, 

Ch’ ivi non si discerne il dritto o '1 torlo, 
Né’l maggior o*l minor, ch'ogni uomo è pare; 
Quei, che truova cammin più ascoso e corto, 
^ può gli altri fuggendo oltra varcare, 

E tenuto da lor la scorta e ‘1 duce, 

Ch* al desiato fin gli riconduce. 

IJSVII 

Siccome addivenir talvolta suole 
Al combattuto legno presso al lito, 

Che si veggia a (Tosca r di sopra il sole, 

E ‘1 mar col cielo a gran tempesta unito, 
Che ‘1 nocchiero avveduto in alto vuole 
Rivoltarle a cammin largo e spedito 
Per gli scogli schifar, ma il vento sforza, 
E *1 fa rompere a terra a viva forza; 

ixvm 

In tal guisa miglior venia portato 
Dal furor popolare al proprio danno, 

E Boorte col ferro iusanguinalo 
Va doppiando al primìer novello affanno ; 
E nel mezzo di lor ferendo entrato, 

Ove più per timor congiunti vanno 
Tanti ha sospinti alle Tartaree strade, 

Che del sno crudo oprar quasi ha pleiade. 

LZLX 

Ma I’ accorto Bntnoro, ch'ai fio vede 
D' assicurar più i suoi chiusa ogni via ; 

E ’1 soccorso cercar da Palamede 
Con Tristano occupato in van saria ; 

E distrutto sarà, se non provvede, 

Inverso Seguran tosto s'invia, 

E ritruoval, che ’n man la briglia tiene. 
Per muover poscia, ore il bisogno viene; 


LXX 

E che presso di lui Clodino avea, 

Ch’ è fuor d'impedimento e di periglio 
Della spalla impiagata, e già tenea 
Di toruare alla guerra ivi consiglio; 
Brunoro irato allora, altodicea: 

Or che attendete, o generoso Gglio 
Del famoso e magnanimo Clodasso, 

Che tutto il popol suo sia vinto c lasso ? 

LXZS 

E che *n torno alle porle ornai d' A varco 
O che dentro di lor pur sia la guerra ? 

Or non sapete voi, che d' alma scarco 
Con Yerralto Druschen si giace a terra ? 
E che Boorte di vittorie carco, 

Qual le gregge il leone, i nostri atterra ? 
Posti ha in fuga i cavalli, e i levi arcieri, 
E i pedestri più gravi miei guerrieri. 

uni f 

Non offendon coslor le mie contrade. 

Né ccrcan posseder quel die contiene 
Eiiiso e Visera, ove 1’ algenti strade 
Il Germanico mar bagnate tiene: 

Contra il vostro lerrcn cingon le spade, 

Per vendicar le ricevute pene 

Dei vecchi padri lor, eh' ebber da voi, 

E i regni racquìstar, che fur de' suoi. 

i zzili 

E voi gloria d'ibernia, o Segurano, 

Che restate a veder coi vostri intorno ? 
in fin eli’ ogni soccorso venga in vano, 

Poi che fiaccato I' uno e 1‘ altro corno 
Avrà de' nostri il popol Gallicano, 

E 'I Britannico stuol eoo tanto scorno? 
Ove durme il valor del sangue Bruno, 

Che fu sempre onorato da ciiscuuo ? 

LXX1V 

Non vì sovvien, che la reale sposa 
Nell’ assediale mura oggi si giace ? 

E nel la vostra man sola ripuia 
Le presenti arme, e la futura pace? 

La mia dimora in altra parte ascosa. 

Né teme di costor I* unghia^ rapace ; 

E pur con «tutto ciò veder potete, 

Quanto stupro per voi, che 'n posa sete. 

LXXV 

Né per voi mancherò, signor, giammai. 
Fin eh io sostenga in mau lo scudo c 1 brando; 
Ma gli affli Ili guerrier non ponuo untai 
Contrastare al furor, che va montando, 

Ch' è giunto a tal, che maggior forza a»sai 
Conviensi opporgli o di speranza iu baudo 
Porre i ciliari disegni, e gli alti onori. 

Le desiate palme, c i sacri allori. 

IX XVI 

Or non soffrite più, cb’ uu ferro solo 
Tutti ì vostri miglior conduca a morte; 

E die si possa dir, eh' ilo tanto stuolo 
Fugga davanti al giovine Boorte ; 

E vi movete ornai, Signore, a volo 
Con le vostre onorale e chiare scorte : 
Farcia il vostro valor nel mondo seguo, 
Che di regia beltà non foste indegno. 


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l’ avarchidé 


LUTO 

Punse 1* aspro partir !’ invitto rote 
D* ambe ì due cavalier, ch* erano insieme ; 
Ma Itolo il tfelto in giovimi rossore. 

Che '1 nome «li ti MI pio «l’altro teme, 
Direa Clodìno : Il debito e l’onore, 

Che integri conservare ho ferma speme, 
M’ hao qui tenuto, e ’1 sacro pi ur amento, 
Che di rompere al del troppo pavento 


LXXXIT 

Or non vi ipiarcia dunque avermi ndito, 
E pensar poi di me, qual sempre feste; 

E con questo «Irappel forte e spedito 
Con Clndin gite, ove le genti ha preste» 
Io vengo appresso, e nel mrdrsmo lito, 
Ove le schiere avverse avem moleste, 

Sarò ben tosto, e spero, allor che ’ii voi 
Fia maggior lo sperar, eh' or qui «li noi. 

LXXvnt 

Perchè fuor di ragion sendn impiagato 
Oaven, contro a cui sol la gnerra area. 
Di far torto alla fede avrei pensalo, 

Se innanzi a questo tempo arme dngea ; 
Or eh' io veggio gli amici in tale stato, 
E condotti da quelli a sorte rra, 

Fo voto al ciel, che non per fare offesa, 
Ma per difender noi torno all* impresa. 


LXXXV 

Con più qneto parlar Brnnoro allora 
Risponde : E rhi fi a mai, rhe ’n tal fortuna 
Non sia vinto dall’ ira ond' esca Inora 
De' snoi primi pensier, che in core aduna? 
Tutto il mondo sa ben, se innanzi eh* ora, 
Io conosco il valor dell* arme Bruna, 

E se già mille volte al paragone 
Ho posto Seguran col suo Girone. 

um 

Cosi parlando, a Srgnran rivolto, 

Seeue : Onorato mio ragnato e raro, 

Io vi prego oggi, che tra '! popol molto. 
Che ’ntorno avete si gradilo e chiaro, 

D' alcun buou cavalìrr piò ardilo e sciolto 
Non vi mostriate iu tal bisogno avaro 
A chi tanto v’ onora, acciò eh' io vada 
Ai miei ripor nella amarrila strada. 


I XXXVI 

Così risposto, eoi reai Clodìno 
Tra molti cavalier ratto s’ invia. 

Ove Boarie al fiume assai vicino 
Empia di sangue V arenosa via ; 

E eh* ha incontrato il misero Erogino, 
Che ’n sul vago corsiero ivi appari* 

Col ricco scudo, e 1' arme tutte aurate, 
Che dalla donna siva gli furon date. 

U1X 

E *n qneslo mezzo, voi con greve passo 
Verrete a sostenerne, e darne aita, 

E ’l nemico ridnr si frale e basso, 

Chela via di villoria sia spedila; 

Il prode Seguran risponde : Lasso 
Mai Qon sarò (in della propria vita. 

Di far quanto v’ aggrada, e in voler vostro 
Sia d' avere i miglior del corno nostro. 


LXXXVtl 

Ch’ una figlia «posò di Mnrassalto, 

Re della Cartagenia e d* Alicante, 
Androfila appellata, di core alto, 

E di pensier magnanimo e costante; 

E che ’l marito di porfireo smallo 
Teuea fisso nell* alma o d’adamante; 
La qual giunto al partir l’ultimo sole, 
Glie le donò piangendo in tai parole : 

IX XXI 

E con Bmnoro poi dolce ragiona : 

Vi ringrazio, Signor, dei gran ricordi. 

Clic scendendo di mente amica e buona, 
Non troveranno in me gli orecchi sordi. 
Che quei, eh’ ad un sol (in virtudr sprona, 
I)e veri gli animi sempre aver concordi, 

E soffrir pianamente le rampogne 

Di chi ’l suo ben, com' ei mrdcsmu, «gogne. 


LXXXVtl 1 

S*io potessi piegar gli nomini e i Dri, 
E ’l desti» delle donne troppo avaro. 
Beatissima al mondo mi terrei 
Sopra ogni lame in riel piò altero e chiaro ; 
Nè «li grazia maggior gli pregherei. 

Clic di voi seguitar, signor mio raro, 
Sirrome ho sempre in pace, ancora in gnerra, 
E non vi abbaudonar viva e (otterrà. 

ix xx r 

Or per darvi ragion del mio consiglio, 
Diro, che stalo »nn sempre in disparte 
Con disegno di gir, dove il periglio 
Si scorgesse maggior, che in altra parte. 
Col piè pronto, e la mano a far vermiglio, 
Ove piò mi rhiamasser Palla e .Marte, 

Che P ultimo soccorso è quel, che spesso 
L ' incanto vincitore ha in fuga messo. 


t.XXXIX 

E se rio m* avvenisse, nopo non fora 
Di prorarriar per voi piu sicnr* arme; 

Ch* io ’1 vostro scudo e la lorira allora 
Contr'osni offesa altrui penserei farine ; 
Sperando, o che Giunone, o l’altra onora 
fasto amor maritai, dovesse allarme,' 

E con voi mantener per sommo esempio 
Di chi piò aggrade al «no famoso tempio. 

Lxxxm 

Io scorge* da man destra Palamede 
Da Tristan risnspinto aldina volta, 

Che lassar con venia la prima lede, 

E ’ntieme rannodar la schirra sciolta. 

Che mi fra dubbio star ; ma chi non vede 
Se non la parte sua, che ’n guardia ha tolta, 
Non può ben giudicar, come colai, 

Che scerne il suo bisogno e quel d’ altrui. 


XC 

Ma poi rh'eiser non può, ri piaccia almeno 
Di queste arme portar, ch'hanno il mio nome; 
E dai perigli riguardar uou meno, 

Che si «oglian le dolci amate some : 

E qualor crollerete all* aure in seno 
Sopra il cioiier queste dorale chiome, 

Che riroverser già (lasse) la testa, 

Ch'or di loro, e di voi vedova resta; 


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xei 

Vi «sovvenga (oimè) ron quanta doglia 
Lunge han da lor la misera nutrire, 
Temendo sol di non sentirle spoglia 
Delia nemica schiera vincitrice ; 

Ma segua pur di lor quanto *1 riri voglia, 
Pur che torniate voi lieto e felice, 

Da potermi narrare a parte a parte 

I gran pregi e gli onor del vostro Marte. 

XCII 

Cosi dicea la pallida consorte. 

Di doloroso amor bagnando il volto; 

Ma il vago giovinetto in dura sorte 
Dal prezioso don in inloruo avvolto: 

Poi rii' or contro alla spada di Boorle 
È dal fero «lesti» soletto accollo ; 

E gli fa in ver di lui muovere assalto. 
Per pietà di Druschcno e di Yerralto. 

xeni 

E con tutto il poter sovr'esso sprona 
Con la lancia, eli* avea pesante e dura ; 

E ’n mezzo al doppio scudo il ferro dona 
Si, che i suoi più vicin n‘ ebber paura ; 

Ma il franco cavalier con la persona 
Non si vede crollare, e tanto il cura, 
Quanto il robusto pi ri di borea il Gaio, 
Che già il decimo lustro avea contato. 

xciv 

Poi rii* ha l'asta troucata, il lassò in prima 
Senza impedirlo par, prender la spada; 
Indi il fere altamente sn la cima, 

Ov* è "1 dono amoroso, che gli aggrada; 

E la chioma di lei, che troppo stima. 
Intricata convien, eh* a terra vada. 

Ma la fronte non fa dal colpo offesa. 

Che dall'ottima tempra era difesa. 

XCT 

Poi che •’ è accorto I’ amoroso Ispano 
Del prezioso e caro suo cimiero, 

E che in mezzo alla polve era lontano 
L'almo splendor del suo terreno Ibcro; 
Qual tigre acerba lungo il lito Ircano 
Priva de' figli suoi, divenne fero; 

Spronò verso Boorte il suo cavallo, 
Gridando in alto suono: O crudo Gallo, 

xcvi 

Già non U vanterai d* offeso avere 

II più onorato rrin, che fosse mai, 

Che la luce vincea dell' altre spere, 

E dello islesso sol gli ardenti rai ; 

Il quale alla sua donna mantenere, 

E 'ntero riportar certo giurai, 

E ‘1 fan» veramente, o ch'oggi il cielo 
Sciorrà il mio spirto dal terrestre velo ; 

XCVI! 

E dicendo così, fere alla testa 
Pendente alquanto dal sinistro lato, 

Gli' orribil suon dentro all' orecchie desta 
Del pio Boorle, ma non I' ha impiagalo ; 


Poi di nuovo il percuote, e non s' arresta, 
In Gn che '1 terzo colpo è raddoppiato. 

Sul braccio qnesto, e quel sopra la spalla; 
Pur di fargli assai danno in tatto (alla. 

xcvi» 

Ma V invitto gnerrier, da poi che vede 
Chi fuor del creder suo troppo 1* offende ; 
Qual sopra lepre timida, che siede 
Nell’erboso suo nido, aquila scende, 

A Ini »' avventa, e dispietalo il Cede 
Col ferro micidial, che sotto il prende. 

Ove il ventre allo stomaco •' aggiunge, 

E quanto ivi trovò trapassa e punge. 

xrix 

L’ infelici armi allor del regio sangue 
Fur di fuori oscurale, e dentro piene; 

E 'I giovin miserei, pallido, esangue 
Sopra il forte corsier uon si sostiene ; 

E mentre cosi ancor morendo langue. 

Della sposa frdel si risovvirne, 

E col vigor, rhe in quello stato può te. 

Si rivolge a Boorte iu queste note : 

C 

Alto signor, che così amico il cielo 
Al gran vostro valore e largo aveste. 

Se mai vi svegliò al cor pietoso zelo. 
Pregar divolo di persone meste ; 

O se mai vi scaldar sotto nn bel velo 
D'onorata consorte Gamme oneste; 
Consolale al posar dì questa salma 
D' una promessa almea la misera alma ; 

ci 

E questa Ga di far di terra accorre 
Le bionde chiome, eh' io nel mondo adoro, 
E meco insieme in chioso albergo porre. 
Coperto, coni' io son, dell' arme d' oro ; 

E 'I tutto appresso nelle mani esporre 
Di Morassalt«i al rorno di Brunuro, 

Che mi deggia mandare alla mia dea, 
Siccome al dipartir promesso avea. 

Cll 

Il pio Boorte, che in più amaro pianto. 
Che P altro non diceva, intento ascolta. 
Risponde: Or potrss'io ron nuovo incanto 
Render cosi la vita, eh' io v' ho tolta, 

E felice tornarvi e lieto, quanto 
Giammai d' esser bramaste alcuna volta. 
Siccome adempierò vostro desio, 

E di ciò teslimon n' appello Dio. 

citi 

Ringrazio! con la vista e col sembiante. 
Che la parola srior piu non polro. 

Cosi condusse il già felice amante 
In estrema sventura il destin reo: 

La bionda chioma, eh' a' suoi piedi innante 
Negletta si giacca, riprender feo 
Boorte, poi condar col cavaliere 
Dentro al suo padiglione, e '1 suo destriero. 


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L AVARO H IDE 





ARGOMENTO 

■•SS-fr*** 


Minima i suoi Ciati in , ma con Boorte 
A fronte non riman; tanta è la forzo. 
Tanto t il valor di lui che spinge a morte 
Molti campion, e il buon Rossano sforzo: 
Ma Segarono a' suoi più lieta sorte 
Reca col braccio invitto, e in loro ammorza 
La tema si, che V inimico stuolo 
Tugge ricolmo di spavento e duolo. 


Già col fero Clodia giangea Brunoro 
Coi guerrier, che menò di Srgurano ; 

E di vi le parti hanuo io fra loro 
Per rispiuger fra* suoi dii sia lontano, 

E dare agli affamati alto ristoro ; 

Quel muove a destra, e questo all'altra mano; 
Poi riascun quanto può *1 pregare adopra, 
Per riduccrii insieme alla prima opra. 

il 

Diceva lor Godili : Fratelli amali, 

Per cui già tante palme riportai, 

Or non volete ancora essere ornati 
Di vittoria maggior, che foste mai ? 

E rilornarven carchi ed onorati 
Di spoglie ostili, e non d" ontosi guai ? 

Nè smarrire il valor, per quel eh' c stato. 
Mentre il vostro Godio non v' era a lato l 
IH 

E poi che ritornato intero e forte, 

La Dio somma mercede, ora è con voi, 

Se peusier cange rem, cangerem sorte, 

E 1' amica Fortuna fi a con noi ; 

Apriara de' nostri cor le chiuse porte 
A virtù intera e i due seguaci suoi, 

Lo sperare c '1 soffrir, cb‘ han forza insieme 
Di portar sopra il ciel, chi ’1 centro preme. 

IV 

Q uso lo noi piò? ch'olirà ogni nostra insegna, 
Avrrm di Seguran l'alto soccorso, 

Con 1' aspra gente, che in lbernia regna, 
Cb' al Britanno furor metterà il morso ; 

Or pria, cari fratei, che questa vegua. 
Drizzi am verso i nemici ratto il corso, 

E che morte non sien, 1' opra dimostre, 
Scn ben dorrnon lalor, le virtù nostre. 


Dall’altro lato ancor Brunoro il Nero, 
Quanti sparsi ritruova, in un raccoglie; 
Non prega umil, ma gli minaccia altero, 

E 'n lai note superbe i delti scioglie: 

Non sia chi speri dall' artiglio fero 
Scampar di morte le terrene spoglie, 

Con fnggir quinci il ferro de' nemici, 

Che 'I troverà più agulo fra gli amici. 

vi 

Qie questa armata man, ch'or voi vedete, 
Mossa in vostra salate e ’n vostro onore, 
In vostro danno e scorno sentirete 
Purgar col sangue il pubblico disoore ; 
Quanto più adunque gran cagione avete 
Di tosto rivoltar 1* arme e ’l valore 
Contro al doro avversario, che vi preme, 
In cui di doppio ben si mostra speme ? 

VII 

Se voi gnardate ben, non è, eh* un solo, 
Quel, che tutti vi scaccia, e vi spaventa ; 
Non perchè valga più, che ’l largo stuolo, 
Ma perché truova in voi la virtù spenta ; 
Che s’ ancor si ralliuna all’alto volo 
Del ino furor, che sopra noi $’ avventa, 
Graverà 1‘ ali tal, che verrà in basso, 

Come dal visco augello avvinto e lasso. 

vili 

Così dicendo lor, gli risospinge 
Nell' ordin primo, e u dietro riconduce ; 

L’ altra parte anco a guerra si racciuge, 
Seguitando Godio suo primo duce; 

E di sangue novel si ridipinge 
L’ arenoso sentiero, e ’1 ciel riluce 
D'altro splendor di ferro, or die *1 ritorno 
Vicino appar del fuggitivo corno. 

IX 

Il mi tosto arrivar da prima diede 
Maraviglia e temenza a* vincitori ; 

E I popol volenlier raffrena il piede, 
Attendendo il voler de' suoi maggiori; 

Ma il famoso Boorte, che ciò vede, 

Con ardenti parole accende i cori. 

Dicendo: Or giunto è '1 tempo in cui di lutto 
11 lungo affaticar s’ accolga il frutto. 

x 

Perchè il fnggir di quei privi n’avia 
D'ampie spoglie onorale e di vendetta; 

Or nostra btiuna, e lor fortuna ria 
Ne torna la mercé, eh* era interdetta ; 
Moviam pur ratti, e si ritroviti, pria 
Ch' un’ altra volta in fuga si rimetta 
La vilipesa e mal guidata schiera, 

E di lei riportiam vittoria intera. 


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A V A 11 C IH D E 


XI 

XVIII 

Nè fallace pensiero il cor v* ingombre. 

Pur sopra il suo cavai fermo si tenue, 

Ch'or *irn il' altro poter, che diauzi furo; 

Se ben nella sinistra torse alquanto; 

Ma •' aliar come nebbie, or firn com’ ombre, 

Ma poi eh' all' esser suo dritto rivenne, 

Che ’l panato timor creare il fallirò; 

Si volge al fcrilor, che torna intanto, 

Ogni dubbio ciascun dall'alma sgombre. 

Dicendo : Aspro gnerrier, se non hai penne 

Che gli mostre il cammin piu alpeatro r duro 

D’aquila, o di falcon fia breve il vanto, 

Dell’altro infiuo ad or, ma fermo creda, 

Che potrà per tua lingua essere inteso 

Che quanto oggi veggiam sia nostra preda. 

D'aver contro a ragion Boorte offeso. 

XII 

XIX 

Come ha detto così, lassa Baveno, 

Che nell' ordiue usato gli ri legna ; 

Foi sprona avanti, ove d' orgoglio pieno 
Tmova Clodin con la primiera insegna; 
Tosto il conosce, e regger non può il freno 
All' ardente desio, che in es*o regna 
Di ritrovarse in pruova contro a lai 
Per la conforme età, eh’ è in ambedui. 

XIII 

£ l'appella da luuge : O re famoso. 
Dell' altrui povertà si ricco e altero. 

Se voi siete d' onor tanto bramoso 
Come vi vede ogn’ oom, di torto impero; 
Volgete or verso me quel ferro odioso, 
Ch' è sol contro ai piu vili ardilo e fero ; 
£ per prova vrggiaiu, se sia mrn forte, 
Di quel che fu Cavea, cou voi Boortc. 

Poi con tntto il poter drizza una punta, 
Che scoperto il trovò nel lato manco; 

E dividendo il cor di dietro spunta 
Nell’ osso più viciu del destro fianco. 

All* estrrma ora sua l'anima giunta. 

Lassò il terrestre vel pallido e bianco ; 
Onde freddo convien, che a terra vada ; 

£ dell' arme al rumor sonò la strada. 

XX 

Indi il leve deslrier ratto ritorna 
Al drappcl. die Clodin gli asconde e chiude. 
Gridando : 0 schiera di colori adoroa, 
Assai piu che d' onore e di virlude, 

Che fa il vostro gran dure e che soggiorna, 
( li io mi credea, che fosse eterna inrude 
Conira i colpi di noi gnerrier negletti ? 
Or si fa scudo a me de’ vostri petti, 

xiv 

XXI 

Gli rispose Clodin; Nuli' altro bramo. 

Come pirciol fanriul di madre soglia 

Che con voi ritrovarmi oggi a battaglia. 

Contro all’ ape, a cui il mel furato avea ; 

In cui spero ottener di palma il ramo, 

Ma poi che in' è per voi tolta la spoglia. 

Se non bene incantata avrete maglia; 

£ perché più il dover che l' olii amo, 

£' non vi)', che vantaggio alcun mi vaglia, 

Della qual già vestito mi tenea; 

Il danno sopra voi forse, e la doglia 

Porria versarne la fortuna rea, 

Questa lancia, eh' ho iu inan, lasso da parte, 

Per far palese, come stolto adopre, 

£ J medesmo farei, se foste Marte. 

Chi per altrui coprir sé stesso scuupre. 

XV 

XXII 

In lai parole 1' un ver 1' altro sprona, 

£ ’n questa s' avventò sopra Rossaoo, 

Pirn d’ ardente desio di giuria vera ; 

Che dell' alta Pannonia avea le schiere. 

Clodin fu il primo, eh' al nemico duna 

Il Selvaggio appellalo, perch' è strano 

Sopra la fronte, e d' atterrarlo spera; 

Di costumi, di volto e di maniere; 

Ma 1' altro alza lo scudo, e in esso suona 

1 Ma il core ardilo, e pronta avea la mano, 

La spada indarno, e pur rimase intera. 

Quanto buuo cavalier potesse avere; 

Se ben piegotte alquanto; oud’ ei turbalo 

Or vedendo il nemico, eh' a lui spinge, 

Slatinava nel suo cor le stelle e ‘1 fato. 

Spiegando il suo valor la spada stringe ; 

XVI 

XXIII 

Ma di Gave il goerrier con altra possa, 

E stadia nel ferir d' esser primiero; 

Abbassando la man, nell elmo il prende, 

Così mosso il cavai veloce c lieve, 

Io cui fece cadendo ampia la fossa, 

Percuote in vista minaccioso e fero 

Né però inliuo al capo il brando scende ; 

Il ben ferrato scudo e saldo e greve ; 

Ma 1 intonò si forte la percossa. 

E ben che, essendo tal, restasse intero. 

Che la briglia abbandona, e '1 braccio stende; 

Quanto avesse già mai danno riceve. 

E saria iu terra poco spazio scorso, 

Boorte in te di maraviglia avvolto 

Se non avea de'tuui tosto soccorso. 

La virtù del Panuonio apprezza molto : 

XVII 

XXIV 

Ma Rossan e Grifon dell' alto passo. 

E gli dice : Signor, d’ oscure spoglie 

Ch' allor da Srgnran compagni prese. 

Ma di chiaro valor vi sento ornalo ; 

Sostegno fur, eh' ei non cadesse iu basso. 

Cosi spesso veggiam di sozze foglie. 

£ Filarle a Boorle il corso stese, 

Il frullo provenir dolce e pregialo. 

Qual di Tromba Lalor rotondo sasso ; 

(•Ite '1 sembiante di fuor non dà, né toglie 

£ con la lancia all' omero 1‘ offese 

Il buono o ’l reo, che n han le stelle dato; 

Nel destro lato, e 1 colpo fu piu duro, 

£ se nel giudicare oggi non fallo, 

Che regger non porria colonna o muro. 

Devrebbe csscjr Clodia di voi vassallo. 


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L AYARCHIDE 



Ma il drillo par, clic voi debbiate ancora. 
Di ine, rom' io di voi, senlir la pruova } 
E coti dello, alla niedeiim' ora 
Con gran colpo la Ironie gli ritmova. 
Sicché 'I veder turbalo gli dimora ; 

Ma la tempra dell’ elmo intanto giova, 
(’.lie non reilò ferito, e 'ramanleoente 
Si ritchiararo in lui gli occhi e la mente. 


E ’ncominriò : Signor, troppo ho sentilo 
Aneli’ io quel che potete, e non me 'n pento; 
Elie ’l trovar voi di fonte assai fornito, 
Accresce in me il desire e 1* ardimento ; 
Donimi pure il delo in questo lito. 

Con voi morte, o vittoria a suo talento ; 
Che questa unica fu, quell' altra chiara. 
Da non aver di lei viù più cara. 


XXVII 

In lai voci ritorna alla battaglia, 

E d' una punta il Gallo ripercuote, 

Non nello scudo più, che quanto vaglia 
Per le cose passale intender punte; 

Ma in quelle ascose parti, che la maglia 
Difende sol, d'ogn’ altro ferro vote. 

Di sotto al destro braccio, onde Boorte 
In rischio esser polca d’ acerba morte, 


XXVIII 

Se non che ammaestralo, e dotto all'arte 
L’ ha con riguardo accorto preveduta ; 

E rivoltosi alquanto in altra parte. 

Nel bene armato petto gli è caduta : 
Duolsi il Pannonio allor del crudo Marte, 
E d' esser più de* suoi quasi refuta, 
Dicendo : Òr se cosi mi toi gli allori, 

Che puss' io più sperar de' tuoi tesori ? 


E mentre che ’n suo cor disfoga l’ ira, 
Il cavalier di Gave il brando pone 
Sopra il suo scudo, c mezzo in basso il tira. 


Or qncsto all’ avversario suo Rossano, 
Ghe ’n tale stato ancor fuggir non vuole, 
Con allegro sembiante ba posto in mano, 
E '1 conforta da poi con tai parole : 

La fortuna al valor, eh* è a lei sovrano 
In ogni opra mortai contrastar snoie ; 

E per seguir con voi I* usata strada, 

V' Ita troncata così la forte spada. 


xxxiti 

Ma non Ga della vostra peggior molto 
Questa, di cui vi fo cortese dono ; 

E perchè il vostro onor non vi sia tolto, 
A nuova altra battaglia presto sono; 

11 selvaggio Pannonio in lieto volto 
Risponde: li brando mio vie più che buono 
Mi fé' intero acquistar sovente palma, 

E troncandosi poi, più dolce salma, 


xxxiv 

Send' ei ragion, ch’or mi sia fatto antico 
11 maggior cavalier, che lancia porte $ 

Nè cosa oscura, ovver novella dico, 

Eh' a tutto il mondo ornai chiaro è Boorte; 
Ricevo il don, ma non come nemico. 
Cercherò mai per lui la vostra morte : 

Ma da qui innanzi quello, e chi 'I sostiene 
Sari in vostra salute, e ’n vostro bene., 


Ch' io non vorrei perù, che voi credeste, 
Vedendo, cuoi' io vo negletto e vile, 

Elie tutto eguale il cor fosse alle veste, 
Ben che men del dever chiaro e gentile ; 
O che ’ntrà le Panuonirhe foreste 
Mai non surgesse olir’ all’ usato stile 
Per 6 so riguardar vista possente 
Della vera virtù la Gamma ardente. 


xxxvi 

E se non vi fusse altra, è pur la mia. 
Che la somma, ch’è in voi, chiara discerne; 
A cui, supplico il ciel, che largo dia 


E d* accrescer dolor gli dà cagione; 
Russali, eh’ al veodicsrse sol rimira, 

K rii’ usa piu il furor che la ragione, 

Gnu sì gran colpi 1* avversario assale, 

Che ir uova al suo desio la spada frale. 

XXX 

Perch'or mentre il bracciale indarno offende, 
Or dell* elmo famoso il ferro invitto, 

In due parti troncata a terra scende, 
Lassando il suo signor nudo ed afflitto; 

Il cortese Boorte il tempo prende 
Di mostrar, ch'amò sol 1' onore e ’l dritto; 
E dal scudier Tostile a lui vicino 
Si fece un brando dar sicuro e fino ; 

XXXI 

Ch ove la Celidonia al mare Scoto 
Le selvaggie sue chiome in alto spande, 
Guadagnò, allor di’ ei fe’ di spirto volo 
Cou tal virtù Ehersidamante il grande ; 
Eh’ ivi arrivato di terreuo ignoto 
Si fea de’ prigionier crude vivande . 

E quello appresso iu ogni parte a via, 

Per usare ai bisogno, e' avvenia. 


Tutto il favor delle sue luci eterne: 

Ed io per ogui sorte, o buona o ria, 

Delle forse di fuor, dell’ altre interne, 
Quantunque nulla Ga, per quel eli ci merla. 
Vi fo cou tutto il cor divota offerta, 
xxx vii 

Ma in questo ragionar, vicin si vede 
Con le spiegale squadre Segurano, 

Che cou arte e cou senno a' suoi provvede. 
Che con vantaggio poi tnuovau la tnano ; 
Ei con pochi guerrier, con lento piede, 
lunausi agli altri va poco lontano. 

Con I arme Iucca tisaima, die splende, 

Qual Febo suoi, di' a messo giorno ascende. 

XXXVIII 

Mostrasi in alto ancor 1’ aarato scodo, 
Elie 'I bel raggio solar saetta intorno, 

Ov* è il nero Dragou, che iu atto crudo 
Par minacce a’ nemici oltraggio e scorno; 
Così ’l cimiero, ove Nettuno ignudo 
Col suo tridente iu man si mostra adorno, 
Perù eh avea del suo terreno Iberno 
Sotto a tal deità posto il governo. 


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A V A R C II I I) E 


XXI» 

Nè molto a lui lonlan Brunoro il Nero 
To’ anni rimessi in un già il patio muovei 
Ma poi rii’ aggiunti arrivano al sentiero, 

In mi Boorle fea 1' egregie prove ; 

Della polve, eh' alzava, oscurar fero 
Nel ano seggio (ered'io) Saturno e Giove, 
Ch' al fin cadmilo, di montare stanra, 

Tulio il popol Britanno e *1 Gallo imbianca. 

xr.vi 

Disse Boorte a lui tutto ridente : 

O famoso mio padrr, se ciò fia, 

Troppo ad uopo sarà, sì larga gente. 

Per far prnnva di noi, veggio per via : * * 
Questi è '1 gran Segnran, cui veramente, 
Chi noi pregiasse assai, torto faria. 

Ma pur poi, eli* è mortai, vergogna fora, 
Più che gli altri, e che sé stimarlo ancora. 

XL 

Siccome «noi nella assetata citate. 
Quando lieto il villan di scioglier brama 
Dalle pungenti spighe, e paglie aurate 
Il buon seme geniti, che Cerer ama, 

Che con le spoglie pria rotte e squarcialo 
L* avventa in alto, e Zefiro poi chiama, 
Ch' ovunque esse volando intorno spinge, 
D’ oscurato color tallo dipinge : 

XLVII 

Cosi far si rnnvien, lieto risponde 
Il saggio re, che nel medesimi errore 
Può cader l'uom ,rlie in troppo ardire abbondr, 
E chi soverchio ancor crede al timore; 
Sommo senno e viri ode il Cielo infonde 
In Separano il Bruno, e gran valore, 
Nativo nel suo seme invitto ed alto. 

Quale in Ettor, Girone e Galealto: 

Xtl 

Tali erano a mirar 1* arme e i destrieri 
Di qnei, eh' ad incontrargli erano intesi, 
1/ ornale sopravveste, i bei cimieri, 

E gli scudi lucenti e gli altri arnesi, 

Per cangiante vaghezza in prima alteri, 
D' nn medetmo colore eran compresi ; 

Nè I' un 1' altro scorgea, come se ’l velo 
Notturno, e senza luna avesse il cielo. 

Xl.VItl 

C h' illustrissimi fnro, e senza pare, 

E di cui tutto il mondo avea spavento ; 
Pure ove alcun di lor polca trovare, 

D' esser co' suoi nemici avea talento; 
Perché le spoglie e le vittorie rare 
Non s' han di loco di virlude spento; 

Né mi fu '1 quinto Ciel sì avaro allora, 
Che lodato non fuisi aneli* io talora. 

XLIl 

Già nel venir di quei son fatti avinte 
Il nubi) re dell' Orradi e 1 figliuolo, 
Palrtde al cerchio d* oro, e Matagrante, 
E Pienoni, e Drianzo, e '1 forte stuolo 
Di più d'nn dure e ravaliero errante, 

Il qual desio d* onor conduce solo 
A seguitar dell’ Orradi 1' insegne, 

Non avaro pensier, che in esso regne. 

XLIX 

E %' io non (etnea lor giovine e forte. 
Clic troncar mi poteano i miglior anni; 
Ora a che per roslui curar di morte, 

Ch* è sola il porto de* canuti affanni ? 

E poi 1' alta presenza di Boorle, 

Che lotto m' ha da perigliosi danni, 

Ben mi può assicurar lo stato incerto, 

E trionfo di lui prometter certo. 

XUII 

Le schiere di spavento pria ripiene 
Han tornate eoi dir liete e sicure : 

Il comandato loco ngn' uom ritiene. 

Come chi d' obbedir, non d* altro cure ; 
Nè nien che gli altri di minute arene 
Fan l'aria intorno e le campagne oscure; 
Or giunti ore il magnanimo Boorte 
Fea di largo lesor ricca la morte, 

i. 

Ma perrhé riposalo alla battaglia 
Vico frescamente, e noi lassi rilruova, 

Ch' all' estremo calor, tra piastra e maglia, 
Avem fatta di noi si lunga pruova; 

K il mio consiglio, se di lui vi caglia, 
Ch'ornai quinci nessun più il passo muova; 
Ma sol s'attenda, e cerchi solenere 
Il primiero furor di queste schiere. 

. XI.IV 

11 valoroso vecchio alquanto sprona 
Il cavai verso lui, poscia gli dice : 

O «lei regno di Gave alla corona, 

E di quante mai fur la vincitrice ; 

Tra 1‘ antiche memorie indarno sauna 
Quell’ onorata cetera, e felice 
Del buon Tididc, d'Ettore e d'Achille, 
Che presso al foco vostro crasi faville. 

U 

Così fermo fra loro, i cavalieri 
Si disteser per l’ali d* ogni lato, 

Ove il re Prlinoro con gli arcieri 
Quasi al medesmo punto era arrivato, 
Ch’ a molti duci avevano, e guerrieri 
Condotto con gli strai 1' estremo [alo ; 
Or sentendo il bisogno, 1’ altra impresa 
Lassaodo, al corno suo toma in difesa. 

XLV 

Ben poss’ io dir la vostra invitta mano 
Della rovina mia fido sostegno, 

CI. abbattuto e scarnalo ha di lontano, 
Chi già sovra de' miei teneva il regno ; 
Ecco che ’l bello oprar non cadrà in vano, 
Ch* or più, rh‘ io fossi mai, bramoso vrgno 
D assalire i nemici, e le mie schiere 
Sarian più che leoni oggi a vedere. 

Lll 

E ’nsirmr esso, il re Lago, e *1 pio figliuolo, 
Il famoso Boorte, e gli altri poi 
Yan tulli intorno all’ ordinato stuolo, 

E ciascun quanto può conforta i suoi ; 

Ma il valoroso vecchio é quei, che solo 
Sopra gli altri si sente, e dice : Or noi, 
Siam qui, cari figliuoi, per mostrar chiaro. 
Che noti a torto aviam nome ai raro. 


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L AVARO II IDE 




1.11 1 

Sete ahltehi guerrieri, e non v* è a scoto, 
Che '1 gran valor conviene al pran perielio ; 
Fate a proova fra voi, chi piti bramosi» 
Muova il suo ferro, e con più allegro ciglio ; 
Certi, che 1' nom fugare e paventoso, 
Sempre del sangue ino torna vermiglio ; 

Il torte acampa, e con supremo onore 
Vive iutra gli altri, .e poi famoso muore. 

I.X 

Or quai duo tigri giovili! eh 1 usali 
Sien con la madre lor gregge a‘<alire, 
Che già d'esse più volle insanguinali. 
Senza la scorta poi prendono ardire, 
Conlra ì più grossi armenti, e meglio armati 
Di pastori e di cau, soletti gire, 

Che da quei, più di lor sagaci e forti, 
Sien col troppo voler battuti c morti ; 

ttv 

Fermi il passo ciascuno, e solo intenda 
A non muover giammai di loco il piede t 
£ se più non potrà tanto il difenda, 

Cir al fiu morto di lui rimanga sede ; 

Sé stesso a virtù sproni, e gli altri incenda, 
Che vinti dal timor vicin si vede, 

Con dir, chi cinge il ferro, cinga insieme 
D' alte lodi acquistar desire e spense. 

Lll 

Tale allor questi due con Segnrano 
F.bber di pari ardir simil fortuna, 

Ch* ad ambo insieme la spietata mano 
La vita e '1 giorno in nn momento imbruna; 
Di questo getta il capo a lui lontano, 

E quell* altro percuote, ove s'aduna 
L’ ultima costa al suo sinistro lato, 

E presso al pio fratello è riversato. 

LV 

Con tai voci arrestò 1* invitto corno, 
Ristretto in un con raaestrevol arte ; 

In guisa che lalor nel fosco giorno, 
Quando inchinando il sol da noi si parte, 
Folta nebbia veggiam, eh' astiede intorno 
Di monte alpestre alla piu altera parte, 
Allor che Borea, ed Austro, ed Coro giace 
Co' suoi compagui iu riposala pace. 

LXII 

Pianse il vecchio pietoso, quando scorse 
La valorosa coppia a morte giunta ; * 

E ch'alia gioviu voglia uou occorse, 

Di paterno dolor 1' anima ha punta, 

E quasi al vendicargli irato corse : 

Ma in questo mezzo strettaincute aggiunta 
K 1* avversaria già con la sua gente. 

Tal eh’ ad opra maggior piega la mente. 

LVl 

Già vico con largo passo Separano, 

K ‘n superba sembianza s' appresola, 
l)ireudo : Or tragga fuor 1' ardita mano. 
Chi quest' arme, ch‘ io porto, nou paventa; 
ludi una asta nodosa di lontano 
Vibrando iu aria tra' nemici avventa ; 

Nè corse in vau, ch'aggiunse Liromede, 
Che 'n mezzo alla Cornubia avea la sede} 

I.ZIII 

E rivolgendo il guarJo in ogni loco. 
Pur i suoi nel bisogno riconforta. 

Che nessun per timor mollo uè poco 
Al furor dei nemici apra la porta ; 

Ma il fero Seguran, eh' ardcule foro 
Negli occhi, nella mano, e nel cor porla, 
Sopra i primieri, ove col ferro aggiunge, 
Quanti puotc incontrar percuote c punge. 

LV1I 

E del nobil Cremo era nipote. 

Ricevalo tra’ suoi con sommo onore; 

E nell' estremo al ventre gli percuote 
Il mortai ferro, e '1 trapassò di fuore : 
Cade inverso la piaga, e mentre scuole 
Le braccia intorno, e i piè, languendo muore; 
Ma pietosi di lui Lieo c Driaule 
Con voler del buon re si fanoo avanle. 

LZIV 

Truova, che ’nsietne Amintore e Dinea 
A quei, che indietro snn, si fanno scudo; 
I quai scampando altrui da sorte rea, 
Hauuo in sé ricouverso il ferro crudo ; 
Perch* all’ un col poter, eh' estremo avea, 
Passò la spada, come fosse ignudo, 

Per entro il petto alla incurvala valle. 
Che nascosa iu tra lor formau le spalle. 

L VI II 

Eran questi Tralci del sangue usciti 
Del famoso e grand' Orcado Prloro, 

Che poi regnaudo ne’ Britanni liti 
Fu possente tra tor di terre e d'oro, 
Padre di Perifeo, che tra i graditi 
Guerrirr, che a Pandragon più amici foro, 
Era il primiero, e questi cari e soli 
Della bella Ippodaoiia ebbe figliuoli ; 

Mf 

Dinea fere alla fronte, dove appare 
Assisa in mezzo la piu larga veua ; 

E '1 fe’ col volto iu allo riversare, 

E di sangue irrigò la pressa arena ; 
Segue ultra, ove più insieme risrrrare 
Vede la folla schiera, e sta ripieua 
D‘ ostinato voler di morte Certa, 

Pria che lassargli inai la strada aperta. 

L4X 

I quai nodrì nel gemino valore 
Del ferro illustre, e delle dotte carte ; 

Nè scerner si potea, chi eoa più amore 
Gli ricevesse in seno Apollo o Marte, 

Che per 1’ uno e per 1' altro in sommo ouore 
Eran saliti altrove e "u quella parte, 

E di più d' uno alloro > eran ciuti 
Di cavalier, eh' aveano uccisi o vinti. 

UVI 

Ivi con piti furor s'accampa allora, 

E tutti i suoi miglior d* intorno accoglie ;• 
Qual rapido torrente, a cui talora 
Il semplice cultore il corso toglie, 

E per altro cammin, del vecchio fuora 
Spinger il vuol, contrario alle sue voglie ; 
Gli' ove intoppo maggior traverso truova, 
Tanto piu tì’ espugnarlo usa ogui proova. 


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Tal l’aspro Seguran quanta ha virtnde, 
Quant' ha forza e valor sovr* essi spirga ; 

Ma ’l Britanno drappel, via più clic incude. 
Sta saldo ai colpi, c non sì torce o piega; 
Duce non ha, che non *’ affanni e sode, 

E ’l valoroso re conforta e prega ; 

E dove alcun de’ suoi reggia ire a terra, 
Con nuovi altri gocrrier rustico la guerra. 

errili 

Nè il famoso Coorte indarno siede, 

Che pronto ha in ogni parte il pauoe’l ciglio, 
E nell* uopo maggior disceso a piede. 

Tosto ivi accorre al pubblico periglio ; 

All’ apparir del qual lutto si vede 
Il campo più che pria farsi vermiglio, 

Che spinge innanzi, e con l’ invitta spada. 
Ove sta Scguran, prende la strada. 

I.XIX 

Il qual, come vicin venir lo scorge, 

Il chiama, e dice : O misero Boorte, 

Qual contrario pianeta oggi vi scorge 
Nel Corir vostro a rosi acerba morte ? 

Alta pietà di voi nel cor m» sorge, 

Nè mi dolgo anro men della mia sorte, 
Ch’ all’ occider mi sforzi un guerrier tale, 
E di’ amai sempre alle mie luci eguale. 

txx 

Ben adiste già dir, ch’io giovinetto 
Fui del re vostro padre intero amico : 
Mrntr’ io piva formando il rozzo petto 
Col suo valore, e col gran senno antico; 
D’ ogni contento suo preudea diletto, 

E quanti in odio avea, mi fu nemico ; 

Nè mai saggio figlinolo amò più il padre, 
Ch’io fei lui sempre e l’opre sue leggiadre. 

LXXI 

E *n questo istesso loco mi trovai 
Seco con 1’ arme in man contro a Clodasso, 
Là dove il popol suo colmo di guai 
Rendei più volle, e Itti medesroo lasso ; 
Infm che in altra parte me n'andai 
Yerso il Castel del periglioso passo. 

Che mi sforzò )* onore e 'I dever mio, 

E ’nlaato il miserei del mondo nscio. 


Ben mi dorrei, se mi sforzasse tale. 

Che foste per mia man di vita in bando ; 

E però vi riprego, che ’l fatale 
Corso v’adduca in altro loco errando; 

E sopra il nuovo popol, che n’ assale, 

Possa la mia virtù mostrar col brando ; 

Nè mi vegnan vittorie, onde le spoglie. 

Più larghe, che gli onor, m’apportm doglie. 

txxv 

Ma l* ardito Boorte in alto altero, 

Poi ch’ha quelo ascoltato, gli risponde: 

Se '1 Ciel vorrà (che ’l tutto scerne intero, 
E senza il cui voler non crolla fronde) 

Che mi tolga del mondo il braccio fero 
Di Scguran, cui tal valore infonde: 

Il mio fuggirse altrove indarno fora. 

Che scampar non porria, nè indugiar 1’ ora, 
tv XVI 

11 medesroo awrrria, signor, di voi. 

Se ’l fin per qnesta man lassù v’è dato; 
Però fia ben tentarlo, e ’l vedrem poi, 

Che 1‘ uom conosce sol quel eh" è gii stato-, 
L’ antico e chiaro amor, eh* ora è fra noi. 
Anco dopo il morir non cange stato; 
Perchè non drbbe odiar 1’ anima forte. 

Chi col ferro d‘ onor la spinse a morte. 

LXXYIi 

Così detto, ripien d' alto desire 
Di gloria rivestir con guerrier tale. 

Drizza alla testa il brando, ma ferire 
Altro non può, che del serpente 1* ale ; 

Ch’ alto levò lo srudo a ricovrire 
Il colpo, che scendeva egro e mortale, 

L* accorto Scguran, che non disprezza 
Quella giovine età nell’ arme avvezza. 

Lxxvm 

Non vien per questo men I* altera speme, 
Ch’ al valoroso Gallo il petto avvampa. 
Clic in diversi altri modi il punge e preme, 
E 1’ arme iutorno perrolendo stampa ; 
L’altro, eh* offender lui nell’alma teme, 
Solo a difender sé le forze accampa, 

E si cuopre or col brando, or con lo scudo, 
Infm che ’1 vide poi di pietà nudo. 


Dopo il qnal vi rimembre il sommo amore, 
Ch’a voi, come a figlino!, portai mai sempre ; 
Or se il Ciel, rivolgendo i giorni e I' ore. 
Dell' esser nostro poi cangiate ha tempre; 
Non avrà fona mai, die questo core 
(Se ’l composto mortai non si distempre) 
Non sia pure il medesmo in ogni sorte 
Verso il nome onorato di Boorte. 


Ma poi che sposo son di Claudiana, 

E di Clodasso suo genero fido ; 

Non sia stimata a torto opra villana. 

Se di quella, c di lui difendo il lido; 

E se già 1* altra età poco lontana 
Yide Avarco de’ vostri antico nido, 

Giove riguardi a ciò, che ’l nostro Marte 
Volge la vista sua per altra parte. 


Però che sopra il braccio il ferro scese 
(Ch’ ei non poleo schivar) con tanta possa, 
Che la man tutta, e ’l destro lato offese, 

E dentro gl* intronò la carne e 1’ ossa : 

L* ira di Marte atlor ratta s* accese 
Nell’ aspro Iberno, e la pleiade ha scossa. 
Dicendo : Poi che in voi non vai 1’ amore, 
Yalga di Scguran 1* odio e "1 furore. 

LXXX 

E qnal levriera pia, che talor soglia 
Co’ suoi stessi figliuoi mordersi a gioco, 
Ch* ancor che i denti lor le apportin doglia, 
Se moderata vien, la soffra un poro ; 

Poi se passa il dever, cangia la voglia, 

E ’l gran materno amor non ha più loco ; 
Che disdegnosa al fin lor corre sopra, 

E l'unghia e '1 morso a gastigargli adopra; 


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L ÀVÀRCH1DE 



imi 

Tale arvfen di Boorle a Separano, 
Che ’n disdegno»» pitta a lui t' avventa ; 
L' invitta spada, la feroce mano 
In basso spinge al vendicare intenta ; 
Ogni ferro, ogni tendo era ivi invano, 
Per far riparo alla sua vita spenta; 

Ma il giovinetto «nello in leve salto 
Serur si fe'dal periglioso assalto. 



f XXXVIII 

Nè si saria, cnm' or, con tanto ardire, 
Di si gran cavalier mesto al p.irapgio ; 
Il qual pensando in alto dì ferire, 

Già dalla esperienza è fatto saggio, 

Gir ei vede indarno il colpo riuscire, 

E nel nemico «no tutto il vantaggio; 
Che la spada gli pon sopra il cimiero, 
E in due parli il ripose sul »ru litro. 


LXXXlt 

Ond* il gran colpo con dannoso scherno 
Sopra 1’ arena scorse a Ini vicina : 

Dietro al cui grave peso il fero Iberno 
Le sollevate membra stese inchina: 

Con più romor, eh’ al tempestoso verno 
Non fa di cerro antico alla mina. 

Che ’1 rapido torrente intorno svelse, 

E del torbido corso preda felse. 

LX XXIII 

Il cortese Boorte ratto accorre, 

E pensa ogn* nom, che per ferirlo vada, 
Quando veggion pirto«o, che'l soccorre, 

E lien Innge al suo mal l’agnta spada: 

In questo mezzo d' ogni intorno corre 
Genlr, che’ntra Inr slue chiude la strada; 
E già le schiere son si strette in ano, 

Che ’1 tuo loco a guardar torna ciascuno. 

LXXXJV 

Ma il forte Seguran, qnal rapii!’ orso, 
Glie d’ alto arbor pomoso cadde a terra. 
Che con tutto il poter d' unghia e di morso 
Delle piante più basse i rami atterra; 

Tal egli abbandonato all' ira il morso, 
Scndogli tolto in Ini, muove aspra guerra 
In quei, che primi incontra, e d'essi face 
Qurt, che di cervi suol tigre rapace. 

I.XXXV 

Trovasi presso il misero Balante, 

Che di Mamhrino il saggio era cugino ; 
Panogli il petto, e eoo la fronte innaule 
Giacque al suo perrustor tristo vicino ; 
Ippaso poscia se gli oppose avanir, 

Ch’ ebbe al compagno pi» pare il destino; 
t hè come in grado egual vissero iusieme. 
Una morte medesma anco gli preme. 

LXXXVt 

Ma ferito fu questi, ove la gola 
Aggiungendosi al petto è cava alquanto ; 
La vita appresso crudelmente invola 
A Stirino, Mimico, Laso, e CIraiilo 
Della progenie Uvallia, che già sola 
Tra i più chiari Prmhruchi aveva il vanto 
D’ aver domala la famosa Arforda, 

Che col nobil legnaggio mal s’ accorda. 


I. XXXIX 

Vien dopo questo il nobile Efìmone, 
Che nato d’ alta stirpe in Bangaria 
Mezza soggetta avea la regione, 

Che ’n verso Brestolina apre la via; 

E ’ncontro al gran furor folle s’oppone 
Del possente guerricr, ch* a morte ria 
Di gir volando gli mostrò la strada. 
Trapassalo nel ventre con la spada. 

xc 

Giva segnendo ancor, sicché in poc* ora 
Uccisi avea tanl’ Orcadi e Britanni, 

Clic nessun più d’ avanti &li dimora. 
Ammaestrato in se dagli altrui danni; 

Già più d’ un duce di speranza è finirà 
Di rimedio trovar degli altri aiTanni ; 

E più ch* alla vittoria, o alla viriate. 
Volge ogni suo pensiero alla salute. 

xn 

Era gito Boorte in altro loro 
Contro al fero Ondino, e ’l re Brnnoro, 
Ove acceso trovò sì ardente foco, 

Ch’ ei non può per altrui lassar costoro; 
Ma il buon re Lago, poi che stanco c roco 
E de’ suoi richiamar, che in fuga foro. 
Come altra volta già, si spinge avante 
Con passb e cuor di cavalicro errante. 

xcii 

Ma il pietoso figlino!, che vicin vide, 

E molli altri suoi duci appresso chiama, 
Matanzo il Bruno, e ’l caro suo Patridr, 
Clic non inen di se stesso apprezza ed atua; 
Malagranle, Plrnoro, e 1* altre fide 
Scorte più amiche, e d' onorala fama ; 

Le quai senza tardar gli vanno intorno. 
Come sciolti levrieri in caccia al corno, 
xctti 

Quando il gran Seguran vicina scorge 
A’ suoi danni venir l’ eletta torma ; 
Quanta pisi puote, al cor baldanza porge. 
Si che vieti al sno piè di cangiar orma ; 
Sveglia ogni forza, e con le spalle insorge, 
E nel saldo ferir se stesso informa : 
Conferma ben nel braccio il grave snido, 
E nella destra mano il brando crudo ; 


L XXXVII 

Bitruova, olirà a costor, l'altero Alito, 
Parente di Serbino e Pellicano, 

Del seme altero di Merlino uscito. 

Ma dell’ arte di lor molto lontano ; 

In cni te, conte i suoi, fosse nutrito, 

Avrìa previsto allor, che ’n Segnrano 
Fu riposto il suo fine, onde polca 
Forse altrove indugiar la sorte rea. 


xeiv 

In guisa di cinghiai, che ’ntorno cinto 
Tra cani e caccia lor del bosco fuorc, 

Si vrggia in loco aperto esser sospinto, 
Ove al suo scampo ha sol l’arme e 'I furore; 
Che 'I dente mostra alla battaglia areinlo, 
Incurva il dorso, c ’n minaccioso orrore 
Drizza l’ ispide sete, raspa e freme, 

E nel suo desperare ha solo speme. 


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L AVARCHIDE 




xcv 

Sopra il primo, che vie», »e tinto sprona 
L' irato Iberno, e scese 1' atpra torte 
Nel pio Drianzo, a cui tal colpo dona 
Sopra 1* elmo ben fin, che ’1 potè a morte 
Poi con superbe voci allo ragiona : 

Venga innanzi di voi cbi fia più forte. 
Perchè posta sentir, te questa spada 
Meo grave in Ini, che nel compagno vada. 

cn 

Torna alla sua sinistra là, dov' era 
Creato, Ivano, e '1 nobile Mambriuo, 

Nella parte, a cui stende la riviera 
Il tuo lido arenoso più vicino ; 

Ch* a battaglia ivi perigliosa e fera 
Son con Rrunoro il Nero, e con Cludino ; 
Ma cosi van di par, eh' essi non sanno. 
Chi più s’ aggia di lor vittoria o danno. 

XCVI 

Ma 1* altra schiera insieme va ristretta, 
Che così gli ammaestra il vecchio saggio, 
Dicendo : Chi desia di far vendetta. 

Noi deve refular quand'ha vantaggio; 

S* io fossi ancor di quella età perfetta, 
Che fu degli anni miei 1' aprile e 'I maggio. 
Andrei certo più tosto ignudo e solo. 
Ch'or con tali arme, c eoo si largo stuolo. 

Citi 

Ma nel primo apparir di Separano 
La volubil Fortuna il dubbio solve: 

Ch' a pena giunto ancor, la cruda mano 
Ha gettato riverso tra la polve 
Il forte Attorion, cugin d' Ivano ; 

Il qual, mentre ehe 1' alma si dissolve. 
Chiede al suo vel terrestre sepoltura. 
Per non restar di cani empia pastura. 

XCVII 

Ma il meglio è d' obbedire alla natura, 
E quali ella ne dà, le forze usare ; 

E tanto più colui, ebe sol procura 
La salute e'I ben pubblico servare: 

Però senza tenere or d' altro cura. 

Clic di questo erudel quindi levare, 
Andiam congiunti insieme, perchè invano 
Sarebbe un sol di noi con Segurano. 

ar 

E Inogo ebbe il pregar, ma non ai tosto, 
Ch’ allora è in altro aliar ciascuno iuteso; 
Perchè non lunge a lui per terra ha posto 
Il giovin Mencsteo da morte offeso, 

Ch’ al possente forore indarno opposto 
Sperò di sostener più grave peso. 

Che nou fu ’1 suo valore, e se n accorse, 
Quando il colpo morule al venire scorse. 

XCVIll 

Ch* ancor che’ sia di me più giovin tanto, 
Ch'io non fussi giammai seco a battaglia, 
Sento da lutto il mondo dargli il vanto 
Sovr’ogni cavalier che vesta maglia; 

E benché ceda a Lanrilolto alquanto, 

Al possente Tristan forse s’ agguaglia t 
E I’ un scndo lontano, e 1* altro irato, 
Deviam ben riguardare al nostro stato. 

cv 

Dopo costoro uccise io nn momento 
Sfeleo, Ctonio, Micipso, e Licofone, 

Che tutti avean suggelli e reggimento, 
Ove nel mar Sabrina si ripone ; 

Passa olirà il crudo, e tra '1 fugare armento 
Sembra affamato e rabido leoue. 

Che d'altra preda pria spoglialo fosse 
Da pastorale schiera, clic '1 percosse. 

XCIX 

Cosi dicendo, angusto cerchio fanno, 
Che ben doppiato fia da ciascun lato. 

Al feroce guerrier, che mortai danuo 
A' Matagraule d' una punta ha dato, 

Che gli ha passato il cor, ma gli altri l'hamio 
Col sovente ferir lutto intonato, 

Si che gli sembra il mondo gire intorno, 
Di color varii, c di facelle adorno. 

evi 

Creuso il Senesciallo, e *1 prode Ivano, 
Coi miglior cavalier, di' aggiano appresso, 
Ben ristretti fra lur, drizzati la mano, 

Ove il popol vicin più viene oppresso ; 

Ma quaulo oprano in ciò, ritorna sano, 
Che lo stnol paventoso in fuga messo 
Avea chiuso il canuniuo, e ’u tutta forza 
Di fermare ivi il piè ciascuno sforza. 

c 

Onde sforzato al fin ritira il passo, 

E poi con dignità fra* suoi si resta, 

Di sdegno più, che di fatica lasso, 

O che d' aspre percosse della testa ; 

E quando è in se d' ogni speranza casso 
Di passare olirà il vallo, ehe 1' arresta, 
Rivolta in altra parte, e in altra strada 
L' aspro furor della mortale spada. 

Ctll 

Surge Mambrino il saggio d' altra parte, 
Che men l’aspra tempesta avea sentita; 
Sveglia chiamando il buon popol di Marte, 
E ’n lai conforti alla difesa invila ; 

Ora è '1 tempo a mostrar, se 1’ anlic’ arte 
Del militare studio è iu noi fallita, 

Che fu già si pregiata in Bangaria, 

Che di tutta Bretagna in vanto avia ; 

CI 

Simile a quel possente altero fiume, 

A cui l’arte e '1 valor d'umani ingegni, 
Ove il corso drizzare avea costume, 
Chiuser con gravi sassi e duri legni; 

Né sia di forza tal, di' apra e consume 
Di sotto, o intorno i validi sostegni ; 

Che per altro sentiero abbaile e svelle 
Quanto incontra, e 1 rumor vola alle Stelle. 

eviti 

0 se siamo i medesmi, ehe più volte 
Al Belico furor ponemmo il freno ; 

Che già con mille navi insieme accolte 
N' avean privati del natio terreno ; 

Onde tante poi far tra fiamme avvolte. 
Quando del sangue lor, c'euipiemmo il seno; 
O quelli stessi, di' al vicino Iberno 
A viani fatto so veute e danno e scherno. 


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A V A R C H I D 



CtX 

Qnesti, di coi lenirle il guardo solo, 
Son tulli dì color, di eli* io ragiono, 

Nati e nodriti dal medesmo polo, 

Nè dal ciel piò di quelli han proprio dono ; 
Ora al primo valor si spieghe il volo, 

E rinfreschi di lui 1' antico suono, 

E seguile il mio piè, che vi conduce 
Alla vera di gloria eterna luce. 

ex 

Cosi dicea Mambrino, e mostra loro, 
Per piò infiammare i cor, 1' altero scudo, 
Clic di perso colore e d' ostro e d’ oro 
Diviso appar, d* ogni animale ignudo: 

E lassando Oiouel eoi re Bruuoro, 

S' invia co’ suoi, dove l' Iberno crudo 
Opra in danno d' Ivano e di Crenso 
Oltre a quel che convegna al mortai uso. 
cxi 

E Ini con grande ardir primiero assale, 
E gli dà in mezzo al capo aspra percossa, 
(-he ben I offése assai, ma non fu tale, 
Che impiagare, u impedir dì nulla il possa} 


L’ altra stia compagnia formata in ale 
Da sinistra e da destra insieme è mossa, 
E con l‘ aste e coi brandi gli slan sopra, 
E di metterlo a terra ogni uomo adopra. 

cxn 

Ma qnel rìgido scoglio è sempre in piede, 
Nè paventa il furor di questo mare ; 

Pria di tutti Mambrin nel braccio liede, 

E gli fece la spada abbandonare ; 

Poi fra gli altri guerricr, che ’n torno vede, 
Tra fugaci colombe aquila appare, 

(•he chi in fronte ferito, e chi nel fianco 
Tra *1 fuggire e ’1 morir venuto è manco. 

ex in 

Or poi che s* è veduta quella speme, 
Che piò gli sostenea, cadere io vano ; 

E che quanto egli incontra abbatte e preme 
L’ allo valor del fero Segurano, 

Ciascun si forte ornai la morte teme, 

Che sprezzalo ogni dnce e capitano. 
Stendendo il corso per l'angusta valle, 

Al nemico vicio voflan le spalle. 



CANTO Vili 



ARGOMENTO 

accoglie; i fuggitivi il prode Arturo 
F. rieri contro di nuovo a Separano ; 
Torna quindi per ambo il vincer duro ; 
Ma dal campo il secondo va lontano, 

Che (.lodano lo appella entro del muro 
Ove al Aume sacrifica, nè invano ; 

La sposa abbraccia , e con ('.lodino poi 
Torna alla pugna a sostenere i suoi. 


C. 1 , 

s-/i tosto come avvien cl» al grande Arturo 
Le sollecite orecchie ripercuota 
Del re Lago e de' suoi lo stalo oscuro, 

K r aspra fuga di speranza vota; 
b a che I re Caradosso il bianco e puro 
Bel vessillo reale al vento scuola; 

E le Minore trombe in quella parte 
Sveglin dal nido suo P invitto Marie. 


il 

E de* suoi cavalier l'ornate squadre, 
Che nell* aperto campo avea distese, 

Vien tutte rivedendo, e qual pio padre 
Lor rinfresca d’ onor le voglie accese. 
Dicendo : Or vien dell’ opere leggiadre 
(Alle qnai sempre aviani P aniine intese) 
La stagion convenevole, da poi 
Ch' ogni estremo rimedio è posto in noi. 
ut 

Ben potete veder, eli* or sola giace 
La salute comune alla man vostra : 

Che se fia del valor, di’ a lei confacc. 

La vittoria e la gloria iu tutto è nostra ; 
Ora a quel sommo onore, e ben verace, 
Che la grazia di Dio n* alluma e mostra, 
Andiam con lieto cor, se-guiam l’ insegna, 
Che ’l celeste scntier con l’ orme segna. 

iv 

Così detto a ciascun, posalo e tardo, 
Ben fra loro agguagliato il passo muove, 
Infin di' all' avventar di lancia, o dardo 
Viene, ove Seguran fa Palle pruovc ; 

Indi come cervice, leone o pardo, 

Che la preda affamato in selva truove, 

La polve tosino al sol destando in allo, 
Sprona il corso veloce al fero assalto. 


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AVARCHIDE 


Il romor de* deslrier, dell' arme il tuono, 
Nell’ oscuro sentier che non appare. 
Sembra all' autunno il tempestoso tuono, 
Che copra il fosco ciel ci sente andare. 
Spaventando rolor che carchi sono 
Di pensier crudi, e d’ atre culpe amare | 
Poscia in ardeule fulgor sì converte. 

Che le gelate nubi ha intorno aperte ; 

ti 

£ con mortai fragor girando scende, 
Ov* han I' ombra maggior gli eccelsi monti, 
Ch' or Ossa, or Pelio, or Apennin» offende, 
Ove d* Amo, e di Tebro rsron le fonti ; 
Or I* alte torri, or col furore incende 
De' sacri tempii le famore fronti; 

Or degli arbor più antichi abbatte r doma 
11 piè, le braccia, e la cangiala chioma. 

TU 

Con sembiante furor, di notte avvolta 
A ferir vien quest' animosa schiera. 
Riempiendo d' orror qnel, che I' accolla, 
Ala più di lei cchivar (lasso) non spera ; 
Giunge ove Srguran con gente folta 
L'attendeva orgoglioso, e ’n vista frra ; 

£ s'ha d’aste e di scudi fallo schermo. 
Quanto può, contro a lur sicuro c fermo. 

Tilt 

Ma non ha il mondo forza, che soslegna 
Di Unte lance, e lai I' estrema possa ; 

Tal eh' in un punto col la regia insegna 
Fa di mille guerrirr la terra rossa. 

Che nessun resta in piè 1J», dove segna 
D" esso colpo primier I’ aspra percossa ; 

Nè sol quei, ch'ivi fur, ma molti poi 
Dal medesimo urtar caddcr fra' suoi. 

IX 

Passando ultra i destrieri, e mille ancora 
Premendo van sotto il ferrato corno ; 
Quasi simili a quei che Iraggon finirà 
Della spoglia il frumento al caldo giorno, 
Quando il villan cui freii saldo dimora 
Del loco in mezzo, c fa girarse intorno 
Di giumenti c di buoi I’ elette torme, 

Che l'arido suo vcl tritio con 1' orine. 

x 

Rutta la lanria poi, si rrra in mano 
Ogui buon cavalier la grave spada, 

£ con quella da presso e da lontano. 

Ove spinga il cavai, s* apre la strada ; 

Tal che piùd' un guerrier, che sia sovrano, 
Con vien per opra lor, eh’ a morte vada, 
Oltre alla turba abbietta rd iiiGuita, 

Che tra gli urli e ’i furor lassa la vita. 

XI 

Uccise il gran re Arturo Ciiiufonte, 
Congiunto amato di Brimoro il Nero, 

Nato io Usfalia alla gelala Ironie, 

Ove al Cimbrico mar volge Visero, 

Di sangue illustre, e di ricchezze conte 
Sopra molti vino teneva impero, 

Saggio nel consigliar, nell’ oprar forte, 

£ 1‘ onore e '1 valor gli erano scorte. 


Le quali ad aspettar soletto a piede 
L' ohhligaro mi tal re di tanto nome, 

Clic d’ alto allor sopra la fronte il fiede, 

£ di sangue gli empiè I’ elmo r le chiome ; 

E della sua virtù venne a mercede 
Lo srarcar 1* alma di terrestri some 
Per la piu chiara man, che fosse allora 
Dal mar d'iberia a’ liti dell'aurora. 

xni 

Il nobile e famoso Cliildebcrlo, 

L' allo erede primier di Clodoveo, 
Quantunque giovinetto e poco esperto. 
Diede aspra morte all’ infelice Argeo ; 

Che nacque ove più mostra il fianco aperto 
Ver la Canlabria il salto Pi re neo ; 

Che sposò di Yerrallo la sorella 
Neil’ eli sua dascuu fiorita e bella. 

xtv 

£ *1 privaro in quel dì le stelle infiJe 
Dell' alma e della fiamma oud’ egli ardca; 
Che dalla destra spalla gli divide 
Il braccio, che la spada sostenta ; 

Cadde il miser, chiamando le sue fide 
Genti in aita, che ben lunge avea ; 

£ lo spirto, che breve in lui dimora. 

Dal premer de' cavai fu trailo fuora. 

xv 

Clotario uscito dal medesmn Franco 
A Mrlanippo il rio la vita toglie, 

Nato in Poraeria, ove le bagna il fianco 
Con I onda Orlelo, clic le nevi accoglie; 
Questi del padre suo canuto e bianco 
Reudeo sanguigne le sacrale soglie ; 

Perchè il fratei, che di lontana sede 
Dovrà tosto tornar, non fesse erede. 

XVI 

Or per quell' empio cor, eh* a fabbricare 
Il pensiero infernale era stai’ oso, 

La giustissima spada ol trapassare 
Fe' io fato al dorso il giuviue famoso ; 

Nè Clodamiro il frate vuol mostrare 
D* esser manco de' duoi d' onor bramoso ; 
Come il quarto con lui Teodoriru 
D" esser uicii di virtù, ette gli altri, amicu. 

XVII 

E rosi questi due congiunti in uno. 

Non liiuge mollo all' onorato Arturo, 

Clic qual padre provvede, che ciascuno 
Sia di lor ben guidalo e ben sicuro, 
Triturano insieme Ifilo, e Crnmio il Bruno, 
Fratei Burgundi, e nuu di saugue oscuro; 
Ma cugin ili Clolilda, clic già feo 
Questi quattro ligtiuoi di Cluduveo. 

xv ni 

Ma le parli seguiau di Gunebaldo, 

Che di lei il padre Cliilperico uccise ; 

Nè il legame fraterno intero e saldo 
Al desio di reguar termine mise. 

Or questo unico par sicuro, e baldo 
Gli incontrali nemici si divise ; 

Clodamiro percosse ju fronte lGlo, 

L utìu sovra la gola è il colpo gito. 



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l’ avarciiide 

XIX 

Ferito è Cromi o nel sinistro lato 
Dal buon T collerico, e posto a terra; 
Indi truova Agraveno il forte Acato, 

Cbe tra* suoi pochi pari aveva in guerra, 
Nel natio regno intorno circondato 
(Come invitta città muraglia serra) 

Dalla frondosa Ereinia, e poco meno 
Era in Praga onorato, che Drumeno. 

XXVI 

Dopo rostor Bralleno ed Amillano, 
Taurino, i frati, e Meliasso il Bello, 

Il Bruii quei senza gioia, ed Urianu, 

Con l’altro invitto c nobile drappello. 
Nei suoi nemici insanguinò la mano, 

E fere sopra lor largo flagello ; 

Nè T un mai più dell’ altro apparta lasso, 
E d' una riga egual moveano ti passo. 

XX 

Gli trapassò la gola nel traverso, 

E di lei l’aspra (istilla divide; 

L’ ardito Gargantin, Unione il Perso 
Della patria medesma, seco nccide, 

Che di sangue iuGnito il petto asperso, 
Disumando il riel, ch'a quella sorte il guide, 
Rolando gio, come in sospesa piaggia 
Suole il secco troncun, cbe spinto caggia. 

xxvu 

Come dopo 1* aprii si pon vedere 
Gli accorti mietitur per gli ampi prati, 
Dipartirle fra loro in larghe schiere, 

E ’n drittissimo (il gire agguagliali; 

Poi nell' ordin medesmo far cadere 
Gli aridi firn per terra riversati 
Con 1’ adonche sue falci ; e ’n eotal forma 
D’ Arturo ivi apparia l'egregia torma. 

XXI 

Il ravalier famoso di Norgalle, 

Che tra' miglior guerrieri il mondo stima, 
Che quelli avea della Lomnnda valle. 

Che '1 Grampio adombra con 1’ altera rima, 
Nel petto fere, e '1 passa oltra le spalle, 
Off leste, che (ien la gloria prima 
Nel possente luttare, e fu il più chiaro 
Del terren, che ronlien Rodano c Varo. 

xx mi 

Ma il fero Seguran però non manca 
Di mostrar la virLidr, ond' è ripieno ; 
Sosticn la gente spaventosa e stanca, 

E raccende il valor, ch'ha spento in seno; 
Or nella destra parte, or nella manca 
S' avventa, come il folgore o *1 baleno ; 
Or Ira i nemici in mezzo si vedea, 

Or dietro a tutti i suoi, che gli spingea. 

XXII 

Ma non gli valse illor eontra la spada 
Del nobile e fortissimo Britanno, 

Uh* abbattuto conviro, ch'a basso vada, 
Avendo de' mortai t’ultimo danno; 
Segue rotini per la medesma strada 
L' Iberno Cebrinn con meno affanno, 
Perché nel cor da Ganetmoro aggiunto. 
Senza doglia sentir muore in un punto. 

XXIX 

Quale invitto norchier, che da tempesta 
Perigliosa sorpreso esser si vede; 

Ch'or col fischio, or rnl grido mai non resti, 
E nel tuo cominciar tosto provvede ; 
Ch’allenta e lira or quella corda, or questa, 
Com' or drillo, o traverso il vrnto Sede ; 
E secondo il furor, che il legno assale, 
Cresce, o tarpa di ini le candide ale; 

XXIII 

Malchino il Grosso, ch'ai giganti sembra, 
Incontrò di Sassonia Polentone, 

Che smisurata forza anrh* egli assembra, 
Più d'altro assai di quella regione. 

Per tallo ciò con le possenti membra 
I)' un colpo nel cimiero a terra il pone ; 
E sonò nel cader 1’ armala spoglia, 

Come d’eccelso pin rovina soglia. 

XXX 

Ma poi che ’l suo sentier sente, che sforza 
IV una sol parte l'Austro, o 1’ Aquilone; 
Con bassissime vele, alla sua forza, 

Tutto romito in se, la prora oppone; 
Volge il timon contrario, e stringe l'orza, 
E di uon traviar la cura pone i 
Clic se '1 ratniuiu, che intende, gli sia tolto 
D' avauzar per allor, uol perda mollo ; 

XXIV 

Fere il medesmo il nobile Gerflelto 
A Reso il Provenzal ferito al fianco ; 
Polilm poi con larga piaga al petto 
Resta abbattuto da Finasso il bianco; 
bandone il destro tra i miglior perfetto, 
11 cui sommo valor non fu mai stauco, 
Con la punta mortai del fero brando 
Pose il uiisrr Litico di vita in bando. 

XXXI 

Tale il gran Seguran, poi eh' al furore, 
Che improvviso sorvenne, è in piè rimaso; 
Rinforza il tutto poi dentro e di fuore, 
Che possan contrastare ad ogni caso. 

Con 1' aste i suoi guerrier di più valore, 
Che di Connacia avea verso l' occaso, 

Pon nella fronlr, e di lor duce feo 
11 sdo più chiaro amico il forte Alceo. 

XXV 

Non resta indietro il saggio Talamoro 
Con la doppia virtù, ch'ha in guerra e'n pace, 
Ch'uccise Ileo, come il engin Ma odoro 
Spento il miser Coon di spirto fare ; 

E per man del ricchissimo Arganoro 
Della testa privalo Emouio giace ; 

Quel, che nato tra' Goti Orieulali, 

Pochi al fero suo cor trovava eguali. 

XXXII 

Qnei dell' Ullonia pose alla man destra 
Sotto il signor di Persa Banduino ; 

Gli altri, eh* ha di Lagima alla sinestra, 
Ove il fiume dell’Euro avea vicino; 
Questi alla guerra intrepido ammaestra 
Mogarto il Biondo, col fralel Sabrino ; 
Quei di Momonia stende alle sue spalle, 

E duci han Terrigano c Morialic. 


9 


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XX1III 

Come ha ben provvedalo Separano, 

E le forze addoppiate in ogni lato; 

Già di lutto a Clodin la rnra in mano. 
Ed a Bramirò il Nrro avea lassato ; 

E rol Nero perduto, e con Rossano, 
Sopra nn alto corsiero era montato. 

Per gir con arme egtial verso quel loco, 
Ove Arturo acccudca 1' ardente foco. 

ixmr 

In questa erro arrivar di sudor carco 
Il più onoralo araldo di Clodasso, 

Il saggio Ideo, che li venia d'Avarco, 
Mandato a Separa» con ratto passo; 

E gli dire: Signor se in alto varco 
Vi sollevi oggi il cielo, e spinga in basso 
Adoro, il nostro re prega, che vui 
Lassando ngn' altro aitar, regniate a itti, 

xxxv 

Per cosa appalesar, che molto importa 
Allo stato minime, e molto il preme ; 

E d'altro tanto il supplica e conforta 
La consorte rral, la figlia insieme ; 

E meniate con voi la rara scorta 
Del famoso Clodin, lor somma speme; 

E "I vostro dimorar si breve fia, 

Che danno indi nessuno uscir potria. 

navi 

Mentre ascolta il guerriero, il dubbio core 
Sente in mille maniere entro caogiarse ; 
Muovrlo il suo gran re, muovei 1’ amore 
Della sposa gentile, ond' arde ed ar»e ; 

D* altra parte il ritiro P ira e *1 furore, 

E l'ardente desìo di vendicane; 

Pur di*pon d'ubbidir, vedendo pure 
Di lassar le sue schiere assai secare. 

XXXVII 

E chiamato Clodin, gli dice : Frate, 

Ov* è il uostro re, gir ne conviene, 

Come Ideo vi dirà ; però lassate 
A Brunor, che di voi vece sostiene. 

Che con riguardo pio, fin che torniate, 
Provvepgia intorno, ove il bisogno viene: 
Cosi fece egli, e mossero indi il piede, 
Inverso la reai d’ Avarco sede, 

XXXVIII 

Ove schiera infinita innanzi accorre 
Di donne, verrinerei, di turba inerme, 
Pregando il Cielo, e quei di line imporre 
Ai gran perigli di lor vile inferme. 

Vanno ultra poscia, e sovra un'alta torre 
Di gran mura ricinta antiche e ferme, 
Onde aperto veder si punte in basso 
Ciò che 'I campo facea, Irò va n Clodasso, 

XXXIX 

Che con Albina sua, P antica sposa, 

E ron l'amala figlia Claudiana, 

Slava a mirar con P anima dogliosa 
De’ suoi *1 valor conira la gente strana : 

E perché avean già scorta la famosa 
t .oppia, clic per venir niovea lontana. 
Insperata non giunse, ma sì cara, 

Che lor fece addolcir la cura amara : 


XI 

Siringe il tenero padre il ginvin figlio, 
E ’l valoroso genero indi abbraccia ; 

La madre pia con lacrimoso ciglio 
Appellando ambe due stende le braccia ; 
La vaga sposa avea d' un bel vermiglio 
I)' intorno ornata P amorosa faccia ; 

Nè sa, elle farse, e 'n lei combatte insieme 
La vergogna e 'I desir, che punge e preme. 

XI.I 

Ma con tremante ror tacita attende, 

E del paterno amor si lagna ornai, 

('.he si lunga ora in ritenere spende 
Chi più degli occhi suoi Lieo caro assai. 
Ma il su» buon Segnran, clic solo intende 
Di rivolger la vista ai dolci rai. 

Si tosto come punte indi si scioglie, 

E l'onesta consorte lieto accoglie. 

xui 

Da cni di dolce lagrime bagnato, 

Senza parola udir, tutto si sente, 
lofio che di Clodin, eh' era da lato, 

La svrglia il ragionar soavemente, 

E le dice : Sorella in questo stalo 
Dimorar suol colei, che sia dolente, 

Non chi vede il consorte in somma gloria 
De’ suoi feri nemici aver vittoria. 

XUII 

A cni risponde allor: Fratei diletto, 

Del presente esser suo già non mi doglio; 
Anzi ringrazio il Ciel, che I* abbia eletto 
Per domar ai nemici il crudo orgoglio ; 
Ma chi può navigar senza sospetto 
Di tempo avverso, o di nascoso scoglio, 

E sia pur queto il mar, sereno il ciclo, 

E la stagion miglior, che incide il gielo ? 

XIJV 

Chi può securo star sotto la luna, 

Ove si cangia il tutto in un monteulo ? 
Sono i doni e gli onor della fortuua, 
Siccome arida fronda, o paglia al vento; 
A cui starnali fu chiara, oggi s'imbruna, 
E '1 passato dolzor volge in tormento; 

Tal eh' ogni uomo a ragion vive in timore, 
E per un mille un amoroso core. 

XLV 

Qui fini» 'I sno parlar, che 'I regio veglio 
Il grao genero appella, e 'I pio figliuolo : 
E dire ad ambe due: però che il meglio 
Fu di ricorrer sempre a colui solo, 

Ch' è d' arme c di valor P altero speglio, 

E che del quinto ciel corregge il volo ; 
Dico il possente ed onorato Marie, 

Che n’ ha gradili ogn‘ ora, e iu ogni parte ; 

xi vi 

Perchè venner di lui P antiche genti, 
Onde '1 sangue Vandalico discese ; 

Mi par, eh' a lui deviam drizzar le meati 
In tai perigli, e n sì mortali imprese; 

E supplicarlo unni, che uccisi e spenti 
H ernia i nemici, r libero il paese. 

Che col favor di lui di ferro cinto 

Ilo iu sommo mio sudor conquiso c violo. 


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£’ AVARCHIDE 



XI. VII 

LIV 

E di nò ragionando a Clitomrde, 

Qui si tacque il re anliro; e’I frro Iberno, 

Che del *no Mimmo tempio é sacerdote. 

Che stima il suo poter sovr' ogni fato. 

E le ro*e future aperte vrdr, 

Gli amorosi ricordi prende a scherno. 

Come noi le passate, e le piò note. 

E risponde iu terinon d'ira infiammato: 

Dopo alquanto mirar d* un' alta sede 

Or non sapete voi, che ’l proprio inferno, 

In quai voci presaghe 1' ali srnote 

Con quanti ha mostri, e furie in ogni lai», 

Opni rapare uecel, petardo nel foco, 

Non desleriano in me tanta puura. 

Ch* è 1* elemento mio, pur in quel loco : 

Che di forza, qual sia, leuessi cura. 

xtnn 

I.V 

Indi a me ritornando in lieto volto, 

Nè sete voi *1 prlmier, nè Clilomede, 

Mi disse: Alto mio re, irroro spero, 

Che di lui m’ ha narrate aspre novelle ; 

Che ’n sanpue e morte 1* avversario avvolto 

Perchè la Fata, che nel lago assiede, 

Tosto vedrete, e vincitore intero 

Mentre il nutria per le stagion novelle, 

Sepuran Ha, se di quantunque tolto 

Sovente mi narrò, eli’ aperto vede. 

Ayrà di preda al suo nemieo fero, 

Per quanto al nascer tuo mostrin le stelle. 

La qninta parte alinen promette in voto 

E per quel che Mtirlin gli solea dire. 

Al nostro altero Dio, piano e devoto. 

Ch’ io per la spada sua dovea morire. 

XMX 

tri 

E non lasse pa««ar l* ora fngaee, 

E mentre m* acrogliea con quello affetto. 

Mentre die Lanrillollo sta lontano ; 

Che far si putta un più leale amico, 

Il qual se eon Arturo ivd mai pare, 

Quante fiate di' ha piangendo detto. 

Ogni nostro sperar sarebbe vano : 

Che si dolca del fato empio nemico, 

Cbe morte arrrba, o gran periglio piare 

Cagion, che per suo figlio avesse eletto, 

lu quella cruda man per Sepurano ; 

Chi sormontando il vero onore antico, 

Ma se vorrà di Ini schivar la spada. 

Farebbe il nome eterno esser di lei, 

Sicurissima avrà tuli* altra strada. 

Ma la fin recherebbe ai giorni miei J 

L 

ini 

Soggiunse poi, che vi consiglia ancora, 

E così spesso al mio cospetto poi 

Cli' a singular battaglia oggi dilaniale. 

Chiamando lui, che fanciullo era ancora, 

Fra riaseun ravalier, di' ivi dimora. 

Giurare il fe' sovra i parenti suoi, 

Il miglior di valore e di kontatr ; 

E per la deità, cbe pio s' adora, 

CertA rhe som ogn’ non quaggiù v’onora 

Di non cinger mai spada contro a noi, 

Il fero Marie, die voi solo amale. 

Per qualunque ragion portasse l'oro; 

Per mi sarete a somma gloria indulto. 

Quel ch'ei sempre servo, rhe in ogni parie, 

Se schivate il furor di Lanciotto. 

Ov' io non sia co* suoi da me si parte. 

LI 

LVItl 

Nè ciò sembri viltà, di’ avvenir punte, 

Che mille volle e più, quand' aggio udito 

Che sovente in alcun minor virlude 

Delle prove, eh* ri fa, 1* altero grtdu, 

Sia dal girar delle superne ruote, 

Bramoso di veder se sia mentito, 

Ond’ ogni bene e mal quaggiù si chiude. 

Ho cangiato cercandolo arme e lido ; 

Guardata ti, ch’ogni sua fu ria scuote 

Ma dopo ai primi colpi, ov’ ha sentito 

A qual troovi maggiore, e ’ndarnu sude 

Dell'occulto mio gir 1 abito infido, 

Ogni altra al contrastar, di' alfm conviene 

Bipoli la spada allnr, volge il destriero, 

Yiuritricc esser lei, cbe ’l Ciel sostiene. 

E sdegnoso da me torce il sentseru. 

* 

LIX 

Non si deve onorar per saggio o forte, 

Ond' ho sempre portala, e porto doglia, 

Chi spera il suo valor torre alle stelle ; 

Che da Ini vilipeso esser mi sembra, 

E chi fuor di ragion dispreiza morie, 

E rerto son di riportarne spoglia. 

Via più ch’ardito e buon, crudo s'apprlle; 

Se d‘ adamante ancora avesse membra : 

Ceda il mortale alia mortai sua sorte. 

Minacele pare il Ciel, dica clic voglia 

Nè stenda le sue voglie empie e rubelle 

Tutto il concilio, eh' a predir s'sMmIn^ 

Olirà 1’ ordin lassù, ma per la strada. 

Che Lancilotto solo iu guerra chi amo. 

Che gli è mostra miglior, contento vada. 

E con sommo desio sul es*o bramo. i 

Ufi 

ut 

S’ egli è dato dal Ciel, che Separano, 

Ed a voi chiaro suocero e signore. 

Il cui chiaro valor l’ umano ecceda, 

Dolce padre onorato e re sovrano. 

Aggia iulrepido core, invitta mano 

Avrò per obbedir con sommo autore 

Sì, che d' ogni guerrier riporti preda; 

la ogni stato il cor proto e la inano ; 

Ma la sua sorte al tiglio del re Bauo 

Ma che mai di rustni tema il furore, 

(Ben che di meu virtù) la palma ceda ; 

Il vostro affaticar dei tutto è vano: 

Soffrir couvicusi, e ringraziarlo appresso, 

Che piu caro il morir per lui mi lia, 

Clic ’l poterla schivar ne fia concesso. 

Ch* allungar gli anoi mici per questa via. 


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L AVA 11 C R IDE 



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' . * 


L AVARCHIDE 

tur 

Ma le m* amaste ma», come sovente, 

Ch* io mel creile**» pur, desio mostrajte ; 

E i* è di merlo aleno T amore ardente. 
Che ’nfiammi di Giunon le Toglie caste ; 
Allor che ’n mezzo alla nemica pente, 

Intra »pade pun penti e ripide atte 
Spronerete il corsier, ri risovvegna 
Del mio prepare umil, *' io ne son degna. 

min « | 

Ridarete qui presso i gnerrier vostri, 

Ch* a quest* alma città guardili le mura. 

Ove d* Curo e d’ Oron gl» ondosi chiostri 
Meo la parte di lor rendon sicura ; 

In fin che’l ciel con miglior segni mostri 
Della vostra virtù tener più cura. 

Che non sempre ha lassù le voglie rgnali, 
Ch’or minaccioso, or pio volge ai mortali. 

UXTI 

E dite io eoi medesimi: Claudiana, 
Che ’n ai anpoacioae pene oppi lasciai. 

Se per temenza immapinata e rana 
Se le o*cnrar co»i del sole i rai. 

Che fari* raiserrlla, ae lontana 
D’ opni conforto, c tra infiniti puai 
Si trovaste al più rio del corto umano, 
Senza la «corta aver di Sepnrano ? 

Lizzili 

E ’n questo tempo tutte ai santi altari 
Sacrifici porgendo, e doni e preghi,^ 

Con meste voci, c con sospiri amari 
Snpplieherem, f he *n voi la vista pieghi; 
E le notti felici, e i giorni chiari 
Per le nostre vittorie amico spieghi ; 

F. doni a voi girlanda in questa riva 
Di trionfante lauro, a noi d* oliva. 

canai m 

Che non è sposo *ol, ma padre e frate, 
E mille dolri nomi appinnti insieme; 

1/ orme ornai calca all’ ultime piornate 
L’ onorato Clodasso. e morte il preme ; 
De* suoi tanti perman di salda rtate 
Solamente in ('.lodili chiude opni speme, 
Giovine incanto, e ben che d' alto cor», 
Nou forte a sostener si gran furore. 

txxxiv 

E se avrrm le battaglie a noi vicine, 
Potrò il vostro valor vedere almeno; 

F. contar meco T anime meschine. 

Che del fero Pluton porrete in seno ; 
Pregando allor, che le virtù divine 
Al vostro troppo ardir reggano il freno; 
Nè T ostinato corvi porU in loco. 
Ch'ogni sforzo al tornar poi fosse poco. 

Lxxvtii 

E chi sarà il suo scampo, poi che’n aeno 
Fi a de* Franchi e Britanni il nudo Àvarco, 
Che non la prenda allor Tempio Gaveno 
Da lei per mia capino d’ ingiurie carco ; 

E sfoghi tolto in lei T aipro veleno, 

Del qual, mentre vivrà, non fia mai scarco, 
E tra le aelve sue mattina e sera 
Oprando T apo e '1 fil la tenga a schiera I 

LXXXV 

E non sempre ndirò fra doglia e tema 
Di messaggier fallace le parole. 

Che ’l ver come gli aggrada accresce e scema, 
E sempre ultra il dover s' allegra e duole; 
E ’l mio misero cor, ch'or arde, or trema. 
Più sovente il peggior creder ne vnole ; 

In questo loco almcn gli occhi vedranno 
Il lor proprio conUnto, e ’l proprio danno. 

LXXIX 

E 1 misero figliuol, eh* al terzo mese 
Pori’ io. del nostro amor predilo pegno, 
Cerchi a nascer lontan l'altrui parse. 

Per restar servo fra i nemici indegno ; 

E dell' alle tovine in noi discese, 

E delle lor vittorie eterno segno? 

E dir possa il più vii con fero ciglio : 
Quei son di Scguran la sposa, c I figlio ? 

LXXXVI 

Poi tatti i nostri duri e cavalieri, 

Che si vedran de’ suoi le luci sopra. 

Si mostreranno in arme assai piu feri, 

CIT ove T altrui viltà *’ asconda e copra ; 
Però che in oom, che bassi aggia i pensieri. 
La vergogna e ’l punir più d’ altro ailopra; 
E tal qnì con Tristan si farà ardito. 

Che là dal suo scudier saria fuggito. 

un 

Non sempre troverà cortese afletto. 
Come già in Lancilotto in altri tempi, 

Che al padre la rendeo, contro al disdetto 
Di quei, che la voleano, avari ed empi ; 
Ma trovandola ancor, se '1 patrio tetto. 

Se le pubbliche mura, e i sacri tempi 
Saran destrulli, e tutti anciti i sui. 

Ove la tornerebbe, e ’n man di cui? 

uuuevn 

Qui si tacque piangendo, e Segnrano, 
Nel coi feroce cor dolce pietade 
Pur desto avra 1' umil sembiante umano, 
E le lagrime pie di tal beltadr. 

Risponde : Il contrastare in lutto é vano 
Al voler di lassù, nè Iruova strade 
Secure il piè mortai, che '1 meni dove 
Non si strada il poter del sommo Giove. 

MUSI 

Deh consorte onorato, aprite alquanto 
Alla preghiera umil T orecchie e’I core, 

E trmpre in voi 1' nttior del nostro pianto 
Qnalchr favilla al marziale ardore ; 

Né vogliale spregiar del «aero e santo 
Vate, le voci pie scarcbe d* errore. 

Perché veduto avem per prove antiche. 
Che le sulle al predir sempr' ebbe amirlic. 

I.XXZ Vili 

Sicché ’ndarno oprerei»!, se Ca pur vero 
Quanto n’ ha ragionato Clitomedc ; 

Ma non vola lant'allo iimau pcusicro. 

Né la vista dell' uom si addentro vede ; 
Però, eh' aggia mentito, affermo, e spero 
Di lui veder di tutto il danno erede. 

Che per voi lusingare a me predire, 

E me più ch'aucor mai cou voi felice. 


Digita 


L AVARCHIDE 


USUI 

Or dolcissima apnea, a me piò rara, 
Che le m ed cerne luci, e questa vita, 

O •’ altra cosa mai più amica e rara 
Mi può in sorte venire, o più gradita ; 
Spogliate il cor di questa doglia amara, 
Ch*a temer troppo, e lacrimar v'invita; 
K ’1 rivestite ornai di quella spene, 

Ch' allo spirto reai di voi conviene. 


Rivolto appresso alia famosa Albina, 

L' alma suocera sua, cosi dicea : 

Ovunque intenda la virtù divina 
Di condurmi o Fortuna o dolce, o rea ; 
Madre onorata, con la mente inchina 
Yi prego umil, che la mia sposa e dea. 
Che di voi nacque, in tanta cara agpiate, 
Che non sia cruda in se la sua pielate. 


Che chi nata è di sangue cosi altero 
Il pensier femminil da se divida 
Di quanto possa mai sotto al suo impero 
Recar fortuna instabile ed infida ; 

Sicché 1’ animo resti invitto e'ntero, 
Difeso dal valor, che ’n lai •' annida ; 

E morte o servitù che da lei vegna. 

Non oscure il candor, che in esso regna. 

xei 

E chi lotto al pensier ti pone avanti 
Ciò che puote avvenir nell' alle imprese. 
Di se il morir, de' suoi più rari i pianti, 
E de’ nemici poi le crude offese : 

Degno non è tra cavalieri erranti 
Vestir di Marte l'onorato arnese; 

Ma di riposo inerme, e d'ozio vago 
Tra le femmine usar la rocca e 1' ago. 


Qni si tace, e l'abbraccia, e 1* asta presa, 
Che ’n terra al suo venire area confitta, 
Rivolge il passo alla lassata impresa. 

Ove aocor I' attendea la schiera invitta. 
Della vecchia infelice, che compresa 
Dal primiero languir rimane afflitta, 

Al soverchio, ch'area, s'aggiugne il duolo. 
Quando vede il partir del suo figliuolo ; 

xcvtn 

Il partir di Clodin. che già seguia 
Del caro Seguran gli alteri passi, 

Il qual rapprlla sconsolata e pia. 

Dicendo : Or fate alinea, che gli ocelli lassi 
Possan «li voi saziarsi alquanto, pria 
Clic ritorniate uve crudele stassi. 

Di voi, di tutti noi bramando morte, 

Il fero inesorabile fioorle. 


Convieni! all' alto cor, da poi che scorga, 
Che non senza ragion segue una strada, 
Per quantunque ella scenda, o in alto sorga, 
Col cominciato passo innanzi vada, 

Solo al fin destinato gli orchi porga. 

Che mal si può avauzar chi altrove bada. 
Sia lontan d* ogni tema, e '1 meglio attenda, 
Poi quanto ha 'Icicl disposto in grado prenda. 


Ni post'io ben saper, che *n Dio sol giace, 
Lassa, s’ io debba mai rivederv' anco, 

O s* aocor aggia meco tregua o pace 
Il ciel, eh’ ai donni miei nou veggio stanco. 
Che '« dodici fipiiuoi breve e fallace 
Pizcer mi dii, poi che venuta è manco 
Già la parte maggior di tutti, ed io 
lu vita resto aucur per danno mio. 


Ben vi giur* io, carissima consorte. 

Per le fiamme d* amor, eh' io porto in core. 
Che mrn grave mi fia riflessa morte, 

Che il lassarvi lontana in tal dolore ; 

E che per non rerarvi a peggior sorte 
(Pur di' io nou squarci il marziale onore) 
Guarderò dalle iusidie questa vita, 

Ch'io prezzo sol, perdi' è da voi gradita. 


Fu nel passare il mar di Laneilolto 
Che in tormento di me nel mondo è nato, 
lu un punto medestuo a fui condotto 
Ercole il forte, e '1 raro mio Dentato ; 
Poscia, allor che Grifon fuga fi* e rotto 
Fu presso all' Era al suo sinistro lato. 
Lassò il verde terreo di rosso tinto 
Per I* istessa sua uian decimo c quinto. 


Ma di qai rimenar le genti indietro 
Itnpossibil saria seuz'onta avere, 

Che più frali assai soo, che ghiaccio o vetro 
Per chi cerchi cangiar le assise schiere; 
Che ingombrate talor da incerto e tetro 
Timor, non le può a fren poi ritenere 
Duce nè cavaliero, e meno ancora, 

Se'l passo ritirar convegni allora. 


Gli’ or volge il sesto sole, allor di* avea 
Di nuovo aurato pel fiorilo il volto 
L' uno e I' altro di lor, sicché parea 
Nel più cortese aprii germe ben colto ; 

L' aitr' anno appresso per Fortona rea 
Il mio dolce Settimio mi fu tolto 
Dall'arme di Bavcu crudele e fera 
Sopra il lito fatai dell' empia Cera. 


Ma bastivi, che '1 loco, ove noi seno, 
Non men, che 'ntoroo a qui, ne dia vantaggio; 
E se '1 ciel non ne sia nemico estremo, 
Dello avversario ornati tema non aggio ; 
Vivete lieta pur, rhe poi di' avremo 
Vendicalo di noi l'antico oltraggio, 

Fia dolce il rimembrar del tempo rio ; 

E se’l contrario avvieu, sia posto in Dio. 


Nonio non molto poi da Lionello, 

Del maladetto seme anch' ei di Gave, 

Pur qui vicino al tuo paterno ostello 
Retto impiagato da percossa grave 
Nell’ osso della fronte, eli’ al cervello 
Fa di sopra, e di fuor cuverchio e chiave ; 
E senza il gran valor di Palamede 
Gli dimorava in mau tra I* altre prede. 


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K 


L AVARO II IDE 


Ma difeso da lai, di polve e «angue 
I.r giovinette chiome e *1 volto pieno. 

Mi fa portato, oimè, pallido esangue, 

C.b* ornai poro di spirto aveva in seno; 
Poi, qnal vermiglio fior, che collo iangne, 
Fra queste braccia misere vien meno ; 

E mi tenn* io crudel, che 'n quella vista 
Non andai innanzi a lui dogliosa e trista. 

CIY 

Ma sou rimata ancor, per quel ch’io temo 
E già vidi per prova, a peggior sorte; 
Però che acerbo allor di vita scemo 
Il poverello Albin fece Boorle ; 

Elie perdi' ri fu di tutti il parto estremo, 
Troppa il cielo accusai della sua morte ; 

K perdi’ oltre al voler del pio marito 
Del mede imo mio latte era nutrito. 

CY 

Cosi l'unica figlia Claudiana, 

E cinque altri di voi mi restan soli, 

Che mi parca d'ogn’ altra esser sovrana 
In numero e beltà di lai figliuoli ; 

K eli' io sia di timor venata insaoa 
Che 1 mio fero deslin voi ooa m* involi, 
Mi riprenda colei, che se ue truoya 
Sette volte, com' io, già stala in prova. 

evi 

Io non veggio arrivar mai messaggiero 
Inviato dal rampo in questa parte. 

Ch’io non senta aggricciar l'alata e 'Ipensirro, 
E I rare sbigottirle, e batter parte; 

Che mi par sempre udir, che 'I drslin fero, 
Congiuralo al mio mal eoo I’ empio Marte, 
Per aggiungermi ognor luminiti a doglie. 
Voi, clic priiuier portai, del inondo spoglie. 



Però, dolce figliuol, per gli ullim* anni, 
Cl» a squarciare il mio vel soo presti ornai; 
Per quelli antichi già sofferti affanni, 

Che del peso di voi gravosa andai. 


Il simulato oprar, gli ascosi inganni 
Che i Britannici, e i Franchi ai nostri „ 
Telson la notte e '1 di, saggio schivale, 
Nè vi dia troppo ardir la verde e tate. 


guai 


Con tal parole al fin gli oerhi e la fronte 
D amarissime lagrime gli inonda. 

Come suol sotto speco ombrosa fonte, 

Che larga stille dall' erbosa sponda; 

I.’ affannato Clodin con le più pronte 
Parole, eh’ al dolor la lingua infonda, 

Dire ; Ornai sou finite, o dolce madre, 

L’ ore dei vostri ben rapaci e ladre. 

eie 

Sperate pur, che dopo oscura pioggia 
Si suol vago e seren vedere il cielo. 

Che uon serva ad ognor 1* usata foggia. 
Come non sempre è caldo, o sempre e giclo ; 
Ora il nome d’ Avarro illustre poggia, 

Cui grau tempo oscurò gravoso velo ; 

E chi vive dei vostri in gloria e *n pace 
Vedrete, e ’n sommo onor chi morto giace. 

ex 

E vi prometto poi per quello amore. 

Che ’n verso madre tal convieue a figlio. 
Che i veraci ricordi in mezzo il core 
Mi staran sempre, e *1 vostro pio consiglio: 
Qui baciando la man con dritto onore, 

E tno'lraudo ver Ini pietoso il ciglio. 
Altresì poscia alla sorella pia. 

Dietro al suo Segurau ratto s’ invia. 


Digitizet 




l’ a V A R C II I D E 

XI 

Ch’io intendo visitar del sacro Varie 
11 gran tempio divin eoo loro insieme; 
E delle palme mie donargli parte. 

Onde il erodo Britanno e '1 Gallo geme, 
Pregandol, eh’ ei risvegli i cori e 1* arte, 
E 1* antico valor del primo seme 
Nei nostri duci illustri, e meni a morte 
Il possente Tristano e'1 rio Boorle. 


XVIII 

Ove dentro apparia la regia soglia, 

Di ricchissime logge, e d* atrii adorna. 
Non tnen lucenti, ch'ai buon tempo soglia 
Sorgere iu tauro il sol quando s' aggiorna; 
Le superbe colonne furo spoglia 
Del bel paese assiso in tra le corna 
Del gran Rndan famoso e di Garona, 

Ove al Gallico mar sedea Nerbona ; 

HI 

A Polidetlo poi comanda : Andrete 
Alle caste matrone d’ ogn’ intorno, 

E per nome d* Albina lor direte, 

Clic vrngan ratte al sno reai soggiorno, 
Dispogliando da sé le vesti liete, 

E dell' aurato vel 1’ abito adorno. 

Per gir di Palla alla virgiuea soglia. 
Che rivolga iu dolzor la nostra doglia. 


XIX 

Ch’allor ch'ella coi suoi nel sangue avvolta, 
Della vita, e dei ben nuda rimase 
Per la man Visigota, e ’n cener volta. 
Come l'empio furor le persuase; 

Quella più integra parte indi raccolta 
Di pietre atte ad ornar le regie case, 
Maudó a Clodasso il giovine Odorieo, 

Che fu sempre dei suoi perfetto amico. 

Sili 

Cosi detto Clodasso, ivi si accinge 
L'uno e l'altro di lor tacito all'opra ; 

1 più pigri e i lontan muove e sospinge, 
E per tolto adempir 1’ ingegno adopra ; 
Ma la turba devota si dipinge 
l'ale in cor lo sperar, che vien di sopra, 
Che muove senza spron veloce il corso, 
Ove credea trovar pace e soccorso. 


XX 

Eran d* egregio sii 1 nel muro stese 
Del fero Stilicon le glorie antiche, 

Che per patria ebbe il Vandalo paese, 

E le stelle al principio troppo amiche ; 
Del gran seme del qual Clodasso scese, 
Ma dentro a regioni assai più apriche 
Di quelle, onde i suoi fur, però ch'ei nacque, 
Ove Liuia e Ducro insalan l' acque. 

XIV 

La dolorosa Albina e Claudiana 
Con voler del gran re mnovono il passo, 
Sospirando fra lor la sorte umana, 

E i viaggio mortai gravoso e lasso ; 

E che la coodizion regia e sovrana 
Noli è sempre miglior, che ’l viver basso ; 
E ’n tai foschi pensier con pochi a tergo 
Si ritruovan condotte al proprio albergo. 


XXI 

Lì Teodosio il grande si vedea. 

Che del nome Roman regeendo impero, 
Agli estremi suoi giorni in uiau pouca 
Di Stilicon sotto T arbitrio intero 
Il figlio Onorio, a cui lassato avea 
Dei liti Occidental lo scettro altero, 

Il qual poi giovinetto |' obbedii». 

Qual maestro onorato e padre pio. 

XV 

E montate di lui 1* altere scale, 

1 suoi ricchi tesor truova ciascuna ; 

E quel, che sia più degno, e che più vale, 
Per disccrncr poi meglio, iosieme aduna-, 
E l’ esperte donzelle iu opra tale 
Son chiamate al consiglio ad una ad una, 
Che in sua donuesca e semplice ragione 
In mezzo pou la propria opinione. 


xxil 

Si eh* a sposar contento si conduce 
La figlia Euchcra, nè di lei sì sdegna; 
Ma d' appellar lei sola scorta e luce 
De’ segreti pensier l'ha falla degna. 
Indi il suocero sno rettore e dure 
Si vede andar d’ ogni romaua insegna 
Conira il Gotico popol, che infinito 
Ingombrava d Italia il uubil li lo. 

XVI 

Ma intanto d’ ogn* intorno si vedea 
Delle donne apparir 1' egregia schiera, 
Delle qnai tutte accoglier cara avea 
La vecchia Ornmnda con la vaga Aldera 
Dentro al ricco palazzo, ove spleudea 
Di mille statue d’ or U corte altera ; 

E ’n seggi ricchi poi di sete e d ostri 
Le faceano asseder per gli ampi chiostri, 


XXIII 

Sotto il furor del crudo Radagaso, 

Che fn il primo tra' suoi di tanto ardire ; 

Nè di fame timor, né d* altro caso, 

Né l' Alpi, o 1' Apcunin potè impedire, 

Ch* ci non venisse ove in più altero vaso 
Vede il picciol Mugnon 1' onda sua gire, , 
Tra i monti Fiesolani, ove a Fiorenza 
Guastò il nido gentil la ria semenza. 

xvu 

Dicendo poscia in bel pregar soave, 

E con dolci parole e pellegrine, 

Che non venisse lor noioso e grave 
D'alquanto ivi aspettar Palle regine; 

Ma la più giovin turba, che sempre ave 
Bramoso il cor di viste peregrine. 

Sciolta d’ ogn’ altra cura andava iutoroo, 
Riguardando il più bel del luco adorno. 


XXIV 

Tra 1’ aquile romane Uldino e Saro, 
Degli Unui duce quel, dei Goti questo, 
Si vedea tratto da disegno avaro 
Conira i mctlesmi suoi venir molesto : 
Ivi han serralo I' avversario amaro 
In laogo a' suoi disegni agro e funesto, 
Dentro aspre valli, in tra sassose strade, 
Ove cuu talli i suoi misero cade. 

IO 


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L AVARCHIDE 


Con Tallito datale Stilirone 
Spronar ti scorge, e confortar le schiere, 

Ch’ or al torno tinitlro T arme oppone, 

Or nel dettro, che vien, percuote e fere ; 

In fin thè interamente a batto pone 
Le minacrianli gotiche bandiere, 

K rbe tanti di lor vede per terra, 

Clie senza dubbio aver Tinta è la guerra. 

xxn 

Il miser Radagaso ivi apparta, 

Cbe la vette reai da tè spogliala, 

Senza compagni aver ratto foggia 
Per deserta campagna altrui celata ; 

Ma il fa incontrar la sua fortuna ria 
Gente, cbe di quei luoghi ammaestrata 
Sovra il giogo dell'Alpe atreto il prende, 
E u man di Slilicon legato il rende, 

XXVII 

Il qual senza pietà la regia testa 
I)rl siiu busto crudel fece privare ; 

E 1* altro popol suo, cbe 'n vita resta, 

Per prezzo a servitù perpetua dare ; 

Puc' ultra si vedrà non meno infetta 
Altra gotica insegna radombrare 
Dell' iufelire Italia il seno aprico, 

Cbe ’n fortuna miglior segue Alarico. 

XXVIII 

Al quale è Slilicon, non men eh' allora, 
Con la rnedetma gente a fronte gito, 

Ma più lunga slagion con lui dimora. 

Or quel colle ingombrando, or questo lito, 
Cbe senza T arme osar prolunga T ora, 

Con più torlo pensier, che forse ardilo j « 
Poi uri fin gli dà pace e gli concede 
D’Aquitania il tcrren per propria sede. 


E senza cura aver del nome pio, 

D' esser suocero suo, nè della figlia, 

Poi ch'appellato fu nemico e rio, 

Con quel, cIT amava in prima a meraviglia, 
Eiichero il figliuolo, acconsentio 
Di far del sangue suo I' erba vermiglia ; 

Ma il discreto pillor nell'aspra sorte 
Tutta colma d' onor ritrasse morte. 

xxxtit 

Poe* ultra si vedrà soletto andare 
Per monti alpestri il fido Marialle ; 

E 'I picciolo Iraronso via portare 
D' Buchero fìgtiuol sopra le spalle 
Per T ombre ascoso, e le giornate chiare 
Fuggir leineiido, e Tallitalo ralle. 

Tanto di' al Gn, come a fedel amico, 

Il pose in insti del gotico Alarico. 

xxxiv 

Che con paterno amore in gnardia il prese, 
E ‘I tenne infino al dì, ch'abbatte e doma 
Quasi al terz'auno in si crudeli offese 
Il seggio altero della nobil Roma, 

Indi adornato di reale arnese, 

E di ricchi tesor con larga soma, 

Securo il manda nel paese Ispano, 

Ove regnava il Vandalo Marano. 

XXXV 

Il qual di Slilicon sendo rngino, 

Avea col suo favor tutto acquistato 
Degli alti Pirenei T aspro confino, 

E lo scettro truca di ciascuo lato ; 

Che quanto alla Garona era vicino 
Dall Aquilano Orcan circondalo 
In Gallia possedeva; e nella Spagna 
Ciò cbe il Canlabro mare e Linia bagna. 


Nè molli giorni poi, cbe senza cura 
Vide il Goto furor restarsi in pace. 

Nel silenzio maggior di notte oscura. 

Che tra 'I sonnu e tra'l viti sepolto giace, 
Quel, di' all' aperto sol gli fea paura, 
Trnta di far; ma il sno pensier fallace, 
Mal conseguito al fin, dannoso e voto 
Fu per l'alto valor del fero Goto; 


Lì si vede il fanciul cosi nodrito. 

Come uscito di lui con somma cura, 

Poi di Clodia sua Gglia esser marito, 

E d' acquistargli un regno assai procura : 
Tanto che dei Santoni il ferlil Lito 
Con insidie e con forza ai Galli fura ; 

Di cni fatto lracunso eterno erede, 

Dell' amala sua Cludia un figlio vede : 


Cbe in si ostinato ardir gli batte il fianco, 
Che le insidie scoperte in fuga volge ; 

Nè potè Slilicon lo stuolo stanco 
Rilroer più che fredda tema iu volge; 

Cosi 'I suo disegnar vernilo manco. 

Nel cammino, oude venne, si rivolge ; 

E vinto dal furor con ratto piede 
La palma e 'I loco al gran nemico cede. 


E 'q memoria di lei Clodio T appella. 
Ma il Vandalo vulgar volse in Clodasso ; 
Che poi crescendo per T eli novella, 
Seguio degli avi il glorioso passo ; 

Li giovinetto ancor sopra la sella 
D'uo feroce corsiero, or allo or basso 
Si vedea rivoltarlo, or sciulto il morso 
A' suoi caldi desir, muoverlo a corto. 


Posria adunata ancor novella aita, 

D' altra guerra mortai si pone in pruova, 
Ch'assai men della prima al Càci gradila. 
Più eli ' ancor rotto e vinto si ritruova; 

La cni calamità, poi eli' ebbe udita, 

4 Hlr' ugni creder suo dannosa e nuova, 

I.' imperatore Onorio giovinetto, 

Cli' ci gli sia dislcal, prende sospetto. 


Poc' olirà andar poiché l'età fioria, 

Tra infiniti guerrier di ferro cinto 
Più inverso i Celti, e quanti trito va in via. 
Ha eoo pace acquistalo, o in guerra vinto; 
Né il gir vittorioso gli desvia, 

Nè 1‘ ha fatto più tardo, o ndietro spinto 
Ceranla, Scura, Lindru, Vienna, e (.era. 
Che non mcui il suo sluol virino all Era. 


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L AVARCHIDK 



mn 

Ove poscia incontrò feroce intoppo 
Del famoso Boorle e del re Bano, 

Che 'I suo correr veloce stanco e zoppo, 

E 'I disramo orgoglioso rrndco vano, 

Ma perchè il snu potere era pur troppo, 

E 'I soccorso di quei molto lontano 
In tra mille battaglie si vedrà, 

Che'l valore alla forza soggiacea. 

U 

Si scorge a a fra inGniti cavalieri 
Soletti I* arme oprar Bano e Boorte ; 

E sopra ogn' oso umano ardili e feri 
Grande schiera di lor menare a morte ; 

Ma I numero soverchio de’ guerrieri 
Gli sforzò di tornar dentro alle porte 
Del grande Avarro, a cui d’intorno fanno 
Alle genti nemiche estremo danno. 

XLI 

Ma del continuo affanno, e del digiuno 
Del lor popol fedel mossi a pieladr. 

Ambo il lassar, non nel silenzio bruno. 
Che ’n torno oscuri e cnopra le contrade; 
Ma nel di chiaro, e’n vista di ciascuno 
Per mezzo il campo lor si fero strade ; 

Ove di sé lassar si largo segno, 

Che di questa memoria era ben degno. 

XLII 

Non Innge indi apparia Benicco e Gare, 
L' un dopo C altro poi, non men, ch’Avarco, 
Da lor difeso in tango assedio e grave. 
Delle stesse miserie intorno carco; 

E’n guisa di leon, che nulla pavé, 

Che di cervi entri al dilettoso varco. 

Si vede or questo, or quel con morte, o doglia 
Degli nemici suoi portarne spoglia. 

XLIII 

Nè di quegli invidioso asconder volse 
Al famoso pittor la virtù loro ; 

Ma fa che tutta aperta ivi la sciolse 
In pregiati color distesa e in oro ; 

Perchè tanto più in sè d’onore accolse, 
Quanto fur più le lodi di costoro : 

1 quai di nutrimenti al Gn privati, 

Ambe duoi di lasciar furo sforzati. 

XLIV 

Ma innanzi al dipartir sì largo rio 
Là intorno fan dell’inimico sangue, 

Ch’ ancor ne ’nginnea il lor terrea natio, 

E I rinntor nella vittoria langue ; 

Voltan poscia il pensiero, e ’l passo pio 
Verso il popol di Trible, tutto esangue 
Per la tema, eh’ avea, visto 1' esempio 
Del passato per gli altri iniquo scempio. 

XLV 

E perch* era già innanzi provveduto, 

E d’assai uodrimento era sicuro ; 

Poi ch* han dentro e di fuor riconosciuto 
Se sia il fosso profondo, o saldo il muro ; 
Consigliati a cercar novello aiuto 
Dal gran re Paudragon padre d' Arturo, 

E dal re Vararnonte, dove bagna 
L' aspro Ocean I’ Armorica Bretagna ; 


Lassando in man di Sergio, il qnale allora 
La lor vece reggea di quella terra. 

Con gente assai, quanta al bisogno fora, 
Per sostenere in piè la lunga guerra ; 
Partiti a pena, alla medesim* ora. 

Il disleal la chiave, onde si serra 
La porta del castel manda a Clodasso, 

E d’ entrarvi co’ suoi gli spiana il passo. 

XX. VU 

Il qual per tormentar con nuovo affanno 
Da lunge i cavalier la mette in foco; 

E quei, mentre pensosi altrove vanno, 
Yoigon la vista indietro, e d' alto loco 
Veggion di tutto il lor l’estremo danno: 
E come più sperar niente, o poco 
Drbban nel mondo, c con l' islessa sorte, 
L* uno e l' altro di lor desia la morte, 
xr.vui 

Nè molto andò, che ’n solitari boschi, 
Senza conforto aver di cosa alruua, 

Tra i pastorali alberghi, e n pensier foschi, 
Lamentando del ciclo, e di fortuna ; 

I miseri gustar gli ultimi toschi 

Di quella fera, ch'egualmeutc imbruna 
La chiarezza mortale, e fur sepolti 
Da rozze mani, e u bassa terra avvolti. 

XLIK 

DÌ lai pitture dottamente ornale 
Intorno rìlurean le regie mura. 

In coi le giovin donne ivi adunale. 

Mentre attendono anror, ponevan cura. 

Ma la coppia reai mille Gale 
In guardo sottil cerca e procura. 

Coi consigli fra lor, che miglior sono, 

Di trovar per la dea dicevo! dono. 

L 

Quelli scelsero al fin, che veramente 
A lor degui parean d’ onor divino ; 

Trovò la madre candida c lucente 
Di chiarissime perle, e d’ oro Gnu, 

La vesta, onde »’ ornò priinirramenle, 
Quando partì dal vecchio padre Albino, 
Che d' Olvernia fu re, da quel disceso, 

Clic già resse del mondo il terzo peso. 

l.i 

Da qoello Albin, che in Gallia imperadore 
Per le man di Severo oppresso giacque, 
Non per Fortuna men, che per valore, 
Ove il Rodano e Sona assembrali I’ acque. 
Di cui ’l picciol Ggliuol fuggì 1 furore 
Dentro ai monti Cerneni, ove alGn piacque 
Al ciel, che conosciuto olirà molti anni. 
Fosse ornalo da’ suoi di regii panni. 

Ut 

Da cui di prole in prole il quinto venne 

II sttocer di Clodasso, a lei pareute. 

Che fregialo d’onor lo scettro tenue 
Con giustizia e pietà fra quella gente; 

E la Gglia, e ’1 suo genero mantenne 
In piè eoiilra ogni assalto, che sovente 
E di dentro e di fuor gli sentia mosso. 
Che del regno acquistalo nou fu scusso. 


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L AVARCH1DE 



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*53 


L AVARCHIDE 



Lini 

Da (ai detti racceso, e di tal padre 
Il giovili Srgnran, ch’ardeva in prima 
D'alto desir dell' opere leggiadre, 

Brama di tatti quei salire in cima; 

E congiunte de' suoi più ardite squadre, 

E le qnali a virtù più intese stima. 

Con porlii legni al più gelato verno 
Driua le prore lor nel lato Iberno. 

i.xvin 

E col favor di Pallade, che gli era 
Sempre in ogni consiglio amica e fida, 
Ruppe al primo arrivar possente schiera, 
Che di farlo fuggir seco a* afTida, 

Essendo ei tutto sol nella rivivrà 
Del Roando disceso, ove s' annida 
Col mar, che lassa in ver Boote alquanto 
11 promontorio alpestre di Novanto. 

LXIX 

Ove gli altri inni legni risospinti 
Fnr dall' onde scendenti all* ora sesta; 

Nè poter seco in guerra essere accinti. 
Ned ei per tatto ciò ferir »’ arresta ; 

Cosi questi primieri ed altri vinti, 

In sue furzr il terren quel giorno resta; 
L'altro poi Lamorallo, r nuova gente 
Il viene a rincontrar, cha i danni sente. 

i» 

Ma in questo la smarrita compagnia 
Nello spuntar del giorno è posta in terra; 
La quale aggiunta al gran valor di pria, 
Non avea dubbio alcun la nuova guerra; 
Ma I «amoralto il fero alto s' odia 
Dir contro a lui: Quanto vaneggia ed erra 
Chi si fida d' altrui, che di sé stesso, 

Come la praova poi gli mostra spesso ! 

UUI 

Se voi sete il possente cavaliero, 

Che vorreste parer con I' arme io roano ; 
Sia posta la qneslion di questo impero 
Tra Lamoralto solo e Seguraoo ; 

Nè s* ingombre il terreo d‘ altro guerriero. 
Nè si facrian perir le genti invano ; 

Quanti compagni ahbiam restio da parte, 
E sol venga con noi Bellona e Marte. 

LXXIt 

Il vostro Segnran, di' altro non brama, 
Patteggiando a battaglia si conduce, 

Ove ueeise il signor di altera fama, 

Ottimo cavaliero e sommo dure: 

Allor I' Isola tutta allegra il chiama 
Suo vero imperalor, sua chiara Iure ; 

E l'ha con tale amor poscia ubbidito, 
Qual mai fosse altro re per altro lilo. 
i. xxui 

E 1* argentato scudo, eh* esso avea. 

Col purpureo leon, che quinci appare, 

Fia per memoria all'onorata Dea 
Dell' opre illustri, e delle glorie chiare 
Dell'alto Seguran, perchè più rea 
Non gli voglia giammai Fortuna dare. 

Ma miglior tutto il "giorno, acciò che poi 
La possa incoronar dei pregi suoi. 


Lxxrv 

Cosi la bella donna ha posto in mano 
Della vergine Onoria sua donzella 
Questo candido scudo, che già in vano 
Difese Lamoralto in su la sella ; 

A Lamia diede il vel, dove in sovrano 
Lavor Febo lurea con ogni strila ; 

Poi tenendo alto il core, e gli orchi bassi. 
Della madre segtùa gli antichi passi. 

l*xv 

La quale avea la gonna preziosa. 

Che poro a lei davanti era portala 
Da Marzia anlira, rhe per madre ascosa 
Del suo medesimi Albino era già nata; 
Srendon urli' ampie logge, ove sì posa 
Delle matrone poi* la schirra ornala, 

Che dentro Avarro avea più nobil sede, 
Di chiara pudicizia illustre erede. 

f.XXVl 

Cosi sen va l' onesta compagnia 
Terso il tempio Uivin tacita e mesta; 

Del «acro limitar le porle apria 
Silvia, l'alta vestale, in bianca vesta; 

Poi tutto il casto coro la segtiia, 

Che ’n dolci note di laudar non mia 
La dea, che senza madre u*cì di Giove, 
Quella che 'nfonde il scnuo, e l'arme nuove. 

txxvn 

Ivi, poi rhe condotte ai divi altari 
Fur la vecchia regina, e l'alma figlia, 
Prrsen laudo i bei don Incidi e cari, 

Mossrr le donne, e 'I tempio a meraviglia; 
Posria in caldi sospir grevi ed amari, 
Tenendo fìsse pur I* umide ciglia 
Nell' immagin divina in alto assisa. 

Disse Albina per tutte iu questa guisa : 

IXXVIII 

Sacrata Dea, eh* al gemino valore 
So vr’ ogn’ altro lassù l'impero stendi. 

Trai da lungo periglio, e dal timore 
Il tuo misero Avarro, e noi difendi; 

E col Franco il Britannico furore 
Dal tuo gran Seguran sepolto rrndi, 

E dal tno buon ('.lodino c Palamede, 

Per quella, che ’n te aviam sceura fede. 

XXXIX 

Qui finito il pregar l'alta regina, 

L‘ alma figliuola sna, con l‘ altre insieme 
Raffermando il suo dire, a terra inchina 
L’ addolorata fronte, e piange, e geme ; 
Voti facendo a sua virtù divina. 

Che sciolto ogni timor, eh' allor le preme, 
Nuovi doni offiriran larghi e devoti ; 

Ma giro i preghi lor d’ effetto voli. 

LX*X 

Or già l'antico re dall'alto sito. 

Onde veder potrà I' orribil guerra, 

Tornato era all'albergo, e *u parie gito, 
Che i più cari suoi beni agli altri serra ; 
Seco ha sol due scndier, Mastore e Clito, 
Che sovra gli altri amò, rhe nella terra 
Già Vandalica nati, dai primi anni 
Gli fur sempre compagni ai lunghi affanni. 


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L AVARO H IDE 


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L AVÀRCIIIDE 




xcv 

Pur dopo nui parlar col re Yagorre, 

E con gli altri suoi tre, che con lui sono, 
Dispone al fin, che sia ragion di porre 
AH'immagin di Marte il terzo dono, 

E che d* essi il primìrr si deliba torre 
Quel, che diede il principio all' alto suono 
Del suo giovin valor, nel primo giorno, 
Che n guerra uscisse mai dell’ arme adorno. 

xcvi 

Fosse il secondo poi quel, eh* aU'etade 
Più perfetta gli venne, e fu il maggiore, 
Allor eh' ei non lemea di mille spade,! 
Che intorno Avesse il periglioso orrore; 

L' ultimo quel, eh* all' onorale strade 
Trovò l'albergo, quando imbrunan l' ore 
Yerso il torbido occaso, ove il noioso 
Già passato cammin chiede riposo. 

XCVII 

Così prender comanda di Tarsano 
1/ acquistale da lui reali spoglie, 

Allor che il vecchio Vandalo Marano 
Giovinetto il nutria fra le sue soglie ; 
Venne costui dentro al terreo Ispano 
Seguendo d~ Urirn I* altere voglie, 

Il fero Alan, eh' al regno suo Numido 
Yolca giunger ancor d* Iberia il lido. 

XCVflt 

E ‘1 dì, che trasse a fin la lunga guerra 
E privò gli African d'ogo' altra speme, 
Stese morto Tarpan sopra la terra 
Di Clodasso la man, che nulla teme. 

Tal che ’u tutto il paese, che si serra 
lo tra 'I Tagu e ‘I Duero, e I’ onde estreme 
Del Lusilanio mar ne corse il nome, 

E di lauro gli ornò le bionde chiome. 

xcix 

Or tolse di costui la spoglia opima. 

Che 'I forte scudo avea di culor perso, 

Nel cui piegato sen verso la cima 
Una falce splendea d'argento terso; 

Soli* essa eguale a lei ruvida lima 
D* una dorata incudc era al traverso. 

Che *1 seggio tien sopr' arido terreno 
Di secca erba segata intorno picuo. 

C 

Fu *1 secondo suo don d' Eliadello 
He dei Nortoinbri allor l'arme e I insegna, 
Ch' ci vinse e spense al nobile duello, 

Ove '1 fertil terrea Gironi segna ; 

Quando il popol miglior fatto rubello, 

Per dovuta cagion di lode degna, 

S' armò contra il Knsmundo Visigoto 
Di pietà insieme, e di giustizia voto ; 

ci 

Che Clodasso di lui venne in aita, 

E dell* afflitto stuol fn l'altro duce; 

Un grande scoglio avea di calamita, 

Che '1 ferro di lontano a se conduce, 

1/ insegna alla sembianza colorita 
Del piu tranquillo mare, ove il sol Iure ; 
D’ oscura tempra, e d allegrezza ignudo 
Splendea d ardente fulgore lo scudo. 


Cll 

Fnr quelle d’ Escanor della Montagna 
Per offrir al gran Dio 1' ultime spoglie, 

Ch' al Santonico lito, ove ’l mar bagna, 

Di Clodasso assalio le patrie soglie, 

Già nel tempo canoto, ove accompagna 
La mente il senno, e di' alle membra toglie 
Il già stanco vigor, non però Unto, 

Che del primiero aucor non resti alquanto. 

cui 

Come avvenne al gran re, coi già vicina 
Co' gravosi suo* incarchi la vecchiezza 
Non fu Ul sopra lui donna e regina, 

Che 'I dispogliasse anror d* ogni fortezza, 
Ond' ei sospinge all' ultima rovina 
Il giovine Escanor, che non l'apprezza; 

E con quel brando il pose morto a terra, 
Che mai più dopo il dì non strinse in guerra. 

civ 

Del grave scudo suo, che candid' era. 
Un nero crocodillo il mezzo imbruna ; 
Chiudeva in sen la verde sua bandiera 
Sopra squarciate ruote la Fortuna ; 

Dietro e davanti una celeste spera, 

Ove oscurare il sol farea la luna ; 

Nelle spalle e nel petto avea l'arnese 
In tra picciolc stelle in giro accese. 

cv 

Dopo questi tre don, di fino acciaro, 

E di ferro novcl peso infinito, 

Che di quanto inai fu più illustre e chiaro 
Avea fatto venir di più d' un lito, 
fumé al posseute Marte amato e caro, 

E più eh argento ed or da lui gradilo, 
Sopra possenti carri ordine diede. 

Che seguisser di lai 1' elette prede ; 

CTI 

Con cinque alti corsier, eh’ aveano il pelo 
Del vello del lion più osruro alquanto, 
Nati e noilrili sotto al Tracio cielo, 

Che '1 valor marziale onorò tanto, 

E eh* avran di Strimon bevuto il girlo, 
Ove de' suoi fratelli ha Borea il vanto: 
Poi che lutto è disposto esso s'invia 
Con 1' «morata e uobil compagnia. 

eri» 

Perchè tulle già intorno eran ripiene 
D'antichi cavalier le altere soglie, 

Che riascua quanto può veloce viene 
Divoto in adempir le regie voglie; 

Passa innanzi la turba, che sostiene 
Con sollevata mau le offerte spoglie; 
Dietro lor segue poi la lunga schiera 
Dell' eletto drappel, che venut' era. 

eviti 

Dopo gli ultimi lutti è il re Clodasso, 
Tra 'I domestico stuol di ferro avvolto ; 

E 'n vista di dolor movendo il passo, 
Reverendo il facea l'abito incolto; 

Or torua, or va chi fa largare il passo 
Del riguardante popolo ivi accolto; 

Poi che giungon del teinpiu alla gran porta, 
11 piè ferma ciascun, che ) doni apporla. 


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L AVARCniDE 



C con la istessa forma d* ogni lato 
Si dividon fra lor, lassando strada 
A rlii lor dietro vien, che riservato 
Tutto 1' ordii» primiero ivi entro vada; 

All' arrivar del re di mitra ornato, 

£ sostenendo in man la sacra spada, 

Con la purpurea stola infino al piede 
Si fa incontra il gran Vale Clilomede. 

ex 

E con altri onorati sacerdoti 
In basso mormorare umil I’ acrolse ^ 

E per nome di Marte i doni e i voli, 

E ‘n vero onor di lui lieto raccolse ; 

Poi che locati fur gli occhi devoti 
In sembiante pietoso al ciel rivolse, 
Tenendo al re sopra la bianca testa 
La spada e *1 lembo della sacra vesta. 

ext 

Indi cosi dirci: Possente figlio 
Di Giove nniversal, di tutto il padre, 

Coni’ ci col tuo valor pose in esiglio 
Di Pelio e d’ Ossa le superbe squadre; 
Cosi d’ Euro e d' Oron fa eri a n vermiglio. 
Col favor sol dell* opre tue leggiadre, 

Il tuo caro Clodino e Segurano 
Dei nemici erndei 1* erboso piano. 

CXll 

Qui tacque, e per la man poscia il condace 
Ov* è sopra 1' aitar V immago altera. 

Cui da lampadi ardenti innanzi luce 
D’ atro piceo color la fiamma fera ; 


E di qnel re già ucciso, e di quel duce 
Di spoglie ha intorno sanguino»! schiera; 
Ella in vemhiante è tal, che sol la vista 
Rende la mente altrui pavida e trista. 

cxiit 

A quella il vecchio re tutto tremante 
Con le ginocchia nielline alto dicia : 

O sommo Dio, che di vittorie tante 
Ornasti questa man mentre fioria ; 

Or che debil s’ arrende, le tne tante 
Lnci rivolgi alla Fortuna ria. 

Che sentendomi giunto all* ore estreme, 

Con ogni suo poter m* abbassa e preme, 
exiv 

Drizza inverso di lei le tue chiar' arme. 
Mostra, che cuulro a te niente punte ; 

E voglia il tuo valor dritto salvarme 
Dal gravissimo peso di sue rote ; 

E s* io posso per te mai librrarme, 

Nè le preghiere mie riloruin vote. 

Di tutto il mio tesor la quinta parte 
Prometto al tempio tuo, possente Marte, 
cxv 

Non potè altro più dir, che'l pianto e'1 duolo 
Gli contese all' uscir la voce stanca ; 

Tacilo adunque col suo amico stuolo, 

A cui tema e pietà la fronte imbianca, 

All' albergo tornando, incontra il volo 
Dell' aquila in cammin dalla man manca ; 
E perché il gran desio la mente appanna, 
Ch’ei venga in suo favor sé stesso inganna. 


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L AVÀRCIIIDE 





ARGOMENTO 

+**<-«* 

In sul campo al venir di Segarono 
Si rinnova la pugna orrida e. fera ; 

Ma poi che il vincer gli tornava invano 
Sfida il più forte delt avversa schiera : 
Gli ti fa incontro il giovane Tristano , 

E combatte con lui fino alla sera : 

Ac vincente , nè vinto è ilei rivale. 

Quei gli dà il cinto t ed egli a lui il pugnale. 

****<**&*• 


T * 

Il fero Segnran con ratio piede. 

Poi che col tuo Clodioo era arrivato, 

Ove 'I famoso Artoro in larghe prede 
Ha condotto Bruooro in basso stalo ; 

Al bisogno, eh’ avvita, tosto provvede, 
Riconforta e rispinge in ciascun lato 
Quei, eh’ ri veda tuggirse, e ’n dolci modi 
A chi gii altri «ostica, dà larghe lodi, 
il 

11 medesmo Clodin di far non resta, 
Rivolgendo il cavai per ogni parte ; 

Questi innanzi ricaccia, e quelli arresta, 

£ che si spieghi egoal 1’ orditi comparte; 
Già rasserena il cor la gente mesta, 

£ le riveste il sen desio di Marte ; 

Già il partito valor tornato addoppia 
Al bramalo arrivar di questa coppia. 

Hi 

Nè più dolce di quella apparir suole 
Ai già lassi aocchier l'anra soave; 

Ch'haa coi nodosi remi al caldo sole 
Lungamente sospinto il legno grave ; 

Già della fuga sua si scusa e duole 
Questo e qnel cavalier, che l’onla pavé; 
Ogn* uorn purga sé stesso, e gli altri imbruna 
Poi tutti insieme al fin la ria Fortuna. 

rv 

Ma il chiaro Segnran tatto consente, 
Ogni detto conferma, e nullo ascolta ; 

Che in altra parte l' occupala mente 
Contra i crudi nemici avea rivolta; 

Poi sprona il buon destner, dove la gente 
Vede più in arme Incida, e più folta, 

£ tosto gionge, ov’ il suo fato reo 
Gli fa incontra venire ltimoneo, 


Che Rifeo sacro della bella Acesla 
Ebbe di Somma in so 1* erbosa riva ; 

Feri l’asta al traverso della testa 
La destra lempia, e della vita il priva : 
Clodin, poi eh’ ei partì, saldo non resta. 
Ma viein qnanto può sempre veuiva ; 

£ quasi a un tempo stesso seco uccide 
Trapassandogli il cor, l’ altero ICde, 

vi 

Che di Alastore il Biondo era Ggliuoto, 
Ove il Belgico sen la Schelda bagna ; 

£ Brunor, che dei due va dietro al volo. 
Di questa vita Andremone scompagna 
D' Elicle uscito, e eh' ebbe il natio suolo, 
Ove ’1 Neuslrio terrea vede Bretagna ; 

£ 'I passò con la lancia, ove la gola 
Dona viein gli spirti alla parola. 

VII 

11 gran Nero perduto che non lunge 
Segue i passi di quei, Iruova Ippione, 

E nella terza costa a destra il punge, 

£ qual ramo abbattuto a terra il poue ; 
Ch' accusava ’1 destin, eh’ ivi il disgiuuge 
Dalla sua chiara e nobil regione 
Della ricca Lotezia, ove la Sena 
D’ antichi onori e di moderni è piena. 

vili 

11 Selvagg io Roscan nel lato manco, 
Ove il loco riman d’ogni osso ignudo. 

Del possente Aretoo trapassò il fianco, 

Che noi potè salvar reietto scudo; 

Cadde ivi il miserrl languido e bianco, 

Nè si mosse a pietà '1 suo Fato crudo 
Della sposa infelice Artcnopea, 

Che ’ntra i Morini indarno 1' alieutica. 

IX 

Dopo costui Grifoo dell’ allo Pasto 
Incontrò il grande Ann ori co Falcete, 

Nato non lunge all’ Era, dove in basso 
Al suo padre Ocean tragge la sete; 

E d’nn colpo nel cor di vita casso 
Nel legno il pose del nocchier di Lete ; 
Cosi d’ Avarco l’abbattuta schiera 
Ritorna or più che mai feroce e ’nlcra. 

x 

Ma non cede però dall’ altra parte 
D’ un passo indietro il glorioso Arturo, 
Che col medesmo ardir, con l' istessa arte, 
Come al soo incominciar, resta sicuro, 
Sostenendo il furor del nuovo Marte, 
Come d’ nn picciol rio possente muro ; 

£ volge il suo potere in ciascun loco, 

Ove seuta il bisogno o molto o poco. 


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L A VARCHI DE 



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*^63 l’ avarchide ^ h-T" 


xxr 

Par dovreste saper, che Lancilotto, 
Che tanto più di voi nell' arme vale. 

Se mai «eco a battaglia è stato indotto, 
Assai gloria stimò Tessergli eguale; 
Ricercar ne eonvien ^uerrier piò dotto, 
E sostegno miglior d‘ un peso tale. 

Per eh* impero o tesoro o nobiltade 
Non abbatte il furor di tali spade. 

xxxn 

E ’n colsi gius* oprando, non ha loco 
Il cordoglio d' alcun, che aia schernito ; 

Nè può l'alma scaldar d'orgoglio il foco 
A chi più il suo valor senta gradito; 

Nè T intelletto nmin, che vede poco, 

Dalla nebbia mortai viene impedito; 

Come in me può incontrar, quantunque a tntti 
Mi stringa eguale amor, secondo i fratti. 

sxn 

Al verace parlar tosto Gaveno 
Il volere e T andar tacito acqueta. 

Colmo di sdegno e di vergogna il seno, 
Che ‘1 disegnato onor chi può gli vieta : 
Ma già intorno al gran re preme il terreno 
Schiera di cavalier che ’n vista lieta 
Chiede, e per ti ciaseun, d* aver T incarco 
Contra '1 duce maggior di quei d* Avarco. 

XXXItt 

Quando ha il sno dir finito, ilbnon re Lago, 
Ch' al principio dell’ opra era arrivato, 
Risponde : Alto mio re, siccome vago 
Degli onori e del ben del vostro stalo, 
Dirò con umiltà, ch'io non m'appago 
Del moderato slil da voi lodato. 

Di porre in man di Dea cieca e fallace 
Quello, in cui tal onor per noi si giace. 

xxvn 

In tra i primi a venir fu Pelinoro, 
Boorte appresso, e '1 caro suo fratello, 
Ch* avea d’ ogni virtù largo tesoro, 

Io diro T onorato Lionello, 

Bavcno, il pio cugin d' ambe due loro, 
Florio il Toscan, dei Gotici flagello, 
Nrstor di Gave, e *1 saggio Maligante, 
E quel del core ardito Gosscmante. 

XXXIV 

Or non direste voi di mente insana 
Chi fabbricar cercando un regio tetto, 
Rimettesse al voler di sorte vana 
Qnel, che dell' opra sua fosse architetto ? 
Nè si eleggesse alena d' arte sovrana 
Tra i migliori appellato il più perfetto ? 
Quanto è poi più da dir, chi in lei ripone 
11 pregio d' infinite, e lai corone? 

xx vm 

Fu V ultimo a venir pensoso e lento 
Di Lionese il nobile Tristano, 

Che qnanto porta in cor più d'ardimento. 
Tanto più nei sembianti apparve amano, 
Dicendo : A chi vorrà lieto consento. 

Che si vada a provar con Segnrano ; 

Ma quando manchi ogn'altro,s'al re aggrada, 
Yeuga in rischio con lai U nostra spada. 

XXXV 

Affermo io si, che i nove cavalieri 
Tengon d'alt» valor sì ben la cima. 
Che non porrian fallir d' essa i pensieri, 
E rendesse a qual sia la voce prima ; 
Tutti saggi al consiglio, ali' arme feri. 
Tutti di sommo ardir ciascuno estima ; 
Pur non si trunvan mai fra noi mortali, 
Come mostran ili fuor, le cose eguali. 

XXIX 

Qnando sente il gran re la degna offerta 
Di lai nove guerrier, che ’ntorno stanno, 
De' qnai tutti eiascuo T impresa merla 
Senza molto timor di scorno o danno ; 
Nella mente reai dubbiosa e 'ncerta 
L’ abbondanza dei buoni apporta affanno ; 
Che ben sa, che d' un sol si largo onore 
Dee di sdegno ingombrar degli altri il core. 

xxxn 

Ma perchè a tanto re pesar dovria 
Un si grave giudizio in mezzo porre, 

Nè gli saria sentenza utile o pia. 

Per donare ad un solo, a molli torre; 

Ho pensato in mio cor quest’ altra via. 
Ch'ogni ben ne dimostra, e non s* inrorre 
Ove invidia col tempo, ira, o disdegno 
Possa aperto in altrui stendere il regno. 

XXX 

E poi che i suoi pensier seco rivolse 
Senza risposta far tacilo alquanto, 

Con lai dolci parole al fine sciolse 
Il buon voler sotto cortese manto ; 
Famosi cavalieri, a cui Dio volse 
D' infinite virtù donare il vanto, 

Ma si pari in tra voi, eh' ei sol porria, 
Per disceroere il più trovar la via; 

xxxvn 

Quest' è, che nell’ arbitrio ai ripose 
Dei duci e cavalier, che quinci seno, 

I qnai con voci a tutti gli altri ascose 
Nell' orecchie di voi sacro e supremo 
Moslriam colui, che T orme valorose 
Al lodalo senticr d' onore estremo 
Più degno di stampar dette il pensiero, 
E secondo il dever parlarne il vero. 

xxxt 

Per non fare a nessun di Unti offesa, 

E perchè ’l giudicar sovente è torto ; 

Se la sentenza mai non vien contesa 
Da chi veggia di me più dritto e scorto : 
Direi, eh’ a sì onorata e dubbia impresa 
Fortona sia, che ne conduca ai porto ; 

E mischiando in chius* urna i nomi vostri, 
Chi deve esaer di voi, la sorte il mostri. 

XXX Vili 

E cosi non potrà T avversa sorte 
Con T ingiusto giudizio farne oltraggio, 
Nè d' invidia o d’ amor le luci torte 
Discorrire o covrir l'altrui vantaggio; 
Quel si può veramente appellar forte, 

E senza dubbio aversi ardilo e saggio, 
Ch' al pubblico stimar colale appare. 

Il qual rado o non mai ai vede errare. 


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L ÀVÀRCHIDE 


170 


Mentre così diceva, nno «radierò 
Del magnanim' Arturo, Alcandro detto, 

Gli presenta un fortissimo corsiero, 

Tra mille, di' ei ne pasce, il più perfetto. 
Ben membruto a ragione, alto e leggiero, 
D‘ animo invitto, e fero nell’ aspetto, 

Di candido colore, e tutto intorno 
Di vaghissime ruote il manto adorno. 


L* esperienza poi, che *1 tatto insegna. 
Più che nell’ avversario, era in lui molta; 
E cangialo avea I core, in cui più regna 
11 voler giovimi, ch'ai furor volta; 

Nè tale era però, che ’n lei si spegna 
De' verdi anni miglior la forza accolta ; 
Ma del cerchio mortai pretnea quel punto 
Ove il senno e '1 vigor va insieme aggiunto. 


Giunto, ov’è il boon Tristano, a terra scende, 
Ed a loi reca in man l'aurata briglia; 
Bidente in vista il cavalier la prende, 
Tutto ripien di dolce meraviglia; 

E grazie al sno gran re larghe ne rende, 
Con voce umile, ed inchinate ciglia; 

Indi al montar non mette staffa in opra, 
Ma d’ un salto leggicr gli salta sopra. 


Fu d* infinito ardir, come il mostraro 
Le palme innumerabili e i trofei ; 
Orgoglioso il faceva il sangue chiaro, 
Ch’ ei pensava venir dai primi Dei ; 
Perchè I' unico Febo, non pur raro. 
Onde il sommo Giron discese, e quei, 
Che fer poi lui, peusavan della prole 
Esser nati quaggiù del proprio aule. 


11 medesimo Alcandro gli presenta 
Il suo scudo maggior di sette scorze, 

Di cosi saldo acciar, eh’ ei nou paventa 
Ostinato furor di umane forze ; 

Ove il leone aurato s* argomenta 
Con l'unghie di mostrar, eh* abbatta e sforzo 
Ciascnn altro animai, che con lai perde, 
Posto iu seggio reai di color verde. 


Era il giovin Trislan dall'altra parte 
Non pervenuto ancor nei cinque lustri. 
Spronato dai desir, che 'nfnode Marte, 

E dal volere eguar gli antichi illustri; 
Ben tutta conosrea la forma e 1’ arte. 
Qual più deggian seguire i duci industri 
Ma d' usarle sdegnava, e la virlude 
Sol nell' invitta spada esser conchiude. 


11 fino elmo da poi si duro e greve, 
Ch'era troppo a ciascun, gli pone in fronte, 
Per la forza, e per V uso a lui si leve, 
Che di men non avea le membra pronte; 
Sopra 1* alto rimier carco di neve 
D’ argentato color sorgeva un monte. 
Nella cima del quale in più d' nn loco 
Si vedean fiamme uscir d'ardente foco. 


Ma 1' intrepida forza era in lui tale, 
Che d'altrui sormontava ogn* altra cura; 
Tanto eh* a Srguran per quella eguale 
Il poteva stimar, chi ben misura ; 

Ma come sempre avvien, ch'or scende, or sale 
In chi brama, or la speme, or la paura ; 
li Britannico stuol, che '1 vede accinto, 
Or dell’ una, or dell' altra era dipiuto : 


Porgeli i elianti, e I* asta poi si grossa, 
Che nullo altro dell'oste la sostiene, 

Fuor che sol Lancilolto. che di possa 
Dei miglior cavalier la palma tiene; 
Prcndela il buon Tristano, e poi che scossa 
L’ ha in giro alquanto, per veder se bene 
Corrisponde a ragion la cima al basso. 
Rivolse al suo grau re U vista e '1 passo, 


E riguardando il ciel, dieea : Signore, 
Ch' addrizzi con ragion sempre ogni torto, 
Rendici il pio Trislan con lieto onore, 

K resti Seguran prigione o morto ; 

Se por di lui pietà ti stringa il core. 

Non sia con onta nostra e disconforlo; 

E ’l devoto pregar tanto ne vaglia. 

Che sia pari lor tra 1' aspra battaglia. 


Dicendo: Alto signor, col voler vostro 
All’ impresa onorata addrizzo il piede, 

In cui spero adeguar col valor nostro 
Qnella avuta di me sì larga fede; 

E s' altro non potrò, 1’ erboso chiostro 
Fia del mio sangue si famoso erede, 

Che non potrà mai dir, che indegno fosse 
11 core almen del bnon Meliadosse. 

tur 

Così detto altamente, al gran nemico, 
Colmo di bel desio, la fronte volge : 
Ciascun, eh’ è ’ntorno dello stuolo amico. 
Tra speranza e timor 1* animo involge ; 
Qual unni sia più, tra lor nell' arme antico, 
E eh' ha veduto più, seco rivolge 
Del fero Seguran, tacito in seno. 

Il sapere « U valore, ond* è ripieno. 


E con men di costor 1' oste d* Avarco 
Di contrarie preghiere il ciel percuote ; 
Pur d' assai meo timor 1' animo ha carco, 
Che sa quanto I* Iberno in guerra pnote ; 
Ma perché quel dell' arme è dubbio varco. 
Troppo soggetto alle volubil ruote 
Della cieca Fortuna e disleale, 
li timor della speme aggrava l'ale. 

Lavi 

E tanto più, che la rovina importa 
Di tutto insieme il perder Segnrano ; 
Perchè solo è di lor sostegno e scorta 
Il suo lunge vedere, e la sua mano ; 
Senza le quali ogni fidanza è morta, 

E lo scampo di poi s'aspetta in vano: 
Così 1 soverchio pubblico periglio 
Noi lassa rimirar con lieto ciglio. 


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L AVARCHIDE 




U»l 

Nè rimate al ano tendo il retto sano, 
or anni 1* ultime tre tutte piegaro ; 

E tenti dentro al braccio, e nella mano 
L' Aratori co gurrrier dolore amaro ; 

E dubita in fra tè, ch'ai tovr* umano 
Toder di Sepuran non fia riparo, 

S' altra percotta ancor limile attenda. 

Pria che Ini gravemente non offenda. 

uun 

E con forza maggior, che mai batteste 
La siciliana incnde t>pro Cirlopo, 

L* elmo di nuovo al fero Iberno prette 
Si, eh* averlo ti buon gli venne ad uopo ; 
Però eh* allor tenia tuo danno rette 
Al piu grave furor, che prima o dopo 
Potette tmtenerr, e mostrò in parte 
Quanto tia da pregiar 1* incantai* arte. 

LXXXtlt 

Che per ordin sacrato di Merlino, 

Col favor delle stelle, fabbricato 
Fu dai pio dotti spirti, e *1 ferro fino 
Nelle Stigie riviere era temprato ; 

Che mentre Segnran, caro virino 
Della Fata del Lago, in dolce stato 
Sero si ritrovò, quest* elmo tale 
Fa di lei don, che mai non ebbe egnale. 

lxxxit 

Fu lo scampo di lui dunque in qnrH’ora, 
Che ’n fin sopra la sella in due diviso 
11 fero busto dell' Iberno fora, 

Ch* esser per altra man deveva anciso ; 
Riman tutto smarrito, e rade fnora 
Dell* alla sede il naturale avvito, 

Ma non lunga slagion, che I* alma chiara 
Sforzò sé stessa di vendetta avara. 

LXXXV 

K qtial nodoso ramo, uscendo fnore 
Dal tronco ettreino, e che *1 cammino ingombra, 
Che con ambe le mani il viatore 
Torce in traverso, e *1 suo passaggio sgombra; 
Che poi eh’ è rilassato, in tal furore 
Al seggio torna, ove solca far ombra, 

Che chi a dietro riman si ben percuote. 

Che mal reggersi in piè sovente punte ; 

Lxxxvi 

Tal lo spirto di lui si basso spinto 
Dal possente ferir sopra il cimiero, 

Più che fosse ancor mai d* orgoglio cinto. 
Disdegnando risorge ardito e fero ; 

E ritruova Tristan, die s* era accinto, 

Per ritrar della palma il frutto intero, 

Ad nn colpo novel, che se *1 giungea. 

Nel disegnalo fin posto 1' avea. 

uxxvn 

Ma il forte Segnran, nel destro braccio, 
Me» tre eh* alza la spada, il rolpo stese ; 

E 'I finissimo aecìar, qual vetro, o ghiaccio, 
Dal taglio micidial poco il difese. 

Che’nturno si schiantò, pur tanto impaccio 
Diede al furor, che molto non I* offese ; 
Quantunque pur del sangue, eli' indi uscio, 
Sopra I‘ arme apparisse un picciol rio. 


ixxxvni 

E la spada e la man s’ inchina a forza. 
Che non pnò contrastar, sopra la coscia ; 
E se non che '1 buon cor troppo si sforza, 
La natura cedea forse all'angoscia; 

Ma il vivo spirto ogni dolore ammorza, 
Che ‘l corpo offrnda : e si può creder poscia, 
Che rilevato il brando si riserra 
Yerso il crudo nemico a maggior guerra. 

LXXXtX 

Il qoal rivolto a Ini : Chiaro Tristano, 
Brn dovreste apparar, dicea, per pruova, 
Ch* al maturo valor s* oppone in vano 
L'anror giovine forza e l'età nuova; 

E quanto, e come alla possente mano 
La lunga esperienza in arme giova; 

E non basta I’ ardir, se non si mesce 
Col senno poi, che '1 suo migliore accresce, 
xc 

Non risponde Tristan, ma d* una pania. 
Quanto più salda può, truova lo scudo, 
Ove il nero dragon la lingua spunta, 

Tinta di verde tosco, e ’n vista crudo : 
Passai tati' ultra, e sopra ’l braccio giunta 
Trapassa il ferro, come fosse nudo, 

E di sangue irrigò lutto il sinestro, 

Non men eh* ei prima a lui facesse il destro. 
x« 

Poi disse altero: E Segnran comprenda, 
Quanto a) giovin poter sia il senno frale. 
Per saldo contrastar, ch* ei non 1* offenda, 
Ove piu del saper la forza vale: 

Qual vipera mortai, ehe l sole arrenda, 
Quando del suo cammin più in allo sale, 
Si fece il cavalier, mentr* ode e sente. 

Non più il braccio impiagare, che la mente. 

xcu 

E con si gran furor muove il destriero, 
E ‘n cosi angusto giro 1 ha rivolto, 

Che 'ntricandusi i piè, sopra il sentiero 
Si trnova steso, e ’n fra 1* arene avvolto; 

E quantunque il cadere al gran guerriero 
Tutto il suo destro lato offese molto : 

Pur l' industria e '1 valor si ben raecoglie, 
Che del peso, eh* area, tosto si scioglie. 

xeni 

Ritorna in alto, e più che mai s'accinge, 
Richiamando il nemico a nnova guerra ; 

Né il cor tema gli agghiaccia, o ’1 volto pìuge 
Di gir contra uu corsier soletto in terra ; 
Alza il percosso scudo, e ’l ferro stringe, 

E per la sna vendetta il passo serra ; 

Ma il pio Tristan, come levato il vede, 
Con un salto leggier si mise a piede, 

xciv 

Dicendo: Io non so ben, se ’l senno antico 
Mi dovesse insegnar torre il vantaggio: 

E se chi sia cortese al suo nemico 
E dai vostri dottor chiamalo saggio ; 

Ma sia, che vuol, che per fidato amico 
Più l'onor sempre, die 'I profitto, avraggio. 
A cui 1' altro rispoode: È ben si deve, 
J»he quel vive immortale, e questo è breve ; 


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A V A R C II I D E 


Non intenti’ io, Tristan, che'l senno mostre 
Altra via, che di lui, eh’ è ’1 sommo bene ; 
Ma che regga col fren le voglie nostre, 
Che non passino il fin, di’ altrui conviene; 
£ più al giovine cor, che indarno giostre 
Sovente contea il cielo, e che si tiene 
Di sormontar cotal, sotto al cui regno 
Non pur 1' arme portar sarebbe degno. 

xcvi 

Qaal v* avvrrria, se ’l vostro cor credesse 
Potere or contr’a me gran tempo stare; 
Cosi dicendo, si vicin gli presse 
L' orme, che '1 può cui brando ritrovare; 

£ eoa forza cotal poi 1’ elmo oppresse. 

In cui tutto il furor volea sfogare. 

Che tardando lo scudo a ricoprirlo. 

Come il disegno fu, venue a ferirlo, 
xcvii 

Tal che, se la aoa tempra era men fina, 
Fora la guerra lor condotta a riva, 
Sqtiarriollo al mezzo, ma non tanto inchina, 
Ch‘ offesa entro ne sia la parte viva : 

Come al robusto pin la neve alpina 
Fa la rima avvallar di forza priva, 

Piegò la fronte il cavaliere allora, 

Ma la rileva poi senza dimora. 

xcviit 

E col proprio furor, ch’orso impiagato, 
Che addosso al cacciator rabbioso vada, 

In fronte a Seguran, l’ istesso lato, 

Ov’ ei percosse lui, drizza la spada ; 

Ma 1* altro, che 1 sentia d'ira infiammato. 
Ratto al greve calar chiude la strada, 

L' aurato scudo suo levando in alto, 

Conir' a chi romper la marmoreo smalto, 
xcix 

Ma lo spietato colpo tal discese. 

Che per mezzo il dragon proprio ha partilo, 
Che 'n diverse maniere ad ali stese 
Ingombrò il seoo all’arenoso lilo; 

E ‘1 braccio, che di punta prima offese, 
Novellamente ancor restò ferito ; 

Ma non tanto però, che le sue forze. 

La percossa, eh' avea, di nulla ammurze. 

c 

Noi caro Seguran, ma lieto grida : 

Or sarò più leggier senz’ esso rucarco, 

E mi basta la spada amica e fida 
Al securo passar per ogni varco ; 

Così dicendo, il gran valor, eh' annida, 
Men che mai d' adoprar si mostra parco; 
Ma quanto (usse ancor più ardito e fero 
Verso il suo percussor calca il sentiero. 

ci 

E ’1 buon Tristan nell' arme si ri serra, 

E col cor alto alla sua gloria intende ; 
Onde ardea più che mai cruda la guerra, 
Colai l'ira c horror ciascuno incende; 
Questi il possente scudo avea per terra, 

Il rotto elmo di quel poco il difende; 

Cosi lauto agguagliala era la sorte, 

(di' ogni noni forse di lur correva a morte* 


Ma gli Araldi reali, il saggio Amarro, 

Cl» è di saugue Britanno, e '1 pronto Atloro, 
Che per Clodatso er' ivi, al duro caso 
Gli scettri, rh'haono in man, gettan fra loro, 
Dicendo : Cavalier, già nell' Occaso 
Ha rattuffale il sol le chiome d’ oro. 

Nè convicnsi a guerrier por 1' arme in opra, 
Come il notturno vel 1’ aria ricuopra. 

cui 

Ciascuno è cavalier d’ alta virtode, 

L' uno e T altro è dal del di pari amato, 
E non vuol, che'l valor, che ’n voi si chiude. 
Sia di si nobili alme oggi privato; 

Noi romandiam, eh' alle percosse crude 
Sia posto ultimo fio per ogni lato, 

Con quel poter eh’ aveui ; cui chi disdice, 
Chiamane disleale in guerra lice. 

av 

A qnel grave parlare il piò ritiene, 

E raffrena ciascun l’ira e la mano; 

Che san quale ha disnor chi contravviene 
Al pubblico vietar del re sovrano : 

Or tosto d’ambe due quete e serene 
Si fer le menti, e ’n parlar dolce umano 
L' un 1' altro loda, e con amica gloria 
Sopra il nemico suo pon la vittoria. 

cv 

Ma il chiaro Seguran seguendo poi, 

Dieea : Tropp'oggi ho il cor lieto e contento. 
Onorato Trislao, vedendo in noi. 

Che pur non sia scemalo, nou che spento 
L' onor paterno, die tutti altri eroi 
Si lasciò indietro, e di’ io col piede intento 
Segui qual duce e padre, e poi col core 
Gli fui sempre vicin cui sommo amore. 

evi 

Il qual vogli per sempre, che si stenda 
In voi, mentre vivrò, se’ non vi spiace; 
Quantunque questa mano oggi difenda 
Colui, che contro ai vostri guerra face; 

Ma il ciel sa ben, con quanta doglia offenda 
Il grande Arturo, e detto sia con pace 
D’ ugn' altro re, che tutti solo eccede 
Di quanto ad sol la pia sorella cede. 

cvii 

Ma seguir mi conviene, ove '1 destino 
M' ha mostrato ‘I cammino c *1 troppo amore; 
A cui per contrastar, più che divino 
Valor convienne, e d’ adamante il core; 

Or sia che può, che nella mente inchino 
Lui sempre, e tulli voi con sommo ouore. 
Pregando il ciei, di' altra cagion mi vegna 
Di far guerra per lui di lui piu degna. 

cri u 

E perchè ’1 mondo sappia, eh’ a battaglia 
Non ho per odio alcun fatto l'invito, 

Ma bramando provar di quaulo vaglia 
Il guerrier, eh’ è tra' vostri il più gradilo; 
Questo agulo pugnai, che rompe e smaglia 
Qual sìa ferro piu duro in alcun lito, 

Vi prego, in uoiuc mio, preudiate in dono. 
Con memoria iunnorlal, die vostro sono. 



L AVARCHIDK 


Coli ilrlto, plirl porge, eh* ave* intorno 
Il ricchissimo albergo di fin oro, 

Di rubin tulio, e di smeraldi adorno, 

E d'altre gemme con sotti! lavoro; 

Quel tembra attorto della copia il corno. 
Queste i frulli, ch'avea, moitrao fra loro; 
lu cui di lettre aurate scritto appare: 

Tal abboude il gnerrier di virtù rare. 

ex 

Il cortese Tristano allegro il prende. 

Il bel dono, e ’l suo cor lodando mollo; 
Poi la larga ciolura, onde gli penda 
La forlissima spada, s* ha disciollo. 

La qual, non mcn di quel, tutta risplende 
Di lorente tesoro in essa avvolto; 

E quanto in atto può soave e piano, 

All' avversario suo la posa in mano, 

cxs 

Dicendo: E ’n nome mio portando questa. 
Vi potrà sovvenir, che la semenza 
Del buon Meliadusse avrete presta 
In ogni vostra altissima occorrenza, 

Non uien eh* aveste lui : se ben non resta 
Della infinita sua chiara eccellenza 
Minima dramma in lei ; pur, come sia. 

Di potervi onorar brama ogni via. 

cxu 

Cosi dello, si toma, ove aspettalo 
Cou sommo desiderio era da tulli, % 
Ma più dal grande Artnru, di' abbraccialo 
L'ha dolcemente, e non cou gli occhi asciutti. 



E dice in alta voce : O di bealo, 

Che dell* arbor gentil si chiari frutti, 

E di si gran virtù si raro mostro 
Producesti in onor del secol nostro ! 

CXllI 

I duci, i cavalicr, la plebe ignota, 

Come a rosa immortai, gli stanno intorno; 
Ivi s’ accoglie ogni noni, lassando vota 
La piazza star tra 1' una c I* altro, corno : 
Ogni atto, ogni suo detto ascolta • nota, 
E come da Pintori faccia ritorno 
Il miran tutti, poi che dalla mano 
Scampato il pon veder di Segurano. 

exiv 

Nella tenda reai cortese il mena 
Arturo, ove il di chiaro si vedea; 

Chiama Serbili, che gli saldò la vena 
Dal «angue, che nel braccio disccndea; 
Indi alla mensa di vivande piena 
Il suo caro Tristan, che non volea, 

Sopra la stessa sua dorala sede 
Con dolce forza, e *o bella lodi assiede. 

exv 

Cercan gli altri poi tulli il proprio albergo, 
E '1 sofferto del «li passato affanno 
Già con soave oblio lassanti a tergo, 

Poi che l'esca gioconda gustai' hanno; 
ludi d'arida paglia al lasso tergo, 

Quanto più «lolce pou, riposo fauno; 

Il medesmo addivien dentro iu A varco 
Al p«ipol d'arnie, c di sudore «carco. 


a 

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L AVÀRCHIDE 


CANTO XI 


ARGOMENTO 


onda ad Arturo proposta di pace 
JI re Clodasso t r tregua anco domanda. 
Questa è concessa, quella a lui non piace 
E gli Araldi con doni ne rimanda. 

Per no re dì /“ ira di Marte tace , 

E la pietà de' morti al cuor comandai 

Ottengon essi preci e sepoltura 

Tra il pianto de' parenti entro le mura. 


C im«*i suoi biondi erin la bianca Aurora 
Sovra il Gange spiegando anntmzia il giorno, 
Il pio rrltor dell’ Orradi rien fnora 
Dell’ albergo virin con l'arme intorno; 

E cinto di pensieri, ove dimora 
Del re Britanno il padiglione adorno 
Entrò «inietto, e già il ritmerà in piede, 
Ch* al bisogno comune ivi provvede. 

it 

Nè giunto a pena fo, ch’ogni altro Dace, 
Ogni altro cavalier di grande onore, 

Ch* era del suo splendor la maggior luce, 
Venne con riverenza e sommo amore, 

Per saper in qnal parte si conduce 
E’ allo voler del sommo imperatore ; 

I quai posti a seder gli prega Arturo 
Che ’1 debban consigliar del di futuro. 

iti 

Il re Lago il primier (come degno era) 
Già levatosi in piè, cosi dicea : 
ler poteste veder la lunga e fera 
Guerra per ambe dne tanto aspra e rea, 
Che non si porria dir, qual parte altera 
Render grazie ne possa a quella Dea, 

Che con l'ali cangianti in alto giace, 

E vola or quinci or quindi, ove le piace, 
ir 

Perdi’ io la vidi almen mille fiale 
Or tra i nostri allegrarsi or tra i nemici, 
Or tntti coronar di palme aurate. 

Or ripor tra i più miseri e ’nfelici ; 

Tanto rhe tono al fin si bene ornate 
Del sangue di ciascun queste pendici. 

Clic possiam dire rgual la nostra gloria, 

E di duol pareggiata la memoria. 


Perch’io direi, che la pietà eh avere 
Di chi mnor con onor fra noi si deve. 

Ne sforzi a ricercar via di potere 
Covrir quei, rhe perir, di tiimol leve; 

E ’nsieme ristorar le vive schiere 
D’ alcun dolce riposo, ancor che breve ; 

E chi percosso sia, eh’ alquanto possa 
Con più pace curar l’ impiagai* ossa. 

vi 

Nè pnò biasmo sentir d’ anima vile 
Il cercar da' nemici alcuna tregua. 

Ma di spirto pietoso e signorile 
Il bramar, rhe *1 suo dritto ai morti segua; 
Lo qual chi sprezza, allo spietato stile 
Delle fere salvatiehe s'adegua; 

E chi per tal richiesta sprezzi noi, 

Guarde pur se medesmo, e guarde i suoi. 

ni 

Si dirà ben, che chi sì ardito il core 
In guerra, e così pronta aggìa la mano, 
Non possa esser compreso da timore, 
Ritrovandosi in pace, e di lontano ; 

Ma sia, che può, che ’l candido valore 
Non dee biasmo curar, che venga vano ; 
Bastigli, che ’l pensier lodato e pio 
Egli stesso conosca, e ’l veggia Dio. 

Vili 

E se per poca gloria, e così frale 
Si lasseranno i nostri ai corvi preda ; 

Non avem da temer, che la mortale 
Crudeltà nostra in noi mrdesmi rieda ? 

La vendetta del del tarpate I* ale 

Non ha, piu che si soglia, a quel ch’io rreda; 

E ’nchinarse ai nemici in si degli" opra, 

È via più bello onor, che star di sopra. 

IX 

Come ha ’l buon re finito, ogn’altro insieme 
Del consiglio reai l’ istesso afferma ; 

Ma |a cura mrdesma il petto preme 
In Avarco la gente afflitta e ’nferma ; 
Ch'ivi turba infinita intorno geme 
Di giovinette donne e d'età ferma ; 

Clic chi I padre, rhi ’l figlio ave smarrito. 
Chi '1 frate! cerca indarno, c chi '1 marito, 
x 

Tal che mosso a pielade il re Clodasso, 
Adunato ogni duce e cavaliere, 

I)irea : Da poi eh’ a si dubbioso passo 
N' ha condotti. Signori, il deilin fero; 

Pria che *1 nostro cader vada piu basso, 

E mentre ancora in noi I’ arbitrio intero 
Riman di poter dare all* aspro assetilo 
Con men dannoso fin pace e rimedio ; 




L AVARCH1DE 




XI 

Parati, che noi deviam volger U mente 
A metterne in rammin, che* sia più piano ; 
In cui non pera lai la miglior gente. 

Né aia tempre in periglio Separano { 

Del qual te privi temo amaramente. 

Preda regnata degli inimici iu mano, 
Quantunque tomaia ho pur speranza e fede 
Nel supremo valor di Palamede. 

XVIU 

Ni vi do per timor 1' ulil consiglio, 
Clic la soverchia età naviga in porlo ; 
Ma per levarti' ornai 1* aspro periglio, 
Ch' io veggio sopra noi cadere scorto. 
Or non peusale voi, che '1 sacro ciglio 
Del gran Giove lassù couosca il torto, 
Ch' a voi stesso ed a lui di ciò seguio. 
Dispogliando del suo quel seme pio ? 

Hi 

£ d’altri molli poi, che foran degni 
Per le rare virtù di tornino impero, 

E di salvar, non eh* nn, mille altri regni, 
Con l’alma invitta, e col giudixio intero; 
Ma quello e*l mio Clodin ai chiari pegni 
Son degli anni miei «Lincili, ch'io nou «pero, 
Ch'altri potette mai servarme in vita, 

Se mi loglicaac il cicl la loro aita. 

xtx 

Né vi sovviene ancor, che lunge poco 
D’ etto seggio reale, e di quest* ora, 

Voi prometteste in si famoso loco 
A quel padre maggior, che più s* adora, 
Chiamando leslimoo del sole il foco, 

E l'ombra eterna, die la giù dimora: 
Che s'ci viocea Gaveu, queto e sicuro 
Lassereste il paese in man d' Arturo ? 

XIII 

Or adunque ti cerchi, amici e figli. 

Il icnlier più onorato c ’1 più aicuro, 

Che nou reggiamo (oimé) tempre vermigli 
Dell* Euro i liti, c ‘1 tuo cammino impuro, 
E di' io non viva ognor con lai perigli 
Fra la notte angoteioaa, e '1 giorno oteuro; 
Ma tenz* altro timor di nuovi affanni 
Putta al rogo portar questi ultimi anni. 

XX 

E che poi fu sturbata la battaglia, 

E ferito Gaveu cou vostra fede ? 

Com' or pensate voi, che piastra o maglia 
Regga contra ragiou, che in essa fìede ? 

O di £oerricr fallace il braudo vaglia, 

Che di tanta perfidia è fatto erede ? 

E la colpa è di voi, s' ei fu ferito. 

Poi che 1* ingiusto oprar non è punito. 

XIV 

Posto fine al tuo dire, il re Vagorre, 
Clic di grado c d’età quelli altri avanza, 
Comincia il primo: Perché iu Giove porre 
Deve il più saggio cor la tua speranza. 
Per la fede, di’ ho in lui, rio che m'occorre. 
Dirò con sienritaima baldanza. 

Scusa riguardo aver di chi poi forse 
Dica, che '1 mio parlare il puiuc e morse. 

XXI 

E si chiedesse ancor, consiglierei 
Tregua per qualche di, per che si possa 
Dei morti iu guerra agli infernali Dei 
Col foco consacrar le misere ossa ; 

Che d’un sccol integro i giorni rei, 

Pria che varcar la sventurata fossa. 

Non trapassin vagando, e noi restali 
Appellin con ragion crudeli e ’ugrali. 

av 

Parmi, o sacrato rg, che si devria 
(Senza indugio iuterpor) proprio iu quest'ora 
Mandare al re Britanuo, e dir, che pria. 
Che si mostri al balcon la uoua Aurora, 
Gli porrete il paese in tua balia 
Dì là dal varco, dove larga irrora 
I lieti campi 1‘ ouorata Cera, 

In fin dove il tuo corto arriva all' Era. 

XXII 

Qui si tacque Vagorre, e ’l fcr Clodino, 
Che d* impedirlo avanti avea talento ; 

Se non che Scguran, eh' era vicino, 

Di lassarlo finire il feo contento ; 

Risponde : Or prima avvegna, che ’l destino 
Mi torni in giro, come polve al vento, 
lo tra 1* Alpi nevose, al tempo crudo, 
D'ogui amico, e di bea povero e nudo} 

XVI 

Perdi’ ei posta di quel (che pure è mollo) 
Largamente rifar Benicco e Gavc, 

E con tuo largo onor Irovarte sciolto 
Di si dannosa guerra, e di sì grave ; 
Perché d' ogni trofeo di palme avvolto 
La profittevol pace è più soave; 

E tanto più. che spetto è’I più lontano. 
Chi la vittoria aver ti pensa in mano. 

XXIII 

Ch' io consenta già mai, eh* un re famoso 
Qual or Clodasso il vecchio mio parente, 
Il coi giovine oprar sì glorioso 
Già dall' Indico Gange all' Occidente 
Empiè d'alto romor, dagli anni roso 
Si veggia or tributario a quella gente: 
Della qual mille nomi e mille spoglie 
Cingon dei Tempii suoi 1* aurate soglie* 

XVtl 

E di tutto poi quel, che ritenete 
Che primiero agli scettri soggiacea 
De’ Britanni, e dei Frauchi, promettete. 
Che sarà sotto a lor, qual ei solca, 

E ’1 suo dritto a ciascun ue renderete, 
t ome il re Ban, come Boorte fea : 

Nè ve '1 tenete a vii, che ’l vero saggio 
Per ragion mantener fugge il vantaggio. 

XXIV 

Or se qui Lionel fosse e Boorte, 

E Laaeilolto ancor, 1' animo fero, 

Qnal ne porrìan bramar più dura sorte, 

O dei disegni lor lermin più altero ? 

Che non cercan di noi l’ acerba morte. 

La qual tardi, o per tempo usa il suo impero, 
Ma di condurne all* ultimo dìsnore, 

Ch' è *1 verace morir d' un nokil core. 


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l’ a V A R C II I D E 



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"TgT^j l’ àvarchide ;j^T 



XXXIX 


Xf.n 

Gii r uno e 1* altro Araldo si ritinge 


Dall* empio Segoran nasce il disegno. 

Della vesta reai per quello eletta, 


Clic voi con tatti noi sempre ebbe a vile; 

Che in celeste colore alto dipinge 


Nè di più largo don vi stima degno, 

Il pino anrato, eh' Aquilone alletta; 


Che di breve terreno in nido umile ; 

Poscia il gemmato scettro in mano stringe, 


Ma contro gli oratori il giusto sdegno 

E pronto al suo dover* il passo affretta, 


Vorrei versar in si spietato stile, 

E d' Arturo all' albergo è sopraggiunlo, 


Ch’ ei restassero esempio in ogni loco 

Che volea i tnoi mandar quasi io quel punto. 


A chi ut dignità preudesse in gioco. 

xt 


xtvu 

F.d esposta al gran re lotta altamente 


Ma il famoso Tristan, eh* udir non vuole 

1/ ambasciate d’ Avareo, in grand' onore 


Nel consiglio reai si lorde voci. 

Fnr ricevuti, e poi cortesemente 


In dolce ragionar 1’ aspre parole 

Per attender risposta messi Cuore. 


Chimica dicendo : I ravalier feroci 

Lì domandato il primo qnel che sente 


Esser devrien sotto l’aperto sole, 

Di questa offerta il suo discreto core, 


Con 1’ arme intorno, e contro ai falli atroci ; 

Fu il saggio re dell* Orcadi, che fisse 


Non all’ombra, in consiglio, e 'nverso quelli 

Ambe nel citi le loci, e cosi disse j 


Disarmali, innocenti, e poverelli. 

xtl 


XLVIII 

Dammi, Signor del del, grazia, ch'io prenda 


Che colpa è di rostor, se ’l re comanda. 

Il verace senter col mio consiglio, 


Ch’ ei vi vengano a far la vile offerta ? 

Onde poi con onor per noi $’ attenda 


E che orgoglio è del re a’ offerta manda, 

Il desialo fin d' ogni periglio; 


Ch’ a voi, men che ’l dover si mostri aperta? 

Or con fermo sperar, che in me »' accenda 


Che vergogna è d’ Arturo, che si spanda 

Quel sacro spirto, che creò il tuo figlio, 


D’ ambasciata colai la fama certa ? 

Dirò senza temer, eh’ e* non mi piace 


Ben superbia saria, fallo e dimore. 

Dopo guerra colai sì indegna pace. 


Il non far oggi lor richiesto onore. 

SUI 


itti 

E che si possa dir che tanti regi, 


Direi ben, sacro re, che in alcun modo 

Tanti gran duci illustri e cavalieri, 


(Sì come infino a qui dagli altri è detto) 

E ch'ornati fur già di tanti fregi, 


Non si debba accettar, ma sciorre il nodo, 

Che sovra ogni altra età vadano altieri, 


Che ’l tessuto iaceiuol non abbia effetto ; 

Per si poca mercè, ch’ogn'uom la spregi. 


E che si segua ognor confermo e lodo 

Aggiano in tal sndor tanti guerrieri 


Tanto, che giunta aia nel fio perfetto 

Già indarno affaticati si lunghi anni, 


Qnesta pia guerra, in cui di certo spero 

Che tutta Europa ornai ne senta ì danni. 


Veder tutto ridurre ai vostro impero. 

nr.sn 


L 

E se ’l Ciel ne darà (com* esser pónte) 


Ma la tregua accordar necessitaste 

(Che nessun vede aperto nel futuro) 


E giustissima legge ne coastringe; 

Le speranze, eli' aviam, d’ effetto vote. 


Che chi de’ morti suoi non ha pleiade, 

E'I cammino al passar più acerbo e doro; 


A selvaggio leon siruil ai finge ; 

La colpa fia delle fallaci rote 


E conviene onorar l‘ antiche strade, 

Della cieca Fortuna, e non d’Artnro, 


Là dove ogni mortai natura spinge ; 

Com’ or sana, se di vergogna carco 


E di quei più, che solo iu vostro onore 

Per sì poco terreo lassasse Avarco t 


S’ hanno al mezzo del dì troncate 1* ore. 

XI.» V 


r.i 

Il qua!, s' è ver, che 1' intelletto umano 


Dopo Trislzn l’accorto Maligante, 

Possa ai vati divin credenza dare, 


Lionello, e Raveno, e ’1 pio Boortr, 

Secondo il preveder di Pellicano, 


Ogni altro duce, e cavaliere errante 

Dehbe alle vostre man tosto tornare; 


Segue del suo parlar 1’ istessa sorte : 

Poi F aver noseo il nobile Tristano, 


Arturo allor dal fido Gostemanle 

Non ci fa d' ogni onor sirari andare, 


Fa del suo padiglion 1* aurate porte 

Con voler ostinato in ogni torte, 


Agli Araldi d’ A varco ratte aprire, 

D’ esso, o di tutti noi veder la morte f 


£ rende la risposta in dolce dire: 

XLV 


ut 

Non avea fatto fin, quando Gaveno, 


Questi onorati frati, e fidi amia. 

Al furor cieco usato, che’! trasporta. 


Che più die '1 proprio cor mi tengo cari. 

Interrompendo il vecchio, allarga il freno 


Ch’ai perigliosi tempi, e gl’infelici 

Ed all’ ira soverchia apre la porta, 


Non mi fur mai di lor medeimi avari. 

Dicendo : E perchè placido e sereno 


E lontan le native sue pendici 

Si mostra il volto, a chi ambasciata porla 


I lìgliuoi, le consorti in pianti amari 

Simile a ciò ch'io sento, Arturo invitisi. 


Han per me abbandonato, e per l' impresa, 

Che macchia il vostro onor, la giuria «'1 drillo? 


Che cop tanta ragioo da noi fu presa ; 


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L ÀVÀRCHIDE 



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IX TU 

Perchè d* nn mon licei levata in piiia 
Fn di pietre durissime ricinta. 

Che non pntea dai tempo esser conquisa, 
Né senza alta fatica in basso spinta ; 

Del maggior colle sn la rima assisa, 

Ch' ove rade del sol la luce estinta 
Guarda all* Orraso, e «l'Oriente al varco 
Scorge non lunge a lei sedere Avarco, 

LXX IV 

Poi fatto ivi di lor si altero monte 
Che troppo a chi *1 vedea pietà commuove, 
Tatto il popol miglior con voglie pronte 
Nella vicina selva il passo muove, 

E fon ferro mortai 1* annosa fronte 
(Senza temere alcnn 1' ira di Giove) 

Dell* antica sua quercia a terra getta. 

Che non solca curar pioggia o saetta. 

lavili 

Ivi H divo german con l'altro coro 
De* snoi chiari ministri e sacerdoti, 

Per gli onorati spirti di costoro 
Porgon colali a Dio preghi devoti: 

Non rivolgere il guardo ai falli loro. 

Che dei santi precetti andaron voti ; 

Non giustisia opra in te, ma la pietade. 
Che col tuo gran figlinol n’aprio le strade* 

LlXV 

Chi dell* eccelso frassino alle incide 
(Ond* ombra si Tacca) l'aperte braccia; 

Chi *1 gliiandifero rerro al pié divide 
Dalle attorte radici, e’n basso caccia. 

Quel 1* orno abbatte, che coi rami asside 
Sopra il vicin, che di cader minaccia ; 
Rimbomba il bosco, e le sne piagge oscure * 
Per 1* alto snon delle taglienti scure. 

r.vix 

Ài qnal canto divin presenti faro, 
la sembiante lugubre e *n vesti nere, 
Pien di celeste spirto il sommo A ritiro, 
E de* suoi ravalier T ornate schiere, 

Che *n silenzio umilissimo, e n cor paro 
Aiotavan di quei l' alle preghiere; 

Poi dato al lotto fin, largo s* infonde 
Il famoso terreo di sacrale onde. 

LXXVI 

Chi coi medfsmi carri indietro apporta, 
Ove mostra il camrain pin aperto calle ; 
Chi per pin angusta strada assai più corta 
Il depredato bosco ha sa le spalle ; 

Chi traeadol per terra agli altri scorta 
Facendo va per 1* intricala valle. 

Tanto che *n breve andar fornito il loco 
Fu nel bisogno pio del sacro foco. 

LXX 

Ha in diversa maniera d* altro lato 
Fan qnei d* A varco il lor funebre onore; 
Che poi che i cavalier d* altero stato 
Della torba piò bassa han tratto fuore, 
Dentro alle chiose mura era portato 
Ciascnn da’ suoi eou lacrimoso onore, 

K coi pin rari pegni in allo loco 
Nel sen riposti a prezioso foco; 

LXX VII 

Ove poi eoo dotto ordine locate 
Far le frondi, e i gran tronchi in doppi giri, 
D'assai tristi lamenti accompagnate, 

In tra pianti durissimi e sospiri 
D’anime miserelle sconsolale, 

Che ricordando indarno i suoi martiri, 

E bramando di quei I' afflitta sorte, 

Con voci di dolor chiamavan morte. 

uxt 

Le cui ceneri appresso in ricchi vasi 
Di fino or fabbricati, o terso argento ; 
Descritti intorno gli animosi rasi, 
Onde lo spirto lor giaceva spento; 
Molti d’ essi in Avarco eran rimasi, 

Ch’ èbber di lui vicino il reggimento, 
Che sopra alte piramidi luearo, 
Consumale da poi dal tempo avaro. 

lxxvhi 

Ma già i raggi ascondea nell’ Occidente 
Allora il sol, che la campagna imbruna; 
Cosi dentro alle mura amaramente 
Nel sno nido nata! torna ciascuna. 

Li sol riman della pin ardila gente. 

Chi al freddo corso dell* algente luna 
Sia fida guardia alle infelici schiere 
Da' morsi ingordi di rapaci fere. 

LXXII 

Gli altri, eh* ebber lontan la patria sede, 
l)oii lunga compagnia di faci accese, 

Con l’ insegne acquistate, e con le prede 
Mandati furo al dolce suo paese, 

Nelle pie man di chi chiamato erede. 

De* suggelli, eh* avea, lo scettro prese; 
Con chiari» amhasciador, che ben mostrasse 
Quanto il lor doro caso al re gravasse. 

LXXIX 

Gli altri all* albergo vanno, ove riposo 
Agli affannati corpi insieme danno, 

Pui che fra 1’ esca e '1 vin rimase ascoso 
Di tatti altri, e di lor 1’ avolo danno ; 

Il rnedesmo Tacca col re famoso 
Ogni Gallico duce, ogni Britanno, 

Ch' ove manca il rimedio, nn nobil core. 
Il lungo lamentar tiene a disnore. 

f.xam 

Indi lo stoni maggior di qnei guerrieri, 
Che senza nome aver coopre il terreuo, 
Tutto lontan da* pubblici sentieri, 

Ove pii* de' dne colli allarga il seno, 
Sopra possenti carri alti destrieri 
Traggon ratti rotando, in fin che pieno 
Il veggian d’ essi, e ’n torno la campagna 
Di tanti, che n' avea, vola riraagna. 

LXX X 

Po» che di nuovo Apollo all’Oriente 
Saettava i bei raggi all' aria intorno, 
Tosto d' Avarco la dogliosa gente 
Ali’ intermesso oprar facea ritorno; 

Ma innanzi a tatti in vista riverente, 
In oscuro, e lugubre abito adorno, 
Tulio coperto il capo, a lento piede 
Giva il gran sacerdote Clitomcde. 


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L AVARCHIDE 


UUI 

Nella forma medesma poi regola 
Tra mille cavalieri il re Cimiamo, 

Che 'I bel fregio reai depositi avia, 

E ripreso color doglioso e basso ; 

Né longe ivi da lui dietro venia. 

Pallida il volto, e di dolcezza casso, 

Pur con vesti neglette, e 'acuito crine, 

La coppia illustre delle pie regine. 

luiii 

L'altro popol più vii mischialo lancine 
Senz'ordine servar correva appresso, 

E ’l gran danno de' suoi sospira e geme, 
Con ramoscello in man d’aspro cipresso; 
Chi '1 frutto acerbo piange del suo seme. 
Chi '1 suo raro german, chi *1 padre islesso, 
llimanrndo privato in teneri anni 
Di chi lasso il nutria tra mille albumi. 

LUIIU 

Le femminelle al fio d' oscura sorte 
Tra gli estremi seguian con più pleiade, 
Biasoiando spesso il ciel, non pur la morte, 
E I crudo oprar di peregrine spade. 

Chi del figlio si duol, che troppo forte 
Il cor portava in non matura ctade; 

Chi lo sposo piangea, eh* a gran perigli 
Non si «loveva oppor pensando a' figli. 

lxxxit 

L' acerbe virgioellc, che rimase 
Son senza madre, e del parente prive, 
Piangon, eh' al sostener 1' alili Ile case 
Nulla verde speranza iu esse vive : 

Quella accusa il vicin, che persuase 
Al fratcl, clic godea 1' ombre native, 

Di cercar giovinetto in guerra fama, 

E crudo e disleal piangendo il chiama. 


lxxxvih 

Avesse a noi concessa questa vi la. 

Come agli Angeli suoi, d’ eterno corso s 
E tal or consentisse, die rapila 
Fosse di morte a alcun dal erodo morso; 
Quel, che men di tatti altri stabilita 
La grazia avesse del divin soccorso, 

Ben die ciò ch'ai ciel piace sia ragione. 
Pur di alquauto dolerse avria cagione. 

LXXX1X 

Ma ei qui ne ripon con egual sorte. 

Che dopo un breve andar si torni a lui. 
Quanto è infelice errur pianger la morte 
Di se medesimi misero, e d altrui ! 

E l‘ ore misurar, se lunghe o corte 
Sien di se stesso, o dei nemici sui ! 

Se quai di paglie ardenti le faville. 

Come si fugge un di, ne fuggon mille ! 

xc 

Perchè adunque dolibiam con largi pianti 
Di cuslor richiamar gli andati passi. 

Ch’or fra i giusti Minossi, e i H stiantasi li 
Tosto tulli tarao del inondo lassi ? 

A cui lieti narraudo i pregi e i vanti 
De* nemici, eh' han qui di vita cassi, 

E di' alfin per la patria furo uecisi. 

Gli farsa cilUdiu de' campi Eliaì. 

nei 

Non ne debbe doler d' alcuno il fine 
Ma il modo e 'I suo sentiero, onde si parte, 
Rendeudo grazie alle virtù divine, 

Che gli han locali in si onorata parte : 

E pregar poi, che noi medesmì inchine 
A lor con loda- egual l'invitto Marte, 

E nel nostro passar (con’ io confido) 

Lieto e ’n pace rimanga il natio nido. 


Tosto eh' è giunta al destinato luogo 
La gran pompa reale, e gli altri poi ; 

Si distesero io cerchio all' allo rugo. 
Osservando i gran re gli ordini suui ; 

E quei, di' antichi di milizia al giogo 
Fur per somma virtù coi primi eroi 
Agguagliati in onor: poi l’umilptrbe 
Più lunge assiede in fra 1' erbose glebe. 

UZXri 

Le due donne reali in altra parte 
Dalle matrooe nobili ridale, 

Dei cavalicr sedevano in disparte. 

Di curiina sotlil da quei distinte ; 

Le minor di fortuna in basso sparte 
Sedean vicine di dolore avvinte. 

Come fu il lutto quelo, in alla sede 
Salio '1 gran sacerdote Clitoiucdc; 

l xxx vii 

E con grave mirar l'occhio rivolto. 

Ove il rogo sorge», fiso riguarda ; 

Indi agli ascoltator tornalo il volto, 

Ruppe il silenzio al fio con voce tarda : 

Se quel, ch'ha il sommo bene in seno accollo, 
E con T ordine suo sfinge e ritarda 
D’ocni cosa il tamiuiii da lui segualo, 

11 cui certo voler s‘ appella l'atu ; 


Il qnal (come eh a noi nel tempo avvegna) 
(Ch'io non so ben ridir qual io vorrei) 
Veggio, eh' a farlo ampissimo disegna 
11 concilio immortai de' nostri Dei ; 

E che patria sarà lodata e degna 
Di molti antichi e nohil Semidei, 

Che di rami verran dell’ arbor Franco, 

Poi che quel, che reggiana, sia secco e manco. 

xeni 

I) qual certo illustrissimo poi fia 
In fin che gli ombrerà la tolta sede 
Nuovo troncoo, che per ristesse via 
Sarà degli aurei fior famoso erede ; 

Alla cui gran semeuza c larga e pia 
Fia ciascuna virtù, che in allo siede. 

Di cui molli bei germini radici 

10 questa terra avrauuo aline e felici. 

xciv 

Ma via più di tutte altre, poi che ‘1 sede. 
Dirci secol rivolti, c dieci lustri, 

Di Francesco primier 1’ della prole 
Vedrà qui superar gli antichi illustri 
Più di virtù, che di color non suole 
. All' apparir del sul rosa i ligustri; 

11 cui nome reai fia detto Enrico, 

D' ogni raro valor perfetto amico ; 


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L AVARCHIDE 



ICV 

Cl»' alla sna realissima sorella, 

Ch'avrà più di virtù, che fiori Aprile, 

Di questa alma città gradita e bella 
Ne farà dono a tale altezza umile. 

Perchè lauta bontà fia posta in quella 
Alma, più di' altra mai, chiara e gentile, 
Cir a prua quanto il ciel vede e riroopre 
Degno premio saria di ti bell' opre. 

xcvi 

Fia '1 chiarissimo nome Margherita, 

( li a lei si converrà più d’ altra mai 
Candida e pura, e ’n questa bassa vita 
Spiegherà più che ’1 sol lucidi i rai; 

Del niondu schiva, e ’n ss bel nodo unita 
Con T eterno Motor, che gli uman guai 
Non potrà» penetrar la divi»' alma, 

Nè di lor sentirà terrena salma. 

xevii 

Fia mandata quaggiù per vivo esempio 
De' suoi santi tesor dal sommo Giove ; 

Sarà il pudico petto altero Tempio 
Delle tre caste grazie, e delle nove 
Sue dotte figlie, al cui parlare ogni empio 
Cor perderà le scellerate pruove. 

Ch'ogni desir villan, che i pravi ingombra, 
Si vedrà dileguar di quella all' ombra. 

XCVIlJ 

Spiegherà le medesme amiche insegne 
Della sua famosissima Minerva, 

Come sola di lei, non d' altra, degne 
Nella mortale età dura e proterva, 

Si che T aspra Medusa non si sdrgue. 

Che la fronte fatale ad essa serva ; 

K 'I serpe e 'I fosco augel, eli’ Atene onora, 
Cou voler della Dea firn seco ognora. 

XCIX 

£ non senza cagiou. però che ad essa 
La divina scienza, orni' ella è madre, 

Come a dolce sua figlia, avrà concessa, 
t-on cortese approvar del sommo padre ; 
Da cui verrau, come da Palla istcssa, 
Pensicr celesti, ed opere leggiadre. 

Senno, grazia, modestia, e rarilade, 

£ quante altre virtù sian belle e rade, 

c 

Dentro all' altero petto umile il core, 

£ ripien di dolcezza avrà la sede, 

Che tutte abhraccerà con poro amore 
L anime afflitte, che Fortuna fiede, 

Solo al vero valor porgendo onore, 

Non al carco furor d’ iugiuste prede ; 

E fia dritta dei buon nella sua vita 
Stella, timo», nocchiero, e calamita. 

Ci 

Or qual dunque di noi fortuna avvegnx 
Non può danno apportar, che a questa spoglia; 
Perchè pinma verrà non forse indegna 
Più d'ogn' altra lalor, che scriver soglia; 
Ma quando fusse pur, la farà degna 
Questa terrena Dea, che 'n carte scioglia 
Il nostro affaticar di lodi carco, 

Tal che mai non morrà 1' antico Avarco. 



cu 

E però, cinti il cor di questa speme, 

Non contrastiamo al ciel coi nostri pianti; 

1 quai mal ti convengono al grau seme 
(Quale il uoslr' è) dei cavalieri erranti ; 

£ chi troppo il morir del mondo teme. 

Dì generoso spirto non si vanti ; 

Ma lassando dell' arme il nobil uso, 

Spenda gli auui miglior tra I* ago e I fuso. 

cui 

Voi miterelle donne, se piaugrte. 

De' sostegni miglior trovarvi prive; 

Gli occhi all’ alle regine rivolgete, 

In cui somma pietà per tulle vive. 

Se del lor breve corso vi dolete. 

Ripensate alt' onor dell' opre dive, 

C.he iu lor riluce, e $' al comprar sia caro 
Per si poca stagion nome si chiaro. 

civ 

Gl’ innocenti, figliuoì, che in teneri anni 

I dolcissimi padri hanuo perduti, 

Truovaii largo il guadagno tra lor danai, 
Sendoue al partir d‘ uu mille venuti ; 

Ch’ Avarco intero, e i pubblici suoi scaiiui 
Abbondar si vedraii nei dolci aiuti ; 

Nè più largo tesoro al figliuol, eli' ama, 
Può il buou padre lassar, clic illustre fama, 
cv 

Dato line al suo dire, in terra scese 

II sacro Clitomede, e ‘u basse note 
Mormorando tra se tre faci prese 
Dal più vecchio degli altri sacerdote, 

E ’n tre parli del rogo il foco accese, 

Delle quai la primiera era a Boote; 

In vista poi di riverenza piena 

Per tre volle baciò V arida arena. 

evi 

Già il tenebroso fumo intorno ingombra 
E per torto camuiin nell'aria sale, 

Mentre ancor di Piropo i legai adombra 
Ynlcano in basso, eli' avvampar non vale; 
Già con fiamma crescente il nero sgombra, 
E s'addrizza nel ciel cou lucide ale, 

E di faville ardenti ha larga preda 
Tra le frondi sonanti, eh' ei depreda. 

crii 

Quel tre volle accerchiò con larghi giri 
L* inerme popolar cou ratto piede, 

II cui suou di lamenti e di sospiri 
Einpiea tutta del ciel la prima sede ; 
Ricordando ciascun gli aspri martiri. 

Onde al partir de' suoi rimane erede : 
Fanno annali il medesimo i guerrieri, 

E i duci, e i cavalier sopra i corsieri. 

eviti 

Chi getta sovra lor I’ elmo o lo scudo, 
Ch’ era d' alcun di lor lodala spoglia ; 

Chi la spada o lo strai, eh' agulo e crudo 
D' aspra morte al vicin portò la doglia ; 
Chi 'I suo piò caro arnese, perchè nudo 
Miser non scenda alla Tartarea soglia : 

III questo mezzo I* infinite trombe 

Fau, clie I' aria, la terra, c l ciel rimbouibc. 


I 3 


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L AVARO I! IDE 



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ARGOMENTO 

ri mentre che in consiglio son raccolti 
i guerrieri iT Avarco, Arturo ossa Ir 
La citta spaventata. Accorron folti 
Alla difesa i prodi , e pugna eguale 
A nle fra lor ; ma net merigge tolti 
Sono ad Artur gli allori , e tanta e tali 
£ la rotta che soffre , che nel campo 
Proprio ritrova miserabil scampo. 


* 

1 1 doralo ImIcuii dell’ Oriente 
(Poi rlie Collima tregua a fin venia) 

La spota di Tiloii vaga r riddile 
C.on le rosale mani al menilo apria; 

L' impigro Seguran rou poca genie, 

('lie piu cara e miglior sempre il segni-), 
All'albergo reai ilei suo Clodasio, 

I*ien d' alierò desio, rivolge il passo. 

il 

Nè molto dopo Ini dei duci eletti 
L.’ altra schiera onorata arriva insieme, 

K n pnbblieo consiglio son ristretti 
Sopra il tempo passato, e rii' or gli preme; 
1 cor vari fra lor fan vari elTelli, 

Che l'un spera soverchio, e l'altro tenie; 
Chi vorria sol guardar la patria terra. 

Chi di nuovo tentar più acerba guerra. 

Ili 

Fu il primo a ragionare il re Vagorre, 
Qual più antico e più degno, e eosi disse: 
Saggio è il eonsigliator, che sol ricorre 
A quell' ultimo fin, che in eor si fisse; 
Quel sol rimira, e tutto l'altro abhorre, 
Come al «no proprio danno consentisse; 

K ehi farà in tal guisa, raro fìa, 

Che d'incontrare il ver perda la via. 

tv 

Da poi che volle il riel, che di Clodasso 
In Bretagna primier fugalo e rotto 
Fu l'oste allor nel periglioso passo 
Per la troppa virtù di Lanrilollo ; 

Di qua poscia dal mar di vita casso 
Più d' un suo figlio esseudo, a tal ridotto 
Fa il nostro stato, che di tanta guerra 
Ogni speranza è chiusa in questa terra ; 


La qual mentre sta in piè si debite avere 
Dell’ altro ricovrar sirura fede ; 

Che non può lungamente sostenere 
Il numero infinito in questa sede 
Arturo o Clodoveo, eh' han tante schiere 
Di si varie nazioni, e già si vede 
Mancargli alcun, eh* io sovra lutti esalto, 
Come il gran Lancilolto e Galealto. 

vi 

Perchè passato è già più che *1 sesl'anno 
Ch*a queste invitte mura sono intorno; 
Tanto che stanchi ornai dal lungo affanno, 
E del gran faticar la notte e '1 giorno, 

Si può sperar, che senza nostro danno 
Tosto nel lor lerren facciali ritorno, 

Che non più stimerau, eh' al tempo addietro, 
I tentali ripari esser di vetro ; 

VII 

Pur che senza provar novella sorte, 
Come a nostra rovina spesso avemo, 

Siano uniti i voler, chiuse le porle, 

Poi con cura maggior ci guarderemo ; 

F. sprezzando il romor il’ invitto e furie 
Che del proprio devcr passi I* estremo, 
Volgerem sol la cura e la fatica 
A difender di uoi la patria antica. 

Vili 

Or senza ricercar piò gloria in vano, 

Ma segtieudo del ver l' istesso fine, 
Armiam solo al salvar la nostra mauo 
Del sacro A varrò il nobile confine ; 

E poi che 'I gran nemico fi a lontano 
Sovr’ altre region dei suoi vicine, 

Ove non sia di noi sì gran periglio, 

Ne potrà il tempo dar nuovo consiglio. 

IX 

Qui sì tacque il buon vecchio, e si ripose 
Nel suo seggio reale, onde levotse. 

Al fero Segoran non si nascose, 

Che per lui ratfrenare il re si mosse; 

Pur con voce assai dolce gli rispose, 

E quanto orgoglio avra dell' alma scosse, 
Direndo : Al saggio dir del re Vagorre 
Non si può con ragion levar, nè porre. 

x 

Che senza dubbio avere, intera apporta 
La salute d'ogn'tiom guardare Avarco, 

A cui basta il tener chiusa la porta, 

E difender di lui l’ angusto varco 
Con sollecito studio, e fida scorta, 

E d'ogn' altro desire andare scarco; 

E come al segno fa l’ accorto arderò, 
Drizzar solo a quel fine ogni pensiero. 


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*D!) 


L AVARCHIDE 


aoo 


XI 

Ma questo al re Va porre ti conviene. 
Che nell' ultima età pia muove il patto \ 
Ma non a Srgnran, che «lesio tiene 
Di lassane in onore opn' uom più lusso, 

E rhe in quella slapion con pii anni viene. 
Ove il senno »’ arereste, e *1 valor lasso 
Non è «lai tempo ancor, ma repnan l'ore, 
In cui più «i* ambe due nsplende il fiore* 

XII 

Io non venni d’ Àvarro pia in aita 
Con tanti ravalier dal regno Iberno ; 

Nè a Claudiana mia sempre gradita 
Con bel laccio d* Amor mi cinti eterno, 
Per menar poi nascoso oscura vila, 

E degli antichi miei restare scherno ; 

I quai, fossi sprezzando, argini e mori, 

Sol della spada loro rran sicari. 

XIII 

Senta in prima di mr 1 cenere sparso 
De' venti in preda al tempestoso rielo, 

O da vii foro consumalo ed arso 
Da' miri stessi nemici il mortai velo; 

Che d' onor ricercar mi faccia scarso 
D'altrui ricordo, o di temenza pirlo; 

E eh* io non sia tenuto da ciascuno 
Dcpno crede fra lor del tangne Brano. 

xtv 

E te ’l suocero mio con tutti voi 
Sol di guardar Avarro a vea desire, 

Nè volea per valor d' alcun de' tuoi 
In alcun tempo mai le porte aprire : 

A che si lange in van richiamar noi, 

E tanti cavalier di tanto ardire ? 

Perdi* assai mrn valore, assai men gente 
A difendervi dentro era possente. 

xv 

Ma per un sì gran re non basta solo 

II suo seggio sovran aver difeso, 

E tarpato al nemico I* ali e '1 volo. 

Che nel vostro terreno ave a già preso ; 

Ma quel romor, rhe l' uno e l'altro polo 
Delle vostre vittorie avea compreso, 
Mantener vivo sì, che faccia fade, 

Ch' all' estreme giornate anco non cede. 

XVI 

E chi ben peserà con dritta lance. 
Quanto piove il mostrare ardilo il core 
lu assedio colai, non fole, o riance 
Stimerà il nostro andar sovente fuore, 

E le piastre smagliare, e 'I romper lance, 
E *1 tenere i nemici in tal timore, 

Che cimi sicuro cor goder non ponno 
Il giorno il riposar, la notte il sonno. 

xvit 

Se voi restaste ognor dentro a quei fossi 
E vi mostraste sol sopra le mora ; 

Sarian d'ogni sospetto gli altri scossi, 
Come i vostri ripien d' ogni panra ; 

Che sempre han da viltà gli spiriti mossi 
(Chi con la prnova assai non gli assicura) 
Quei, che vengon novelli alla battaglia, 
Nè san I‘ arme d' altrui quel, ch* ella vaglia. 


xvm 

Poi noi siam tanti duci insieme e tali. 
Tanti gran cavalier di nome altero, 

Ch* a tre volte più schiere di mortali 
Non udremmo d* un piè sr torre il sentiero: 
Non fa il numero sol le forze eguali. 

Non di bramala palma arreca impero ; 

Ma il gran senno, il valor, l'ardire, e I* arte, 
Di cui certo è fra noi più larga parte. 

XIX 

Non sia dal vostro dir dunque oggi tolta. 
Sacratissimo re, la chiara strada 
A così gran virtù per voi raccolta 
U' insanguinar talnr la rliiara spada, 

E diradar di quei la schiera folta, 

A cui il nostro morire e I' onta aggrada ; 
Ma n* aprite il rammin di gire al rido, 
Dcll'albor cinti del signor di Drlo. 

xx 

Detto ch'ebbe cosi, s’as«ise c tacque 
L* invitto Iberno, e sorse Palamoro, 

Ch' al Santonico mar non Inope nacque. 
Possente di lerren d'impero, e d'oro. 

Di Clndasso parente, a cui già «piacque 
Veder le nozze, che concesse foro 
Al fero Segoran di Claudiana, 

Ch'era allor del suo cor donna e sovrana; 

XXI 

E sposata I' avrebbe, se non fo*se 
L* aspra necessità del vecchio padre. 

Clic per lei sola Segnrano indusse 
Di venirlo a servir con le sue squadre ; 

Or così acerbamente a Ini perrusse 
Il eor I' invidia, rhe dell’odio è madre. 
Che contea ogni opra sua, cantra ogni dello. 
Di nemico ad ognor mostrò I* effetto. 

XXII 

Sorse dunque, e poi disre ; lo non saprei 
Condannar, Seguran, quel rhe voi dite ; 
Che ’l valore e 1’ ardir dei sommi Dei 
Grazie son sovra tutte alte e gradite ; 

F. rhe sten fra i mortali i Semidei 
Quei, eh* ardore onorato all'arme invile. 
Deprezzando del mondo ogni aspra sorte. 
Per la vita immortal comprar con morte ; 

XXIII 

Ma diro ancor, eh’ ove il bisogno sprona, 
Che si debba temprar l'arme e '1 desio; 
Che divin )' intelletto il ciel ne dona. 
Perchè scerner possiamo il dritto e *! rio; 
Nè quella opra medetma è sempre buona, 
Nè per nsaria ngn’ or l’ha fatta Dio; 

Ma il modo, la cagione, il tempo, e ’l loco 
Dan sede alla virtù tra ’1 troppo e '1 poco. 

XXIV 

Se noi siam per guardar la patria terra, 
E nuli’ altro voler nr preme il core ; 
Perche drviam con perigliosa guerra 
Cercare indi acquistar privalo onore ? 

E non aver de’ ben, che ’n sen riserra. 

La dovala per noi cura e timore, 

Che non vengano in man de’ nemici empi 
Le matrone, i figlinoli, e i sacri Tempi * 


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Se stimale voi sol (si come è certo) 
Illustrissimo e ’nvillo ravaliero, 

Molli altri ancora, ed in di qualche merlo 
Esser erediam nel pubblico pensiero; 

Ma perchè ronnsciam chiaro ed aperto, 
Ove del dritto oprar giace il sentiero, 
Conienti cì chiamiam, eh’ oppi d‘ Avarco 
Solo ai Britanni c' suoi si chingga il varco. 

xxri 

Poi, se *1 tempo (tari, volger la mente 
In acquisto nove! di sarro alloro, 

Forse non firn le man più pigre e lente, 
Che del pran Seguran, di Palammo; 

Ma mentre or la pietosa e inferma pente 
Che da noi spera sol pace e ristoro 
In gnardia arem, serriamo npn* altra cura 
Dentro a queste onorate e sacre mura. 

XXVtl 

E non si faccia in van tante chiare alme 
Di tanti alti giirrrier nostri e lontani 
Lassar per terra le terrene salme 
D' impurissimi corvi esca e di cani ; 

Nè col sangue di lor P antiche palme 
Faerian qni rifiorir le vostre mani ; 

K per mostrarvi ardito alla battaglia, 

Di perder i miglior poco vi caglia. 

XXVIII 

Nè date snspizion, eh* essendo Innge 
Dalla vostra reale Iberna sede, 

Mrn eh' a noi più virin, tema vi punge 
Di lor veder degli avversari prede. 

Ma eh* al nostro desir tutto •’ aggiunge 
Quel che portate in sen, ne farcian fede 
Il lassare ogni gloria, e ’ntender solo. 

Che non possan sentir vergogna e duolo. 


Non è semplice onor quel, che mi spinge 
A cosi spesso andar con l'arme Cuore; 

Ma il dever della guerra, che ne stringe 
A frenar dei nemici il gran furore ; 

Che di si fero ardir lalor sì cinge. 

Che senza essergli opposto altro valore 
Di quel, che pon mostrar le chiuse spade, 
Mal secare sarien queste contrade. 

XXXIII 

E se molti ne son (come voi dite) 

De* nostri cavalier condotti a morte. 

Non han già più di noi dure le vile 
Gli aspri avversari, eh* all' istessa sorte 
Larghe schiere dì lor volando gite 
Suo per man nostra alle tartaree porle; 

E mentre noi piangiamo i nostri danni, 
Non haa cagion di riderne i Britanni, 
xxxiv 

Nè men gente di lor, nè meno illnstre 
K, da poi eh* io ri son, venuta manco $ 
Nè vide qnesla terra ima e palustre 
riè il nostro ancor, che I lor valore stanco ; 
E s’ ci, ehi più d'ogn' altro il nome illustre 
Tral'Armorico stuolo, e ’l popol Franco, 
Han Boorle e Trista», eh' a nullo cede ; 

E noi Brnnoro il Nero e Palamede, 

XXXV 

Che dall* Ebridi al nido dell* Aurora 
De* suoi chiari trofei colmò le strade ; 
Alla coi gran virtù fu «lato allora, 

Come si vede incoi, cinger due spade ; 

Or mentre tal gnerrier fra noi dimora, 
Chi vorrà contraddir, che le contrade 
Non firn secare del famoso A varco, 

E sia d* ogni timor Clodasso scarco f 


Quando ndi qnesto il fero Segnrano, 
Che d' attenderne il fin disposto avia, 
Risponde; Adonqne cor tanto inumano, 
Tanto pien di veleno al mondo fia, 

Che pensar debba sol, che per lontano, 
Che dal mio regno proprio Avarco sia, 
Poi che venato «on d’ esso in aita. 

Mi possa esser men caro, che la vita ? 


Arem poi Marabon della riviera, 

Con Bustarino il grande e Terrigano, 

Del Fortunato la persona fera, 

Il selvaggio Rossan col pio Parano, 

E d'altri eguali a lor lodata schiera. 

Che non prezza il Britanno, o ’l Gallicano; 
Tal che a chi teme sol quel ehe si deve, 
Il nostro guerreggiar non sarà greve. 


Non I* amor del terren, dov* io son nato, 
Più che la data fè, trova in me loco, 

La qnal dee sol pregiar l' uomo onorato, 
E tuli' altro appo lei recarse in gioco; 

Or s* ogn' altro eli* Avarco sia servato 
Scalda ardente desio, me fa di foco ; 

E fien le membra mie trofeo di morte, 
Pria eh* io soffri vederlo in altra sorte. 

XXXI 

E %' in non fossi tal, che pnr il sono, 
Non ho dentro in Avarco il maggior pegno, 
Che ne posta dal ciel venire in dono, 

Ch’ avanza ogni tesoro ogni altro regno ? 
Potrei por qnella cosa in abbandono, 
Ch'assai più che ‘I mio cor gradila legno? 
E per ter car, qual dite, gloria vana, 
Lassare in si gran rischio Claudiana ì 


Così mentre fra lor con aspra lite 
1/ un I* altro in duri morsi ripreodea j 
Già le schiere al prim’ ordin riunite 
Artnro inverso Avarco conducea ; 

Tal che 'n voci tremanti ed impedite 
Anfion pien di tema si vedrà 
Arrivato gridar nel regio albergo, 

(die gli armati nemici erano a tergo. 

XXXVIII 

Al cui tristo rumor l'alto ronsiglio 
Senza nullo aspettar tosto è ditriollo; 

Nè alcun vi fu, di' al subito periglio 
Di legalo Iremor non fosse avvolto. 

Solo il gran Seguran con chiaro ciglio, 

E più eh’ avesse ancor, con lieto volto 
Disse : Or perdiamo il irmpn in nostre riance 
Mentre i feri avversari opran le lance. 


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XXXIX 

E ti inoltri qui dentro accorto e saggio 
Ciascuno al confortar 1* ozio e la pace. 
Mentre Arturo là fuori al tuo vantaggio 
Quanto pnote aspirando «prona e tace. 
Lieto d' aver ti debile paratia 
Della nostra virtù, di' a lai «oppiare ; 

Non per forza minor, ma per la voglia 
Pigra oppi in noi, eh' ogni valore «poglia. 

xtvt 

Rise il pio Seguran dicendo i Ascoso 
Non m' è 1 vostro valor, Signor mio caro; 
Or gite innanzi col drappel famoso 
Dri vostri cavalier d' onore avaro ; 

E spuntale al nemico l’orgoglioso 
Primo furore , e noi farem riparo 
All* altro ti, che si porria pentire 
(Com* altra volta ancor) di troppo ardire. 

«t 

Coti dicendo ancor, ratto s' avventa, 
In guisa di paslor, di' all’ ombra oscura 
Latrare il fido can non innge tenta, 

Che delle gregge care aggia la rara ; 
Trini va il misero tinnì, che si «gomenta, 
Voto d* ogni «prrar, pien ili panra. 

Di vecchierelli infermi e femminelle, 

Che in divolo pregar guardan le «tdle. 

XI. vii 

Cosi parlando, giunse alia gran porla. 
Che va inverso i Britanni, e falla aprire ; 
Ivi i duci appellando, gli conforta. 

Che dimoslrin quel di l'antico ardire; 
Manda appresso Clodia, poi che la scoria 
Vede di Palamoro innanzi gire, 

E dietro a lui Yerrallo coi guerrieri, 
Ch'avean Parme più levi fra gii arcieri. 

XLI 

Poi rivolto ver lai gridan : Signore, 

Or ne valga il valor, die ’n voi ti «erra, 
Si rhe ne sgombre il periglioso orrore 
Dell' aspra, e lunga, e saaguino»a guerra. 
Ri«pond' ei lieto lor : vestite il core 
Della dolcezza, eh’ ogni duolo atterra, 
Srcuri di vedere il mio ritorno 
Di ricche paline de’ nemici adorno. 

XLVIII 

Nè da lui limge il fero Palamede 
Coi suoi lutti dell' Ebridi era andato, 
Ver le radici, dove il colle assiede. 

Che ’l fiume scorge al suo sinistro lato ; 
Ed ei col resto (poi eh’ ogni altro vede 
Al devoto raminìn bene inviato) 

Col numero maggior il passo move. 

In più animoso cor, di' avesse altrove. 

ii.ll 

Pregate pure il del, che non ti mostri. 
Pio di qnrl che ti soglia, a noi nemico, 
Nè più consenta agli avversari nostri 
Cli’ a noi Fortuna il suo voltare amico ; 
Che tosto renderò d’ Orane ì chiostri, 

Più che fossero ancor nel tempo antico. 
Lieti e felici : e di quel sangue molli 
Per molti anni a venir fertili i colli. 

ZL’X 

Già non molto lonlan da quelle porle 
Il fero Palamoro, e 1 «no Vrrralto, 

Con Maliganle aveano, e con Boortc 
Principio dato all* onorato assalto; 

E fu P incontro lor tant’ agro e forte. 

Che di ra valli e d‘ arme il verde smallo 
Si vide ricovrire, in quella guisa 
Clic suol prato il villau dell' erba iucisa. 

XUII 

Cosi dicea passando, c poscia chiama 
(Che ’n conica gli venia) Brunoro il Nero, 
E dice : Or dove è or di tanta fama 
Degli altri cavalier lo stuolo altero? 

Già non deve aspettar chi l'onnr brama. 
Ove l'uopo è maggior, d'altrui l'impero, 
Ma presentane tal, che dia cagione 
Più del morso adoprar, che dello sprone. 

L 

E perché a tutti i suoi davanti giva 
Con lo scudo alto il cavalier di Cave, 

Fu dal buon Palamoro, clic veniva. 

Ben conosciuto, che notizia n* ave ; 

Gli sprona incontra, e furioso arriva, 

E di colpo il feri dannoso e grave, 

Che ‘1 famosissimo elmo gli percosse 
Si, che fuor del suo loco quasi il mosse. 

XIV! 

E'n questa ivi arrivar vede Clodino, 
Con Rossano e molti altri; e poi fra loro 
Minacciante splendei di ferro fino 
Con sembiante onorato Palamoro; 

Il qnal, tosto di' a lui si fe' vicino, 

Grida : Ecco Seguran, di’ io non dimoro 
(Quando il bisogno vien) qual pigro c vile, 
Ma dei miglior guetrier segno lo stile. 

LI 

Nè di men forza er' uopo al sostener se, 
Che quella del guerrier, eli’ ogii' altra passa; 
Ma il destriero avversario non sofferse 
Il furor di Boorte, onde s* abbassa 
Si, che cunricn clic Palaniur riverse 
Sopra il terreo cadendo, e dietro il lassa 
Tra i cavai, che veoian, si c!»V polca 
Levemente condurse a morte rea; 

XLV 

Nè fui veduto ancor tornare un pasto 
Coi miei levi cavai per tema alcona; 

Nè mai di guerreggiar mi vide lasso 
Caldo raggio di io], nè algente luna ; 

Se ben nel consigliare il mio Clodatso 
Temo in servigio suo l’aspra Fortuna, 
Ch’ornai condotto l'ave in grado tale, 
Ch'ogni pieciol cader tarìa mortale. 

Lll 

Ma Calarle, che ’l segue, e Ferrandone, 
Alla gente, che vien col ferro iu resta, 

D’ amor carro ciascun ratto s'oppoue 
Si, che poco al varcar gli fu molesta : 
Poscia in nuovo corsicr tosto il ripone. 
Perchè '1 vigor del suo tardo si desta ; 

Poi tutti in un con 1* altra schiera stretta 
Spronali con nnovo ardire alla veudclta. 


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L’ AVARO 11 IDE 


ini 

Dall'altro lato anror ron Maligantr 
Il mrdrnno Verrallo fatto avia, 

Oi* era sopra un destriero agli altri arante 
Della schiera «F arder, rii' a piè il seguia ; 
E 1’ uno e 1* altro ravaliero errante 
Di furia e di bontà si ben fìoria, 

E si pari in Ira lor, eh' nnili insieme 
L'un e l'altro il lerren cedendo preme : 

U 

Nè il re Lago e Gaven, che ’n torno vanno 
Al fero Segurano, e ’l re Brunoro, 

Facean di lor mrn sanguinoso danno. 

Che quelli, e che Clodia fatriaa de’ loro ; 
Ferrile in fronte a ciascuu di pari stanno 
L’ aspro cipresso e '1 trionfale alloro ; 

E con forza si cgual 1' un 1* altro preme, 
Ch' ugn’ noni senza timor si cinge speme. 

tir 

E 1* uno r 1* altro nel medesmo punto 
Sciolto dal suo ravallu è in piè tornato ; 
E già col brando in man s* era raggiunto, 
Per provar la sna sorte in altro stato ; 

Se non che tosto d' ogni parte è giunto 
Lo sluol, che gli seguia, quantunque armato 
In diversa maniera, ove si vede 
L’ un su' levi destrieri e 1 altro a piede. 

Or quanto il sol rotando in alto sale. 
Ch' ancor non scalda il giovinetto giorno, 
Tenne sempre fra lor lo stato eguale 
Quella Dea, che caugiaudu gira attorno; 
Ma poi di' ai mezzo di spiegando 1' ale 
Fa iuverso l' Ocran Febo ritorno, 

Prese la lance in mano, ond' ella suole 
Librando andar quel ebe in futuro vuule ; 

Vr 

Maquesto a qnel,rhe sprona, aperto il seno 
Nostra, dell ordin suo formando l' ali ; 

E come olirà è passalo, a sciolto freuo 
Drizza intorno di lui gli apuli strali; 

E di molli di qoei bagna il terreno, 

Pria che potersi ai colpi micidiali 
Volgersi iu giro stretto, e ’n breve spazio, 
Poi dei saetuUir far lungo strazio. 

UUt 

E le sorti d' Arturo e di Clodasso 
Nelle pendenti sedi ripooea ; 

Poscia alzandole par, cadere in basso 
Chi reggeva i Britanni si scorgea ; 

L altra volger in su l’altero passo. 

Che allor quella d' A varco soslenea ; 

Tal clic seulrnza die’, che in essa guerra 
Quelli aiutassero al cid, questi sotterra. 

Lvi 

Or già con Palamede il buon TrisUoo, 
Con più grave battaglia si ritruova ; 

Piede a piede hau congiunto, e mano a mano, 
E scudo a scodo, con mira Lui pruova ; 
Spinge forte ciascun, ma spinge in vano. 
Che nessun è di lor, che ’ndietro muova ; 
Ma spesso questo o quel d' agute spade, 

E chi d* aste percosso, a terra cade. 

Ulti 

E con aperti segui dimoslrosse, 

Che in un momento solo intorno il cielo 
S' empieo d' oscure nnbi, e "u lui turbosse 
La froule chiara del signor di Deio ; 

Tre volte sullo i piè muggeodo scosse 
La terra in giro il suo frondoso velo ; 

Tal di timore empiendo quei d' Arturo, 
Clic uesson della morte iva scettro. 

mi 

Né prima è morto l'un, ch'ai proprio loco 
Chi si tri»ova vicin, 1' orma ristampa, 

E '1 terzo e '1 quarto poi ; si grave il foco 
Dell' onore e dell'ira i cori avvampa; 
Ciascuno il suo morir si preude in gioco, 
E par mosso a pietà di chi ne scampa ; 
Nè si sente ivi voce di dolore. 

Ma d'altere minacce e di furore. 

HIV 

E ‘1 re inedesmo il primo sbigottito 
(Senza intender di die) quasi fuggia ; 
Trislan (di’ è troppo a dir) sembra smarrito 
Né del suo gran valor truuva la via ; 
Boorlc e Maligantr in altro lilo 
Sommersi stan dalla temenza ria; 

Il popol fugge tutto, e non s’arresta, 
Come soole Alcioo i' atra tempesta. 

Lvltl 

Ma il famoso Trislan in quella parte, 
Come leon famelico, s'avventa; 

A questo il braccio, a quel la fronte parte, 
E chi non può ferir, lunge spaventa ; 
Ovunque ei si rivolga spira Marte, 

Ed ha già tanta gente intorno spenta, 

Ch' a* suoi colpi mortali è fatta incude, 
Che '1 gir più iunants a se medesmo chiude. 

UV 

Solo il Luon re deli’ Orca di rimato 
Era senza fuggir tra quelle schiere ; 
Perchè Forati per suo maligno caso 
Con lo strale il corsier gli fe' cadere, 
Ch'uve allarga la froute sopra il naso, 
Benché possa gran colpo sostenere, 

11 ferì si, clic morto cade a terra, 

E 1 suo vecchio signor sotto si serra: 

LIX 

Nè mrn dall’ altra parte Palamede 
Sopra i Franchi e i Britanni era feroce, 
Che larghissime d' essi manda prede 
Al gran Nocchier della Tartarea foce; 
Né di ardente valore al Gallo cede, 

Nè di lui uien tra gli avversari nuoce ; 
Ma si bru opra aneli' ei l’altera spada, 
Che di morti copria l’ istcssa strada. 

LIVI 

E restava li anciso o prigioniero. 
Perchè di Seguran la schiera arriva ; 

Ma il suo chiaro Boorte in alto fero 
Chiama altamente sì, eh* ogu* uomo udiva: 
Cbi porla in petto cuor di cavalicro, 

E eh' abbia di disnor 1’ anima schiva, 
Veglia a scampar dall' avversarie squadre 
Del studio militar l'antico padre. 


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' t 


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L AVARCUIDE 




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L AVARfiHIDE 


Il qual per f[iuiU prua ho giuramento 
Non finger «T arme al termine d' un mctr, 
Ma di lattarlo star tra'l vile armento, 
Cinto d abbietta corda, in rotto a mete ; 

E di dare e te il pregio oggi contento 
Di quanti uscir dei Betiro paete. 

Di destrezza, d'ardir, d'arte, e di posta, 
S' ultra ai porterai di quella (data, 
ex 

E da poi che qni a vera compito c vinto 
Quetto giorno fatai (ti com' io spero) 
Sempre di culto fieit li vedrai cinto 
L'albergo chiaro, e ’l tuo pretepio altero; 
Ove in vago lavor tara dipinto 
Il tuo sommo valor, degno d' impero 
Sopra quanti ha destrieri in altra parte, 

Nè s’ opporrà al mio dire Apollo o Marte. 


Coti dicendo, il drizza al drslro lato 
Del fosso, ch'alia porla era vicino, 
Lontano alquanto, ove Tristano armalo 
Difeso a suo poter tiene il confino ; 

Il fer cavai, come te fosse alalo. 

Con acceso desio prende il cammino, 

E quanti incontra nella turba stretta, 

L* un sovra 1' altro riversati getta. 

xu 

Ivi un monte mischialo si vedia 
Di cavai traversali, e gente a piede; 

Chi già morto era in tutto, e chi languia, 
Chi si lassa oppressar, chi cangia sede ; 
Qnrl chiama aita, e quel la borra apria, 
M.i lo spirito fi/l l‘ aria non fiede ; 
L'altro miglior, quantunque steso a terra, 
Ancor muove la spada, e spira a guerra. 


CANTO XIII 


ARGOMENTO 

-****«<- 


asta il fosso T audace Segarono 
Strage portando entro il nemico rollo : 
Si fan contro Boorte % Arlur , Tristano , 

E torna orrido aliar di Marte il ballo. 
Scorre la Parca ria ; furore insano 
Mesce e confonde caralier , corallo ; 

Si ritira Tristan , pari a Itone ; 

Al sangue e alt ire fin la notte pone. 


L I • 

animoso Tristan, dove più vede 
De* suoi eh’ oppressi ton grave il periglio. 
Con quei che 'ntorno aveva, ivi provvede, 
E tieu pronta la man. Cocchio e ’l consiglio; 
Talor sospìnge innanzi, e talor cede. 

Poi che ’l brando dei lor fece vermiglio ; 
E tanto oprando va, eh’ a poro a poco, 
Ove securi sien gli scorge al loco. 

n 

E ben eh’ aggia Baveri, benché Boortc, 
E molti altri famosi cavalieri. 

Non può impedir, che per C istesse porte. 
Onde entravan fuggendo i suoi guerrieri. 


Molli con lor delle nemiche srnrte 
Aspramente mischiati, arditi e feri 
Non gli seguisse dentro, e tali r tanti. 
Che poteauu addoppiar gli andati pianti. 

Ili 

Ma il fero Srguran, che allor si sdegna 
Di stampar il scntier per molli aperto, 

In man prendendo una purpurea insegna, 
Sprona Eton nel ramni in più stretto ed erto; 
Passa il fosso d’ un salto, e l’argiu segna 
Ove dal chiuso vallo è più coperto. 

Ma con T urto medesmo il getta a terra, 
E s* arma sol contra infiniti a guerra. 

vi 

Nel cui primo apparir non allrimenlc 
Fogge il Britanno popol da quel lato. 

Che suol la greggia vii, che vede e sente 
Nella maodra arrivar lupo affamalo ; 

K 1 grande Iberno di desire ardente 
D’adempir di costor l’ultimo fato, 

Quanto più saldo può, fra loro sprona, 

E con gravi minacce alto ragiona ; 

v 

Or tornatevi indietro o femminelle 
A ritrovar per voi più dcpno loco 
Di là dal mare, ove I' amiche stelle 
V inchinano all'amore, a l’ozio, al gioco; 
Ed a noi d‘ogni pace alme rubrlle 
Lassate iu preda gir di Marte il foco, 

Che ne scalda dì e notte, e ne sospinge, 
Ove largo il terreo di voi si pinge, 


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a i f> 


L AVARCHIDE 


2lG 



VI 

Chi v* ha condotto, o popolo infelice, 
Senza aver mai il' Avarco avuto offese, 
Nella sua strana Gallica pendice 
Lassando, o stolto ! il bel natio paese 
A certissima morte, ove non lice 
Mai de’ rostri sperar nuove difese ? 

E contro alle noslr’armi, folli, opporvi, 
Per esca rimaner tra cani e corvi ? 

vii 

Duoimi certo di voi (che non lontano 
È da* vostri confini il lito Iberno) 

Qui veder per desio (rapile e vano 
Condor miseramente in pianto e scherno ; 
Seguendo tal, eh' ultra lo stato amano 
Ricercando fra noi lo scettro eterno, 

Tien la cura di voi, che si terna 
Dell' armento più vii, eh’ al mondo sia. 

vili 

E cosi rapionando, con la spada 
Non rpuale al suo dir mostra pielate; 

Che «pianto può, di morti empie la strada, 
E 1' arrpe ha per tatto insanguinale: 

Non si tmova più alcun, che innanzi vada, 
E pià tolti han le fosse abbandonate, 

Che ciupevan la parte verso Avarco, 

Si che aperto riraan del campo il varco. 

IX 

Se non che il buon Trislan pure e Boorle, 
Con quei pochi poerrier, che seco stanno. 
Dal fuggirsi ciascun, dal sonar morte, 
Scnton virino il comincialo danno ; 
Consegnale a Baven le chiuse porte. 

Come aquila e falcon, volando vanno. 

Coi l'orecchia intonò de' figli il grido 
Per la serpe mortai, ch'assalta il nido. 

X 

Nè molto andati son tra'l popol loro, 
Che temendo foggia, eh' han ritrovato 
Il fero Segnran, che già Brunoro, 

Ma per altro rammin, si trova a lato; 

E gran nomerò ancor segue costoro 
Drl drapprl de' migliori, e più pregiato ; 
Ma tatti all' arrivar di questi dnoi 
Pongon freno al furor dei passi suoi. 

XI 

Tristano a Segnran fu greve intoppo, 
Che rol grave corsiero il petto trova 
Del forte Elon, si che gli parve troppo; 
E per la fona inusitata e nova 
Convien, che arresti, e dia fine al galoppo, 
A mi I' esser armato molto giova ; 

Che s’ avesse scampata la caduta. 

Non riraanea secar d* aspra feruta. 

Tll 

Or restati ambedue nel mezzo corso, 
Senza crollane pur, ferman le piante ; 

Poi *1 famoso Trislan, qual ferito orso. 

Clic il darò perrussor si veggia innante, 
Svegliando il sno con duro sprone e morso, 
Al fer d' Iberni a cavalieri! errante 
Trovò lo scudo in sì mirabil forza. 

Che *1 fende in mezzo, come frale scorza. 



xm 

E non tanto però, che come intero 
Non gli servisse ancora in qnella guerra; 
Ma non senza vendetta il colpo fero 
Offese Segnran, che ’l brando serra 
Sopra T ornato suo vago cimiero 
E quanto ne trovò fa gire a terra. 

Che far duo* terzi almen, I' altro rimata 
A gran pena scampò dal duro caso. 

XIV 

Gii l'un e l’altro al seguitar s* appresta 
Ed era sanguinosa la battaglia ; 

Ma la turba d* A varco vieti molesta, 

E fa, che ’l faticar poco gli vaglia, 

Che la spada d* entrambi a ferir presta 
Fa, che in alto vibrando indarno saglia ; 
Che come furiando entrò fra loro, 

D' assai spazio lontan divisi foro. 

XV 

11 medesmo a Boorte era avvenuto 
Col fer Brunoro, che ferito avia, 

E dal destro brarcial tutto abbattuto 
11 cerchio suo, che *1 gomito ropria ; 

Ed eì dall* altro in fronte ricevtìto 
Sopra il furi’ elmo egoal percossa ria. 

Si che non potea dir d avere offeso 
Chi ben sno dritto non area difeso. 

xvi 

Ma parimente a lor fu forza allora 
Di lassarse portar dal corso altrui. 

Che in tal modo rinforza in poco d' ora. 
Che con gran faticar ponno ambedui 
Salvar l' istessa vita, ed nsrir fuora 
Del popol folto, e degli artigli sui. 

Che s'era ai buon guerrieri in guisa avvolto. 
Ch'ogni chiaro valor ritnan sepolto. 

• XVII 

Or quei, come leon, che ’ntorno cinti 
Si ritruovin tra reti e cacciatori. 

Ove soverchio ardir gli avea sospinti 
Per lunga fame, che del bosco fuori 
Bramosi trasse a nuova preda accinti. 
Senza curar per lei cani o pastori, 

Il gran nnmrr de' qnai cresciuto troppo 
Ila il primo disegnar rrndulo zoppo, 

XVIII 

Tal che posto in disparte ogni altra voglia 
Solo allo scampo suo volgon la mente; 

E dove men la turba sì raccoglia, 
Addrizzan quanto pori I' artiglio e 'I dente; 
E mentre questo e quel la vita spoglia. 
Con orrendo furor fra gente e gente. 

Già vinto in parte il comincialo assalto. 
Quanti in giro han laccinoi passan d un salto. 

lix 

Così il rhiaro Trislan, così Boorle, 

Che troppa a forza umana trovati possa, 
Già temendo de* suoi l'ultima sorte, 

Poiché i nemici lor varcan la fossa, 

D‘ indi ritrarre il piè cercali le porte. 

Già d' ogni altro sperar la niente trotta ; 
E congiunti ambedue, per altro verso 
Del popol, che venia, vanno a traverso. 


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L AVARO H IDE 



XX 

E Unti «ir Ilo stuolo a morie danno, 

Che noi poma contar vore terrena, 

Ma di quei piò famosi, e dì piu danno 
Avrà posto Tristan sopra l'arena 
L' Iberno Perislro, che quei, ehe stanno 
Dentro all’ Ultonia con lo seellro a (Frena ; 
Che *1 passò d‘ una pnnta, ove il palato 
Sopra il Gts della lingua è riversato. 



XXVII 


E rosi ragionando, ratto prende 
La bianca insegna sua dall’altrui mano; 
E dove è il padiglione, il passo stende 
Di Maligante a tutti prossima no, 

Che in mruo astiede, e lui seenni rende 
Quel de) buon Lanciotto, e di Tristano ; 
Che qnai d‘ ardire e di virlnde amici, 
Yolscr la sede aver presso ai nemici. 


XXI 

Dopo il qua), sopra I’ elmo Erioneo, 

Che del gran Segurano era scudiero, 

Con la spada percosso cader feo, 

Dipartita la fronte sul sentiero; 

Nè men di qnrllo il forte Lilìbeo, 

Che sovra la Laginia aveva impero. 

Di percossa mortai nel lato manco 
Mandò in man di Pluton gelato e bianco. 


xxrtti 

Ivi adunque il gran re, con chiare grida 
Chiamando i capitani, allo direa i 
Ov'è’l primo valor, che ’n voi s'annida, 
Che sprezzar suole ogni fortuna rea ì 
Or nell' albergo ascoso si riGda, 

E la pigrizia vii tien per Idea ? 

Ove gite son or di tutti quanti 
Le ventose promesse, e i falsi vanti, 


XXII 

Arehetlolemo poi Boorte Iroova, 

Che gli vuole impedir, misero, il passo ; 
Ma l’alta nobiltà nulla gli giova, 

Ch* era di Segnran poco più basso ; 

Che l'arme gli passò d’antica prnova, 
Onde cadile il meschin di vita casso. 
Passato in tutto, ove rongiunto al petto 
Tiene il suo seggio il core ascoso e stretto. 


XZIX 

Ch’allor che fummo all’isola di Vetta, 
Di Coro o d'Aqnilon chiamando il fiato, 
Udiva a mensa far tenendo stretta 
La man con Bacco al suo liquore amalo ? 
Che minacciava ogn' uomo aspra vendetta 
Sopra *1 popul d* Avarco ove arrivato 
Fosse di Gallia al desiato loco, 

E d' accender ivi entro eterno il foco 1 


XXIV 

Dopo ’l qual per sua sorte incontra Alora 
Che di Momonia ricca aveva il regno, 

Che ’l largo fosso trapassava allora, 

E gli par d’alta gloria esser al segno; 
Cosi Fortuna alla medesinT ora 
D' aspra morte e d’ onore il rendeo degno; 
Che gli fece ampia strada nella gola, 
Onde I* alma fuggendo in alto vola. 


XXX 

E ehe ciasenn di voi sarebbe a renio, 

Ed anco a più di quei di forza pare ? 

Ma create dal vin le portò il vento, 

E le spense da poi l' ondoso mare ; 

Ch’ora, a qnel di’ io ne veggio, a quel ch'io sento 
Del vostro dir tntto il contrario appare; 

E eh’ oggi in questa misera battaglia, 

Più che mille di voi V un d’ essi vaglia. 


XXIV 

E ’n latrando abbattendo or questo or quello 
L'illustrissima coppia in dietro riede ; 

E districala dallo stuol rubri lo 
Corre veloce dove Arturo vede, 

Che ’ntorno solo avea piccini drappello 
Di quei di più valore, e di più fede ; 

C he di qiiauti altri son la maggior parte 
Smarrito ha per timor la forza e I* arte. 

xxv 

Nel core allor si rasserena alquanto, 

I due reggendo, che più d* altri stima ; 

K gli orchi oppressi da sdegnoso pianto, 
Dice:. Or son io d' ogni miseria in rima, 
Or I* empio Seguran verace il vanto 
Si potrà dar, eomr già falso in prima, 

Ch' ei d’ ogni dubbio sol trarria Clodasio, 
E I Britannico onor porrebbe in basso. 

XXVI 

Ma il tempo altro chieder, che lamentarse; 
Però vi prego il pondo soslegnale 
Con «luesti pochi, eh' han le forze scarse, 
Se dal vostro valor non sono alzate ; 

Ed io men va’, dove nascose e sparse 
Son I' altre nostre genti spaventate, 

E seilrò eoa minarne e con preghiere 
Di rispingerle fuor con le sue schiere. 


XXXI 

Poi con più dolci note, Maligante, 

Oli' è già r«*rso al suo dir, prega e conforta: 
Or non votele voi spingere avanle 
Con la vostra onorata e fida •«‘orla, 

Ch' a nessuna iva dietro, a molte innante. 
Ed or par, eh’ a villade apra la porta? 
Torni quel core in voi, eh’ io sempre vidi 
Splender in tra i più arditi e ’n tra i più fidi 

xxxn 

E ve’n gite volando, ove Tristano, 

E Boorte illustrissimo lassai, 

Che mantengon di qui lo stuol lontano, 
Che ne minaccia pur gli aitimi gnai , 

E seguendo Brunoro e Segurano 
Fìa del nostro terreo signore ornai, 

Se voi <*on gli altri duci insieme a«*colti 
Non gli avete con l’arme indietro volti. 

xxxm 

Il medesimo da poi pregando afferma 
Al nobile Abondano ed Agraveno, 

E discaccia il timore, e ’l cor conferma 
A Gcrilelto, Arganoro, ed a Gavvno, 

E la turba, che fogge, Ira via ferma ; 

E con parlar di riverenza pieno, 

Senza lor danno far, senza minaccia, 

Al difendersi indietro gli ricaccia, 


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L AVARCHIDE 



XXXIV 

Direnilo : Ove (oppile, o sciocche schiere? 
Non vedete voi ben sempre il periglio 
Via piò prave e maggiore in quei cadere, 
Che rivolgo» le «palle, dove il ciglio 
Non può il vantaggi» suo presso vedere. 
Nè pigliare in cammino olii consiglio ? 

Nè mai I' annata man difesa trnova 
Contra chi dietro a lei battaglia muova. 

XXXV 

Nè il loco, ove fuggite, è più sicuro 
Di quel, che *n tal vergogna abbandonate ; 
Ch* altro non è più in qua (òsso, nè maro, 
Fuor di <jaei, che da tergo vi lassate; 

Or non vi fila *1 miglior seguire Arturo, 

E la fede e 1' on or, eh* ora sprezzate, 

Che furando il devere a tutte insieme 
Seguir chi di scampar non mostri speme ? 

xxxn 

L' alte e vere parole, e '1 sarro aspetto 
D a un si famoso re, tale han vigore, 

Che in un punto cangiò 'I pavido petto' 

I dannosi pensier eh' aveva in core ; 

Ferma il passo ciasruno, e giunto e stretto 
Si rivolge al nemico, e cerca onore ; 

E tacendo obbedisce ad ogni dure, 

Ch' al lassalo cammino il riconduce. 

xxxrii 

Come gregge talor, cui pause tema 
Di lupo, o di leon, che presso scorse. 
Ch’ai fin del colle, o della piaggia estrema, 
Li ’ve il rischio è maggior, semplice corse. 
Ivi lassa, s'arresta e grida e trema. 

Fio che '1 fido pastor ratto le porse 
VI soccorso fedele, e d* orror piena 
Alla maodra lassala la rimena; 

xxxrui 

Cosi indietro ritorna, e i cavalieri 
Davanti il passo lor spronando a prova, 
Più, che fossero ancor, d'animo alteri, 

Che ‘1 valore smarrito, ogn' intuì rinnuova; 
Ma Trislauo e Boorle ardili e feri 
Li, dure con più genti si rilruova 

II prode Seguran, largando il morso 
Dei possenti corsicr, drizzano il corso. 

xxxix 

Ma perch’ era il cammin serrato intorno 
Da molti altri gucrrier, che ’n giro vauno; 
Senza tolto Gaccar di quelli il corno, 

Non si può penetrar dov' essi stanilo ; 

A chi aìlor di fuggir temea lo scorno 
L'ano e l'altro di lor fa greve danno, 

E tanti fa cadérne a poco a poco, 

Che d'andare ove vuol se gli apre il loco. 

XL 

Trova Trislan fra i primi Amopaonc, 
Che nell' Ebridi fredde aveva il nido, 

E con un colpo in fronte a terra il pone, 
Richiamando la patria in allo gridu ; 

Poi nato nella islessa regione 
Agenore con lui pose sul lido, 

Trapassato nel cor di mortai putita, 
Ch'uve il cavo è maggior veniva aggiunta. 


xu 

11 feroce Boorte, ch'era presso, 

Ila trovalo in cammino il geeman (so, 

E gli ha in cima dell' elmo il brando messo. 
Che gli passa scendendo in mezzo il viso ; 
Ei dall' ultimo sonno cadde oppresso, 

Infili sopra le spalle in due diviso; 

E Bienore seco, il pio cugino, 

Pon nel fianco percosso a capo chino. 

XLIt 

Così va insieme la famosa coppia 
Con P istesso desire, e col valore, 

E l'un I* altro imitando, i colpi addoppia. 
Pareggiando fra loro il largo onore; 

E tanto innanzi van, che in tozza e stroppia 
Del fero Seguran I* alto furore 
Che come a se vicin venir la vede. 

In nuova altra maniera a* suoi provvede ; 

ili il 

Che appellando Brunoro, e 1 suo Rossano 
Ch' uccidendo i Britanni, non vau lunge. 
Dice : Or dobbiamo oprar l'occhio e la mano 
Poi che novellamente si congiunge 
Con l'altero Boorte il gran Tristano, 

E fresca schiera de' nemici giunge, 

Che saran più dei uuslri, de' quai rari 
Han potuto passar questi ripari. 

xuv 

Però fermare il passo ue conviene, 

E sostener per or r impeto loro, 

In fin che nuova gente per uoi viene, 

E col nostro Clodia sia Palamoro, 

Ch' assai fa nel bisogno, chi mantiene, 

Non meu che chi 1' acquista, un bel tesoro: 
Tenete i nostri saldi, e a me si lassi 
Il romper di cuslor la strada e i passi. 

MLY 

Cosi detto, s* accinge all'atta impresa 
Di contrastar ai due lutto soletto, 

E sopra il buon Trislan la prima offesa 
Muove col doro brando in mezzo il petto ; 
E se non che fu invitta la difesa 
Dell’ acciar, che '! ropria più che perfetto. 
Fora in quel giorno istesso, c ’n quella puuta 
All’estremo suo fin l'anima giunta; 

XL VI 

Ma senza altro suo danno indietro torna, 
E 1’ aria accende di faville ardenti ; 

Nel gran re di leon drizza le corna 
L'ira avvampando, e fa stringerli i deoli; 
E dove il bel ciniier la fronte adorna 
Con nn groppo annodato di serpenti, 
Furiando gli pon la grave spada, 

E gli fa rotti andar sovra la strada. 

XL VII 

E col lor giù cader sostegno furo 
Al fio elmo, eli' avea, che integro resta ; 
Ma il mondo iutoruo di colore oscuro 
Si mostra, e ’n giro gli volge» la testa; 
Ma in brevissimo andar ritorna puro 
Ogni turbato senso, e ’n lui si desta 
11 primiero valor con tanto sdegno, 

Che del pensiero uman trapassa il segno. 


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XLVIII 

E come aspro cinghiai, ratto s* avventa, 
E con tolta soa possa in fronte il fere ; 
Ma Trislan con lo scodo a* argomenta. 

Che ’l destinato fin non possa avere, 

E ’n quello mezzo in più d'uo luogo il lenta; 
Ma. come prima ancor, le folle schiere 
Quinci e quindi arrivando son ragione, 
Ctr ebbe termine allor 1' alta quislione. 

LV 

E chiama alto Tintbreo, eh* era scudiero 
Del famoso Tristano, e n guardia avea 
11 sno più grave scudo, a lui leggiero, 

E che nuli’ altro io guerra soslenea ; 

E gli comanda poi col dolce impero, 

Ch’ un sì caro al signore usar polca, 

Che’l pianti nel terren tenace e fermo, 
Perch* ai suo saettar ai faccia schermo. 

XLIX 

Nè con forza minor ritien Boorte 
Di Brnooro e Rossano il corso a freno ; 

E di più ultra gir ai ben le porte 
Chiudendo »a, che il lor furor vien meno; 
E mentre 1’ un percuote, all’ altro morte 
Va minacciando e ’n guisa di baleno, 

Che nell'estivo ciel la notte splende, 

Si vede il brando suo, che sale e scende. 

ITI 

Lo sguardo appresso accortamente gira, 
Ove piu incontra vien la schiera stretta ; 

E ’l gnrrrier più onorato io essa mira 
Di destriero, o d' arnese, o d’ arme eletta; 
E ’n quell' arco spietato intento lira, 

E potigli in mortai loco la saetta ; 

Poi qual picciol faociul di madre al lembo, 
Dello scudo fedel s’ accoglie in grembo. 

L 

E ’n si leve rotare intorno il gira, 

E si snello e leggier muove il destriero. 
Che meutre l'oa uella sua morte aspira, 
Già cun l‘ altro il rivede iu alto fero ; 

A quel d' aguta punta, a questo tira. 
Come fa in Mongibel Piracmo altero ; 

E ’n modo opra con lor, che dopo lui 
l’oa più sicuri andare i guerricr sui. 

LVII 

Furo i primieri Argolico e Parmeno, 
Ch’ egli uccidesse, e '1 nobile Sileste, 

E )' un presso dell' altro sul terreno 
Renderò al sno Fa t lor 1* anime meste; 
Con lor Delore, Cirnio, e Lotofeno, 
Nutriti traile Iberniche foreste, 

Poi eoi fero Enodorn, Erisilune, 

Quai cervi il caccia tor distesi pone. 

LI 

I quai vedendo aver si fida scorta 
Di lai buon cavalirr, che innanzi vanno, 

K ’ndietro un si gran re, che gli coufurla, 
Già mettono in oblio 1' andato danno ; 

E ciascuo nuova speme in petto porla 
Di poter riversar 1* istesso affanno 
Nello spietato esercito d’ A varco, 

Del qual troppo da lui si se ulta carco. 

LVUI 

Giunge in questa il re Ariano, e quando vede 
Il giovin lionel non ancor sazio, 

Lieto dieta : Nè men vendetta chiede 
Già dei nostri e di noi l'antico strazio; 
Che d' ogni vostro beo già stata erede, 
Dopo il torvi i parenti, tanto spazio, 

E la torba criniti di fede incerta, 

CU* assai danno maggior di questo merla. 

LH 

Or già spiega le forze il sacro Arturo, 
E poi eh' ha iu ordin posto il grande stuolo 
Sprona il forte deslrier lieto c sicuro, 

E tra i primi nemici addrizza il volo ; 
Aman ritruuva, eh’ ove il freddo Arturo 
l’iù restriuge il sno cono al uostro Polo 
Nato di chiaro sangue era in Norvegia, 
Che d’ ogn' altro, clic sia, 1’ ouor dispregia. 

LUI 

Ah, dicea Lionel, sapete bene, 
Invittissimo re, s* io soglio ancora 
Con allr’arme ferir, quando conviene 
Il valor dimostrar, rhe ’n noi dimora ; 
Ma il popolo infinito, che ne viene. 

Per ispegner con lancia, è larda T ora ; 
Poi coutra gente d' ogni vizio incude 
Clù vorrà ricercar fallo o vjrludc ? 

LUI 

E nel mezzo dal cor con 1' asta il passa 
Si, che senza spirare in terra cade ; 
Seguila ultra il cammino, e morto il lassa 
Troppo Jonlan dall' aspre sue contrade; 

Il tornato Gaven la Lucia abbassa, 

E del suo sacro re segue le strade ; 

Ed Anlimaco incontra, die venia 
Onde stende i confai 1' Arba Russia ; 

U 

Ben' è vero, il buon re gli rispondea, 
Che non sempre il medesmo il tempo approva, 
Nè la medesma cosa è buona o rea, 

Ma con la sua atagìoo cangia e rinoova; 
Or che ne aggreva la fallace Dea 
(.ou la rota infedel, fare ogni pruova 
N' è lecito, e ’l cercar per tutto scampo 
A salvarne 1' onore, e *1 nostro campo. 

LI V 

E per fama acquistar, con poca gente 
Di Rossano il selvaggio seguia Torme; 

Or sanguinoso il scn, tardo si pente 
Che lassò del suo slil 1 antiche forme : 

Il forte f.iouel, che vede e sente 
Degli arcier lievi suoi svegliar le torme, 
Poi di' è disceso a piede, c preso ha l'arco, 
Ove son più nemici, elegge il varco. 

- 

ut 

E voi, figlinol, che non aveste a sdegno 
Or per pubblico ben gli strali e V arco, 

Di sempiterno ooor chiamerò degno, 

Nè di voi celebrar sarò mai parco; 

E se ’l ciel ne darà compito il regno, 

Che n' è d' intorno, e 1* espugnare A varco. 
Vi farò lai, che non avrete pare 
Principe alcuno o re di qna dal mare. 


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LXU 

Io vi ringrazio, mnile allor risponde 
Con somma riverenza il giovinetto ; 

Ma non Insogna aver I' esca d' altronde 
Al foco»» desio, eli* io porto in petto 
Di voi servire, in fin che *1 ciel m’ infonde 
Dell' usata sua grazia all' intelletto, 

E mentre eh' io potrò presso o lontano 
Porre io opra per voi 1’ arme e la mano. 

talli 

E dicendo cosi, d* nn nuovo strale 
Su la rigida corda pon la cucca, 

Ed a Merou drizzò 'I colpo mortale, 

Che gli venne a passar proprio alla bocca; 
Indi «piega al cervel le pennate ale 
Si ben che del destrier (lasso) trabocca, 

E la lesta piegò pallido e smorto, 

Come tener papavero in cbius*orlo; 

LXIV 

Che dalla folta pioggia nell'estate, 
Quando il seme ha miglior, gravato sia ; 
Era costui di tenerrlla etate. 

Nato in Avarco della vaga Elia 
Cara a Clodasso, e che mille fiate 
Già punse il dubbio cor di gelosia 
Alla sua sposa Albina, che sentiva, 

Che troppo al suo parer cara veniva. 

UT 

Scocca nn* altra saetta, e *n mezzo il petto 
Va sibilando al misero Ippodamo, 

Ch’ a cader va de* suoi nel calle stretto, 
Come percosso ucce! dal verde ramo: 

Era esso Ibero, c nuovo duce eletto ; 
Onde il pupo! di lui grave richiamo 
Al ciel farea, che I* una e l'altra spooda 
Par di Ini non avea, clic *1 Beli inonda. 

lxti 

Dopo il costui morir, Merope appella. 
Ch'egli è sempre vicino, il suo scudiero, 
Che gli adduca il cavallo, e monta in sella 
Dicendo : Or sia chi vnol per oggi arderò, 
Ch' io con altr'anne in man l empia e rubclla 
Turba or voglio assalir da cavaliere, 

E vegga ugn* imm, che chi di Gave nasce 
D ogo arme oprare, e di virtù si pasce. 

LXVII 

In tai parole sprona in quella parte, 
Ove il caro fra lei Boorlc scorse, 

Che parca fra' nemici il Gallo Marte, 

Ove irata la man più in guerra porse ; 
Trnova il Gela 1 peroro, che ’n disparte 
Lassando gli altri audar, sopra lui corse: 
E nel petto egualmente s’ incontrare, 

Ma fu 1' un colpo piu dell'altro amaro; 

Lxvm 

Perchè l'asta dell'altro in Ironrhi sale 
Volando al ciel, senza lassare oticsa ; 
Quella di Lionel fu micidiale, 

Che sprezzando del ferro ogni difesa, 

Passò dove il polmon con lepide ale 
Maulieii 1' aura vilal nell alma accesa ; 

E ‘n terra se n’ andò del mondo seiolto, 
Ove fu iu seu de' suoi subito accolto. 


nix 

Indi col brando in man ritrova Opito 

Aleandro figlinol, che ricco nacque 
Del nohil Taragone al basso lito, 

Ove Teli di spuma imbianca Tacque; 

E «li sdegno d' amor s'era parlilo 
Dalla vaga Serpilla, a Cui non piacque 
D' averlo sposo ; ond' ri con aspra sorte 
(Come allor ritrovò) crrcava morte 

LXX 

Incontra il suo german detto Soreo, 

Che in ogni sua fortuna gli fu appresso, 

E d’ un rolpo alla fronte in morte il feo 
(Come nel viver pria) compagno d'esso; 
Poi d’altra patria il rrodo Dioneo, 

Che J’ Africa il terrcn teneva oppresso 
D‘ Aliante al mar, di sangue Visigoto, 

D’ orgoglio e di vigor fé* nodo e vóto. 

t-XXI 

Ma mentre esso, il fratello, e’I pio Tristano, 
Mostrando allo valor, battono a trrra 
Questo e quel duce illustre e rapitauo, 

E fan mara vigliosa e cruda guerra ; 
Palamoro, Clodino, e Dinadanu 
Di qua dal largo fosso, che gli serra 
In sicurtà di lor, nell altrui danno 
Conducendo gran turba intorno vanno. 

USUI 

Si che mal far riparo si polca, 

Nè sra*riar i nemici da quel lato, 

Che dritto in verso A varco ri«poiu!ea, 

Che tutto pienamente era occupato; 

Ma il saggio Maligante, che vedrà 
Di tutto il campo il periglioso stato, 

Con infiniti carri utili a guerra 
Attraversa il cammino, e I passo serra. 

I XXIII 

E mentre che Tristan, tenendo a bada, 
Il furor, che venia, saldo sostiene, 

A nuovo fosso che profondo vada, 

Quanto a si breve tempo si conviene. 

Fa, che 'I popolo armato, il qnal la «pada, 
E la lancia, e lo scuilo a terra tiene, 

Con gli agresti istrumeuti si raccòlga, 

Si che i carri di fuori intorno cinga. 

txtiv 

E con studio maggior, ch'alia stagione, 
Che comincia a scaldarse il buon cultore 
Alla pregiata vigna i villan pone, 

Per voltare il terren, che troppo umore 
Duna all' erbe crudri, che son ragione, 
Clie'l doler arbor di Bacco o (angue, o muore; 
Che pon vedrrse al rusticano assalto 
Mille zappe luceoli andare iu alto. 

LXXV 

E tanto era lo stuol, che *n tempo breve 
Già potrà la difesa esser sicura ; 

Chi la terra rompea, chi larga e greve 
Gleba all' argin portar prende la cura; 

Chi «lispon bene il loco, in cui si deve 
Le guardie porre in guisa d’ alle mura , 
Chi le porte disegna in dotte forine. 

Da spingere e rilrar de* suoi le torme. 


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LXXVI 

L* aerarlo Bandegamo io altra parte 
Dei tubili coosigli ammaestrato. 

Or a questo or a quel discopre l’arte, 

Ch’ usar si deggia iu simigliante stato ; 

A chi olioacce, a chi prieghi diparte, 

E ti ritraeva pretto io ciascun lato ; 

E per esempio dar come »' adopre, 

Quinci e quindi con lor pou mano all’opre. 

i.xxru 

11 felice Abondan 1* is tesso face, 

Nè men Lucano il bratto ed Egrevallo, 

In quel modo adattando, che cooface 
A chi più rappresenti argine e vallo ; 
Sollecitando ognor, mentre la pace 
Non può lor disturbare nomo o cavallo ; 
Che ritenuto a forza era lontano 
Dal valor di Boorte, e di Tristano. 

LXXVIII 

Blanoro e Costernante il core ardito, 
Mandrino ed Ozzonelio d* Estrangorre, 

Con molti cavalier, nel vicin lito 
Per più lor sicurar ti vanno a porre. 

Che nessun sia impiagato, o sia impedito 
Da qualche leve arder, che spesso corre 
Non scoperto d’ attrai fra gente e gente, 
Che via miglior di lui può far dolente. 

LXXlX 

Così son nel passar di non lnnghe ore 
Si ben di onori fossi intorno cinti, 

Che di vedere ornai cessa il timore 

I marziali alberghi accesi o vinti ; 

Ma che i molli gnerrier, che fien dì fnore, 
Dal numero minor sian risospinti; 

Tal eh* al nuovo periglio sopraggiunto, 

II rimedio e '1 dolor nasce in un punto. 

txxx 

E bene ad nopo viro, che tanto cresce 
Il furor de* nemici e lo spavento 
Di quei d' Arturo, che del termin esce 
Chi di viltà mostrar, chi d'ardimento; 

Lo sluol Franco e Britanno in un si mesce, 
E nessun cura onore o reggimento 
Di duce, o di Guerrier, che grida o chiama, 
E per suo scampo ornai sprezza ogni fama. 

LXXXI 

Corre intorno Tristan, corre Boorte, 

E di fargli arrestar s’ adopra in vano ; 

11 vecchio re dell' Diradi, si forte, 

Ch* esser può ben udito di lontano, 
Dicendo va : Qual più sicura sorte 
Speri trovar nel piè, che nella mano, 
Popolo abbietto e vii, che non l’ accorgi, 
Ch* al palese morir te stesso scorgi ? 

Lxxxn 

Non t’avvedi tu stolto, che fuggire 
In sicuralo loco ornai non puossi, 

Poi che lassato ariamo il varco aprire, 
Spianare il vallo e ragguagliare i fossi ? 
Ben, se rivestirem l'usato ardire, 

Del qual senza cagione or sete scossi, 

Di tosto rivedere ho ferma speme 
Tornar gli argini, i fossi, e i valli insieme. 


lxixiii 

Ma poco opra il suo dir, che più che prima 
Senza nulla ascoltar fngge lo stuolo ; 

E *1 gran Britanno re, che pure stima. 

Che più d’altro onorar deggian luì solo, 
Boto dell* ira il cor dall’ aspra lima, 

E di sdegno ripico, colmo di duolo. 

Col deslrier suo davanle s’ attraversa, 

E mordendogli, tal la rabbia versa : 

Lxsxrr 

Se voi fuggite sol, diletti amici, 

Per secura portar con voi la vita, 

Datemi oggi legato a' miei nemici, 

E ha strada più aperta e più sped'la, 

Che gir vi lasseran lieti e felici, 

Ove il molle desio, lassi, v’ invita, 

Dentro al vostro nativo e dolce loco. 

Tra le vii femminelle all' ombra e al foco. 

LXXXV 

Ed io mi rimarrà famoso pegno 
Del Gdato valor de’ miei guerrieri, 

Che di Bacco e Ciprigna al lento regno 
Conir' a chi sia lonlan son erodi e feri, 
Ove Marte alza poi 1’ armato segno, 

Al fuggirsi lontan pronti e leggieri, 

E del suo itnperadore han quella cara, 
Cbe *1 pasciuto rnonton di vii pastura. 

LXXXV! 

Le sdegnose parole, e i veri detti 
D* un si onorato re di lauto nome, 

Ben pungean de’ migliori i chiari petti, 
Carcando i cor di vergognose some, 

E dalla torba vii chiusi e ristretti 
Yorriau pur ritornar, ma non san come ; 
Che trasportati son da quella forza, 

Qual nave eh* aquilon percuota all* orza, 

LXXXVIl 

Che *n ver lui quanto può drizza la prora 
L’animoso nocchier, nè ceder vuole, 

Che’l cammino acquistalo per lunga ora 
In un momento sol perder si suole : 

Ma poi eh' egli ha dalla surgente Aurora 
Travagliato al corcar del lardo Sole, 

Pur con vicngli al soffiar, che maggior poggia, 
Contraria al suo desio Untar la poggia; 

IXXXVIII 

Culai fan qnelli a fili ili, che di doglia, 

E d* onta, e di pietà retlan compresi 
1)’ esser lordo trofeo, fugace spoglia 
De’ suoi nemici sopra loro ascesi ; 

Ma i pjè impediti a cosi pronta voglia 
Non pun bene ubbidir, da troppi olirsi : 
Cosi, mal grado suo, coi peggior vanno 
All' estremo, qual sia, disnore e danno. 

LXXXiX 

E *n tal guisa convien, che i buon dico loco 
Alla viltà dei rei, questi alla tema; 

E come avesscr dietro ardeute foco, 

Per più tosto fuggir, 1’ un I’ altro prema ; 
Già son tutti condotti a poco a poco 
De* nuovi fossi su la riva estrema 
Là dove Maligante, ed altre scorte 
D' entrarvi a sicurtà mostrati le porte ; 


t AVARO II IDE 



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Ma in questo mezzo il sol calali i rai 
Dietro al Marmerò avea nell' occidente, 
Tal che di speme e di litnor di guai 
Già imputili ha il (ina all'ima e l’altra gente; 
Onde il Britanno stimi s' allegra assai, 

E/l granile oste di Avarco n* è dolente ; 
Pensando, che i' ancor durasse il giorno) 
Girsen polca della vittoria adorno. 

ev 

Il fero Segnran cedendo all’ ore, 

Che ’n dietro ogni gnerrier reco »’ aeroglia 
Fa intorno comandar l’alte e sonore 
Trombe, e che ’l guerreggiare ornai si «doglia; 
Ma poi clie’l negro ed nmido colore, 

I)’ ogni luce, eh’ avea, l’aria dispoglia, 

So la sinistra man lieto gli mena, 

Ove irriga I’ Orati la secca arena, 

CTI 

Ivi sopra il cavallo, in man tenendo 
La spada ancor, che non la vuol riporre, 
Intorno a coi di crudo aspetto orrendo 
Il Britannico sangue largo corre, 

Parla a Intti : Signori, io ben comprendo, 
Che ’l ciel non ha volato oggi disporre 
La vittoria per noi, però eh’ e’ vuole, 

Che con più onor l'abhiam nel nuovo sole. 

cvti 

E fia ’l nostro miglior, perchè la notte 
N’ aria tolto il seguir la nostra sorte ; 

Che mal ptiossi all’ oscuro aver condotte 
Tali, e si grandi schiere integre a morte ; 
Clic molte dei confin piu che noi dotte, 
Fuggir potean per vie chiuse e distorte; 
Altre, ove l' ombra più nascosa preme, 

Per di nuovo assalir, mettersi insieme. 

enti 

Ove al primo apparir di quella luce. 
Che risorgendo il sol nnova ne mostre, 
Ogni buon cava litro, ed ogni duce 
Rimenando a ferir la genti nostre 
Con l’antico valor, clic ’n voi riluce, 
Prima che tutto il ciel s' indore e mostre, 
Preso il lor rampo, e messi in foga avremo. 
Poi I’ altre ore tu seguirgli spenderemo. 

cix 

Ma per non perder tempo nell’ aurora 
A rimettere in un le sparse schiere, 

O per ristretto ralle trarle fimra, 

E eundueerle al loco, ove si fere, 

Qui la notlorna fia nostra dimora. 

Là dove d’ ora in ora rivedere 
Del nemìeo po trasse ogni consiglio 
Senza crederlo alimi, col proprio ciglio. 

TX 

Or qui dunque di spessi r largì fochi 
Farmi del nostro Orone il lilo adorno ; 
Onde scerner poi rem per tutti i lochi 
Ogni laccio, ogni insidia tesa iotorno ; 


Nè ci porgano offesa i molti, o pochi, 

Che nel fin sopra lor non sia lo scorno; 

E potimi discoprendo anco impedire, 

Se calati da noi vorran fuggire. 

exi 

Vada Attore l'araldo entro alla terra, 

E narri al re Cloda*so i pensier nostri; 
Che per quanto quest'ombra il lume atterra, 
Non abbandoncrcm d* Orone i chiostri, 

E ch'egli intanto a quel eh' A varco serra, 
Come guardar si deve, a' suoi dimostri ; 

E i vecchi e i giovine»! con somma cura 
Aggian I’ albergo lor sopra le mura, 

ex II 

E che Palle finestre, e Campir strade 
Le femmine vegghiando empian di faci, 

Sì che non sian le peregrine spade 
Ascose in lor da tenebre fallaci ; 

E qui, dove sol nude han le contrade 

I gnerrier di valor chiari segnaci, 

Di preziosi vin gran copia maude, 

E di mauiere assai larghe vivande. 

cxiit 

Attor volando gin nè mollo stette 
Che già carri infiniti seenan Corine: 

Già vengon di monlon le grrgge elette, 

E di cornuti buoi le grasse turine; 

Già ciascun lieto all* opera si mette 
Dell’albergo apprestare, e nessun dorme, 
Infin eli' hanno i gradili cavalieri 
Adagiati e pasciuti i lur destrieri. 

exiv 

Già i larghissimi fochi io alto vanno, 
Ch' alle nubi occupar drizzano il piede; 
Tre volle mille foro, e’n ciascuno hanno 
Almen trenta gnerrier mischiata sede ; 

E tolti in cerchio della valle stanno 
Con sì chiaro splendor, eh’ ivi si vede 
Ceder al lume lur C umida notte 
Con le leuebre sue fugate e rotte. 
ext 

Ilari di lunge sembianza al elei sereno, 
Quando Delia il fratello opposta mira 
Dall' atto ponto, e che di stelle pieno 
Lucentissime e vaghe intorno gira; 

Che l’ombre scuote, che ti truova in seno, 
Coi dolci raggi che ciascuna spira ; 

Onde il Colle vicin chiaro si scorge, 

E 'I pastor lieto a contemplarle sorge, 
ex vi 

Tali eran gli alti fuochi, a cui vicina 
Parte ornai del digion ristoro prende ; 
Parte al lento riposo gli occhi inchina, 

E C affannate membra a terra stende; 
Parte ai fossi del campo t' avvieni* 

E celata ascoltar I' animo intende, 
Ricangiandusi, tal cb* a ciascun tocchi 

II qurtare c svegliar gli spirti e gli occhi 


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»33 


L AVARCHIDE 



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XXV 

Darogli in pare poi gradite squadre 
Di cavalieri ardili in compagnia. 

Che 'I segniran, qual pio signore e padre, 
Come fia il tuo piacer, per ogni via ; 

Coi qnai potrà nell* opere leggiadre 
Spender gli anni miglior, come desia. 

Di lauri ornando la famosa chioma, 

£ di gloria avantar la Grecia • Roma. 

XXTI 

E al ben d' arme ornati, e di destriero, 
Che pochi incontreranno egoali a loro; 

E perchè il ferro cade di leggiero 
Senta sostegno aver talor dell' oro, 

Da poter ben nutrirgli un anno intero 
Provvedrò l'andar suo d'ampio tesoro; 
Dopo il qual, se non prima, dalla spada 
Di trovarne maggior Ga fatta strada. 

XXTII 

E se sfogar gli alteri soci disegni 
Di Nettano vorrà premendo il dor*o ; 
Cento ampissime navi, e cento legni 
Di fortissimi remi arrisili al corso 
Avrà, che in tolti i liti, e 'n tolti i regni 
Il mar dentro e di fnor sia prima scorso, 

Ch* alcun saldo lavoro in lor si stanche, 

O de’ suoi conduttori il cibo manche. 

XXVIII 

Poi, perch* altra non ho conginnla e cara 
Piti clic sta Lodaganta, la sorella 
Di Ginevra mia sposa, unica e rara 
D' ogni virtnde^e sovra ogn' altra bella; 

E che per l'alto cor di se fu arara 
A mille re famosi e fu rubella 
Sempre Gn qui del giogo maritale, 

Perché nullo a* suoi merli estima eguale ; 

XXIX 

Quella in dolce pregare a lui prometto 
Di far cara compagna, e pia mogliera ; 

E con ti larghi don, che sarà detto 
Di fortuna ricchissima ed altera ; 

In cui posta trovar pace c diletto, 

Poi che il suo bel mattin vada alla sera, 
Come in tra' nuovi germi uliva suole, 

Di dolcissima cinto, e chiara prole. 

XXX 

Nè a tal rendergli onor viltà m* induce, 
Nè quella, ov' io son or, necessitade, 

Ma l'amor, eh* io gli porto, in ciò m’ è duce. 
Già cominciato in lenerclla etade ; 

Dal primo dì, che la superna luce 
Di venirmi a trovar gli aprì le strade ; 
Che ’n Ira gli altri inGniti elessi solo 
Lui per pegno gratissimo e figliuolo. 

xxxt 

E quantunque I' al Ir' ier sì amaro sdegno 
Mi percolo se il cor dei detti suoi, 

E che d* odio io quel dì mostrassi segno, 
Tosto il primiero amor risorse poi ; 

Nè mi fora più a grado ogni gran regno, 
Che ‘I vederlo tornare amico a noi. 
Quanto esser mai solea ; chiaro del tutto, 
Quaudo foste anco ciò sena' altro frutto. 


xxxn 

Or ti pensi fra voi, qnal più ti deve 
A lui tosto inviar, che gli sia raro ; 
Ch'assai più l’un, che l'altro in dolce e leve 
Può il peso convertir greve ed amaro ; 
Perehè 'I ricordo altrui, che si riceve 
Come da spirto poi, fedele e chiaro 
Penetra a maraviglia un core amico, 

Come d’ aprii la pioggia il campo aprico. 

XXXIII 

Alìor dice il re Lago : O sommo onore 
Col Britanno terren del mondo insieme, 
Ben dich’io con ragion, che ’1 tuo splendore 
Quante mai luci furo offusca e preme : 

Poi eh' a quella pietà s'arrende il core, 

Ch’ aver si dee delle miserie estreme 
Di chi segna con lui l' istessa sorte, 

E per dar vita a quel s' esponga a morte : 

xxxrv 

E per salate altrui da se dispoglia 
Contr'a minor di se l'ira tenace; 

E più tosto la tna, che di Ini doglia 
Vuole, e co’ suoi minori indegna pace, 

Il disegno abbattendo, e l'aspra voglia 
Di arguire il cammin, eh' al senso piace : 
Or per Itene adempire nn tal desio, 
Mitigante è ’l migliore al parer mio; 
xxxv 

Ch'ultra che sovr'ngni altro ei l’ama e cole 
Ha si dolce, movente, a vago il dire. 
Ch'ascoltar non si pnn te sue parole 
Senza al lor dimostrar pieno obbedire ; 
Che, se non fossrr sordi, al maggior sole 
Faria gli Aspi acquetar, le rabbie e l'ire: 
E sia seco Lambego, il vecchio antico, 
Che ‘1 nodri giovinetto al padre amico. 
XXXVI 

E potrà molto oprare in Laneilolto 
Quel primo ricordar, che mai non cade, 
Già dalla verga sua formato e'ndolto 
A buon costumi in tenerella etade ; 

E perchè dai medesmi esser prodotto, 

E d' anni e di voler la paritade 
Han gran forza, e ‘I seguir f istessa sorte ; 
Per terzo ambasciador vorrei Boorte. 
xxxvii 

Così detto, ciascun, che ’ntorno siede. 
L'impresa e gli orator lodaudo approva; 

E i Ire duri onorali il core e 'I piede 
Han pronti e mossi alla novella prova *, 

E dritti vanno, ove in solinga sede 
Lancilotto, e lontana si rilruova, 

Sciolta quasi dall* altre, al se zzo varco, 
Onde può più vìcin vedere Avarco, 
xxxviu 

T rovanlo, ch’era ancora a mensa asaiso 
Già pervenuta a fin la parca cena, 

Col fido Galealto, che diviso 

Non ha mai la slagion fosca o serena ; 

Cli’ erano ad ascoltar eoi pensier fiso 
Il chiar Euterpo, che con dotta vena 
Allo cantava ne' passali lustri 
Del cortese Girone i fatti illustri. 


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XXXIX 

Come vr<lr apparire amici tali, 

Ch’ a lotti altri in amor piò innanzi vanno 
Dopo il ano Gali-alto, dice : E quali 
Cagiou nuove. signor, menati v’ hanno 
All'albergo di quel, che trai mortali 
Vivo è sepolto in infernale affanno ? 

E così ragionando, e riverente 
Surge all' incontra lor lieto e ridente. 

XL 

Poscia fa, che Fatano un suo scudiero 
Nuovi seggi a ciascun vicini apporte : 

Cosi alla mensa pur ghirlanda fero 
Tutti i cinque soletti e poi le porte 
Fur serrate il intorno per l'impero 
Di Lancilolto, e poi che d' altre scorte 
Fu del tutto sgombralo il chiuso loco; 
Alaliganlc i compagni guarda un poco : 

xu 

E ’n cortese parlar dolce gli prega, 
Ch'ei vogliano a pensier la lingua si forre; 
Ma 1 un e l’altro vergognando il nega, 
Che braman sopra lui T incarco porre: 

Ed esso al fin, eh' al lor desio si piega, 
Tacendo alquanto con la mente scorre ; 
Poi con voce soave, e 'n pio sembiante 
Così diceva al cavaiiero errante : 

XIII 

Valoroso signor, quando il ciel vuole 
Scorger alcun mortale al sommo onore, 
Per vie luughc, aspre, c faticose suole 
Tra periglio inviarlo, e tra sudore; 

Tal che soveute 1' non» si lagna e duole 
Clic sol discerne quanto appar di fuore, 
Di quello, onde finito il sentier rio, 
Grazie uc rcude poi divolo a Dio. 

XLIII 

Simile avvien di voi, per quel eh' appare, 
Ch*a sempiterna gloria alzar procura. 

Che per porri in affanni, e ’u doglie amare 
Nei trapassati di stese ogni cura ; 

Tal eh' ove più speraste in alto andare, 

Di gravissima pietra alpestre e dura 
In maniera colai v’ oppresse il volo, 

Ch' al centro gio, dove aspirava al Polo. 

sur 

Or eoo ambe le man quindi vi tira, 

E con sommo favor v' accoglie in seno, 

Se vorrete, qual spero, alla nuov' ira. 

Che vi trasporta ancor, por giusto freno ; 
Perchè del nostro re nel core spira 
Dritto voler, d’ ogui salute pieno, 

D’ esservi amico ornai drillo e verace, 

A ricercar da voi gradita pace. 

XIV 

E per questa cagione a voi ne ’nvia 
Taì congiunti d' amor, come sapete, 
Perché piò il cunseulir dolce vi sia, 

E la credenza in noi u* aggiunga sete ; 

Che 'I ragionar di lingua amica e pia 
Delle dubbiose insidie altrui segrete 
Puote il vero squarciar con quella fede, 
Che nel caudido petto ha degna_scdc. 


XLYt 

E perché il mondo intenda apertamente, 
Che, quantunque sia re, s' inchina a voi, 
Se vorrete la man chiara e possente 
In difesa spiegar di tutti noi 
E la vostra animosa e fera gente. 

Col fido Galealto, e gli altri suoi. 

Della chiara Britannica sua insegna. 

Come facea 1' altr' ieri, scorta vegna ; 

XI. vi# 

Che quanto ha in fino ad or tolto a Clodasso, 
E quanto nel futuro avere spera, 

Che non sia di Tristan, là 've piò in basso 
Per distorto cammin discende T Era, 

O del gran Clodoveo, che 'adombra il passo 
Piò in alto alla medesima riviera, 

E quanto é tra 'I Pirene, e la Garona, 

A voi, come a Ggliuo), cortese dona. 

XLvin 

Poi di sette citili nel sno bel nido. 
Onde il nome da poi vedrete in carte, 

Che sien fra 1' altre di piò altero grido, 
la premio al faticar vi farà parte; 

F. rol bel d' Imeneo legame fido 
I.ndaganle leggiadra, in cui le sparte 
Virtù, Ycuer, Gionoue, e Palla aggiunge. 

Di Ginevra sorella a voi conginngc. 

mi 

E poi cb' avrà per voi di qnesta guerra 
Col favor delle stelle amico fine ; 

Di qoel seme miglior, die viva in terra, 
Vi darà genti nostre e peregrine. 

Per acquistar quanto circonda e serra 
Del gran padre Oceano ogni confine ; 

O s' amerete il mar, gran legni c navi 
D' armi, d' oro, e di cibo ornate e gravi. 

L 

Onde possiate solo, all' alto nome 
Di qnanti oggi si parla, andar di sopra, 

E di mille girlande ornar le chiome, 
li cnì diiaro splendor lati' altro cnopra ; 
Si rhc i regni abbattuti, e genti dome 
Si mettano al narrar le piume in opra ; 
Tal di' ai gran vostri onori aggiano invidia 
L* India, i Hifci, 1' I berta, e la Nutnidia, 

LI 

E benché tutto ciò render dovria 
Ogni aspro e duro cor soave e piano, 

Non I* ho detto però credendo sia 
Quel, che muova di voi 1’ alma e la mano ; 
Ch’ amor solo, e pietade, e cortesia 
Ponno il chiaro figliool del gran re Bano 
Condurre al vendicar d' estrema sorte 
Anco i u cinici tuoi con propria morte. 

Llt 

Senza dunque parlar d'altra mercede, 
Che por sempre stimar si deve assai, 
Muova l'altero cor, che aita chiede 
Fer trar, chi ha speme in Ini, d estremi guai; 
E che 'I gran re di Pandragone erede, 

Ch* a fortuna, o timor non piegò mai, 
Hipenlilo ora a voi tutto si piega, 

E di voi ricovrar domanda c prega. 


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LUI 

Qual piò ricco trofeo, qual spoglia opima 
Pai» bramare in fra noi duce onorato, 

Che *1 vederti ripor di lode io cima 
Dallo ittesto parlar, che I' ha sprezzalo, 

E doppiato T onor, che avera in prima, 
Dalla medesma man, che 1' ha furalo ? 

E sentirti chiamar per ina difesa. 

Da chi fatta gli «tea primiero offesa ? 

Lnr 

Scacciate, alto goerrier, Tira e lo sdegno, 
E del re ricevete il prego amile, 

Che ’1 soverchio etter duro passa il segno 
Del generoso spirito e gentile, 

E d* orgoglioso nome ti fa degno. 

Vie più che di magnanimo e virile ; 

Che come il contrattare è bel talora. 

Cosi '1 non ceder mai si biauna ognora. 

LV 

DÌ mille alte vittorie ornato sete 
Più d’altro cavalier sotto la luoa, 

Ma il numero maggior comune avete 
Con l'arme, coi gnerrier, con la Fortuna: 
Or te voi sol voi fletto vincerete. 

Nè di lor, nè d' altro: sia parte alcuna. 
Vostro il consiglio sia, l’opra, e la palma, 
E del divino onor 1’ eterna salma. 

LVI 

Fate, eh* ei corra il grido in ogni parte 
Che 'n voi sia più che gemino il valore, 

E te I' armata man non cede a Marte, 
Non t'arrende a Minerva il saggio core; 
E che la cortesia, le grazie tparte, 
la qnal regno mai fu di vero amore 
Verso il patrio terreno e i signor suoi, 
Più, eh* altrove già mai, splendano in voi. 

LVU 

E prendete or del re le rare offerte. 
Non per eh' un tal guerrìer l'apprezzi mollo, 
Nè per che il vostro ardir vie più non merle 
Ch' ha il duro giugo alla Britannia tolto ; 
Ma per far de' mortai le menti certe, 

Ch' avete un coiai re con pare accollo 
Come fa il prerator grazia divina. 

Che coi devoti doni a lei s' inchina. 

Lvm 

Nè vogliate soffrir, che tali amici, 

Qnal vedete noi Ire, che quinci temo, 
Riportiamo aspri detti agli infelici, 

E compagni, e signor nel punto estremo; 
Ma che sarto più che già mai felici 
Per 1' oprar vostro, e ‘I rio Clodasso scemo 
D' ogni tua terra e V empio Segurano 
Avrà con meno ardir più lenta mano. 

LIX 

Qui lìnio Maligante e ’n lai parole 
11 duro Lancilotlo gli rispose : 

Perchè sprezzando il dir, dell' opre sole 
Alto desire in me Natura pose 
Voi, che sete fra noi lo speglio e I sole 
Drl saggio dimostrar le altere cose. 
Scusale il mio parlar semplice e greve, 

S' assai sia del dever più rozzo r breve. 


U 

Non pensate, o famoso re di Gorre, 

Che mai più per Artnro io stringa spada ; 
Nè eh' io possa anco mai lo sdegno porre 
Sì, ch'ai cospetto suo chiamato vada; 
Onde altre fune al suo periglio sriorre. 
Altra aita procacce e in altra strada 
Cerchi i tuoi buon guerrir, cerchi Gaveno, 
Che in largo minacciar tien gli altri a freno. 

LU 

Che 1* altezza del cor, la cortesia, 

Ch' è compagna, al valor, come diceste. 
Usar conviene, ove raccolta sia 
Dall' alme chiare, e non ai buon moleste ; 
A coi invidia e viltà rhingga la via 
Di discernere il ben, qnal voi vedette 
Avvenir d'esso a me, che l'altro giorno 
Ebbi del bene oprar vergogna e scorno ; 

LXIt 

Ch’ or eoo prrzzo vilissimo l’ ingrato 
Pensa di ristorar di terra e d* oro, 

Nè si ricorda ben, eh' io sono osato 
Di dare, e non di tor regni e tesoro ; 

E senza suoi guerrieri, o legno armato, 

D' Euro al nido lontan, d' Austro e di Coro 
Non mi manca l'ardir di farmi strada 
Col mio buon Galealto, e con la spada. 

LXttl 

Nè voglio io Lodagante, la sorella 
Di Ginevra onorata, aver mogliera, 

Come troppo per me leggiadra e bella. 

Di virlude, d* onor, di sangue altera ; 

1) altrui sia sposa, a coi benigna stella 
Il cielo allumi, e non turbata e fera. 

Come a me face ognor, ti di' aggia vita, 
Quanl’ io bassa e ’nfelice, alla e gradila. 

LXIV 

E s* aleno mi dirà, che la pielale. 
Ch'aver debbo di voi, m'aggiunga sprone; 
Risponderò che a torto fabbricate 
Del vostro mal voi stessi la cagione : 

E perchè folli ornai non ritrovate 
Ciascun la sua nativa regione 
Più tosto, che servire ingrato ed empio. 
Che si fa sol onor del vostro scempio ? 

LXV 

E se non fosse pur, ch'io temerci 
D' esser tenuto vii da Segurano, 

Snn molti giorni ornai, di' io calcherei 
Altro nuovo sentier di qoì lontano; 

Si che con mio dolor non adirei, 

Chi di servo tornar mi prega in vano ; 

E col breve poter, che saria meco, 

Forse avria di me luce il mondo cieco. 

LXVt 

Or potete tornar, diletti frati, 

E di noi riportar la ferma voglia ; 

Certi d' esser da me non meno amati, 

Che le sue proprie loci e '1 cor si soglia. 
Restan dell' alme lor quasi privati 
I tre buou cavalier, colmi di doglia. 
Udendo il fer voler di Lancilotto, 

Ch' avea già il suo parlar tacendo rotto. 


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UVII 

Ma il buon vecchio Lambego, il rollo cinto 
D* amarissime lagrime direa : 

Perdi ' a ai bianca etatle hi, lasso ! spinto 
Il lungo viver mio Fortuna rea? 

Pereh* io reggia il terren molle e dipinto 
D’intorno Avarco, a cui tant* odio avea, 
Del sangne dei Britanni ivi condotto 
Dal scettro sperare in Lanciotto ? 


LXXIV 

Nè tien del suo dover più cura alcuna, 
Nè degli amici ancor pietà la raoove ; 

! qn.ii sospinti all' ultima fortuna 
In lei drizzao la speme, e non altrove; 
Guardate pur, che se lassù s* imbruna 
La chiarissima grazia, che 'n voi piove, 
Com’ or vi fa il maggior, tosto porria 
Porvi io sorte minor, eh' al mondo sia ; 

civili 

Come a ragion dovea, che dai primi anni, 
Cli’ abbandonaste il latte e la nutrice, 
Viviana, che vi avea dagli aspri affanni 
Del Lago posto all' nmida pendice, 

A me vi diede ed io de’ vostri danni 
Rimostrando la piaga agra e ’nfelice. 

Nella memoria ancor tenera e fresca 
Di vendetta al desio nodriva 1’ esca. 


tur 

Che la preghiera urail di Giove figlia 
Le ginocchia ha rattralte, e '1 collo storto, 
Gli omeri corvi, e bieche ambe le ciglia, 
La fronte afflitta, c di colore smorto ; 

Ma dritta, snella, e pronta a maraviglia, 
Con le membra robuste, e *! guardo accorto, 
Quale ancilla fcdel, per ogni calle 
Sempre ha la ponizion dietro alle spalle. 

MIX 

E'o quei primi trastulli, eh* all* elafe, 
Ch* a gran pena snodar la lingua suole. 
Più dolci sono, or sopra carte ornale 
Di pneril pitture, or con parole 
In fanciullesco suon d’altrui cantale. 

Or sotto alle verdi ombre, or sotto il sole 
Rappresentava sol l'empio Clodasso, 

Che '1 gran regno de’vostri ha posto in basso. 


LUTI 

Ma chi quella nel seno amica accoglie, 
E con pietoso cor dolce P ascolta, 

Del gran parente pio piega le voglie, 

Ch* alla seguace sua la forza è tolta ; 

Or se ’l austro pregar da voi non spoglie, 
La troppa ostinazione in seno accolla. 
Guardate pur, famoso mio figliuolo, 

Che *1 nostro sopra voi non eaggia duolo ; 

UI 

Io vi mostrava ognnr Bano e Boocte 
Or con forza scacciati, ed or con frode; 
E rh’ei del loro esilio, r della morte, < 
Non men che dei snoi beni, invido gode ; 
E ’n voi dolce pietà dell' aspra sorte 
Con quel favoleggiar, che dolce s'ode, 
Acrendea notte e dì, fingendo poi 
Morti di vostra man lui stesso c* suoi. 


asxvn 

E che venga poi tempo, ia cui vorreste 
Al mortai nostro mal donar rimedio. 

Che impossibil vi sia, poi che le meste 
Genti oppresse saran nel tristo assedio; 

E con rampogne allora agre c funeste 
V assalirai! pietà, dolore, e tedio, 

E la disprrazinn, che segue ognora 
Quel, eh' a sceroere il ben troppo dimora. 

1 xxi 

Poscia che di dì in dì crescendo giva 
L* intelletto, rhe '1 cielo e 1' uso infonde, 
Con più gravi ricordi allora apriva 
Quel, eh* ai cor giovinetti ancor s* asconde; 
Ch* al supremo d' onor quel solo arriva. 
Cui d* onesto desir 1* anima abhonde 
Di vendicare i «noi, rendendo sciolto 
L* almo patrio terren tra i lacci avvolto. 


axxTiit 

Or vogliate appagar queste mie voci, 
Ond'ho per vostro ben £Ìà tante spese; 
Spogliate al cor gli spinti feroci, 

Che prepongoo le basse all’ alte offese ; 
E nei vostri nemici aspri ed atroci 
Spiegate drittamente le difese 
Per quelli, a cui più sete caro assai. 
Che fratelli, o iìglinoi, eh' avesser mai. 

UHI 

E ricercando ognor ragion novella 
Ve n* empirà notte e dì la vaga mente 
Si ben, che in breve andar vedeva in ella 
Il medesimi, che in me, volere ardente : 
Tosto poi, ch’ai montar sopra la scila. 

Ed all' arme vestir fotte possente ; 

Di portare altamente mi giuraste 
Sempre in danno di Ini le spada e Paste. 


LXXIX 

E vi sovvenga ornai, che *1 cielo islesso 
Nell’altrui ripentire al Cu ti piega, 

E del tutto il fallir largo ha rimesso 
A chi, com' or faccsam, divolo il prega ; 
Prendete il largo onor, che v’è concesso, 
Ch’ a via maggior dì voi talor si nega, 

E i ricchi doni in segno di virtnle, 

E della data a noi per voi salate. 

Lxxin 

Nè infiuo a questi dì giuraste in vano, 
Tal gli apportaste ognor danno e disnorc, 
Mentre che avea l'esercito lontano, 

E paco il suo terreno avea timore ; 

Or che vicina è si la vostra mano, 

Ch* offendere il porria nel proprio core, 

E punir mille offese in un sol giorno, 

Fa sdegnosa dei suoi pigro soggiorno ; 


uni 

Qui P amare sue lagrime asciugando 
Tacque il tenero vecchio, al qual rispose 
Il duro Lancilollo : Or come e quando 
Si contrario io volere in voi si pose ? 

Che già ogn' altro pender lassatola bando 
Chiaro mio uulritor, sol quelle cose 
(.he m'erau care vi scntia gradire, 

D' uno stesso col mio fermo desire ; 




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AVÀRCHIDE 



uni 

E più non ri sovvien quante Gate 
Il Britannico re biasmaste mrro, 

Di superbo parlar di voglie ingrate, 

E 'riverso i merli mici d' animo bieco ; 
Ch’or tolta contro a me l'ira voltate, 
Che in più dritta ragione avreate aeco ; 
E dove eoo accasar più ai conviene, 

Al mio aoverchio mal giungete pene. 

untati 

E con più aperto cor rispondo a voi, 
Che dei promessi don nulla mi cale ; 
Ch’ assai regni ed onori ho senza i aooi 
Dalla Bontà inGnita ed immortale, 
Mcntr' ella lasserà lo spirto in noi 
Senza torgli il veder, nè troncar 1’ ale ; 
Che per grazia di lei tant' allo aspira, 
Che ai Lasso teaor quaggiù non mira. 


uutxmt 

Nè vi sembri di cor lodata altezza 
L’ esser inesorabile all' offese, 

Che ai più saggi parrà cruda Gerezza, 

Poi eh' al chieder mercede altri discese : 
Qual Ga padre già mai di tale asprezza 
In chi 1' unico figlio a morte stese, 

Che al Gn per umiltà, per preghi e doni 
Con generoso cor non li perdoni ? 

USUI 

E voi, per breve suon di poche noto, 
Ch' a sì famoso re dettò lo sdegno, 

Delle voci pentite, e *n voi devote 
Non tenete il pregar di pace «legno ; 

E tale ogni ragion dal cuor vi scuote, 

Che ponendo in oblio la patria e *1 regno, 
I suoi cari signori, e gli altri in tolto. 
Non vi cal di vedergli in morte, o in lotto. 


Nè mi accresca il dulor, caro Lambego, 
Il veder voi di me dolerse a torto ; 

E s* olirà 1' uso mio questo vi nego, 
Condannate d’ alimi l'oltraggio scorto; 
Secur, che'l Ciel, come devoto il prego, 

Mi scorgerà il cammino a miglior porto; 

E con onta di quello il nostro stuolo 
Di periglio trarrà tosto, e di duolo. 

LXXXIV 

E per questo sperar con lieto core 
Di restar nel mio albergo disponete ; 

Ch’ ornai troppo per voi son tarde l' ore, 

E 'n nido peregrino altrove sete; 

Maliganle e Boorte al lor signore 
Porleran le risposte, o triste, o liete, 

Quali ordinò Colui, che'l lutto vede, 

E dov* è il suo voler n' addrizza il piede. 

I.XXXV 

Acconsente il buon vecchio, che disdetto 
Al suo più che Ggliuol mai non farebbe ; 
Ma l'illustre Boorlr, poi che in petto 
Tutto il crudo parlare accollo s' ebbe, 
Volto al compagno suo con fosco aspetto 
Gli dice : Maliganle, se non debbe 
Altra risposta farne Lancilollo, 

Ritroviamo il cammin, che n’ ha condotto, 

LXXXVI 

Dicendo a tutto l’oste del re Arturo, 
Che per l' ira d' un aol, che 'n sen ri serba, 
Nega ostinatamente fermo e doro 
Di scampar molli suoi da morte acerba ; 

E d'espugnar di quella sede il mnro 
Ch' è di tanti suoi danni alta e superba ; 
E vedere il ano onor di luce casso, 

Piia che la mano armar contr’ a Clodasso. 

LXXXVtl 

Ma pensate in fra voi, che potrà dire, 

O chiarissimo erede del re Baco, 

Chi vedrà in voi poter le privai' ire, 

Più che 'I pubblico amor, che prega in vano; 
E che ’ndarno soffriste i detti udire 
Di lai due vostri amici, e d* un germano, 
Che v* han sempre onorato ron quel zelo, 
Che più sacro e maggior s* aspetta al cielo. 


E so ben, che di me 1* antiche prove 
Vi ponno assicurar, che tema alcnna 
Al ragionarvi tal nulla mi mnove, 

Nè il turbato voltar della Fortnna, 

Ch' altra aita non vo’, che ’n ciel da Giove, 
E da questa mia man sotto la luna ; 

Ma l'impero del re, 1' altrui pleiade 
Mi fece al venir qui trovar le alrade. 

xci 

Con parlar dolce Lanrilotto allora 
Risponde: O mio chiarissimo germano, 

Nel cni buon cor tanta virtù dimora. 

Che d* ogn’ ravaliero il fa sovrano; 

Ben cnnosch’io, che forse alquanto fuora 
Vo' dal drillo canonia del corso umano. 
Traportato dall'ira, ch'oggi è (ale, 

Che a ritenerle il Cren nulla mi vale; 

xat 

Ma miraeoi non sia, che troppo pesa 
AU’ anima gentil, che gloria brama, 

Il sentirse da quello a torto offesa, 

Che quel sacro immortale onora ed ama, 
Prendendo contro a lei per nom difesa. 
Che d' allo orgoglio sia, di bassa fama, 

E acacciarse spregiando, come cosa 
Inalile, vilissima, c noiosa ; 

xeni 

Poi mandarla a chiamar, quando lo stringe 
Il bisogno maggior, che vinto giace. 

Con mille alte promesse, che si Gnge 
Per lei ingannar lo spirito fallare ; 

Come accorta nutrice, che rispinge 
Col mostrar dolci pomi a nuova pace 
Fanciullo irato, cui plorar fa lunge 
Della verga il dolor eh’ ancora il punge, 
xciv 

Or s'a grado vi sia, con Maliganle 
Al Britannico re direte ch* io 
Non intendo di qni mover le piante, 

S' altro non disporrà nel cielo Dio, 

Se pria non veggia in orrido sembiante 
Assalir Segurano il pnpol mio ; 

Ma eli’ allor farò si, thè a questo albergo 
Vedrò quanti saran voltare il tergo. 


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l’ AVÀUCHIDE 

fXT 

Qui pon fine al *uo dirt, e 'I pio Boorle 
Pien di dolore il itn tacito rota ; 

Altresì Mainante a cui la sorte 
Del suo misero stool troppo è molesta ; 
Poi che nou trova più, che’l riconforle 
La speme, eh’ apparsa vicina e presta 
D’ aver Clodasso in mano, e la sua terra, 
Se ’l fero Lancilotto usciva in guerra. 

Cll 

E '1 medesmo, eli' io dico, anco Boorte, 
Che ’l riprese e ’l biasmò, narrar porria, 
Lambego no, che chiuse gli ha le porte, 

E di qui ritornar tronca la via ; 

Irato contr’ a lui, che l'altrui sorte 
Seguiva, e non la sua, come sofìa ; 

Mentre il buon vecchio uman piangea di doglia 
Noi potendo ritrar dall’empia voglia. 

acri 

Pur chiaro quanto può fingendo il viso, 
Dopo alquanto pensar dicea: Signore, 

Quel supremo Motor, eh' oggi diviso 
Tien dai nostri desiri il vostro core 
Cou si gran duol, con altrettanto riso 
Nè porria ricoogiungere io poch* ore ; 

E se pur uon sari, per altra via 
Quel eh' esser dee di noi fari, che sia. 

cui 

Qui fimo Maliganle; e '1 re famoso, 

E qnanti altri ha con lui muli reslaro ; 
Chi del comune onor resta pensoso. 

Chi temea di sè stesso il fine amaro ; 
Ma il nobile Trislan non tenne ascoso 
L* Armorico valore invitto e chiaro, 

E dicea : Sacro re, poi che da voi 
Non manca d' acquetar gli sdegni suoi, 

1CVI1 

Al qual, per quello amor, eh' io gii portai 
Al vostro alto valor, devoto chieggio, 

Che voi tenga lontan da siniil guai, 

In cui, vostra mercè, noi cinti veggio; 
Yostra mercé dirò, se tristi lai 
Di quei, ch'oggi il morir temono e peggio 
Tanto pon muover voi col soo cordoglio, 
Quanto puote Aquilone orrido scoglio. 

CIV 

Nè vi puote accasare il vostro «ionio, 
Che troppo a danno suo foste ostinato ; 
Non prendete di ciò soverchio duolo, 
Che forse miglior via troverà il Fato; 

E '1 soverchio pregar talora il volo 
Cresce al furor d' un cavaliero irato ; 
Ma serrato in se stesso, a poco a poco 
Torna io cenere alfin ogni aspro foco. 

XCVIII 

Cosi detto, soletti fan ritorno 
I due, che ivi rimase il vecchio antico 
A cui gii molti servi eraoo intorno 
A sgravarlo dall' arme in atto amico 5 
Poi 1 dolce letticciuol gli fanno adorno 
Secondo il piccioi loco in sito aprico, 

Ov* ei vegua a posar le membra stanche. 
Fin che’l notturno vel 1* aurora imbiauche. 

CT 

E non temete in van, che di Ini privi 
Noi dobbiam dei nemici essere in mano; 
Nè per ciò di vittoria al colmo arrivi 
Il superbo Clodino e Segurano : 

Mentre tanti altri duci integri e vivi 
Sono ancor vosco ; e mentre che Tristano 
Può la spada vibrar, regger lo scudo ; 

Nou vogliate di speme essere ignudo. 

scia 

I tristi cavalier dall' altra parte 
Con la risposta lor ratti inviati, 

Dalle genti in cammin, eh’ erano sparte, 
Son con sommo desire accompagnali; 
Hanno speranza tutti e temon parte. 
Come il più spesso fan gli sconsolati: 

Ma nessun di spiar baldanza prende. 

Se il lor gran re primiero non 1* intenie. 

evi 

Nè Ì1 ricevuto danuo dia credenza, 

Che non sia il vostro esercito quel, eh' era, 
Nè che i nostri avversari altra eccellenza 
Aggian, nè più che pria nell’ arme fera ; 
Tengasi pure in bando ta temenza, 

E 1’ arme al guerreggiar ti serva intera 
Con richiesto riguardo, e dentro e fuore, 
di' ei non n'avvegoa mal per nostro errore* 

c 

Giungon poscia all' albergo, dove Arturo 
Tra molli cavalier bramando siede, 

Il qual del suo pensar poco securo, 
Comincia a domandar, come gli vede ; 
Resta ancor Lancilotto acerbo e duro 1 
0 par dal vostro dir piegato cede 
Dispogliando al suo cor 1' ira e Io sdegno, 
Dell’ antica ragion tornare al segno ? 

CVII 

Ristori pur ciascun le membra ornai, 

E di cibo e di vin, di’ al souno appresso 
Possiamo in guardia dar gli avuti guai, 

E '1 vigor rinforzar frale e dimesso, 

A fin che pria che ’l sol raccenda i rai, 
Sia nell’ ordine suo ciascun rimesso, 

Per difender noi stessi, 0 premer quelli. 
Se pur 1' occasion mostre i capelli. 

Cl 

Colai domanda: e'1 saggio Maliganle 
Risponde : O re famoso, Lancilotto 
Col pio nostro pregar non più che innante 
Nel soccorso dei nostri sverno indotto, 

Nè chiari don, nè le promesse tante 
Del suo sdegno il cammino hanno interrotto; 
Ma più 1* han fatto assai largo ed aperto, 
E di sempre esser tale afferma certo : 

eviti 

Cosi detto, all' albergo ha mosto il piede, 
E gli altri duci ancor 1' i stesso fanno, 

E di Meliadnste il grande erede 
Sovra ogni altro gnerrier lodando vanno; 
L'altro popol minor, che seule e vede 
Il suo volto e '1 parlar, 1' avuto danno 
Pensa già ricovrar, si chiara luce 
Di speranza nel cor Trillano adduce. 


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AVARCHIDE 


E con sommo desio ciascun ri Ir uova 
Sotto il suo Lasso osici l' incisila cena, 
Nella qual ragionando si rinooova 
L’ aspra guerra morlal di sangue piena : 


E n dolce sicurtà diletta e giova 
In rimendirar fra lor V andata pena ; 

E poi di' hanno al digiun sazie le voglie. 
Giocondissimo souno in sen gli accoglie. 


CANTO XV 




ARGOMENTO 

■•**•**► 


Si consiglia la notte il re Britanno 
Con Tristano , Gacen, Lago e Boorle , 

/ quai celati agl' inimici vanno 
Ed uccidon di lor le prime teorie. 
Seguran corre a riparare il danno 
Tra le sue schiere fuggitive e smorte : 
Ma già il nemico il battagliar sospende : 
Questo c quel campo la nuov alba attende. 


T * 

11 fosco carro suo la notte avea 
Dal mezzo del cammin poco disgiunto. 
Quando il chiuso dolor, che '1 sen prrmea, 
Il Britannico re desta in un punto ; 
Scuotegli il cor la tema, e gli parca, 

Quale il passalo dì, che fusse giunto 
Il fero Seguran con nuova possa 
Per gli argini spianar dell’ altra fossa. 

ri 

Del letto, in cui piace*, ratto discende, 
Chi gli sembra vicin vedere il giorno; 
L'antica spoglia poi, ch'appresso pende, 
D’ un feroce leon si cinge intorno ; 

Ponti il «appello in testa, ed in man prende 
Il gemmato suo scettro, e d'oro adorno, 
Però che armalo il collo, e le due braccia 
Del ferro avea, che mai non spoglia o slaccia* 

rii 

Come del padiglion trae fuor la testa. 

Il sospetto del dì subito sgombra ; 

Che ‘1 Vulture cadente il manifesta, 

Che del meridiano il calle ingombra ; 
Volge la vista poi dubbiosa e mesta 
A molli fuochi, che vinceva» I’ ombra 
Di quei d' Avarco, e rhnanea dolente 
Di veder si vieina, e si gran gente. 


Indi tosto a chiamar manda Gaveno, 
Che di tutti all’ albergo era il più presso. 
Che ratto appar di meraviglia pieno. 

Come del pio signore ascolta il messo. 
Senza il suo manto avere, e sciolto il seno. 
Che di nuovo accidente il campo oppresso 
Miser teme a più d' altro ; e con ragione. 
Poi che di tal miseria era cagione, 

▼ 

E gli dice: Alto re, qnal nuova cura 
Del riposo miglior coti vi priva ? 

Or non sapete ben, che poco dura 
Di quel la vita, che del sonno è schiva ? 
Nè mai si ritrovò I’ alma natura 
Mantener senza lui persona viva ; 

E tendo il ben di tanti posto in voi, 

Non dovreste sprezzar gli ordini suoi. 

vi 

Non son, disse il buon re, caro nipote. 
Alti a giungerti in un l'arme e *1 riposo; 
Che I* un dell* altro ogni migliore scuole, 
E sospinge il compagno io loco odioso ; 

E tanto più se le celesti rote 
Hanno il benigno lume altrui nascoso. 
Come al presente a me, che sempre ornai 
Ho carco il sen di dolorosi guai. 

vn 

Ma d'altro è la stagion, che di tai detti ; 
Però gite all* intorno e qoetamente 
Trista» chiamate, e gli altri duci eletti 
Che lassando gii alberghi immantenente 
Vrngan senz' arme taeiti e soletti. 

Non rompendo il ristoro all'altra gente. 

Al loco, ove le guardie assise stanno, 

Ch’ ivi attendendo lor mi troveranno. 

Vili 

Partesi allor Gaveno; e ’l re sovrano 
Con poca compagnia s'addrhtza a piede, 
Ove il re Lago sta poco lontano ; 

Ma quasi agginnto alla pretoria sede 
Nell’albergo entra, e ben eh' accorto e piano 
Le secche arene con la pianta (lede, 

Tosto sveglialo l‘ Orcado domanda. 

Chi sei tu, eli* entri quinci, e dii là. manda ? 


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l' A V A R C H I D e 

u 

Or rispondimi tosto, e ferma il passo;' 
Che non viene, ov‘ io son, ehi 'I nome tace ; 
Se non che resterai di vita casso 
Dal mio brando fede!, che presso piace. 
Risponde Arturo allora! Io son quel lasso 
Britanno re, ch'aita Fortuna spiare 
Gii son più fiorili, e ’n cosi acerba sorte. 
Che senza suo disnor brama la morte. 

SVI 

Gli consente il re Lago, e cinge solo 
11 brando, e picciol’ asta ha preva in mano ; 
Poi perchè pur raffredda il fosco Polo, 
D'aspro lupo a’ avvolge il vello estrano i 
Indi vèr Malignate il primo volo 
Drizzano insieme, ch’era prostimano; 
Giunti all'albergo suo 1’ 0 rendo chiama: 
O di Gorre gnerrier d' altera fama : 

X 

Quando conosce il re, sol darò ietto 
Appo? piato 1' un braccio, alza la fronte. 
Dicendo: O sacro Arturo in terra eletto 
Per imprese onorate, altere e conte, 

Chi vi scorge in tal loco, e si soletto. 
Quando son più al dormir le taci pronte? 
Voi sete d' adamante, il qaal non ponno 
Domar fame, lassezza, sete, o suono. 

xvtr 

Volete voi passar nell’ ozio 1’ ore, 

Che spender si dovrieno in miglior uso ? 
Tosto il buon eavalier sente il romore, 

E fuor del padiglion corre confisso: 

Come scorge ambi due, ron unii 1 cor e 
Dice : O sacrati re, troppo ro’ accuso, 
di’ or mi troviate pigro e neghittoso, 
Come lepretta vii nel nido ascoso. 

XI 

E quale alta ragion qui vi conduce. 
Aliar che riposar dovreste alquanto 
Per tornar poi nrlla novella luce 
Più forte a vendicar de' nostri il pianto ? 
Non potevate almen qnalch' altro duce 
Mandar d'intorno, e voi quetare intanto? 
Che '1 tutto oprar da se non si conviene, 
Ma vie più il comandar, chi scettro tiene. 

tati 

Ma quale alta cagione a noi vi spinge ? 
Forse altero pensier di nuova impresa ? 

0 par che Seguran le schiere accinge 
Per muover verso noi notturna offesa ? 
Risponde Artoro a lai : L' alma ne stringe 
Nuovo timor, che la Fortuna, intesa 
Del tutto al nostro mal, non ci ritreovi 
Senza ben provveder eoo danni nuovi. . 

su 

Ben, gli risponde Arturo, è certo e vero, 
Onorato mio padre, il vostro dire ; 

Ma nel tempo, qual or, contrario e fero 
Fuor dell’ uso cornane è forza gire » 

Né solo esercitar di re l’ impero. 

Ma piegarse umilmente, ed ubbidire 
Al minimo goereier, per fare strada 
A chi poi dietro a Ini più lieto vada. 

XIX 

Cosi svegliando andiam quei cavalieri. 
In cui fondate aviara nostre speranze j 
E Gaven va calcando altri sentieri, 
Perchè Tristano il suo venire avauze 
Là, dove per guardar locò i guerrieri, 

Lì fuor del vallo in più seccete stanze, 
Sotto gli occhi de'qnai dell'altra torme 
Ogni duce maggior fecero dorme. 

xin 

Mentre così dicea, già fuor del letto 
Era nscito il buon vecchio, e si eingea 
Di drappo porporin gli omeri e '1 petto, 
Che noti molto olir* al basto gli pendea ; 
Poscia in abito acconcia, ch'alto e stretto 
Per 1* arme sostener pronta tenea. 

Grossa pelle vestla di cerva annosa. 

Ove senza impiagar l' incarco posa. 

XX 

Tosto ritorna allor dentro all' albergo, 
E sol prende il soo scudo Maligante; 

E per non s’ impedir, 1’ adatta al tergo, 
Che di maglia coverto era davante ; 

E col suo brando sol segnia da tergo 
L' alta coppia reai, eh' andava innante ; 
Nè molto così van, die ’n su le porte 
Delie tende, eh’ avea, Iruovaa Boarie ; 

XIV 

La splendente corazza e 1' elmo fino, 
Che non cedendo agli anni ancora adopra. 
Però che sempre in loco a lai vicino 
Veder gli vuole, e a lui pendevan sopra. 
Tra la taocia e lo scudo, che Merlino 
Gli fe' già fabbricar con divia' opra ; 

Ma per voler del re gli lassa allora, 

Perch’ altro oso chiedea la uottura' ora. 

XXI 

Che nell' aperto del sovra la pelle 
Stese ha le membra di salvalic' orso, 
Ove il tristo vapor d' umide stelle, 

O di rigido giel uon cura il morso ; 
D’ arme coperto ancor lucide e belle, 
Per aver più spedito ogni soccorso, 
Sopra lo srodo suo la fronte avea, 

A cui posto vichi r elmo lucra. 

zv 

E gli dice : Moviam, che *1 tempo sprona 
A gire, ove le guardie hanno la sede 
Per ricercar s'al sonno s'abbandona 
Di luro alcun, ch’alia lassezza cede; 

E ’n camrain chiameremo ogni persona 
Di maggior sangue, e eh’ al consiglio assiede, 
Per ragionar dì noi quel ch’ai dì fia, 

E del campo di là cercare spia. 

XXII 

Li dagli ornati legni in giro appese 
Mille aste si vedesti di varia sorte. 

Di piede e di cavallo atte eli' offese. 

Che dell'ano e dell’altro aveva scorte; 
La laocia è in mezzo, eh' a più altere imprese 
Sopra il più gran destrier porta Boorte : 
La qual crolla olir’ a lui nuli' altra mano, 
Foor die di Lanciiolto, e di Tristano. 


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xxm 

Molti suoi parimente intorno «Unno 
In nuli lare usanza stesi a terra, 

Che ristorando il lor passalo affanno 
Prendon fresco vigor per nuova guerra ; 

I tre famosi re vicin gli vanno, 

Nè gli scioglie il gran sonno, che gli atterra; 


XXX 

E che molti gnerrier d'alto ardimento, 
Che *1 volsero assalir, rondasse a morte; 
Per la fama del qnal chiaro talento 
Di volerlo provar venne a Boorte ; 

Nè di seco lattare ebbe spavento, 

Fin che si ritrovò di lui più forte; 


Onde il re Lago alla vellosa sede 
Il franco cavalier sveglia col piede, 

xxiv 

Lieto dicendo a lui: Come or dormite, 

O rettor famosissimo di Gave, 

Mentre così vicino, e'ntorno udite 
Dei nemici accampati il romor grave ? 
Svegliale i sensi, e col gran re venite, 

Ove a trattar d'alta materia s'àve, 

Nè v* incresca il lassar le molli piume, 

Da poi che '1 nuovo sol raccende il lume. 

XXV 

Alla percossa e al dir tutto turbato 
L'onorato guerricr dal sonno sorge, 

Ed al brando fedel, eh' avea dal lato. 

In atto di ferir la destra porge ; 

Poscia in dolce vergogna rivoltato, 

Tosto che 1 re coi due compagni scorge, 
Del sabito furor, qaanto più puole, 
Scusando 1* error suo la colpa scuote ; 

XXVI 

E dicci Mi parea, che Segurano 
Assalisse improvisli i nostri fossi; 

Sì eh' ogn* altro soccorso era lootano, 

Ond* io soletto alla difesa fossi ; 

Però non sia miraeoi, se la mano. 
Spaventato al chiamar, nell* arme mossi ; 
Che come sempre desto, cosi io sogno 
Col medesmo pcnsier l'istesso agogno. 

xx VII 

Ma per qnel che mi sembra, non si mostra 
Del giorno anco vicin segno apparire; 
Quantunque io so, che la pigrizia nostra 
Mal si possa scusar, non che coprire, 
Sendo gii in piè 1’ alta persona vostra. 

Per far gli altri peggior del nido uscire ; 
Tal che non più ne supera d’ onore. 

Che poi di vigilanza e di valore. 

XXVIII 

Ah, risponde il re Lago, io v'assicuro 
Che qualor vi vedrà sotto a tal tetto 
Stellato in oro, e di cristallo paro, 

Nodo in tal guisa, e ’n così dolce ietto, 
Che vi perdonerà I’ eccelso Arturo, 

Nòdi cor femminil v’irà sospetto; 

Ed ei dolce ascoltando appella i suoi 
Già desti all' arrivar dei grandi croi. 

XXIX 

Arma la lesta poi di duro acciaro, 

Ma di quel più leggier, eh’ a piede adopre; 
Poi dell' irsuto vello, eh' è il più caro 
Yestimeulo, eh* ei porte, si ricuopre 
D' un orso alpestre, gii stimalo al paro 
D* ogni fero leone in core e in opre, 

Che già i Norici monti assai lunghi anni 
Tenne in aspra temenza, e 'n gravi danni ; 


Ch'olirà ogni altrui credenza il pose a terra 
Poi ferendolo al cor finio la guerra. 

XXXI 

Nè vesti mai da poi piò ricco aroese 
Da quel giorno, ch'ei I’ ebbe, il qual dnges 
Con lacci aurati, oode gli fa cortese 
Il buon Efeo, che 'I No rico reggea ; 

Poi per fare alle genti più palese 
Quanto il servigio in grado si prende*, 

Di mille aste gli fece olirà quei dono. 

Che durissime e lunghe ivi entro sono. 

xxxn 

Or di si altera spoglia ricoperto 
Prende lo scudo solo oltre a la spada ; 
Già son venoti, dove al campo aperto 
II riparo novel taglia la strada : 

L'accorto Bandegam dell'arte esperto 
Truovan, eh' al fosco cielo intento bada 
A dar fine al lavor, cui Maligante 
Avea dato principio il giorno avaute. 

XXXIII 

E col popolo agreste, eh* è infinito, 

Di legni e di terrea ritinto ha iu torno; 
Ove i carri pria fur, tutto quel lito 
E di piccole torri in cerchio adorno. 

In cui stia degli arder lo stuol partito 
Per securo ferir 1’ avverso corno, 

Che nel fosso scendendo dalle spalle 
Senta di mille strali offeso il calle. 

xxxiv 

Quando vede il gran re, che in si poch'ore 
Tal sia fatto de* suoi saldo sostegno, 

Volto al buon Maligante: Il sommo onore. 
Dice, accende più d’ un nel vostro reguo; 
Ben di voi sa seguir l’ allo valore 
li pio vostro germao, né mica indegno 
D* esservi tale ; e I' opre sue leggiadre 
Del nome degno il fan, ch'aveva il padre. 

XXXV 

In lai parole intorno a Bandegamo 
Con amoruso cor le braccia stende ; 

Ed egli allora : Ogni fatica chiamo 
Ben locata, signor, che ’n voi si spende, 
Poi che'l prezzo maggior, ch’ai mondo bramo 
La vostra alla mercede, a noi si rende} 
Ornandone voi qui di tante lode, 

Onde un' alma gentil più d' altro gode. 

xxxvi 

Poscia i fossi varcando, ha ritrovalo 
Il famoso Trislan, che in cerchio gira, 

Se le guardie ben son nel dritto lato, 

E secondo il dover s'ascolta e mira; 

E ch’accasando l'un, l'altro ha lodalo, 
E sopra i pcccator versata l'ira; 

Che quanti può veder, che’l sonno coopra, 
Ch' ei non si deslin mai, col brando adupra. 


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xxxvn 

Quando scorce il gran re, che'l pio Tristano, 
Che tanto a* affannò l'andato giorno, 

Area senza posar gli oechi, e la mano, 

Al duro faticar fatto ritorno ; 

Comincia : O cavalier di sovrumano 
Senno, amore, e valore, e forza adorno, 
Ovunque io fermi il passo, ovunque io vada, 
Vi ritroovo d' onor calcar la strada. 

XXXVIII 

Qnai parole potrei, quali opre usare, 
Per lodare e pregiar lai merli a pieno ? 
Che converrebbe in voi tutti spiegare 
1 tesori e gli onor, ch'ha Giove in seno; 
E poi eh' altro per nom non si può fare, 
Accettate il borni cor di desio pieno 
Di non esservi ingrato, e porvi in parte, 
Ch* a voi fossero eguali Apollo e Alarle. 


Segue il saggio parlar con dolce amore 
11 sacro re dell' Orcadi, e gli dice: 
Veramente il fidar si gran valore 
All' orror tenebroso si disdice. 

Quando ne mostra il di luce maggiore, 

E piò ralloma il sol questa pendice, 

E che *1 mezzo eammin fra noi ricopre, 
Spiegar sol di Tristan si devon 1* opre. 

XLV 

Vero i, che a gran ragion fatto saria 
Per le cagion, eh' ci disse, e per avere 
Dei consigli nemici alcuna spia, 

Del modo e del eammin, ch'hanno a tenere; 
Se di espugnarne ancor cerchcran via, 

O di cosi l'assedio mantenere. 
Ristringendo di noi te forze e '1 corso, 

Fin ch'egli aggiano altronde altro soccorso. 


Gli risponde Tristan : Noli* altro voglio, 
Sagra tissimo re, eh* esservi caro, 

E servirvi ad ognor non men ch'io soglio, 
Di coi piò che di viver sono avsro ; 

Ma dei mio non poter troppo mi doglio 
Trarvi in un pnnto dell* assedio amaro, 

E che *1 giusto bramare al fin non regna 
Di portar sovra ogo’ uom la vostra insegna. 

xt 

Or io per ragionar di qnel che preme 
Più nell* ora presente, loderei, 

Per più aperto mostrar, che non si teme. 
Nè vogliam soggiacere ai casi rei, 

Ch' io solo andassi, o con un altro insieme, 
In poca compagnia d’ alcun de* miei, 
Assalire i nemici alla fotc' ombra, 

Or che '1 sonno tra ’1 vin gli lega e ’ngotnbra. 


Ma deve io tale affare essere eletto 
Chi non fosse fra noi di si gran danno, 

Di piè snello e leggier, di forte petto 
Da soffrir senza pena il mollo affanno, 

Di core allo e sicuro, che'l sospetto 
E 'I timor di morir sovente fanno 
Cose apparire altrui mostrose e fere, 

Men che oscuri fantasmi, o sogni vere. 

XLTII 

Al ragionar del vecchio, Valigante, 

Che di quanto ei disegna, era fornito, 

Il passo sciolto aveva, il corpo aitaote. 
Fermo e saggio il pensiero, il core ardito. 
Esperto del eammin, che ’ndietro e innante 
Mille volle ha calcalo il proprio lilo, 
Dire: A quanto raccoglio, io son quell'io, 
Ch* a tale opra compir sarà il men rio, 


E di lor penserei si larga palma 
Ben tosto riportar, che quasi fora 
Dei ricevuti danni egual la salma, 

Ch* or di peso maggior fra noi dimora ; 
Che di gente infinita sana l' alma 
Dalle indomite membra uscita fuora, 

E le schiere svegliale in fnga messe, 

Pria che d’ arme il romor sonalo avesse. 


Citò qnando pur di me fortuna avversa 
Il già mai ritornar contenda a voi, 

Sopra me solo il danno si riversa 
Che multi altri ri sono eguali a noi, 

E la schiera, eh' io meno, sia conversa 
In seguir Baodegamo, e gli altri suoi ; 

E congiunta con lui, concorde sia 
Di Cicestra la gente, e dì Rossia. 


Il Britannico re con lieto volto 
Risponde : E chi potria sì chiara impresa, 
Se non con alto dire onorar molto, 

Come d‘ in. ilio cor, qual è discesa? 

Ma in noltnrni perigli udire involto 
Ogni sostegno mio, troppo mi pesa, 
rrrch'ogui altro soccorso avvia per vano, 
Se mi furasse il Fato il mio Tristano. 


E s* io non porto a quei danno e disnore. 
Ed a voi qui di lor novelle certe. 

Sia teuuto oscurato il nostro onore, 

E le parole mìe menzocue aperte : 

Il vero è ben che’n solitario orrore, 

E per vie perigliose avvolte e'ncerle 
Non porria lungo far, nè chiaro il volo 
Come faria roestier, chi fosse solo. 


Però per quello amor che mi mostrate, 
E che col raro oprare aperto veggio, 

Che 1’ ardente vostr animo tempriate, 

Ove l'uopo è minore, in grazia dileggio; 
E che tal alma iu rischio riserviate, 

Ove il nostro morir si mostri, o peggio; 
Nè si creda alla notte, e gli error suoi 
Quello iurilto guerricr, che sete voi. 


Però, t* a voi parrà, qnalch' altro meco 
Di quei, che più vorran, vegna all'impresa, 
t he sia in vece di scorta all’ andar cicco, 
E nell’arme adoprar salda difesa. 

Poi il ragionare, e’I consigliarsi seco, 

O nel ritrarre il piede, o in fare offesa, 
Mentre ch'aiata l'un, l'altro conforta, 

La vittoria o lo scampo spesso apporta. 


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AVARO H IDE 


u . 

Mentre con liete voci Arturo appratirà , 
C 1' offerta onorata in grado prende, 
Giunta è già con Gaven la schiera nuova 
Di molti cavalier, che questo iulende: 

E ciaacnn de' miglior ai inette in pruova 
D* esser esso il compagno, e in esso spende 
Larghe preghiere al re con caro affetto. 

In cosi degua impresa esser eletto. 

triti 

Fu da danni n. com' ottimo, il consiglio, 
Ma più dal re Britannico lodato, 

Ch* a lui rispose eoo allegro ciglio : 

Non lia '1 vostro disegno indarno nato. 

Sol che mi promettiate al gran periglio. 
Dal geueroso cor troppo invitato, 

Di non scorrer nn passo più lontano 
Di quel, che detto aviam, caro Tristano. 

Ut 

Fu Boorte il primicr, poscia Gaveuo, 
11 buon Neslor di Gave e Lionello, 

11 cavalier Norpallo, il pio Baveoo, 
Eretto, Gargantino, e Florio, quello, 

Che del tosco Arno suo già nato in sesso, 
Del Gotico furor fatto ruhello. 

Per così lungo mar co' suoi venuto 
Del Brilanuico stuolo era io aiuto. 

US 

Cosà con poca luce, che mostrasse. 

Fot dei nomi di quei descritte carte. 
Ch'entro al fondo d'nn elmo scorse e basse. 
Come a guardia fedel, diedero a Marte ; 
Ed una ad una poi mischiando trasse 
Il buon re Lago, e le leggeva parte ; 

E la prima a venir dell* altre tante 
Fu con favor cumuli di Maligaute. 

lui 

Nè men vuol Gossemante il core ardilo, 
Come Lucano il Bruto, ed Agre vallo; 
Ivano, cd Aboodan di voglia unito 
11 medesmo domanda e Persevallo ; 

Cosi quindici son, che sovra il litn, 

Ove le gnardie slan di fuori al vali», 
Cercan con ogni sforzo, e in ogui via 
D" esser di Maligante compagnia. 

ut 

Fu di Norgalle appresso il cavaliero 
Indi Fiorio il Toscano, e poscia Eretto, 
Con Gossemante il core ardilo e fero, 
Indi vien Lionello il giovinetto 
A far dei sette il bel numero intero. 

Fu da Fortuna Persevallo eletto: 

Ora ha d' essi ciascun sì lieto il core. 
Come quei, che restar preaica dolore. 

LIV 

Quando il saggio Trislan la lite vede, 
Della quale ri medesmo era inventore ; 
Di dar ordine al tutto al suo re chiede. 
Ed egli il consenti» con lieto core; 

Ond' ei: Poi che l'andar non mi si cede, 
Ov’io sperai trovar supremo onore, 
Contento sto, che indegno è il cavaliero, 
Che non vuole ubbidir, d'avere impero. 

ut 

Ogn’oom dei venti suoi lo stuolo adduce 
Con quell' arme più oscure, die si trnove; 
Ogni piuma, ogni arnese, che riluce. 
Dando in guardia al vicin, da se rimuove: 
11 giovin Lionel, che o' era duce 
Ha seco tutti arder di antiche pruove ; 

Il cavalier Norgallo, che ’l seguia, 

Ha di fortissime aste compagnia. 

I.T 

Io vi ronsiglierri, che Maligante 
Con sei di quei guerrier, che voglion gire. 
Con venti poi ciascun gissero avante 
L empie schiere nemiche ad assalire ; 
Pochi andasser primieri che '1 restante 
In parte ascoso, ove potesse udire 
Ben del tutto avvisato, e stretto stesse, 

A rispinger da' suoi chi gli premesse. 

LUI 

Il medesmo àve Eretto c poi gli altri hanno 
Con gli scudi leggier pungenti spade. 

Per poter più schifare, e portar danno 
Senza grau faticar per lunghe strade ; 

Già dal campo partili ascosi vanno. 

Ore son più intricate le contrade; 

Ma Liouel con l' arco, e Maligante 
Con lo scudo c col braado ivano avante. 

ivi 

Ed io con cinque insegne poi de' miei 
Non di mollo lonlan sarei da' fossi, 

E l'inchinate schiere sosterrei 
Di quei dal loro lor per forza mossi ; 
Poi la Fortuna chiara seguirei, 

Se da lei favorito in parte fossi ; 

Nè saria da sprezzar, perchè sovente 
Vincitrice vid io la minor gente. 

Utili 

Già il franco Lionel da presso scorge 
Un, che ascoso intendea, di quei d' Avarco; 
Fa fermar Maligante e innanzi porge 
Sì come presti avea, lo strale e 1' arco 
Scocca verso il meschin, che non $' accorge, 
E che pensa secar tenere 11 varco ; 

Sopra ambe due le ciglia in fronte il prese 
Tal che senza rumor morto si stese. 

LVII 

Or prrcbè troppi son qnei cavalieri, 

Cui del novello onore ha punti sprone, 

E dell' oste, e di voi sostegni interi, 

Di tutti in»ieme andar non è ragione ; 

Ma però die di sdegno ai petti alteri 
Porria l'elezion donar ragione. 

Da poi eh' esser non può se non perfetta, 
Di fortuna all' arbitrio si rimetta. 

tur 

Or par loro ai disegni aperto il passo, • 
Che d’indi olirà seguir non sia disdetto, 
Van con l'orecchio a terra, or alto, or basso. 
Nè di sentire alcun prendon sospetto ; 

Si eh' ove era colui di vita casso 
Lastan l'altro drappel venir ristretto; 

Cui dicon, eli' ivi ascoso e cheto attenda. 
Fin che in alto gridar dtiamarse intenda. 


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L AVARO II IDE 




IX» 

E lattati, di’ a Fenice e Tratìmede 
I miglior due guerrieri, e di più ardire, 
Tulli quegli altri, ove il bisogno chiede, 
Come a lor duci debbano ubbidire; 

E i tette poscia in mi muovono U piede, 
Ove «peran trovar cieca dormire 
Di quei di Seguran la maggior parte, 
Tra 1' arenose rive intorno sparte. 

LXXII 

Ivi il lassa tremante su la terra, 

E qnal fero leon, fra gli altri spinge 
Il crudel ferro, e lì medesmo atterra 
Tepulto il fero, che dormir si finge, 
Perché de' suoi virin la cruda guerra 
D'infinito timor l’alma gli stringe, 

Nè d’ indi rifuggir vede la via, 

Che non sia dal nemico oppresso pria. 

tXVI 

Qtiai sette lupi van, che dalla fame 
Per più dì molestati etron del bosco ; 

Ch' ove più delle mandrc odor gli rliiamc, 
Drizzano il fero corto all* aer fosco ; 

Le qtiai rilrovin miserelle e grame, 

Ove il cane è indormito e ’l pastor losco, 
Si che molte hanno uccise della greggia, 
Pria clic senta il mastino o’I guardia» reggia. 

(.XXIlt 

Così tacito sta, ma non gli vale, 

Che’l feroce Toscan sopra la testa, 

Che bassa tien, gli dà colpo mortale 
Tal, che degli altri tre compagno resta ; 

E Maligante intanto gli altri assale, 

Che dei morti primier sono alta testa 
E fa, che *1 crudo Arpin, che ascoso dorme, 
Nel tartareo terreno stampi 1' orme. 

LXVII 

Tai gingnemlo rostor sul lato manco, 
Ove al fiume lontan più sorge il colle, 

Il fer gotico stool fero no al fianco, 

E fan del sangue suo 1* arena molle ; 

Che la sera assetato, afflitto, e stanco. 

Di vivande e di vin si ben satolle 
Avea lieto in Ira se Pavide voglie, 

Che dal sonno al romor non si discioglie. 

r.xxtv 

Nè indietro si riman 1’ altero Eretto, 
Clic *1 ricchissimo Arnaldo spinge a morte; 
Che gli mise la spada in mezzo il petto, 
Onde 1* alma al fuggir trovò le porle : 

Era cosini nnovo signore eletto, 

Ove il Partenopeo con dora sorte 
Era d’ ogni sno bene, e d’ oomin voto 
Dal rabbioso furor dell’ Ostrogoto. 

t XVIII 

Il primiero a ferir fu Lionello, 

Che pon lo sleale al Gcpido Atcalese 
Dietro alla fronte, e penetra il cervello 
Sì, che dolce sognando a Pluto «rese ; 
Il qual, se beo soli' altro paralcllo 
Nato era lunge al gotico parse. 

Pur sotto il f eroe* Iba si conduce, 

Cli’ all* uno e l* altro popolo era dure. 

LXXV 

Il nobil Costernante core ardilo, 

Che l‘ imparo Circoli trova riverso, 

Con un colpo al destr’ occhio sovra il Ilio 
Di sangne il lassa, e d* atro vino asperso ; 
E’I chiaro Persevallo avea ferito 
Drntru al cavo del cor, proprio a traverso , 
Sagonlo il biondo, di Serali figliuolo, 

Che d’appellarsi re sostenne solo; 

r.xix 

11 cavalier Norgallo appresso viene, 

E con 1’ asta pnngente uccide Aroco 
Del sangue Goto, il qual sopra 1* arene 
Il notturno rigor temprava al foro. 
Trapassò '1 tutto, ove alle spalle avviene 
In fin della corazza, che si poro 
Al gran colpo mortai gli porge aita, 
Che col suo contrastar perde la vita. 

txxvi 

E nel mezzo di servi, e il’ altri intorno 
Di serici tappeti il letto avea. 

Condotto ivi d' A varrò e *n ghisa adorno, 
Che non mcn delle fiamme rilucea ; 

Ma il chiaro cavalier per suo più scoruo 
Il sostegno con Ini seco traea ; 

Poi Torante, il suo amiro, a lui vicino 
Pose in fronte percorso a capo chino. 

IXX 

Il buon Fiorio Toscan, tosto che ’n tende, 
Che questo era lo sluol, eh’ egli odia tanto ; 
E che '1 bel nido suo rapisce e'ncende, 

E I tien sepolto in miserabil pianto; 

Più spietato che mai, sovr* esso stende 
Il fortissimo brando, e Irtiova Alanlo, 

Che di Teodorico era nipote, 

E eh’ hanno in sommo onor le genti Gote ; 

Ut XVII 

Ma dei danni il rumor per tutto è scorso, 
Mentre i sette ponean le genti al fine , 

E 1' abbattuto sluol rhiama soccorso 
Dalle genti eli' a loro cran vicine; 

Si che già largo numero era corso 
Delle lor proprie schiere c peregrine ; 

Ma mentre appcllan quei, questi altri v attuo, 
I buon sette gucrrier gran prove fauuo. 

IX XI 

E dietro al destro orecchio entra la punta, 
Ove surge durissimo quell’ osso, 

11 qual d’ ogni furor la forza spunta, 

Da qual colpo maggior vegna percosso; 
Ma come in lui vibrando é sovra giunta, 
Noi potendo del loco avere smosso, 

Va nel cavo vicino, ed olirà vola, 

Ove il collo è interralo con la gola. 

IX XVIII 

L’altero Seguran, che d’ alito lato 
Il suo seggio da quei letica lontano, 
Clodia con molta genie avea mandato 
A ’n tender se ’l romor sia certo o vano ; 
Ma poi, che per più voci ha il ver trovai», 
Che dal barbaro popolo inumano 
In sonno, in tema, in trnehre ravvolto 
Coli duro lamentar cresciuto e mollo ; 


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^ L AVARCHIDE 



uxu 

Lassando ivi per lui Brunoro il Nero, 
Con poca compagnia fra Goti arriva, 

E ritroova assai genie sul sentiero, 

Gli e del lutto era morta, o mezza viva; 
Guarda le piaghe, e ben di colpo fero, 
E di man, che non sia di forza priva, 
Srnihrangli in vista e la credenza prima 
Di Tristano c Boorlc opra le stima. 


I.XXXVI 

Ove senza apparir tacili stanno, 
Lassando avvicinar chi gli seguia . 

1 quai sciolti di tema, e sparsi vanno. 
Come gli conducea 1* oscura via ; 

Nè posson discovrir 1* ordito danno, 
Ch' ultra la notte o«cnra gli impedia 
La luce e ’l loco, clic si lassan dietro, 
Che facea lor parer 1’ aer più tetro. 

I.XXX 

Allor con più desio domanda intorno, 
Ove sien giti nuci, che gli hanno ancisi ; 
E trnova, che n brevissimo soggiorno 
Ilan dell* anime sue questi divisi, 

E che poco lontan lento ritorno 
Senza trmrnza fan d* esser conquisi; 
Onde irato l'iberno alla vendetta 
Pur con pochi de' snoi di gir s* affretta. 


LXXXVII 

Con alle grida allor, con voci orrende 
Di trombe, e militari altri instrnmenti. 

Il nascoso drappello il corso stende 
Con varie aspre maniere di spaventi; 

E ’n nn tempo medesimo gli offende 
Con gli strai, che su gli archi erano intenti; 
Che ben clic venti sien, mille sembrare». 
Poi tra 1* aste gli scudi a paro a paro. 

LXXXI 

Nè mollo innanzi va, che gli ritrova, 
Tome sette leon ristretti insieme, 

Glie dopo allo predar, di gente nuova 
Srnton venire stuol, che 'nlorao preme ; 
Gli’ or si mettono io fuga, or fanno prova 
Di rivolgersi a quel, che men gli teme ; 

E rhi trnovin dagli altri esser disgiunto, 
Dall’artiglio, o dal dente è morso o punto. 


LXXXVItl 

Non fu core in tra quei di tanto ardire, 
Ch' all' improviso assalto non tremasse ; 

Chi scampa il primo urtar, vorria fuggire. 
Se ’l senlier bene aperto ritrovasse ; 

Ma da quei, che son gli ultimi a venire, 

A cui tardo il romor da lunge trasse, 

Ilan ingombrala si la dritta strada. 

Che rilengon ogni uom, che ’udiclro vada. 

LVXZII 

L* accorto Lionello ad ogni passo 
Scocca dell’ arco tuo novello strale ; 
Questo in fronte ferisce, e quel più basso, 
Ghi riman morto, e chi seguir non vale; 
Il cavalier Norgallo avvinto o lasso 
Non mostra il suo valor, ma di mortale 
Colpo in chi più nel corso gli era presso 
La pungente atta sua nasconde spesso. 


UUXil 

Ivi i sette buon duci, che primieri, 

E gli altri confortando son rivolti, 

Qncl clic di damme fan pardi c cervieri, 
Facean de’ mi serrili in fuga volti; 

Son già d* essi ripien tutti i sentieri. 

Che tra ’l sangue e Tamia erano avvolti; 
E si folla di lor la turba cade. 

Ch'agli stessi uccisor facca pleiade. 

(.XXXIII 

Fiorio, dovunque senta o grido, o voce, 
Che’l gotico seriuon parlando spiega, 

Cou la spada si addr>zza aspro c feroce, 

E dal preso sentiero indietro il piega ; 

E tanto lieto è più, quanto più nuoce 
All' odiato drappello: e ‘1 citi riprega, 

Che la possanza egual doni alle voglie, 
Perchè dal seme rio la terra spoglie. 


xc 

Solo il nemica Fiorio, a cui rimembra 
Del flagri ricevuto sopra T Arno, 

D' affamalo leon più crudo sembra, 

E ’l pianger e ’l pregar si getta iudarno ; 
Quell' ucciso riman, quel cou le membra 
In più parti impiagate, esangue e scarno ; 
Quel pensando fuggir, dal proprio piede. 
Che ’n soccorso venia, premer si vede. 

I.XXXIV 

Nè men fa il chiaro Eretto e Governante, 
Che ritirando il piè n nccidon molli, 

E se non fosse il saggio Maligante, 

Da' nemici alla fine erano avvolti. 

Perchè perdono il tempo, e gli altri innante 
Corrono al vendicare insieme accolli ; 

Ma quegli alto gridando dice : Ornai 
Aggiam, cari signori, oprato assai : 


XCI 

Ed ei quanti di lor più sceme a terra. 
Di tanti uccider più t' arma le voglie, 
Avria bramato solo in quella guerra 
Di quanti uacqucr mai T ultime spoglie ; 
Ma il numero de' morti il passo serra, 

E di più ultra gir la strada toglie ; 

E già il fero Clodino c Segurauo 
In aita de’ gnli arman la mauo. 

I.XXX V • 

Or è il tempo di cedere a chi viene, 

E sicuri tornare a miglior seggio, 

O del nostro fallir pagar le pene 
Ci apparecchiamo al grave stuol, ch'io veggio; 
Obbeditegli agui uom, come conviene 
A chi nulla Ita sperauza, c teme peggio ; 
E ciascuu rifuggendo il corso stende 
Vrrso la schiera lor, clic dietro attende; 


XCII 

E con forze maggiori han penetralo 
Fcr mezzo al lin del fuggitivo stuolo; 
Ma il saggio Maligante «l’altro lato 
A’ compagni gridando aflrena il volo ; 
Al suo impero ciascuno è ritornato, 

Ma in tra folti nemici Florio solo 
Tratto dal gran desio s' è tanto spinto. 
Clic si scorge da quelli iu giro ciuto. 


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^36i^| l’ A V a U C 11 I D E 



xeni 

Ma qual loro selvaggio, clic ti Irove 
Da cani, e da pattar chiuso ì! sentiero. 
Che ’n torno guarda, e non può secrner dove 
Sia lo scampo di Ini scettro e 'nitro ; 

Che disperato al fin ratto si muove, 

E ’n orrendo muggire, e ’n vista frro, 

Con la cornuta fronte armata e bassa 
Riservando e ferendo a forza passa ; 


c 

Perchè prima conviengli con la spada 
Salvare i suoi dal subito periglio, 

E d* opporsi al ferir mostrar la strada, 
Po! di ritrarre il piè trovar consiglio ; 

E mentre a qnesto e quel fra l’ ombre bada, 
Sente il ferro Britannico vermiglio 
Or del gotico sangue, or dell’ Iberno, 

E molte alme di lor poste all' inferno. 

xnv 

Tale il famoso Fiorio, che si sente 
A dietro richiamare, e vede intorno, 

Che dalla nuova e prima affina gente 
Senza speme impedito ave il ritorna ; 
Congiunto il braudo al suo snido possente 
Con furioso orlar fiaccata ha il corno, 

Che di dietro il ringea, si ben, che a viva 
Forza, ove gli altri suoi, correudo arriva. 


CI 

Onde in suo cor rabbioso si lamenta 
D’ esser, come guerricr semplice, incorso 
Nelle notturne insidie e quasi spenta 
Si stima ogni sua storia al primo corso ; 
Or all’ alto furore il freno allenta. 

Or con miglior pentier ritiene il morso ; 
E perchè di Tristano udito ha il nome, 
Scarca in lui di furor le gravi some, 

xcv 

Indi con Mitigatile addrizza il passo, 

E rosi quanti son, 1* ordin tenendo 
Verso il rampo e riascnn ron 1* arme basso 
Va T impeto nemico sostenendo ; 

L’altero Segnrano il popnl lasso, 

E ripien di tiinor va sospingendo ; 

Poi minacciando ai sette alta ruiua, 

Con l'animosa schiera s'avvicina. 


Cll 

Dicendo: F. chi v’apprese, 0 in quali scuole, 
Alto re dell’ Armorico Leone, 

Di ricovrar 1' onor perduto al sole, 

Nella più oscura ed orrida stagione ? 

Qual la tìmida volpe, 0 il lupo suole. 

Che negli inganni suoi la speme pone : 

La notturna vittoria ai buoni è scorno 
Vie più eh’ esser oppressi al chiaro gioruo. 

XCVI 

E larghissimo danno fallo avria 
Se *1 famoso Trislan col pio Boorle, 

Che per compagno suo chiamato avia 
A passar seco la medesma sorte, 

Con cinque sole insegne in compagnia 
Non presentava a* suoi fedeli scorte, 

Che '0 cosi orribil suon la schiera mosse, 
Che la valle d’ Oron 1* arene srosse. 


cui 

Non risponde Trislan, eh' ad altro intende 
Ma il saggio Maligante gli dieia : 

Dell' ottimo guerrier la gloria splende 
Sempre in ogni fortuna 0 buona 0 ria ; 

E quando ascoso è il di, quando risplcnde, 
E di terra e di mar per ogni via, 

Per ogni occasion, che '1 ciel gli scuopra, 
Con generoso cor poo 1’ arme in opra. 

xeni 

Maligante, e i compagni han già la fronte 
Con piò animoso cor che mai rivolta ; 

Ma il saggio Segnran, che viene a fronte, 
Come l'impeto e '! grido presso ascolta. 
Ben s’ acrnrg’ ei, che più dannaggio ed onte, 
Che mai d'altra stagione, a questa volta 
Riporterà, •* al subito periglio 
Or non più che la mano use il consiglio. 


CIV 

Ma voi, quale al villan, qnale al pasture, 
Vorreste ai cavalier dar rozza forma. 

Che poi di’ aggia al gran di sudate 1’ ore, 
Neghittoso la notte queti e dorma ; 

Nè consentir vorreste, che ’l valore 
Già mai di travagliar non lasse l'orma; 

E ch‘ al chiaro, all' oscuro, al caldo, al gelo 
Aggia di faticar lodato zelo. 

xcvin 

E richiamando i suoi 1' andar raffrena, 
E di scudi miglior la testa addoppia, 
Quegli scegliendo, eh' han vigore e lena, 
Che cui vivace ardir nel cor s'accoppia ; 
Ma già come d* aprii, quando balena, 

Che dopo il lampeggiare il tanno scoppia, 
Così dopo il mostrar chiaro splendore, 
Vico dal lucente ferro alto rumore. 


cv 

E cosi ragionando il re di Gorre 
Non però di ferir per questo lassa, 

Ma quinci, ov'è’l bisogno, e quindi acrorre, 
E sospingendo i suoi più impinzi passai 
Ma il feroce Trislan per tutto scorre, 

E di lui fiammeggiando or alla, or bassa 
Accendeva le tenebre la spada, 

E del saugue nemico empie* la strada. 

xctx 

Che quaì feri leoni, innanzi vanno 
Prrcolendo ì nemici il buon Tristano, 

E '1 pio Boorte, e si beu giunti stanno, 
Che sempre pari il pii segue e la mano ; 
Ed han fatto fra lor non piccini danno, 
Pria che ben possa il saggio Seguraoo, 

L' occhio fisso tenendo in ogni loco, 
Spegner, come vorria, l’ acceso foco. 


evi 

Uccise il forte ILeruo Pilarteoo, 

Clic del suo Segurano era cognato, 

E 'i fa morendo mordere il terreno 
Con percossa fatai nel fianco lato; 

Fa il medesrao ad Erteo, di’ al freddo seno 
Delle tenebrose Ebridi era nato; 

Poi Meganippo, Omeado, e Limoro, 

Cb* ebber patria con lor l’ istesso loco. 


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L AVARO II IDE 






Nè tncn di lai fa il giovine di Gave, 
Ch* a quel sempre vicin percuote e fere ; 
Leocrito 1' Ispan d* un colpo prave. 

Onde il capo ha diviso, fa cadere ; 
ludi il fero Leteo, che nulla pavé, 

E ’l primo appar fra le Sasionic schiere, 
Fa, che per aspra piaga della gola 
All' onde di Caron lo spirto vola. 

eviti 

Così Mentalo, Asloro, Echedo, e Boro 
Della progenie Usvalla a morte spinge; 
Ma più d' altro spielato entra fra loro 
Florio, e di Goto sangue si dipinge ; 

Nè Lionello il primo tuo lavoro 
Ha posto in ozio, o d' impiagar »’ infìnge 
Ogn’uum, che ’nlorno appar, con rigid'arco, 
Come suol cacciatore i cervi al varco. 


Ma il saggio Srguran, cui sol non preme 
Il presente suo mal, che pure è molto, 

Ma più dell 1 avvenir nell’alma lente, 

Che non sia li l'esercito raccolto, 

Per venir a trovarlo lutilo insieme, 

E l'acquistato lauro gli sia tolto; 

Tutti chiamando i suoi, con lento piede 
Tra le teuebre ascoso agli altri cede. 

ex 

E l’accorto Tristano e Naliganle, 

Che non vnglion tentar I* ultima sorte, 

E rh'han giusto sospetto di' altrettante, 

0 più di Seguran giungano scorte, 

Con alto richiamar fra quei davaote 
Fanno indietro tornar Fiorio e Bnorlr ; 

1 quai, come gucrrier di chiara luce, 

Si fanno obbedienti a chi conduce. 


Ma nel suo ritirar, Fiorio avea preso 
Sanzio, il nobile Iberno, prigioniero; 

E I porta seco senza averlo offeso, 

Come piccini agnel suol lupo fero. 

Perdi* ei possa ridir quanto ave inteso, 
Clie’l granile oste d’Avarco aggia in pensiero; 
Poi temendo il suo cor I' avversa parte, 
Già l’uno e l’altro esercito si parte. 

cxu 

Ma quei di Seguran tristi e dolenti 
Dei compagni, eh’ avean, rimasi in terra ; 

I Britanni, e i vicin lieti e ridenti. 

Cinti d* onor della notturna guerra ; 
Passano il vallo poi, die l’ altre gcoli 
Dalle nemiche man secure serra. 

Ove armato attendeva il gran Brilanuo 
Fra gli altri duci e re, che ’ntornu stanno. 

cxiii 

Ivi con lieto cor lodando accoglie 
Dell* impresa lodala ciascun duce; 

Fiorio il Toscano allor fra le sue spoglie 
Al cospetto del rr Sanzio conduce, 

II qual tutto tremante i detti scioglie, 
Pregando: O dei Britanni eterna luce, 

Ch' a tutti splende, poi ch’or vostro sono, 
Fatemi della vita intero dono. 


E se di questa età giovine ancora, 

E della mia Fortuna non v’ iucresre, 
Muovavi il vecchio padre, che dimora 
Lontano, c pan con lagrime commesce; 
Ch’udir gli sembra il messo d’ ora in ora, 
Ch'a lai porte il mio fine, e a sé rincresce; 

E se d' un tal perdono avesse nuove. 

Non men v'adorcria, che ’1 proprio Giove. 

cxv 

Dolce risponde Arturo : Or non vi caglia 
D’ esser venuto iu man di lai nemici, 

Usi uccider gli armati alla battaglia, 

E far mercede ai nudi, e gl' infelici : 

Pria ebe la bianca aurora all' alba raglia, 
Secur vi manderò nei liti amici, 

E ’n vece pregherò, se non vi spiare. 

Dar risposta al mio dir, che sia verace : 

ex vi 

Qnale il disegno sia di Segarano, 

Poi eh* attende di fuori il nuovo giorno ; 
D'armar contra i nostri argini la mano, 

O ’n tra i muri d' Avarco far ritorno? 

Allora il miserello al volto umano. 

Al dir di grazia, c di dolcezza adorno, 

Qual si fa dopo il gel novella rosa 
All* apparir del sol vaga e gioiosa, 

CXVII 

Tal si fece egli, e lutto umile in vista 
Risponde : Invitto re, grazie infinite 
Bendo alla sorte mia lieta, e non trista. 

Poi che mi spinse a scorger le gradile 
Vostre virimi!, onde il sol nome acquista 
Quante aniine oggi son col ciclo unite ; 

E me così prigion fan più felice. 

Che noo farian la palma vincitrice. 

c.tvtit 

E «la poi che d’ intendere il pensiero 
Vi ral di Segurano in questa guerra ; 

V’ affermo iu, qual suo duce e consiglierò. 
Che non vuol ritornar dentro alla terra, 

InGn eh* ei non ha in man tutto 1’ impero 
Drl gr.n fosso vallalo, che vi serra ; 

E ’n questo tempo intesto, e ’n questo luogo 
Spera al Brilaouo onore imporre il giogo. 

extx 

E come il sol radumi I* oriente. 

Drizzerà a questa via Tarmato piede ; 

Nè si truova tra lor si abbietta gente, 

Che non pensi di voi far ricche prede. 

Allor ridendo il re, cortesemente 
1/ abbraccia, e dice poi : Colui, e he vede 
I drtir nostri aperti, testimone 
Appello al mio verissimo sermone: 

CSX 

Ch' altro mai non bramai, qnant* oggi qnesto, 
E per mercè dell' ottime novelle, 

Amicissimo sempre, e vostro resto. 

Mentre vita mi dien l' amiche stelle: 

Indi nn anreo monil, tutto molesto 
Di preziose gemme rare e belle, 

Dal suo collo reai cortese tolse, 

E quel di Sanzio languido n'avvolse. 


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L AVARCHIDE 



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l’ a V a R C II I D e 

IX 

Stavan qonte nel mezzo, e ’n giro poi 
Nell' estremo di tntta facean fregio 
Gli archi iteti, gli tirali, e i dardi tuoi, 
Ch' alla vaga Diana erano in pregio ; 

Nè le reti selvagge, nè i lacciuoi 
In oblio potè il dotto fabbro egregio, 
Ch'ivi tolte apparian con ti bell* arte, 
Ch'a natura togliean la miglior parte. 

XVI 

Poi per più sicurtà greve piastrone 
Il suo caro Agraven di sopra mette, 

Si eh* aggia di temer nulla ragione 
D’ aste colpir, di spade, o di saette ; 
Qual già nella sua patria regione 
Al fnror dei giganti in prova stette; 

La buffa locò solo al destro lato. 

Perchè sia dallo scudo il mauro armato. 

X 

E nel giorno medetmo, che gli diede 
L'alta Fata reale il ricco arnese, 

Gli dicea, che con quello aveste fede 
Di largo soggiogare ogni paese ; 

Del qnal dopo lunghi anni rtiere erede 
l’no Enrico dovea, eh* ad ali stese 
Mandcria ’l nome suo dall' Era al Gange, 
E per quanto Ocean tra i Poli frange. 

xvii 

Sovra l'arme lucenti ultima cinge 
La ricca imperatoria sopravvesla, 

Che con gemmato nodo alta si stringe 
AU'omer manco, ove non sia molesta; 
E sotto al destro braccio alato spinge 
Il lembo adorno, che scherzando resta ; 
Ove in campo celeste seminate 
Son le corone sue reali aurate. 

XI 

Gli spallarci sovrani al loco pone, 

Che 'n tra quella e *1 braccial l'omero accoglie; 
Gingeli il brando poi, che Pandragonc 
Fe' più volle rarcar di opime spoglie, 

Dal popolo inimico Anglo, Satsouc, 

Clic del tao bel terren varcò le toglie ; 

E gli die sovra ogn* altro cavaliero 
Del marziale onor lo scettro altero. 

XVIII 

Il feroce corsiero indi gli addoce, 

Ch’ci suol sempre meuar nell'alte imprese. 
Sopra cui, qual 1' aurora, rcndea luce 
Il tolto di fin or fregiato arnese ; 

Il frontale argentato in allo luce. 

In cima al qual leeeiadramente stese 
Sottilissime piume bianche e nere 
All' aure ventilar si pon vedere. 

XII 

Questo, morendo al fine, in man ripose 
Il valoroso re del figlio Arturo, 

Dicendo: L’ opre tue tempre famose 
Fecer che’l regno a voi lascio si caro ; 
Aggiate Ini sovra 1' umane cote 
In riverenza somma e al tempo duro, 

G.he vi apparecchie mai C aspra Fortuna, 
Questa spada cingete sola ed una. 

XIX 

Il crin, come la fronte, era coperto 
Del piò sicuro ferro, e del men greve ; 
Nè iutra l'arme nemiche giva aperto 
Quel, clic i colpi maggior primo riceve , 
Che ove al falcato collo viene inserto, 
Cinto il bel petto avea spazioso e leve 
Di doppie pelli, che indurate al foco 
Piaga d* asta, o di strai curavan poco. 

XIII 

I quai delti nbbidio, ch'ai gran perigli 
Non ti mise unque poi senza aver lei ; 

Con la qual sempre mai rendeo vermigli 
Di sangue i campi tra i nemici rei; 

Nè d' altro brando i micidiali artigli 
Di morte furo agli infernali Dei 
Larghi de* tuoi trofei, quanto di questo, 
Che feo più d' on figliuol del padre mesto. 

XX 

Ma per averlo al gir piò snello mollo, 
E per eh* ivi il ferir non vini mortale, 
Vuol, eh' all* empie sue groppe sia disciollo 
f unirà il comune usar di peso tale, 

Ora al primo arrivar, dell’ arme avvolto, 
Senza la staffa oprar sopra vi sale ; 

Il manco lato allor restato nudo 
Il famoso Agraven gli armò di scudo. 

xnr 

Di preziose gemme chiare e dure 
Era il fodero intorno rilucente, 
Ch’avanzavan del sol le luci pure, 
Quando più bel ai mostra all' oriente ; 
Conteste in ore tal, che stan sicure 
Al percuoter di colpo aspro e possente ; 
Simil le guardie ha in alto e ’l pome in cima, 
Che di prezzo infinito il mondo estima. 

XXI 

Lo qual cinge sicuro, e 1' ha commesso 
Con beu ferrali ondi al collo intorno; 

Ila del cicl il colore, e in mezzo d' esso 
Sla il rapo di Gorgon di serpi adorno ; 
Ch'ha nel guardo crude! lo sdegno impresso, 
E d'uccider desio, che innalza il corno; 
E da ciascun dei lati spira iutenlo 
Il timore, il sospetto, e lo spavento. 

xr 

Con questo, e del medesimo lavoro 
La cintura ricchissima pendea, 

Ch'alia parte minore apparia loro; 

Che di vaghi color l'altro splendea 
D'adamanti e rubin, posti fra loro 
Di rose in guisa care a Citerca, 

E di vaghi zaffir, non gii smeraldi, 

Che dell' arnie al ferir non rotati saldi. 

XXII 

Sono intorno di lor di saldo acciaro 
Dieci cerchi fortissimi ravvolti. 

Che del porfiro duro stanno al paro, 

E di chiodi profouiii al legno accolli ; 

Di ferro dentro e fuor d'argento chiaro 
Color vanno ombreggiando i tristi volti) 
Venti sono in ciascuuo, c posti tale, 

Che di svellergli quiudi arte non vale. 


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l’ avarchide j<T 


zzili 

XXX 

Di color negro ai primi si comprende 

Il grand'elmo alla fin, che doppia tiene 

Altr' ordine a fortezza ed ornamento; 

Del reai viso iu guardia la baviera, 

Il sostegno, onde al rollo si sospende, 

Ove f alto riinier montando viene, 

Di falde fabbricalo era d'argento, 

Che ’n seno ave del ciel l'ultima spera, 

Ove un fosco drago» *’ avvolge e stende, 

Che sol le turi stallili contiene, 

Né d' una fronte sola appar contento; 

E sempre dal maltin gira alla sera 

Ma con Ire fere leste, e d* ira pieno 

Senza mai traviare, e 1' altre cinge. 

Par minacele a ciascun foco e veleno. 

Che dietro al corso suo di gir costringe, 

XXIV 

XXXI 

Del più gran re, che d* Argo e di Micene 

Così questo Agraven d* intorno allaccia, 

F. d' altre alme città lo scettro tenne, 

Ove pili la corazza monte iu alto 

Fu questo scudo allor che d'armi piene 

Verso la gola, e sì che non 1* impaccia 

Con mille allrre navi a Troia venne. 

Al rivolger il volto ad ogni assalto; 

Per darle al suo furar dovute pene ; 

Nè col soverchio peso assiso giaccia 

E di dieci anni al termine pervenne 

Sopra la fronte l'incantato smalto; 

Col lungo assedio e poi di chiara frode 

E dir si potè a tal, che di tempra era 

Trionfante parilo, se 1 ver se u’ ode. 

Non men che l'adamante invitta e vera. 

xxv 

XXXII 

Ivi mentre era inteso al grande acquisto 

Poi di piastra d* acciar fino e sovrano, 

Che più volle cangiò fortuna e volto, 

Sol che ben rivoltare, e stringer vaglia, 

Ovnnque il del gli fosse o lieto, o tristo, 

Difesa aggiunge all’ una e l'altra mano. 

Sempre si ritrovò di questo avvolto ; 

Non men dolce a piegar, che lenta maglia, 

Ma nel rio letto dal crudele Egislo, 

E larga ove il braccial vien prossimafto, 

E dalla sposa «ua di vita sciolto, 

Ch* al nodo estremo suo sovr essa saglia : 

Fn tra molli lesor dei servi suoi 

E pitiche dritto è in sella, e fermo ha il piede. 

Al (ratei Menelao condotto poi ; 

La lancia impugna, eh’ Agraven gli diede. 

XXVI 

XXXIII 

Ch' allor dìvoto nell' antica Sparte, 

Indi con bel drappel di cavalieri, 

Come il merlo chiedea, con vero amore, 

Che già intorno gli son, »' addrizza al vallo, 

Di Minerva al gran tempio in degna parte 

Ove schiere infinite di guerrieri 

Fere appender in alto ; al cui valore. 

Truova attender pedestri, ed a cavallo, 

Che fu poi steso in si divine carte, 

E i maggior duci lor, servando interi 

Non volle il pio german far altro onore; 

Gli ordini, eh* al devcr nou tacciar» fallo : 

Scrisse sol d' Agamennone, il qual nome 

Poi, che stan comandando so le porte 

Seco avea d'ognì lode eterne some. 

Vede il franco Tristano, e ’l pio Boorle : 

XXVII 

XXXIV 

Quando poi fu squarciato il fosco velo 

E dei levi deslricr prime le torme 

Al veder nostro misero mortale; 

Dai lor rapi condotte han tratte fuori ; 

E l'alta grazia ne portò dal cielo 

Dopo ijuesti gli arcieri stampan Torme, 

Il gran (ìgliuol del padre universale, 

Con gli altri più spediti, e (rombalo ri ; 

E dell’ uom si converse il vero zelo 

Vengon poi quei, che di più altere forme 

A quell'alto F attor dal sen mortale, 

Veston l'arme pesanti, e le migliori; 

Che negli antichi templi intorno tulle 

Cosi tutti passali, ogni uuiuo attende 

Fur le fallaci immagini distrutte; 

Quel, che di comandargli Arturo intende ; 

XXVIll 

XXXV 

Nel famoso Bisanzio a Costantino 

Il qual Ira i maggior duci, e i primi eroi 

Fu lo scodo possente allor mandalo ; 

Consigliando il futuro, avea varcato 

Ove il tenne in onor quasi divino 

Dop' essi il fosso, e va scorrendo poi 

Col chiaro ricordar del tempo andato ; 

Col buon re Lago, e con Gaveno a lato, 

Poscia di prole in prole al gran Tostino 

Che nessun altro vuol di lutti ì suoi, 

Allora imprrador fu riservato ; 

Per nuu mostrar di re T altero stato ; 

Il qual, come di Ini più d' altri degno, 

E Tarmale sue schiere guarda intorno, 

Ad Arturo il Uouò d" amore in seguo. 

Che più che furse mai fur belle il giorno* 

XXIX 

XXXVI 

Questo adunque era quel, ch'ai collo iutorno 

E chiamando di molti il proprio nome 

Del suo gran re sovrau prende Agraveuo ; 

Che di parie maggior non gli era ascoso. 

Nè in altra guisa il sulle fare adorno. 

Duca : Cari figliuoi, dimostriam, come 

Che della riverenza, orni' egli è pieno ; 

Non è il nostro valor da tema roso; 

Solo in azzurro aurate d' ogui intorno 

E clic per poco iucarco non son dome 

Di tredici corone ha colmo il seno, 

Le forze invitte al pnpol glorioso, 

Ch* ei non si possa dir, eh' ascosa teglia 

Che della gran Bretagna ha sparso il grido 

L 1 antica e famosissima sua insegna. 

Sotto ambe i poli, c dell'aurora al uido. 

. 


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A V A R C II 1 D E 



nini 

Indi, ove i Franchi son, rivolge il passo, 
E dire : Alti signor, di chiaro onorr, 

Non si spoglie oggi in voi euntr* a Clodasso 
Del famoso operar l' invitto amore. 

Che non giarque anror mai vinto, nè lasso 
Da sorte avversa, o Marziale orrore ; 

E vi sovvenga, che gli aurati gigli 
In guardia avete, e i quattro regi figli. 


Perche in guisa d' augei Dottorili e vili. 
Traile tenebre sol si fan arditi; 

E qoai timidi lupi, che gli ovili 
Dall' ombre ricoperti hanno assalili ; 

Ch* al giorno poscia in valli le più umili 
Ascosi stan Ira gli spinosi liti ; 

O i ei si moslran pur, qual lucifuga. 

Ad ogni altrui gridar prendun la fuga. 


Yien poscia, ove altendea Fiorio il Toscano, 
Che i più fidi Tirreni avea d* intorno, 

E dice : Amici miei, la vostra mano 
Largo oggi appaghi I* Ostrogoto scorno; 

E gli mostrale ben, che del Romano 
Sangue scendeste d' ogni gloria adorno ; 

E che di Fiorio in core ampia si chiude 
Della sua prisca Elruria la virlude ; 

XXXIX 

E die di libertà dolce desio 
Con gli ardenti suoi raì vi scalda il seno ; 
Perchè spegnendo or noi quel scine rio, 
Con voi nc vengo di speranza pieno, 
Ch’affiorilo terrea vostro natio 
Col favor di lassù sciogliamo il freno ; 

E faccialo, che dal Tehro il nobil Arno 
Non sia dolce fratti chiamato indarno. 

u 

Segue olirà, ove Tristano ordine dona 
All* armoriche sue famose squadre, 

E dice : A tai gucrrirr non sia persona, 
Che giunga spron nell* opere leggiadre; 

Nè rainmenle il rumor, ch’ai nioudo suona 
De' fatti illustri dell' altero padre; 

Perch’ei medesmo a se ricorda ognora, 
Che sol l'alma gentil la giuria onora. 

XLI 

Indi scorge Boorte e Maligantr, 

Il chiaro Lionello e Pcliuoro, 

Questi, ch* erano appresso, e quelli avanle, 
Addrixzando ciascun le genti loro, 

E parla ; Or oggi alle vittorie tante 
Largo s* aggiugnerà novello alloro : 

Tal promette di voi la lieta vista, 

Che 'ulrepida speranza ai vostri acquista. 

x ut 

Or co) voler di Dio movete innanzi, 

E non vi seguirem con fermo passo, 

Si che d'ardir nou mostri, che n’ avauzi 
L' etremminato popol di Clodasso ; 

E vedrà il mondo (s'io non m' inganno) anzi 
Che scenda il sol dell' Oceano in basso, 
Che s'ebbe sopra noi vittoria alcuna. 

Fu per torto favor della Fortuna. 

XLI II 

Nè d'altra parte il nobil Segurano 
Che già il tutto sentia, dimora iu pace, 
Ma con parlare alteramente umano 
Sveglia il valore, ove indonnilo giace, 

E dice : Ora il Britanno e 'I Gallicano, 
Allo spuntar del di 1' aurata face, 
Oppresso è di liiuor però, che suole 
Sempre perder con noi lucendo il Sole. 


E de* nostri desir Fortuna amica, 

Olir' ogni mio sperar, ve li conduce 
Fuor del lur nido, che 'I fossato intrica, 

E gli fa nnn temer del dì la Iure, 

A (in che inni periglio, c nini fatica 
Aggia del vostro rampo ogu» buon duce , 
E che 'I loro sperar non venga in fallo. 
Contendendone al gir 1’ argine e '1 vallo. 

xtn 

Moviain dunque. Signor, con lieto core 
11 passo, io non vo dirvi alta battaglia, 

Ma per metter sicuro e largo onore 
Da chi di cera frale ha piastra e maglia ; 
E di cui corse in van l' altro rumore 
Conir' all' abbietto stimi di Coroovaglia, 

Fra gl'incantati scudi, e spade, e lance, 

Di favolose prove, e d’ altre ciance ; 

XLTII 

Che i fanciulleschi cor lemon talora, 

Non qnei simili a voi di sommo ardire. 
Che per prova intendeste, e 'unanzi ch’ora, 
Quanto sia dall' oprar lontano il dire; 

E che dall' apparir già dell' aurora. 

Fin che Frho si scorse a notte gire, 

Feste dei corpi lor si fallo strazio 
ler, che ’1 nemico Avarco ne fu sazio. 

XLVIII 

Mentre parla così, già sopraggiunto 
Era co' tuoi I' ardito Palamede, 

Ch'ha’l core invitto di desir compunto 
D’ aspra vendetta delle Gole prede ; 

E Brunoro e Clodia vira seco aggiunto. 
Nè Dinadano a lor lontan si vede. 

Nè Rossano il selvaggio, o Bnmadasso, 

Nè alcun duce onoralo di Clodasso. 

XLIX 

E poi eh* han ragionato, e fermo insieme, 
Muovon coi lor primi ordini le schiere, 
Verso ove Maliganle a destra preme, 

E Boorte a sinistra il fianco fere ; 

Con quel rumor, che 'I mar quando più freme, 
Mandando in (ino al ciel le spume altere; 
Che dal nebuloso Austro spinte a terra 
Fanno a’ liti pietrosi orrida guerra. 

L 

Ma il fero Segurano a questo intoppo 
Lassando indietro i suoi, muove il destriero; 
Ch'olirà stendendo il marzia! galoppo 
Molti Britanni già versa al sentiero; 

Quel cavai resta morto, e questo zoppo, 
Ch' agramente oppressalo ha il cavaliero ; 
L' altro si sceme andar nel campo errando, 
Clic del miscr rettor si trova in bando. 



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LI 

Or aperto apparì tre il granile Iberno, 
Or Ira i molli gnerrier »i vede ascoso; 
Qual la lana talor nel freddo verno, 
Quando il riri levemente è nubiloso, 

('.li 'or si mostra, or si copre a danno c scherno 
Del lasso viator, eh’ ebbe il riposo 
Più lardo al disegnare e più lontano, 

B la pigrizia sua condanna in vano; 


LVtlt 

Ed egli in voce allora alta e superba 
Diceva : Or dove son quei cavalieri, 

Ch' al tenebroso ciel di così acerba 
Voglia si dimostrarti, e cosi ferì ? 

.In riversar vilmente sopra 1* erba 
Il sangue addormentato dei guerrieri ? 

Or contro agli svegliati, e al chiaro sole 
Temon, non che 1‘ oprar, 1* altrui parole ? 

tu 

Tal egli or Ira gli estremi, or Ira i primieri 
Dopo alquanto gnardar sorto riesce, 

Qtiai rapari del fin vaghi e leggieri 
Cacrian sott’acqua, e sopra il minor pesce; 
Ma il saggio Maligante ai suoi guerrieri 
l.e minarrie e i conforti andando mesce ; 
Ricordatevi pur, che ‘1 fuggir nostro 
ler di noi insanguinò dell* Enro il chiostro. 


LIX 

E con questo parlare uccide Alfeo, 

Che volea per fuggir volger le spalle. 

Ma troppo tardi per suo srampo il feo, 
Che soverchio ha con Ini ristretto il ralle, 
Tal eh' ove è la memoria il colpo reo 
Disceso, il pose all* arenosa valle ; 

E 1' esser nato in Vetta non gli valse, 

Nè il si largo imperar quell* onde salse. 

mi 

Ma se vorrete anror, come altre volle, 
Oggi fermando il piede, oprar la mano, 
Vedrete di timor le menti avvolte 
Al rio popol d* A varco c Segnrano ; 

E le lor glorie vane in danno volle, 

E ricercar le mura a mano a mano ; 

E se io noi fSen d’ooor le voglie accese. 
Poco spazio del di saran difese. 


VX 

Indi accise Girfolco a Ini vicino, 

E nel lotro medesimi con lui nato, 

Ma di sangue minor, che '1 padre Aniino 
Fu in Vetta rapacissimo pirato; 

E i furati teior d* altrui confino 
Non poter del figliuol cangiare il fato ; 
Che tra ’l primo del collo, e *1 secoud* osso 
Fu dal brando crude! di capo scusso. 

LI V 

Or segnitemi dunque, e non v* inganni 
Lo sperar di fuggir, eh' oggi è fallace, 

Ma ben di rìcovrar gli avnti danni, 

E riportar dai buon lode verace; 

Non siam cervi però di giovio* anni, 

E non è Seguran tigra rapace ; 

Noi siamo uomini pure, ed egli è nomo, 
Dall' arme e dal sudor talvolta domo. 


un 

Truova olirà andando Aslaraco ed Echio, 
Che del re Maligante eran parenti, 
Figlinoi d* lvante, e l'uno e l'altro pio 
Di quei «wmpagno, che la morte ha spenti; 
Pendi’ al primier la testa dipartio 
In fin nel cerchio, che contiene i denti; 
Passa all'altro la milza «1* una punta, 

Ove al dorso allegata è più congiunta. 

LV 

Con lai detti il buon dure innanzi sprona 
Il drappel de* miglior ristretto in imo, 

E vien dove il gridar più in alto suona 
Dell* urlare e ferir del erodo Bruno, 

All' apparir del quale ogni persona 
Ben d>e vii, si fa audace, onde ciascuno 
Seguendo Maligante addrìzxa il corso 
Inverso Seguran, quai cani all* orso ; 


txu 

Il buon duce dì Gorre, che ciò vede, 

R che *1 uno confortar niente vale, 

A vergogna si tien volgere il piede, 

E lo innanzi seguir sente mortale ; 

Manda a Boorle, e con prestezza chiede 
Saldo rimedio al disperalo male; 

Corre Abondano, e'I truova al destro lato, 
Tra i ninnici gnerrier forte intricalo ; 

IVI 

Che dei baon cacciator mossi ai conforti, 
Posto in bando il timor gli vanno intorno, 
E ferrando cammini ascosi e storti 
Cingon latrando il chioso suo soggiorno ; 
Ma poi che molti n* ha impiagati e morti, 
Hifuggon gli altri con dannoso scorno, 

E tal di lai assai nuova temenza, 

Ch'ali’ altrui più invitar non «Un credenza. 


LXlIt 

Che co* levi cavai di Palamoro, 

Che teinea di Boorte, era venuto 
Con pili gravi corsieri il re Bruuoro, 

Il qual fu per allor soverchio aiuto; 

Però che in si grand'urto entra fra loro, 
Che '1 numero miglior resta abbattuto ; 

E chi dimorò in piè, 1‘ istesso pavé, 

Fuor solamente i buon guerrier di Gare : 

LVtl 

Simil fanno i gnerrier di quel di Gorre, 
Che rivolser la fronte a Segurano ; 

Che da poi che più d' un per terra porre 
Videro, e *1 lor poter con tr‘ esso vano, 
Alcun nun è, clic più si voglia opporre 
Con si gran rìschio alla feroce mano; 

E come 1’ arme lor fosser di vetro, 
Spaventati «li lui fngguno indietro. 


r.xiv 

11 qual l'altrui spavento risostiene, 

E che non fugga alcun minaccia c prega; 
Indi contr’ a Brunoro ardito viene. 

Ove i compagni suoi più batte e piega ; 

Il leon truova, ch’ai suo snido tiene, 

Che in argentala sede ardito spiega 
La divorante bocca, c *1 crudo artiglio, 
Vestito ili color fosco c vermiglio : 


■s 


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L ÀVARCHIDE 





*77 


L AVARCI1IDE 




ma 

E lassa il valoroso Bastariuo, 
rii 1 iti in vece di Ini meni le schiere, 

E segna Segnran, eh* era vicino 
Tra* snoi tornato, e già sospinge e fere 
Conira il prode Trislan, eh’ al sno cammino 
Quanto può dritto andar si può vedere; 

Or giunto il re dell’ Ebridi, Boorle 
Troova, che spinge gli Aquilani a morte. 

LI XXVI 

Intanto Maligantr, a cui la mano, 
Raffreddata la piaga, il dnolo accresce, 
Fu dal pio Arturo scorto di lontano, 

E per lui ritrovar dalla schiera esce ; 

E ’nteso il caso, al dotto Pellicano, 

Ed a Serbin promesse, e preghi mesce, 
Raccomandandol mollo alla lor arte, 
Perchè in esso è di lui la miglior parte. 

LXXX 

Ma perchè ha in man la lancia, e *1 punge v' onta 
Sopra tal cavatiero usar vantaggio. 

Del popolo infelice abbatte e smonta 
Quanti altri incontra col nodoso faggio ; 

Sopra il nono è fiaccato, e si raffronta 
Allor col brando al nobile paraggio ; 

E chiamanti» altamente il re di Cave, 

11 vede a luì venir, che nnlla pavé. 

LX XXVII 

Poi pensando in sno cor, che '1 destro corno 
De’ suoi levi cavai sia senza duce. 

Perchè Bimrte far dovea ritorno. 

Ove il periglio mauro il riconduce; 

Gire al soccorso lor con quelli intorno, 
Ch* ha regi e cavalier, l’animo induce; 

E col romnr, che fa 1’ arme di Giove, 

In ver la dritta parte il corso muove. 

LXXXI 

E chi sia gliet discopre il nero e bianco 
Scodo, eh* ei porta, e le gemelle spade. 
Che sol d* ogni guerrier si cinge al fianco, 
Mostrando, eh' a piò d'nn guerra gli aggrade 
E vergogna gli fora il venir manco 
A qual coppia miglior, che’nrontra vade ; 
passi lieto Bonrte, r ’n cor si gode 
Di provar cavalier di tanta lode. 

LXXXVII! 

E col furor medesimo percuote 
Nel loco, ove lontano è Palamede, 

A ciascun di timor l’alma si scuote. 
Quando in un punto istesso e sente e vede 
L’invitta schiera, e s* empie il eie! di note 
IV aspro dolor di quei, cui primi fiede 
Di mille gravi lance il duro intoppo, 

Cls* al piò profondo scoglio saria troppo. 

LXXXIt 

Quanto può questo, e quel contra si sprona 
Quasi un veloee strai, che l'altro assaglia ; 
Nè '1 caldo MongibrI sì forte tuona. 

Come il percnoter loro alla battaglia ; 
Sotto, sopra, dai Iati, e ’ntorno suona 
Ogni scudo in un tempo, ed ogni maglia; 
E chi i colpi, eh* ei fan, contar volesse, 
Potrebbe anco contar le stelle ìslesse. 

LXXXIX 

11 Britannico re, che innanzi arriva, 
Asealafo Aquilano incontra il primo, 

E dell’alto cavai di quella riva 
Trapassato nel eore il pose all’ imo , 

Gol colpo istesso della vita priva, 

Ghe dietro a lui venia, 1' Ispano Edimo ; 
Dopo lui '1 terso, e *1 quarto non ferito, 
Ma sotto i lor cavai prostese ai lito ; 

LXXX III 

Perch’ assai meno spesso dei cicl cade 
Neve al gelato dì, grandin 1’ estate, 

Che si scernon di lor le gravi spade 
Or in basso cadute, or rilevale ; 

E nessuna ivi appar, che ’ndarno vade, 
Tante arme intorno già sono squarciate; 

E perrliè 1* uno e 1' altro cavaliero 
Fa piò <i* altro ancor mai snello e leggiero ; 

xc 

Che l’uno Edippo fn, l’altro Calisto, 
Ambe due nati già sopra la Sorga, 

Pria che ’1 suo corso al Rodaoo commisto 
Il ventoso Avigiion vicino scorga ; 

Indi col brando in man doglioso e tristo 
Fa qualunque guerrier sno desti n porga 
Di spronar conir' a lui, che dove stampa 
Il disputato ferro, un sol non scampa. 

LXXXIV 

Pare ogni brando lor la lingua acuta 
Di serpe annosa, che sen furba al sole, 
Che ’n tal presteua la rivolge e mula. 
Che sembrar triforcala al guardo snolc ; 
Tal s* ingannò di molli la veduta 
All* assalto mortai, che creder vuole, 
Scernendole alte e basse all' istess’ ora, 
Che tre spade ciascuno oprasse allora. 

xn 

Uccise ancora il misero Formo, 

Ghe nacque all’ Allobrogica Lucra, 

E gli mandò la testa sul terreno, 

Come grandine i fior di primavera ; 

Dop' esso Gresio nel medesino seno, 

Ma in basso alquanto, ove piò corre altera ; 
Gbe le tempie ambedue traverse passa, 

E Palarcon con lui morto anco lassa. 

LXXXV 

Ma come a Segnrano a Palamede 
Pur il medesmo, e per la calca avvenne; 
Ch' alla lite ciascnn furiato cede 
Al gran seguace stuol, che sovra venne 
E così questo, e quel rivolge il piede 
Sopra il misero vulgo e caramin tenne 
Si diverso in tra se, che non poteo 
11 desir disfogar, che ’n core aveo. 

XCJI 

Poscia il compagno suo srgne Balrrto, 
Che ’n dietro qnanto può ratto fuggia ; 

Il qual per gli altrui danni del suo certo. 
Mal rilruova al suo scampo aperta via; 
Ghe *1 valoroso Artnro, dove inserto 
Par, che ’l collo coi nervi al capo stia. 
Con un riverso io tal maniera il coglie, 
Che tosto quel da questi si discioglie. 


I 

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Truova Promaco appretto, ette signore 
Fu grande all’ Aquilanica Roerella, 

Ch’ avanzò di ricchezza e di splendore 
Quanti allor Visigoti erano in ella ; 

£ 'n torno area di sangue e di valore 
Schiera di cavalier fiorila e bella, 

Che viene a ricercar col cor sicuro, 

Ove tanti uccidea 1* invitto Arturo. 


Poi di Landone il destro e d’ Urlano, 

E del Bruti senza gioia, e di Malchino 
L’ intoppo incontra, che porgean la mano 
Per romper 1’ onorato sno cammino. 
Pensando in lor, che poi sarebbe vano 
L* aiutar il gran re da tal vicino, 

E tanto più se inaspettato vegna, 

Mentre altrove occupato il brando legna. 


E perchè innanzi agli altri alquanto sprona, 
Lui rincontra il Britanno lutto solo, 

Cai si gran colpo sopra 1’ elmo dona, 

Che ’1 fa cader senza sentirne duolo; 

Degli altri, ch’erau seco, l'abbandona 
Tutto in un punto il fuggitivo stuolo; 

E I' orine ivi ciascun più ascose segna. 
Temendo, che '1 medesmo a lui n' av vegna. 


Ma il fero re dell' Ebridi, qual suole 
Tigre, che molli di fame sostenne, 

Clic dopo un lungo andare all'ombra, e al soie 
Bramato armento ritrovar s'avvenne; 

Che morso, o piaga non I' affligge o duole 
Di cane, e di paslor, ch'ivi convenne; 

E mal grado di quei sbrama ^a voglia 
Sopra il toro primier, ch’ai pasco accoglie; 


Qual la misera cerva, che si vede 
Presso al fero leone il piccini figlio, 

Che si strugge di duol, ma non provvede, 
Che glie! vieta il timor del crudo artiglio; 
K mentre in dubbio tien la mente e '1 piede, 
Il crudo predator fatto vermiglio 
Sceme del sangue pio, perdi’ ella al fine 
S' appiatta e fugge alle più ascose spine. 

xcvi 

Tale avvien di costor, ma d’essi parte 
Non pon di lui schivar l'invitta spada. 
Questo ucciso rovina, e quello sparle 
Vede le membra sue sopra la strada ; 

Non vai contro al gran re l'ingegno o l’arte, 
Nè il sentier ritrovar, che cieco vada; 

Che ’l feroce rorsier sì ratto vola. 

Che la speranza, e *1 tempo a tutti invola. 

XCVII 

Ma non molto indugiò, che ’l gran romore 
L* orecchie a Palamede ripercuote, 

Clic poi che di Boorle ave il furore 
Quelato in parte, gio per vie remote. 
Come il portò il bisogno, e 1' aspro core, 
Ove altro duce contrastar non punte, 

E li facea con nuova meraviglia 
D* infiuili gucrrier l'erba vermiglia. 

xcvm 

Or cangiando sentier, tosto s'invia 
Ove sente il rumor del gran Britanno, 

Ed a quanti altri sieu, eh' ri truove in via, 
Dona perpetua notte, o lungo affanno; 
Tra' quai Finasso il bianco, che venia 
Facendo a’ snoi nemici estremo danno; 

E gli di colpo tal sopra la testa, 

Che senza scuso aver, qual morto resta ; 

xctx 

Ma da' snoi ricevalo sì sostiene 
Sopra la sella pur tanto, che uscito 
Fuor della stretta calca, io luogo viene, 
Ove letto sicuro ha il basso liti»; 

Tniova Agra ven, che vendicar le pene 
Dell' amico fedel cerca ferito 
Ma non può a si gran forza contraddire 
Ch* al destinato fin gli toglie il gire. 


Tal ei senza curar dell’ altra! brando. 
Con la fronte abbassata cerca Arturo ; 

Il qual d'ogni timor viveva in bando, 
Clie gli parea da' fianchi esser sicuro, 

Allor di’ ei sente pure alto chiamaudo : 
Eccovi, o sacro re, quel giorno oscuro. 
Che in man di Palamede vi ripoue, 

Con gran lode di lui morto o prigione, 
citi 

Rìvolgcsi il gran re, che questo ascolta, 
E gli è nolo di lui l'alto valore. 

Lassando di seguir la schiera folta, 

Ma intrepida la roano e fermo il core, 

E gli dice: Speranza frale e stolta 
Avrà ciascun, che risvegliar timore 
In questa alma vorrà, che sola cede 
A chi ritien in ciel 1’ eterna sede. 


E per mostrargli ben, che poco il cara. 
Fu il primiero, e ’l feri sopra la lesta ; 

Ma Cosi ferma in essa è 1’ arme e dura, 
(.he in aria il colpo, e senza datino resta 
Ed ei eh' era possente ultra misura, 

E se mai in altra guerra, or brama in questa 
Spiegar quanta ha virtù, di pietà nudo 
Scarca il brando mortai sopra lo scudo, 

cv 

E dalle aurate tredici corone, 

Ond’egli è tutto intorno inghirlandato. 
Quattro, che ’n cima son, rotte ne poue 
I.ontan dall' altre all* arenoso prato; 

Ma in mille parli addoppia la quislione ; 
Che ’l desir va crescendo in ogni lato 
Di provveder per lui ratto soccorso, 

Ou J' ogni buon guerriero ivi era accorso. 

evi 

Tra’ primi fn al venir Fiorio il Toscano, 
Seco avea Garganlino e Talamoro, 

Il cavalier Norgallo ed Abondano, 

Con Mcliasso il bello, e 'I buon Mandoro, 

Il famoso Brallrnn ed Amillano, 

A libri qnel di Logre ed Arganuro ; 

Ma il pio f.aradosso innanzi viene, 

Che la candida insegna in alto tiene. 


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L A VARCHIDE 



E con forza colai ciascuno spinge 
Il feroce eorsier, che Palamede 
Non può più innanzi andar, ma ti ristringe 
Co* tuoi, che accinli al gran bisogno vede; 
Ch’ogni buon cavalier già ti dipinge 
La palma in cor di mille ornale prede. 

Da poi che tcorgon sol l’alto Britanno 
Da’ suoi duci miglior, che luuge statino. 

C*lH 

Tri é già il Fortunato, e Bronadasso, 
Safaro, Dinadano, e Bustarino, 

11 possente Argillone, e Satanasso, 

Che fu già di Durrnza aspro vicino: 

Or poi ch'ha con costor raggiunto il passo 
Il fero re dell' Ebridi, il cammino 
Riprende coolra Arturo, e 'I nuovo corno, 
Che gli ha fatta muraglia, e vallo intorno. 

cix 

Di toro in guisa, che nel pasco erboso 
D' amor sospinto col rivale è in guerra, 
Che ’ndietro torna a render più spazioso 
Campo allo scontro, e ’l corso poi disserra 
Sì ratto e fermo, che vittorioso 
Se vede, e l'avversario essere a terra. 

Che giovinetto aurora, o manco saggio 
Non prese al suo ferir pari il vantaggio t 

ex 

Urta il forte drappel con tanta forza, 
Che'i poteo sostener quell' altro a pena: 
Pur la chiara virtù, che '1 corpo sforza. 
Prestò in quel punto lor vigore e lena; 
Ma il cavai di Brallen la poggia e 1‘ orza 
Alternando più volte in su l'arena 
Cadde sul ventre al fine, e '1 suo signore 
Tosto del fascio rio si mise fuore. 

exi 

Fe'l medesmo Abondan, cbe'l suo destriero 
All' apparir di quei si leva in allo 
Per oprar morso, e piè, tal die leggiero 
Fu a Dinadan di porlo su lo smalta 
D rizzo»*? aneli* ei ; ma più sicuro e fero 
Che Libico leone in quell' assalto 
Fu il re, poi eh' al ferir di Palamede 
Con disvantaggio tal cinto si vede. 

CXII 

Ma polca mal dorar che stretti insieme 
Son lassando lutti altri a lui d’ intorno ; 
Bipe osando fra lor, che *1 frutto e I seme 
Di tutto il guerreggiare avea quel giorno. 
Chi d' un tal re cui tolto il mondo teme, 
Andar polca della vittoria adorno, 

E Safar, Bustarino, e ‘I Fortunato 
L' han col lor Palamede circondalo, 
cxin 

Fiorio e Bralleno, e ’l cavalier Norgallo 
Stan, quai ferme colonne, alla difesa; 
Quello sprona al traverso il suo cavallo, 
Ove più pensa a quei far grave offesa ; 
Quest’ altro al dritto, e nessun fere in fallo, 
Che quanto veuga d’alto, e quanto pesa 
La spada di riascun, posson sentire ; 

Ma disposto hauno in cor tutto soffrire. 


Non altrimenti fan, eh* affamalo orso, 
Che ’l soave tesor dell’ api trove 
Ch’indi a farlo ritrar non vai soccorso 
Di robusto villan, che 1* asta muove ; 

Nè dell’ ago di lor 1* aguto morso, 

Nè di crudo mastio ferite nuove 
Ma schernendo ogni offesa, e d’ogni parte, 
Mentre che dura il mele, indi non parte. 

cxv 

Simil fan questi quattro, eh’ all* estremo 
Quasi han condotto il mìsero Britanno, 

Ch' era di spirto ornai si frale e scemo, 
Che poco era lootan 1* ultimo affanno; 

Ma il famoso Boorte a velo e remo, 

Ch* avea sentito il gran pubblico danno, 
AH* ultimo bisogno apparilo era. 

Quando il giorno miglior giungeva a sera. 

ex vi 

Qnale al miser nocchier, ch'a notte oscura 
Poi rhe rotte ha dal mar sarte e governo, 
E 1* antenna spezzata, o mal sicura 
Sopr’ arbor frale al tempestoso verno : 

Ch* ovunque ei guarda ornai, di morte dura 
Vede l’ imiiiago, e del tartareo inferno; 
Ch’ogni dolce in un punto gli riduce 
11 pio splcudor di Castore e di Polluce; 

CXVII 

Tal fu al misero Arturo, che si scorge 
Fra tanti e lai guerrier con poca sprne, 
f ora' ei sente il romor, che in allo sorge, 
Del pio Bourle, eh* al soccorso viene ; 

Ogni perduta forza in lui risorge, 

E s' apparecchia a dar dovute pene 
.A chi ‘1 tratta sì male; e ’n qnesta sente 
Già Boorte arrivar tra quella gente. 

CgVIII 

Che quai levi eervier, eh’ aggian trovato 
Da boschereccio arder ferita dama, 

Che l lian raggiunta, e 1* uno all'altro a lato 
Il passalo digiun sovr'essa sbrama; 
di' ivi il fero leon sovra arrivato 
Veggion virili, cometa voglia il chiama; 
Ch’ a lai lassan la preda, e si rimbosca 
Ciascuno, ov' è la via più ascosa e fosca ; 

era 

Così fer questi e truova Bustarino, 

E *n fronte il fere tal, che non più vale 
A sostenerle in piè, che sul cammino 
Andò volando a Ironcon rollo eguale ; 
Safaro, e 'I Fortunato a lui vicino 
Col medesmo furore appresso assale. 

Non abbatte già quei, ma concia in modo, 
Ch’ al famoso suo re squarciato ba il nodo 

cxx 

E *1 truova, che la spada gli è caduta, 
Ma sospesa la tien la sua catena ; 

Nel destro braccio avea breve fernta, 

Tra'l gomito e la man, presso alla vena 
Che dal capo t' appella, al quale aiuta, 

K può nuocere ancor soverchio piena ; 

L' elmo avea bene intero, ma la testa 
Intonata de' colpi, e dcbil resta. 


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a83 



l’ avarchide 



CXXt 

Potitelo al tergo, e'ncontr* s* apparecchia 
Al fero Palamede, che P attende, 

E gli dà un colpo alla tinittra orecchia 
Si, che lunga stagioo V udire offende ; 

E rinovar con lui la lite vecchia 
Il pensier giovimi dui rezza prende ; 

Ma ben poco durò, che al proprio punto 
Nuovo d altri guerrier drappello è giunto; 

cxxvnt 

Ma la fortuna avversa del Britanno 
Conduce a Segnran novella aita ; 
Che’nsieme congiurala al nnovo danno 
Gli vien de' suoi miglior gente gradita ; 
Con A vino il fellon congiunti vanno 
Grifon, Brnmrn, Farano, il forte Archita, 
Il Ner perduto, il perfido Agrogero, 
Ferrandone, Etclaborre, e Siuondero. 

cxxn 

Che di molosso in guisa, che sentito 
Di cani e cacciatori agpia al remore, 

Che teoperto è il cingiate in qnalrhe li lo. 
Onde, mal grado ano, ai trovi* Cuore ; 

Che per acntier più breve, e manco trito, 
Non curando di tpine atpro rigore, 

Che gli offenda ('orecchie, gli occhi e ’l dorso, 
Ove *1 penta trovare addrizza il corso : 

CXXIX 

E qnal grandine folta, eh* al pastore. 
Che 'ucontro a levi pioggie avea di fronde 
Fatto nn debile albergo, che io poch* ore 
Tutto il sostegno van batte e confonde ; 
Tale aggiunti costoro al ^ran furore, 

Ch* estremo in Segurano il cielo infonde, 
Quanto riparo area nell* aspra guerra 
Arturo intorno a se, pongono a terra. 

cxxin 

Subito appar 1’ altero Segorano, 

Che lassando ogni impresa ivi a* avventa, 
A fin che di Britannia il re sovrano 
Senza lui morte, o carcere non senta : 
Invido fatto in se, che alcuna mano 
Se non la sua, di farlo s' argomenta ; 

E giunte in tempo, che Io avea II norie 
Tratto già «ti periglio, e d’ aspra sorte. 

>*xxx 

Il cavalier Norgalìo, e Fiorio in piede 
Dì quanti altri vi son restano a pena ; 

Gli altri han del suo deslrier cangiata sede, 
E sotto il peso lor calcan 1' arena ; 

Il buon re quasi alla sua sorte cede, 

E di vivo restar si mnor di pena ; 

Che 1 fero Seguran già ardito piglia 
Del suo regio corsier l'aurata briglia. 

orare 

Che mentre in guerra sta con Palamede, 
11 cavalier Norgalìo, e Fiorio insieme 
Hao posto Arturo in più secitra sede 
Fuor della schiera avversa, che gli preme, 
E verso il padiglion volgono il piede. 

Che già il misero re sospira e geme 
Del dolor della piaga, eh* ave al braerio, 
E eh* a difesa far gli dona impaccio. 

CXXX1 

Ma il famoso Tristan, che in altra parte 
Ha del suo re maggior la piaga intesa. 
Qual leve strai da cocca, si disparte, 

0 saetta dal eie! per 1' aria accesa, 

Con più furor, che '1 bellicoso Marte 
Non feo mai de* giganti all' alta impresa , 
E giunge appunto in quel, che Segurano 
All' onorato fren ponea la mano. 

CK XV 

Ma l’ Iberno erodel, come saetta. 

Senza sospetto lor già sovra giunge t 
Molli bassi guerrieri a terra getta, 

E ’l cavalier Norgalìo al fianco punge; 

Ma non fu il colpo suo senza vendetta, 
Perchè Fiorio al soccorso si conginngc 
Del dolce amico, e 1 capo a lui percote 
Si, che tremar gli ha (atte ambe le gote. 

entii 

Nè batte mai sì forte in Mon sibello 
Cirlopo inrude, quando irato è Giove, 

Che Tristan fe' in qoe! punto sopra quello. 
Che vnole il suo signor menare altrove ; 
Coltelo nel cimiero, e cader fello, 

Come piuma sottil, che 1* anra muove ; 

E gl' intuona il eervel si, che la testa 
Quasi sopra l' areion dormendo resta. 

CXXVI 

Ma di questo, nè d'altro non gli cale. 
Che lien solo al gran re l'animo inteso; 
E col valor, eh* area quasi immortale, 

Il possente suo brando ha in lui disteso; 
E ben era al cader più che mortale. 

Ma dal chiaro Toscan sì ben difeso 
Fu col suo scudo del purpureo giglio, 
Che scampare il poteo d' ogni periglio. 

CXXXttl 

Vattene olirà spronando, e trova Archila, 
Che vien del suo Signor alla vendetta, 

E senza fronte avere e senza vita 
In due tronchi diviso a terra il getta ; 
Escalborre, e Grifon, che in nuova aita 
Tengono ad ambe man la spada stretta, 
Quel nella spalla destra, e questo al fianco 
Percoleva aspramente il lato manco. 

CXXVtl 

Venne intanto Alibello, ed Arganoro, 
Amillano, e Taulasso al maggior nnpo, 

E fan nuova muraglia al re di loro, 

Chi davanti, chi ai fianchi, e chi gli è dopo ; 
E *1 fero Iberno entrato fra costoro 
D'ira avea gli occhi in guisa di piropo ; 

E batte questo e quel, ma indarno adopra, 
Che pur troppo era solo a si graod’ opra. 

rxxxiv 

Non radder già, ma d*ogni forza privi, 
E senza più impedirlo dimoraro ; 

Il cavalier Norgalìo, e Fiorio, ch’ivi 
Scorgono ai lor disegni alto riparo, 

Il gran Arturo, che sanguigni rivi 
Verta dal braceio con dolore amaro, 
Riconduron scettro al padiglione, 

Ove angoscioso al letto sì ripone. 

. 


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L AVARCHIDE 





CANTO XVII 



ARGOMENTO 

-**W-*W- 

/ re Lapo snsiirn la ria batiaplia , 
Ow ucciso il dcsirier viene a Tristano. 
Palamede i Britanni incalza , e foglia 
A Cara dosso V una e V altra mano f 
Mentre dall' altro lato li travaglia 
Co’ suoi feroci Iberni Separano. 

È Galealto dal re Lago indotto 
Chieder T armi fatali a Lane Hutto. 


Gii con le mille lingue intorno gir», 
E con le mille voci in alto grido 
Le dee veloce, che col capo arriva. 

Or’ alto abbraccia il vago empireo nido 
E dove ogni alma di speranza è priva. 

Col piè si pota nel tartareo lido, 

E con 1' ale cangianti or alta, or batta 
Di volar notte e di non fu mai latta. 

tt 

Qoetta il danno d'Artoro, e «petto ancora 
Che lia morto, o prìgion racroota altrui ; 
E che tieu teco poi di vita Cuora 
Trillali, Boarie, e i miglior duci ani] 

Tal che veder ti può tola in brev* ora 
Fuggir ciatrun, e non saper da cui. 

Di eor, di tento, e di contiglio «cotto, 
Come dal proprio (ol gore percu sto. 

ut 

E *n fra gli altri all' orecchie era venuto 
Del vecchio re dell’ Orradi il rumore j 
Che porge in altra parie fido aiuto 
Al tioitlro tuo conio, che 'I furore 
Mal regger può, che gli è aopra v venato, 

Di Verralto I' Ispan, eh’ ogni migliore 
Trailo fuor degli arder a’e innanzi spinto,' 
E le schiere di lui u' ha intureo càuto. 

IV 

Le qua! nude d’ nn fianco di difese 
D' altri simili a quelli, o di detlrieri, 

Son forzate a soffrir mortali offese, 
Riservando ai dover gli ordini interi; 

Ma il dotto vecchio iu ciò mille aste prete 
De' più antichi gnerrìer più esperti e ferì, 
Che ritrovasse allor dall'altro lato, 

Che dal corno, eh' è a destra, era guardato. 


E per torlo cammin, più a loro ascoso, 
Sabito e d'improvviso gli percuote; 

Tal che di sé fa il I i lo sanguinoso, 

Chi non cerca al fuggir le vie più note : 
Or mentre torna a’ suoi vittorioso, 

E gl' innalza lodando in chiare note; 

Vien volando Sorbante, che gli dice 
La novella d* Arturo agra e ’nfeliee ; 

vi 

E se sia vivo, o morto ha posto in forse, 
Perché ’l peggio credea, ma dir no ’1 vuole. 
Senza risposta dare il buon re corse. 

Che gli spirti ha smarriti, e le parale; 

E non doglia minor I’ alma gli morse. 

Che del morto figliuol pia madre suole; 

E gitigne al padiglione, ove rìtruova 
Serbin, che di sanarlo è posto in pruora. 

vii 

Or qnal, pria che s'allnme affatto il giorno, 
Il tenebroso gel 1* Aurora scioglie ; 

Che rischiarar si veggion d’ ogn' intorno 
Le piaggie e i colli, a rallegrar le voglie 
Si sentou degli auget, ch’ai cauto a torno 
Fan dolce risonare erbette e foglie; 

E di mille bei fiorì aprire il seno 
*SÌ scorge al suo venir 1' almo terreno, 
vin 

Tale ogni suo penxier chiara diventa, 
Spoglialo il brun nell' oscuralo core ; 

Poi parla al grande Arturo, il qnal tormenta 
Del raffreddalo male aspro dolore; 

Non è di scettro degno, chi non senta 
Dell'amaro talor, rh'apportan I’ ore ; 

Che questo solo i re perfetti face, 

E che '1 ben si conosce, e che più piace. 

Tt 

E tanto più, che non dietro alla fronte, 
O in loco ove chi fogge noo difende ; 

Ma in quella parte, che con forze pronte 
Tutto il resto ricuopre, e gli altri offende, 
V’ è giunto il dauno ; e l’onorato fonte 
Dell' arie, rh' al sanar le piaghe intende. 
Qui con voi scemo; il quale ho già veduto 
Ritor 1' alme laggiù di grembo a Piato. 

x 

Ah, risponde il gran re, giocondo padre, 
Ben rendo grazie al Ciel, che la villade, 
('onte san le nemiche, e le mie squadre, 
Non m’ ha fatte lassar d’ onor le strade ; 
Ma desio forse d' opere leggiadre, 

Olirà il dever di regia qualitade, 

Con poca compagnia troppo mi spinse, 

Ove il mio buon voler Forluua vinse. 


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L’ AVARCH1DE 

- ... 1 
Nè mi dnol dtl mio mal, ne mi dorrei 

D’ esser per via colai vernilo a morie; 

Ma che per mia cagione i duci miei 

Sten, lassi, indolii a perigliosa sorte; 

E volentier mia sorte cangerei 

Col famoso Trislan, col pio Boorte, 

Che per la mia salute in tale stato 

Lassai, eh* io sari» sempre sconsolato. 

«Vili 

E’n fra gli altri Abondano, e Brallen trova 
Che dal fero incontrar far posti a piede; 
Dà lor fresco corsiero, e lancia nuova, 

E d' ogni arme perdala riprovvede; 

Col dir da poi, ehe in tal miserie giova, 
Già s* avvicina, dova Palamede, 

Segurauo, e Trislan sono, e Boorte 
In perigliosa ancora e dubbia sorte. 

XII 

E però prego voi, duce famoso, 

Che con quanti qui sono, e sieno altrove, 
Di trar quei due del loco periglioso 
Facciate per mio amore ultime prove; 

E *1 candido stendardo, or sanguinoso, 

Che '1 buon re Caradosso al vento muove, 
Non resti de’ nemici a lungo scherno, 

E del pubblico onor naufragio eterno. 

XIX 

E ritmo va in quel punto, eh’ a Tristano 
Il possente cavai ron 1’ empio strale 
Estero arriso avea 1* empio Germano, 

Si che d' indi rilrarse arie non vale ; 

Ma mentre tiene il grave scudo in mano, 
Dell’ offese d’ogni uom poco gli cale, 

Perchè con quello ogn* impeto sostiene, 

E d' arme e di corsier, che ’ncontra viene. 

XIII 

Così disse il Britanno, e con gran pena, 
Ferchè ’l sangue perduto, e l’alta doglia 
D' ardir non già, ma ben di spirto e lena 
E dei primo vigor le membra spoglia. 
Risponde il re dell' Orcadi : Serena 
Resti in voi col sperar ciascuna voglia. 
Ch'io ben v’obbedirò, qual più si deve, 
E bramate novelle avrete in breve. 

XX 

Par nell* Alpi nevose orso selvaggio, 

Tra caoi e cacciator serrato e cinto. 

Dritto appoggialo al più robusto faggio. 
Con denti ed nnghie alla difesa accinto ; 
Ch’or quel mastio, che lascia il suo vantaggio, 
Or 1’ ardito villano a morte ha spinto ; 

E eh’ or quel ferro agulo, ed or quell'atto 
Con le seiose braccia or tronca, or guasto. 

XIV 

Tal parlando si parie ; e con lui vanno 
Il cavalier Toscano, e ’1 buon Norgallo; 
Meliasso, e Mador 1* islesso fanno, 

E di tulli ciascun cangia cavaHo ; 

Cb’ al fero battagliar si acrrbo danno 
Soffrir, che perdonar si puotc il fallo, 

Cli’ ei fero ai lor signor, eh' un sol non v’era, 
Ch' aggia a crollare il piè la forza intera. 

XXI 

Tale il chiaro Tristano or quello ancide. 
Or chi aggiunger non può del deatrier priva; 
Tal che più non si Iruova, chi s' afflile 
Di presso andar, quanto la «pada arriva. 
Ma con sassi e con dardi gli conquide 
Del dorato Iron 1 iramagin viva, 

Con quello alto romor, che’ntorno suona, 
Qualor grandine folla i letti intuona. 

XV 

Cosi spronando insieme, molta gente 
Trovan dietro tornar, che ’1 campo lassa, 
Per la fama del re trista e dolente, 

Di timor colma, e di speranza cassa ; 

Ma il saggio re dell’ Orcadi altamente 
Va ciascun confortando, ovunque passa : 
Più che mai vivo fosse è il grande Arturo, 
E ili mollai periglio ornai sccuro. 

XXII 

E '1 pensan di stancar, ehe potea forse. 
Ma con lunga slagion, loro avvenire; 

E ’1 scampò, clic l’ Iberno i snoi soccorse, 
E passò il suo disegno al rivenire ; 

Già eoi buon cavalier I’ Orcado accorse 
Gridando: Or dee temer dì mai perire 
Il mio chiaro Trislan. mentre il soo Lago 
Non ha varcato ancor di Sligc il Lago t 

XVI 

Riloroiam. cari figli, alla battaglia, 

Ch’ ora è il tempo migliore, in cui si mostre, 
Clic con ragione al cicl volando saglia 
Il grido illustre delle glorie vostre; 

E rise senta il gran re, che non si smaglia 
Il tenace valor dell* armi uostre 
Per breve colpo ; c sopra lor non pnolc 
La nemica Fortuna, o le sue rote. 

XXIII 

Cosi detto, olirà passa, e col drappello. 
Quanti intorno a Ini son per terra stende ; 
Questo cade impiagalo, o morto quello, 

E d’ un colpo medesimi molti offende; 

E ’n breve adopra, che lo sluol ribello, 

Ch’ era pria viucilor, vinto si reude ; 

E del cacciare altrui la primiera arte. 

Or in tosto fuggir tutta diparte. 

XVII 

Io tai voci va innanzi, e 'neon tra molti, 
Che d’ iodictro tornare hanno cagione ; 
Ch’han le membra impiagale, e stanno avvolti 
Di sanguinose righe su 1 arcione : 

Questi lutti consola, e gli ha rivolti 
Cu' suoi ministri al proprio padiglione; 

Il qnal largo abbondava d ogni aita, 

Che consegua a curar piaga e ferita. 

XXIV 

Non gli segue il re Lago e ’ndielro rieJe, 
E drstner nobilissimo appresenla 
Al buon Tristan, che di famose prede 
Ebbe, dove 1’ Albera Era diventa, 

Al tempo, che d' Albio l'ultimo erede, 

E T Alvernica prole rendè spenta 

Già il terz' anno davanti, c ritinse il passo 

Al soccorso maggior del re Clodasso. 


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L ÀVARCHIDE 


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Salta in euo Trislan, che gliel conduce 
Dell* Orcado il icudier, detto Alansone ; 

Or gli par racqimtar del »ol la Iure, 
Ascedendo il guerrier nel nuovo arcione, 

E dice al vecchio re : Signore e duce 
Foste del mio voler d* ogni stagione, 

Or sarete dell* alma e della vita, 

Ch' oggi meco riman per vostra aita. 

XXVI 

Mentre parlan cosi, Fiorio rivolto, 

Vede in contrasto rio dalla man manca, 
Nel medrsmo senticr, non lunge molto, 

Del lor famoso re 1* insegna bianca ; 

E grida: Alti guerrier, tra *1 popol folto 
Veggio trista crollar, qual vinta e stanca, 
L* alta guida reale, e i>ia imo eterno 
Ne sarà di soffrir sì ontoso scherno. 

XXVII 

Cosi detto, spronando ardilo è mosso, 

E dì quanti altri son giunge il primiero, 

E trova il valoroso Caradosso 

D* aspro stuol circondalo iniquo e fero ; 

Palamede, e Salar gli sono addosso, 

Con Matanasso, e *1 peritilo Agro-ero; 

E chi la fronte, e dii le spalle offende, 
Chi sentendo l' insegna I* asta prende. 

XXVIII 

Del misero nocchier la vela pare, 

Lo qual ferio si subita tempesta, 

Ch* a tempo io basso non la può piegare. 
Ma di contrari venti in preda resta ; 

Ch'or da poggia percossa alta gonfiare, 

Or dall'orsa abbattuta, esser molesta 
Si può vedere all'arlior, ch'ella abbraccia, 
Con le piaghe di cui se stessa straccia. 

XXIX 

Il fero Palamede, in se sdegnalo, 

Che gli contenda il ciel cosi bell’ opra, 
Quanto punir il braccial del destro lato 
Percote, ch'alia man poco vien sopra; 
Gettala, come ramo inciso al prato : 

Ma Caradosso allor la manca adopra, 

L con quella rilien si ben, che basta, 
Dell' iusegna reai la sacrata asta. 

XXX 

Torna il crudele, r quella ancora incide 
Onde co' Irouchi soli il re iufelice, 

Che dalle chiare mau lassi divide, 
L'abbraccia ancora, ed altamente dice: 

In fin che Y alma questa spoglia guide, 

D ' abbandonar tal segno si disdice ; 

Ma nella froute Palamede il fere, 

E con 1' asta imbracciala il fa cadere. 

xxxi 

Pensa 1' Ebridi» in se chiaro guadagno, 
E per sempre famoso aver quel giorno ; 
Quando il fido Toscau del suo compagno 
Al soccorso arrivò di fede adorno, 
Gridando : Alto siguor, troppo mi lagno 
Di ritrovarvi all* ultimo soggiorno ; 

Ma mi consola il fui, di' e stato iu guisa. 
Che non ne fu già mai la gloria ancisa. 


XXXII 

Cosi direudo, corre a Palamede, 

Che per 1* insegna aver s* inchina a terra, 
E nell' elmo abbassato in modo il Beile 
Che con I* inrarco suo tutto 1' atterra ; 

L* altro, che del cavai si trova a piede, 
Tosto si rappresenta a nuova guerra ; 

E come fu leggiero a meraviglia, 

Del Toscano al deslrier prende la briglia : 

xxxiu 

E ’nlorno ad ambe mani il gira e scuote 
E per torgli ogni tempo non s' arresta ; 

Nè l’ Italo guerrier ferire il punte. 

Che scudo del destrier gli fa la testa ; 

Pur di punta si spesso il ripercuote 
Dal volto in basso in quella partee ’n questa, 
Che non lunga stagion durar poiria, 

Non trovando al suo fin novella via ; 

xxxiv 

Ma sol con la sinistra il morso tiene, 

E eoo la destra man ripiglia il brando, 
Che sostenuto pria dalle catene 
Area lassato gir per terra errando ; 

E tra '1 capo e la gola, ove non viene 
L' acciaro, a fui eh* ei possa al suo cotnaudo 
Beo la testa crollar, gli pon la punta, 

Ove al sommo spirar la canna spuota. 

XXXV 

Stilla il sangue lontano, e I' arme tinge 
Di color porporino a chi I' offende ; 

Il percosso cavai per doglia spinge 
Se stesso in allo, e dritto si distende ; 

Poi tre volte per I' aria allarga e stringe 
L* on piede e l'altro, che levato pende; 
lodi col suo signor tutto in un monte 
Stampa ii Ieri cu con l'impiegata froute. 

xxxvi 

Ma perchè *1 suo cader saggio aulì vede. 
Il famoso Toscan rimase sciolto ; 

Né prima in terra fu, che surse in piede 
Di dolor, d’ ira, e di disdegno avvolto, 

E dice : Or come mai piò Palemede 
Potrà senza arrossir mostrare il volto 
Trai miglior cavalier, s' è il maggior fallo, 
Che si conti al guerrier, dare ai cavallo f 

XXXVII 

E non potreste voi, uè quanti stanoo 
Dell' Ebridi nebbiose all' aer fosco 
Appagar il corsiero onde il Britanno 
L allr' icr fu largo al suo fidato Tosco; 
Ma non sarà per voi minore il danno 
11 ritrovarse a piede in guerra nosco; 

Che sol cou questa man, non col destriero, 
Di guadagnare onor scettro spero. 

xxxvtu 

Cosi detto, s' appressa al loco, dove 
Abbracciando I’ insegna morto giace 
Il re famoso, e li mirabil prove 
L'uno e l'altro guerrier di nuovo farei 
Questo onore e pietà, quell' altro muove 
Della soglia acquistar desio rapace ; 

Questo altexza di coore, c pia boutade, 
Quel valor uaturalc, e feriude. 


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L* AVARO H IDE ^9^ 

IIXR 

E cosi per cagioni assai direrie 
L* onn e 1' altro è magnanimo ed ardilo. 
Gii I* Ebrido il primier, che’l tempo itene, 
Sopra la destra spalla area frrilo 
Il gran Toscan, che mal si ricoperse; 

Che tanto dall* ardore ha il cor rapito 
Di far del suo carsi rendetta chiara, 

Ch* al danno che gli vico, poco ripara ; 

XLVI 

E rivolto al Norgallo dieta : Come 
Non vi punse vergogna d* assalire 
Un solo a piede, e eh* ha le forze dome 
Dal lungo affaticare, e dal ferire. 

Con tal destriere ? e dove or cade il nome. 
Ch'io solca per lo mondo altero udire 
Del cavalier Nurgallo f eh’ a mie spese 
Ho provato villauo e discortese. 

XI 

Tal che l’osso traverso, H quale appeso 
Co’ tenaci suoi nerri il braccio tiene. 

Fu di picciola piaga alquanto offeso, 

E punte sopra lui le anguste rene; 

Il Toscan lui percote, ore sospeso 
Lo scado alla sinistra in alto viene : 

E per forza, eh’ aresse, anch’ ei non falla 
D* esso impiagar nella contraria spalla. 

XI VI/ 

Risponde l’altro a lui: Non sempre è l'or* 
D* usar la cortesia, nè in ogni parte ; 

Ch* ove del suo Signore il lien dimora. 
Deve il guerrier leal provare ogni arte ; 
Com’or debb io che *n fin ch'io scema ancora 
L’ insegne del mio re per terra «parte, 

Per drizzarl' iodi, e lorlc d'altrui mano 
Poco cura mi fia Tesser villano: 

XLI 

E lo scudo ferrato gli divise. 

In (in dorè a quel loro riropria ; 

L’ altro una punta alla risiera mise, 

Ch* alle luci arrivar dritta venia ; 

Ma dorè ambe le ciglia in uno assise 
Fer inarcarse poi prendon la ria, 

Giunse il colpo nel mezzo, e drento passa, 
E '1 volto sanguinoso intorno lassa. 

XLV1II 

Ma dopo tale impresa, in ciascnn loco 
Spera il basso Norgallo a Palamede 
Di far veder, che 'n questo e in ogni gioco 
All* EbriJo valor di nulla cede ; 

E che di cortesia lo scalde il foco 
Quando il vuol la Tlagion, potrà far fede. 
Come in più d* uno assalto mostrò assai 
CIT al suo dovuto onor non fallì mai. 

XLII 

Ma però che non gio profonda molto, 

E che il loco per se non è mortale, 

Non gli fa tanto mal, che a lui riroltn, 

Di punta aneli’ ei, quanto la forza vale, 
Nella -sinistra parte il collo ha colto, 

Ove il più rigid'osso in alto sale; 

E venne addentro assai, ma non che vaglia 
A dar fine, u impedir quella battaglia. 

XL1S 

E ’n questo dir, di nuovo anco l’a Iter ra. 
Ma non cerea però di porlo a morte; 

E 1 buon Tostano sciolto d' aspra guerra 
Non lassa indarno gir la chiara sorte ; 

Che le man porge, ove negletta io terra 
L'insegna si giacea priva di scorte; 

E per salva condurla il passo muove. 
Quando nuova tempesta vico d' altrove ; 

XX. Ili 

Or cosi già ririo 1* un 1* altro ranno, 
Che la spada al ferir non ha più loco ; 
Pongon ai ferri man, ch* al fianco stanno, 
Con rie più periglioso e breve giocu: 

In più d' un lato ornai percossi s’ hanno, 
Si eh' al termine gir mancava poco ; 

Ma il cavalirr Norgallo, che veduto 
Ila 1’ iusegna cader, quivi è venato. 

t 

Che tornalo è l'ardito Segurano, 

Con Arvino il fellone, e ’l Ner perduto. 
Grifo» dell'alto passo, e '! suo Rossano, 

A cui il tolto vigore è rinvenuto 
Del colpo acerbo, che dall'aspra mano 
Avea di Maligante ricevuto; 

E dei quattro guerrier fu tal l’intoppo, 
Ch* a due slancili, e mal sani era pur troppo. 

xliv 

Corse con quel furor, che’l buon nocchiero 
Ch’ aggia visto cader talor percossa 
O d Austro, o d’ Aqnilon da spirto fero 
La fida anlroua dal sostegno scossa. 

Ch'or quinti, or quindi va pronto e leggiero, 
Ora il grido adoprando, or la sua possa, 
In fin che risarcito, o ben rendalo 
Al suo loco primiero ha il danno avuto. 

U 

Fu il famoso Toscan primo percosso, 

Che già in alto stendea la bianca insegna; 
Della qual resta d' improviso scosso, 

Perchè nullo ha timor, ch'altri sorregna ; 
E quale abeto da radice smosso 
Da Borea al freddo ciel, quando più regna. 
Per T urto crudo del fellone Arvino 
Si ritruova giacer col capo chino. 

XLV 

Urta col suo cavai seni’ altra cura 
11 fero Palamede, ch* a piè trova ; 
Cadde ei riverso, e *1 non aver paura, 
Né 1 valore influito assai gli giova , 
Ma come era gravalo d' armadura, 

Di tosto rilevar si mette in prova, 
Con quella più snellezza, che faria 
battuto lioucel, die sciolto sia. 

Lll 

E qtianlnnqne tenesse cosi steso, 

E battuto com'era, in braccio stretta 
La chiara insegna, si ritruova offeso 
l)a così grave stuol, eh* a lui si getta. 
Che sostener non può *1 soverchio peso ; 
E l'anima già al cor l’era ristretta. 
Quasi per dipartirsi vinta e frale, 

Che ’l lodalo desio seguir non vale. 


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1411 

Coti novellamente in forza loro* 

Il famoso stendardo ai gran nemici: 

Qui dell'antico orgoglio alza le coma, 

E Tarme Iberne aacre e vincitrici 
Segurao chiama : e di tal ipoglia adorna 
Là man crollando, ne' »uoi liti amiri 
Della vai Bruna la impromette a Marte, 
Con altre palme aaaai quivi entro aparte. 

IX 

Cosi libero allor Tallero Iberno 
Contra il chiaro Boorte il corso move, 
Qpal tempestoso Noto a mezzo il verno 
Il giorno suol, che poi la notte piove ; 

E contra il buon Norgallo, d'alto scherno 
Parole usando, eh* ha battuto altrove, 

Il percuote al traverso in guisa tale. 

Che 'n piedi il suo destrier restar non vale; 

ut 

Ma aliar che più ai gloria alteramente, 
E ch'ai Britanni ancor minarre aggiunge: 
Ecco il fido Boucle, che già lente 
De' «noi Tangoicie, e furiando giunge, 

E di colpo atlraverto ai ponente 
11 braccio al prrdalur perrole e pugne, 
Elie gli fece cader, eli' ad altro bada, 

L a acquietalo trofeo aopra la atrada. 

u 

Che insieme col signor si tmova a terra, 
E '1 sinistro mo lato sotto preme ; 

Ma tosto dall' incarco si disserra 
Di Gare il buon guerriero, e nella teme; 
E ’n verso Seguran si stringe a guerra, 

E di vincer!» ancor nodriice speme ; 

E '1 ginocchio or trovando, cd or la coscia 
Gli dà spesso cagion di nuova angoscia. 

tv 

Al qual il buon Tosean, che già risorge 
Dal tenebroso duci, vedrndol presso, 
Quanto più tosto può la man riporge, 

E già spera scampar portandoli* eaio, 
Quando vien da traverso, ove non seorge, 
Chi Tha più cb’ancor inai di nuovo oppresso; 
Che Iluiiano il Selvaggio il ripercuote 
Si, clic più rilevarsi allor non puotc. 

LXU 

Ma il forte Se»urau, che d’ alto fere, 

E '1 può in lochi impiagar troppo mortali, 
Sovra il (ito sovente il fa cadere 
Ma più tosto rivien, che s'avesse ali; 
Pur gli manca il vigor, cessa il potere, 

E gli spirti già son debili e frali, 

Si che non molto aocor gito saria, 

Che morto, o prigionier, lasso, venia. 

tvi 

E T avrebbe anco ucciso, se non fora, 
Che *1 famoso Boorte, che ciò vede. 

Giunse al soccorso alla medesim* ora ; 

E1 Selvaggio crudrl su T elmo Cede, 

Si die in sella, qual fu, poco dimora. 

Che, come il buon Tosean, si tritava a piede; 
Ma ben tosto si drizza, c'I braccio stende, 
E '1 vessillo, eh* egli ha, nel mezzo prende, 

Utili 

Perch’olirà Segurano, il Ner perduto, 
Ed Arvino il fellon gli fan battaglia ; 

E Clodin già volando era venuto, 

E nessuno è di lor, che non T assaglìa ; 

E T antica difesa, c *1 saldo aiuto, 

Ch’ avere intorno suol di piastra e maglia, 
Era mancato assai, perché '1 terreno 
In più luoghi n* avea coperto il seno. 

tvit 

Dicendo : Somme grazie alla mia sorte 
flen. lo, ch'or cosi a piè m' aggia sospinto, 
Ed alla spada ascosa di Boorte, 

Che m‘ ha, noi vedrnd* io, battuto e vinto; 
ClT or mi Irov' io più comodo e più forte 
Coutra il Toscano, ed al guadagno aecioto 
Dell' onorato pregio eh* a cavallo 
Era impresa impossibile acquislallo. 

LXIV 

Ma Tcrriaano il grande e Gracedouo, 
Gaiindo, e Marabù» della Riviera, 

Tutti al miier Toscano intorno sono, 

E tolta gli han la candida bandiera; 

E lui quasi di vita in abbandono 
Avea lassalo la crudele schiera; 

E Russano il Selvaggio iva superbo 
Dell' alta spoglia, e del suo danno acerbo. 

tetti 

E 'n questo ragionar, con forza il tira 
Il fer Tannano, nè il Toscano il lassa; 

E ’n tal modo ciascuno ad esso aspira. 
Che la spada riman pendente e bassa ; 

Sol cou urtane insieme, ardente d' ira 
L' uno e T altro di lor le membra allatta ; 
E col piede offendendoti tal volta. 

Par la guerra fra loro in lotU volta. 

LXV 

Resta il Norgallo ancor sopra il destriero, 
Ma per tutto impiagalo in colai gnisa, 

Clic dal più basso piè sovra il cimiero 
Ogni armadura avea da se divisa ; 

Pur quanto può, col buon volere intero. 
Che dall'avversa man non sìa conquisa 
Quella insegna reai, nè il suo Toscano 
Resti oppresso con quella, opra la mano. 

ux 

Gira intorno Boorte il suo destriero, 

E si duo!, che giovar non può al Toscano; 
(die di due fallo estendo un corpo intero, 
1/ un senza offender T altro aiuta in vano; 
Ma inUuIo il gran Norgallo ravaliero. 

Che Srgurau teneva iudi lontano. 

Fu percosso talmente al destro braccio, 
Che gli die per alquanto acerbo impaccio. 

LEVI 

Ma niente era, o poca ogni sua aita, 
Che in grado venne al fin esso, e Boorte, 
Che nullo han quasi più spirito e vita, 
Perch* ambo al dipartir cercan le porte ; 
Ma non essendo ancor tutta compita 
In lor dal ciel la destinata sorte, 

Con più veloce gir, che strale, o vento, 
Ricondusse Tristano in un momeulo : 


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3;) ^ L AVARCHIDE 

uvn 

E IMO h* Gossemante il cor e ardito, 
Blnmberisse, Sicambro, c ’1 tuo Blanoro, 
Ma <pel di cor piò acceso, e più spedito 
Sprona il forte corsiero innanzi a loro; 

E con simil furor, quando ferito 
Si sente io caccia dal mastino il toro, 
Urla il gran Segnran, che mal conduce 
Col vantaggio, ch’avea, di Gavc il dace. 


unir 

Perch’olirà al popol molto, c senza nome 
Ha impiagato in un braccio Arvino il fello, 
E fatto ha del destrier posar le some 
A Terrigano il grande appresso a quello, 
E quasi ha di Clodin le forze dome 
Col brando, che gl* intenebra il cervello ; 
Gaiindo, Marabone, e *1 Ner perdalo 
Qnasi insieme in nn fascio era caduto. 

Lumi 

E eoo T urto il ferisce nella fronte, 

Si eh* esso, e ’l suo destrier percosso resta, 
Di forza tal, eh' a dnro scoglio e monte 
Saria, come a lor fu, greve e molesta ; 

E qual platan maggior, ch’adombre un fonte 
Sveglier suol da radice atra tempesta, 
Senza l’assalitor sentire a pena, 

Si ritrovò disteso su 1* arena. 


IX XV 

Or mentre il buon Tristan fa !* alte prove 
Già ritorna il re Lago, e '1 figlio Eretto, 
Che largo il corso iu quella parte muove 
Con onorato e nuovo drappelletto, 

Ch’ aveva infino allor sudalo altrove 
Contra il popolo a piede, stando a petto 
Matanzo il Brun, Palride al cerchio d’ oro, 
Con Alibel di Logre, e Pelinoro. 

LUX 

No’! cura più Tristan, ma il passo piega, 
Ove scorge l'insegna in forza altrui, 

Ed al fero Pannonio, che la spiega, 

Dà colpo fero, e non pnr guarda a cui ; 
Cade il mesrhin, nè di lassarla nega, 
Perchè senso vital non resta in lui ; 

Che ben che fosse ancor lo spirto viro, 
Del morente vigor rimase privo. 


IXXVl 

Fur quei dopo Tristan, come si vede 
Dopo un gran terremoto eh* aggia scosso 
Allo edificio, e che d’ antica sede 
Per la iufinita forza sia rimosso; 

Che *1 secondo, che vien, ciò eh’ era in piede 
Di lui restato ancor non ben percosso. 

Del tutto abbatte, e se minor ben sia. 

Non men danno, o timore al popol dia; 

in 

Non è il chiaro Toscano in tale stato. 
Se bene è molto fral, che ciò non veggia : 
Nè tanto ogni poter gli era mancato, 

Che di tosto ritorta non prnwrggia ; 
Torna il prode Tristan dall'altro lato 
Là, dove di Clodin la schiera aspreggia, 
Tutta sopra i destrier, Boorte a piede, 
Che come morto ornai pur nulla cede. 


LXXVII 

Cosi non meno intorno ebbe spavento 
Di lor, che di Tristan, la gente fera. 

Che sì fugge indi, come nebbia al vento, 
E lassa ornai la candida bandiera. 

Già ricondotto appare in un momento 
Ogni destriero all’ abbattuta schiera, 

E rimessi a cavai Fiorio c Boorte, 

Come quasi furati all* empia morte. 

LXXI 

Ma in gnisa di leon, che fu ferito 
Dall' insidioso arcier, che a pena punte 
Reggerse in piedi al qnal cingano il lito 
Di robusti pastor novrlle rote: 

Ch'or 1' artiglio, ora il dente adopra ardito, 
E sempre il più vicin di vita scuote ; 

Tal che sol di lontan si latra, e grida, 

Ma di appressarlo poi nessun $' affida. 


Lxxvm 

E mal d* essi ciascnn più pnote ailarse ; 
Che questo, allor che ’l crudo Segurano 
Col fero colpo all’ improvi so apparse, 

Sopra Corner sinistro cadde al piano; 

Sì che sempre ebbe poi le forze scarse 
Tutto quel lato, e la medesma man». 
Perchè fu tratto fuor della sua sede 
L* osso del braccio, eli' alla spalla assiede. 

. , IXXII 

Tale al chiaro Boorte avviene allora. 
Poi eh* ad altro rammin gio Segurano: 
Ma come al Peregrin la chiara Aurora, 
Che smarrito si trove in lito strano ; 

Così dolce gli vien nell’ attiro* ora 
Il bramato tornar del pio Tristano; 
li qnal col minacciare a tutti fare 
Quel, eh* a schiera di storni aogel rapare. 


LXXIX 

Dietro anco poi dalla sna destra parte. 
In tra la costa settima, e la sesta. 

Che quasi al busto umano in mezzo parte. 
Ebbe larga ferita, e ben molesta 
Dall'infido Alco, che in ascoso Marte 
L* insidiosa lancia ivi entro arresta ; 

Per la qual distillò sì largo il sangue. 

Che ne divenne al fiu frale ed esangue. 

ixxnt 

Che ciascnn, ch’era incerchio, indisi toglie, 

E diverso dagli altri il cammin prende; 

E ’n tante parti il nodo si discioglie, 

Che libero Boorte, e salvo rende *, 

Ma il buon Tristano or questo, or quel raccoglie 
E questo, c quello in un momento stende 
Nell* arenoso sen ferito, o morto, 

L' un sopra 1* altro gravemente attorto. 


txxx 

Ma mentre che ’l desio della vendetta. 
Il bellicoso ardor, C ira, e I* onore 
Lo scalda in mantener la spada stretta, 
Nullo impaccio il prrmeva, nè dolore ; 

Or raffreddalo il tutto, e che I* eletta 
Beai bandiera di periglio è fuore, 

E che sta in pace l’animo turbalo. 

Sente con grave duol, ov’è impiagato. 




ÀVARCHIDE 



MUI 

Tal che sopra il cavai si regge a pena ; 
11 medeano addivien di Fiorio aneora, 

Ch’ ha il destro piè ferito, ove la vena 
Di tutte altre maggior si raoJlra fnora ; 

La soleretla ornai di sangue è pieoa, 

E la pena spasmosa cresce ogn' ora ; 

Pur contento d* aver la rara insegna, 

Soffre con alto cor ciò ebe a’avvegna. 

LXXX1I 

Or lassando il re Lago con Tristano 
Tutti gli altri compagni, ha seco solo 
Patridc, che reggeva il buon Toscano, 

Ed ei Boorte suo come figlinolo. 

Cosi sen vanno, e con parlare umano 
Esaltando ‘Ri lor la gloria a volo, 

L' Orcado al suo bramato padiglione, 

Che poco era lontan, Boorte pone. 

f.XXXIII 

E mandato con Florio il suo Patridc, 
Col cavalier di Cave si discende ; 

E ’n man recato alle Mie genti fide. 

Di medico appellar cura si prende : 

Ma perchè nel passar da Innge il vide 
Lanciotto, e che fia non me» comprende, 
Io fio che dall' albergo, ove diserse. 

Che sia Boorte par credenza prese : 

LXXXIV 

E '1 fido Galealto immantenente, 

Ch’ era poco lontan, doglioso appella : 

Fra lei, dicendo, la presaga mente 
Annunzia a' mici pensier trista novella, 

Che quel sia il mio Boorte veramente, 

Ch’ appena si reggea sopra la sella, 

Dal compagno condotto, e sia ferito, 

O delle membra alinea forte impedito ; 

LXXtV 

E nel suo padiglione è gii disceso, 

Ove non è il fratei, lasso, o Serbino, 

Clic possa al male, onde si trove offeso, 
Inipor rimedio col voler divino; 

Or se mai fuste a pietose opre inteso, 
Dimostratevi a lui dolce vieino, 

Sì che l'alta virtù dell’ erbe vostro 
In si gran cavaliero oggi si mostre. 

LXXXVI 

Tosto il buon re dell' Isole lontane 
Che di verace core amò Boorte, 

Non sicn, dicea, vostre preghiere vane, 

Che ferma speme ho in Dio di torlo a morte } 
Indi un fascio prendeo di rare e strane 
Radici insieme, e di diversa sorte, 

Che dalle apriche piagge fortunale 
Di celeste possanza avea recato. 

LZXZVII 

Che se creder si debbe ivi nc nasce, 

Nun sol per risanare ogni aspra piaga, 

Ma per far ritornar com'era in fasce, 

Qual unni più curvo la vecchiezza smaga ; 
E ’l vigor rapportar, ehe spira e pasce, 

In coi gii morte con la falce impiaga ; 

E si di tua ragion chiuder le strade, 

Che perpetua ai mortai faccia I’ elade. 


txxxvm 

Ed a Ini, ch'era il re, dove s* adora 
Non inen che in altra parte Apollo, e Giove, 
Sacrate offerte ne faceano ognora 
Le genti tutte con mirabil prove. 

Cosi volando alla medesim’ora 
Il chiaro Galealto il passo muove; 

F. dove era Boorte Insto giunge. 

Il qual grave dolor più che mai punge. 

I.XXZIX 

Come suol nell' aprii dolce la pioggia 
Venir talvolta ai verdeggianti prati. 

Che fur, mentre che Apollo in alto poggia, 
Nella stagion miglior troppo assetati ; 

Tal ti feo lieto in disusata foggia 
Il buon re Lago, e gli altri ivi adunati 
Intorno al cavalier, la cui gran doglia 
Non gli fe' mai cangiar parlare, o voglia. 

xc 

Se non che, come ci vide Galealto, 

Con lietissimo viso a se I’ arculse. 

Poi dice : Or fia contento il duro ed allo 
Cor, die di sdegno il nostro fato avvolte, 
Al vostro Lancilolto, e'1 feo di smalto 
Coolra il dir nostro, eh' ascoltar non volse; 
Poi che molti impiagati con Arturo 
Vede, c l’ oste de' suoi ti mal securo. 

xct 

Or crescerl la gloria alte tue palme. 
Che fatto è vincitor 1' empio Clodasao; 

E dei Britanni ornai le più chiare alme, 

E dei Galli, • dei Franchi ha viste in basso; 
L' altro stuol carco di dogliose salme, 

Ch* ancor resta di qua dal mortai passo; 

Il qual sempre dirà, ehe Lancilolto 
AH’ estrema miseria I* ha condotto. 

XClt 

Seguiva ancor, ma 1* Orcado che sente, 
Che l' ira e *1 ragionar danno gli apporta, 
Ruppe il parlar dicendo : Veramente 
Alla vostra salute apre la porta 
Fortuna ornai, poi ch* alle forze spente 
V' ha maodala dal esci si fida scorta. 

Come il re Fortunato, il essi valore 
Alle Parche allungò più volte 1' ore. 

seni 

Altra aita miglior qui il tempo chiede, 
Che di tarde spiegar 1' altrui querele s 
E Galeallo allor dal capo al piede 
Il fa spogliar che nnlia parte cele; 
ludi ogni piaga sua tentaodo vede, 

Non con raen s sepia man, eh* a lui fedele ; 
Poi con sugo, eh’ avea, d' intorno bagna, 

Per cui subitamente il sangue stagna. 

ze»v 

Appresso feo di più d' una radice, 

Senza chiamare alcun, minuta polve, 

E posta in esse ogni dolore elice, 

E 1 suo putrido umor secca e dissolve ; 

Poi con dolce parlar si volta e dice : 

O famoso Boorte, or ehe v’assolve 
D’ ogni periglio il cielo, a quel ch'io sento, 
Darò riposta al vostro pio lamento, 


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L AVARCHIDE 




XCV 

Dicendo, eh* a ragion ti motte a «degno 
Il chiaro Lancilotlo, avendo scorto 
Il superbo Gaven d* invidia pregno 
Col favor del suo re conir’ esso sorto: 

Che *n cor famoso, e sovra ogn* altro degno 
Troppo si trova aver doglia e sconforto 
Il fedelmente oprar, che mai non smaga, 

Se d' ingrato volere altri 1’ appaga. 

xcvi 

Non si può , sanando vuoiti, al duro morto 
Con le forze richieste por la mano, 

Come il deslricr nel tao primiero corto 
Il tosto raffrenar si prova in vano: 

Crederò ben fra me, ch'alto sorrorto 
Si può sperar dal figlio del re Bauo ; 

Che ‘1 vostro mal la debita pietade 
Avrà svegliata ornai la sua boutade. 

XCV1I 

Ed io tornando a lui, s* ancor si trova 
Qual* io non credo già, d* animo duro, 

M* ingegnerò con mia preghiera nuova 
Con mostrargli dei nostri il tempo oscuro, 
Ch' ornai spoglie ogni sdegno e Tarme muova 
Al bisogno maggior del grande Arturo ; 
Ch’ai magnanimo spirto non s* aspetta 
Coutra nemico tale altra vendetta. 

XCV1II 

E se dò non potrò, tenterò poi. 

Che col suo buon volere io venga almeno 
Co* mici guerrier, se pur mi nega i suoi, 

A trarvi il mal, che vi trovate in seno ; 

E faccia il ciel ciò che vorrà di noi, 

Ch’ a me basta partir di giuria pieno ; 

E per tor tali amici d* aspra sorte 
Assai dolce mi fia T isteasa morte. 

xctx 

Perrh’avvegna ora, o poi dal drl m’é dato 
Di por fine alla vita in questo lido; 

Che ritornar fra mid mi nega il fato. 
Come concede al nome eleruo grido : 
Gitale al nascer mio T alto Nifalo 
Predisse ai cilladin del patrio lido, 

Che sovra qnaoti avea vali e profeti 
Intendeva del del tutti i segreti. 

c 

Allora il re dell* Orcadi 1* abbraccia. 

Poi con tenero amor la mau gli prende, 

E dire : lo prego il ciel, die largo faccia 
Delle due cose sol quella, die ’n tende 
Al vostro onor, che d'Afiriea, ove agghiaccia 
L* Iperboreo casnmin già il volo stende, 

E piò ultra anco andrà : ma il vostro fine, 
Il corso agguaglie alle virtù divine. 

ci 

Ma fia certo di voi bell* opra, e degna. 
Se ’l duro Lancilotlo piegherete, 

Ch* a questo uopo più grave a'suoi sovvegna, 
E d* A varco espugnar gli nasca sete) 
Perchè si dica poi, che la sua insegna 
Spaventata aggia sol l'onda di Lete, 

Che scafa il suo apparir già vino* era 
Non mcn, eh' oggi ne sia d' Orno c il'Era: 


ai 

Nè stando in ozio sol voglia vedere 
In periglio e 'mpiagata schiera tale ; 

Non può alla guerra Arturo provvedere. 

Col piè ferito, e eoo dolor mortale; 

Non si può Maligaule sostenere. 

Percosso aneli' esso di pungente strale | 

Nè il misero Toscano ha miglior sorte, 

Ch* or possiate discerncre in Boorte. 

cut 

Prendasi guardia pur, che non gli foglia 
Il poterne aiutar lo 'udogiar troppo ; 

Ch' mi punto sol l'occasione spoglia, 

E *1 più vdoec corso rende zoppo ; 

Nè ritorna poi indietro all'altrui voglia. 

Ma fugge innanzi più che di galoppo i 
Si che dii cura licn del miglior tempo, 
Comiace il bene oprare oguor per tempo. 

eie 

E voi per quello amor, die senza pare 
A lui tempre portaste, ed egli a voi. 

Non gli lassate il cor lauto indurare. 

Che d* onta e di dolor s* uccida poi ; 
Mostrategli il scalirr, che dee pigliare. 

Per alzare il suo nome, e salvar noi) 

E so che ’l vostro dir gli fia più a grado. 
Che d* ogn* altro il consiglio unico, o rado; 

Cf , 

Che nulla penetrar più addentro suole 
In giovin core, e di virtù seguace, 

Che d'amico fedel dolci parole, 

Che proveugan d’ Amor puro e verace : 

Or da voi sol, qual lo splendor dal sole. 
Ne può sovra arrivar salute e pace. 

Se vorrete, alto re, si rum’ io spero. 

Tutto il poter di voi spiegare intero. 

evi 

E se pur dentro a se voto, o promessa 
Gli vieUsscr per noi T arme vestire. 

Fate, eh* almru da lui vi sia concesse 
La gente sua, che voi dcLba seguire. 

Come direste, e con la vostra isteria. 

Che non mcn di valor mostra e d* ardire; 
Ch'io sua sicuro in me, che giunte insieme 
Faran tosto fuggir chi caccia c preme. 

CVII 

Poi quantunque di voi l’iuvit la spada. 
L'animo e la virtù sia chiara mollo: 
Fareste al nostro ben più larga strada. 

Se dall’ arme di lui veniste avvolto ; 

Perchè ’1 volgare stuol sovente bada. 

Non mrn eh' all* opre, al conosciuto volto ; 
E voi sapete bene, a clic ridotto 
Talor Toste d* Avarco ba Lancilotlo, 

cvui 

Or se da voi verrà grazia rotale, 

Sarà per voi rinato il re Britanno, 

E renderà v vi ouor più clic mortale, 

Come a ristoralo: d'ogoi suo danna; 

E la gloria di voi sarà immortale. 

Nè i secoli maggior T offenderanno ; 

Perchè nè fia memoria in tante carte. 

Che ehi divora ogn' uom non v* ara parte. 


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l’ AVARO H IDE 

ca 

Qui *> Urqne il re Lago e Galealto, 

In cui col vero onor pirla ai meace, 
Risponde : Se quel cor piò che di smalto, 
0 di tigre crudcl non mi rieace : 

O Lancilolte, o me tosto all* assalto 
Potrà veder chi *1 dolor rostro accresce ; 
Dio vi dia larga speme, e ’n tal salolo 
Al patii glion » addruaa, orni’ è venuto, 
ex 

Ma non motto è lonlan, che 'nsierae trova 
Con Lamoral di Gallia Perscvallo ; 

E gli dan di pietà materia nuova, 

CI»' ambe feriti son sopra il cavallo; 

Quel nella destra coscia si ritrova 
Un troneon rotto, che non venne in fallo 
Dal fero Palamede d' una lancia, 

Onde la fronte avea pallida e rancia. 

ext 

Il fratello è neU* omero ferito 
Di durissimo strai dal lato manco ; 

L* ano e 1* altro di lor resta impedito, 

* E del saligne, che versa afflitto e Inauro : 
Ratto a Scontragli, e doloroso è gito, 

E confortando assai gli segue al fianco; 
Poi ritrovato il lor comune albergo, 

De* due stanchi corsier gli toglie al tergo, 

CSM 

Poi sopra irsele pelli gli distende, 

E con discreta man trae d'ambe dooi 
11 troncone e lo strale, onde gli pende, 
Indi spoglia a ciascun gli arnesi suoi; 
Appresso il sugo e le radici spende. 

Come a Boorte pria ; partendo poi, 

Come il più tosto può fece ritorno. 

Ove avea Lancilolto il suo soggiorno. 



CAINTC 

» xviii j^rj 



ARGOMENTO 

Jìi Paradosso il corpo si contende 
Agt inimici , c salro è ulfin condotto. 
Incalza Srguran , Tristan difende 
Il Briitan campo a mal partito addotto, 
Brunoro intanto a maggior cose intende, 
Dallo scompiglio de’ nemici indotto 
A scacciarli dal fallo ; e al suo parere 
Guidano i duci f ordinate schiere. 

•"la in qneslo spazio il frro Separano, 
Trovando Arlnro, e la reale 'insegna 
Prr la sola virtù del buon Tristano 
Esser ritolta a Itti, troppo si sdegna ; 

E gli spirti infiammati arma, e la mano. 
Che famosa vendetta almeu uè vegna ; 

E richiamando intorno tutti i suoi, 

Biasma il Liei, loro, e se medesmo poi. 

il 

Dall* altra parte il chiaro Lionese, 

Che 1 gran re Caradosso in terra vede. 
Con le min tronche, e 1’ altre membra stese 
Esser calcato dal nemico piede ; 

Si dispooe appagar 1' avute offese, 

E rilrarl* iodi a più secura sedei 
E più tosto con lui brama la morte. 

Che lassarlo negletto in quella sorte. 

ili 

Così spronando 1* un disdegno ed ira, 

E generoso onor 1* altro e pleiade, 

A nuova guerra fulminando aspira 
Il più onorato par di quella etade ; 

L* uno in ver 1' altro il freno aurato gira, 
E si veggiono in alto ambe le spade, 

Ch* avean cou verso il lucido splendore 
In sanguinoso ed orrido coloro. 

IV 

Fu il primo il pio Tristan, che'I crudo Iberno 
Sopra 1* elmo incantalo alto percosse, 

Con quel furor, che mai nell* aspro verno 
Cucirà il regno di Teli Eolo si mosse ; 

Si eh' ogu* altro avria posto in sonno eterno; 
Ma il forte Seguran non più si scosse. 
Ch'altero scoglio, che vicino al lito 
Dal possente Nettuno sia ferito. 

V 

Par nel calare il colpo in basso trova 
La spalla al loco, ove non vico lo scudo; 
Nè il raddoppiato acciar tanto gli giova, 
Ch* ci non senta dolor, qual fosse nudo ; 
Che quantunque sia pur d'antica prova. 
Non potè sostener 1 iucarco crudo, 

Ch'ei non cedesse alquanto, e con suo danno 
Desse strada al signor di qualche affanno. 


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L’ AVARCHIDEi 

VT 

Mi non fu lai, che ne tenesse cura 
Più che di «pina suol sai valico orso; 

E di vendetta far tosto procura, 

A quanta forza avea Irritando il morso * 

Pur sopra il capo, e pensa alla cintura 
Pervenga il brando, risegando il dorso ; 

E forse il sno sperar non era in vano, 

Se lo scado trovava a lui lontano. 

XIII 

E tirato 1' avrien secoro in loco, 

Ove poi de* nemici era trpfen, 

Se la schiera Britanna pur on poco 
Ritardava il venir più che non fro ; 

Ma come all’ arid* esca corre il foco, 
(die ’l gelato pastor presso moveo, 

Si gettò il Bruito ardito, e n lesta fere 
Bussano, e sopra il morto il fa cadere. 

vii 

Ma VArmorico re, che V ha previsto, 
li dorato leon levava in alto, 

11 qnal tolto impiagato appare e tristo, 
Ben che sia quasi adamantino smallo. 
Che delle sette scorze ha fatto acquisto 
Delle tre intere al dispietalo assalto 
Il ferro suicidisi, ma poi la qoarta 
Fa che '1 sommo poter da lui si parta. 

XIV 

Ucciso no, nè molto anco impiagato, 

Ma del colpo è stordito, e tolto oppresso; 
Viene il fido Abondan, che gli era a lato, 
E per prendere il re s' aggiunge ad esso ; 
Ma da Margoodo, e *1 crudo Fortunato, 
Ch'a soccorrer Rosaan si trovan presso. 
Gli fu percosso in on la mano e'I braccio, 
E posto a' suoi desir soverchio impaccio. 

Vili 

E se ben non gli nocqne, tanto grave 
Fn il colpo, che'nlronato e stanco resta 
Tulio il sinistro lato, e dolor n'ave; 

Ma non è più che T ira, che ’l molesta, 

E *1 desio di vendetta, perchè pavé. 

Che quella turba de' neniiri, o questa, 
di' al socrorso suo vico, gli faccia noia, 
Prima che l'un dei due s'arrenda, o muoia. 

XV 

Sì che ’n dietro dolente si raccoglie , 

E quei due della preda aveano il regno, 
Se Goisemante dell' amiche spoglie 
L'uno e l'altro di lor non facea in degno; 
Che eoo due colpi sol le forze toglie 
Ad amlio, e fa lassare il regiu pegno ; 
Cbe'l destro omero a questo, a quel la testa 
Impedito, o ‘ntroData io lutto resta. 

IX 

E perchè a quei d 1 altrui oon ha riparo, 
A suoi, che 'ntoroo so a, chiamando grida; 
Chi di voi fia, signor, di lode avaro. 

Sia de' nostri compagni esempio e guida : 
A ritrar d’ altrui forze il corpo chiaro 
Là, doode dipartii) l'anima fida, 

Del gran re Caradosso, e eh* al valore 
Aggia degno fra* suoi funebre onore. 

XVI 

Nè fuggir lassa il tempo Gargautioo, 
Che nel braccio del re la mano stende, 

E seco il tragge ; ma crudel vicino 
Gli si fa Matanasso, che 1' offende 
Nell' elmo tal, che '1 pose a capo chioo. 
Come chi 1' alma all' altra vita rende ; 

E rosi sovra il re la maggior parte 
Di quei chiari guerricr distesa ha Marte, 

X 

E vi prometto ben d' oprare in guisa, 
Ch’ al vostro chiaro andar non vepna stroppio 
La spada Iberna da pietà divisa. 

Se *1 sno primo poter fosse aoco doppio ; 
E se non m* è dal Ciel la forza incisa, 

In fin d'Avarro s* udirà lo scoppio 
DcH'Armorico ferro, c della mano, 

Sopra il suo primo duce Segurauo. 

XVII 

Chi d* ogui senso, e chi di forza privo; 
E se ben d' essi alrnn morto non sia, 
Nessun però nel riguardar più vivo 
Del morto Caradosso ivi apparia : 

Nestor di Gave di se stesso schivo, 

D' esser senza l'amica compagnia 
Restato io piede, al caro Blomberi'se 
Sol rimato con lui, doglioso disse : 

XI 

Quando egli odoa cosi, Locano il brutto, 
Aboudano il felice, e Gargantino, 

E ’l gran Nestor di Cave, e 1 drappcl tutto, 
Che per sua sicurtà si fea vicino, 

Rivolge il passo, dove il sangue asciutto 
Non era ancor nel misero confino. 

In cui giacean neglette c mal difese 
Del valoroso re le membra stese. 

xviii 

Or di doppia cagion doppia vcodetta 
Dei compagni, e del re sopra le spalle 
N' ha il ciel locato, e 1 un dei due n' aspetta. 
Palma, o cipresso al periglioso calle ; 
Tegniam pur fermo il cor, la spada stretta, 
E facciam si, che quota chiusa valle, 

O vincendo, o morendo, aperto mostre. 
Che sien degne di noi 1‘ opere nostre. 

zu 

E pensando indi irar senza contrasto, 

E Dr unirmi, e Margoodo, C 1 Ncr perduto. 
Come lordi avvoltori al morto pasto. 

Clic di lunge sentendo ban pria veduto, 
Al miser corpo polveroso e guasto 
S'avvrnlan ratti, e lor porgono aiuto 
Matanasso, e Hossan; die preso il piede 
Già il cercan torre all' infelice sede. 

XTX 

E *n tai parole insieme si ristringe 
La coppia ardila dei cerman di Gave; 

Poi se medrsma confortando spinge. 

Ove il gran Matauasvo in nulla pavé. 

Nè d’attender i due soletto infìnge, 

Clie men gli era il morir, che l'unta grave; 
Ma pria, eh' ai danni suoi fosser venuti 
L ha provveduto il ciel di nuovi aiuti. 


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3o5 


L A.VA.RCH1DE 




Perchè il forte Drrnneu della fontana, 

E Gallonante ij figlio di Girone, 

Nato in Ibernia della bella Arane, 

Di parto aeroso all* aspra regione, 

Dall'alta coppia ornai poco lontana 
Il braccio armato all* apparire opporne ; 

E fece sì, clic nella prima giunta 
Dell'impresa mortai la fona spunta. 

XXI 

Che di a terra mandar seenra speme, 
Come s* avvicinasse, avea Nestorre 
Quel, ch'era solo; e poi col frale insieme 
L'onorato lor re d’indi ri torre ; 

Ma quel par di gnerricr già l’orma preme 
Vicina a Malanavso, e aggiunto corre 
Sopra i due cavalier cosi veloce, 

Che non veduto a pena ad ambo nuoce. 

XXII 

Che Gallinante a Blomberisse dona 
Sopra la destra spalla do colpo tale. 

Che d’ alto in basso tutta la persona 
Gli fa intorno crollare, a render frale; 
Non però il buon guerrìer se n’ abbandona, 
Nè in se misura il ricevuto male; 

Ma qual fero leon, che sia ferito 
Allora al guerreggiar torna più ardito. 

XXIII 

Sopra lo srndo d’or, eh* avra, paterno, 
Che la lesta ricopre, alto fedo. 

Dicendo: Or senta il giovinetto Iberno, 

Se il buon seme di Cave ha il frutto rio; 
L'altro, ebe sprezza il nido suo materno, 
E ’l Gallico onorò, come natio, 

Rispose : lo non mi stimo senza fallo, 

Men di voi «tesso, o di alcun' altro Gallo. 

XXIV 

E se ben la mia madre in altra parte 
Mi partorì, come le diede il Fato, 

Dal Gallico terreo chiaro diparte 
L'iovitlo mio troncon dal miglior lato, 

Di padre tal, che non cedeva a Marte, 

E che visse tra voi sempre onorato, 

E de* vostri alto amico, come spero 
D’ esser anch* io, se giovine non pero. 

XXV 

E se 1* arme seguo or di Segnrano, 

Il fa sorte e dover, non certa voglia ; 

Che quei del re Doorle, e del re Bauo 
Non am' io men, che buon fratei si soglia ; 
Ma mentre eh’ ora arinm le spade in mano. 
Come nemico rio, ben che mi doglia, 

M‘ è forza di trattarvi, e tal richiede 
L‘ onor di cavalieri», e la mìa fede. 

XXVI 

E cosi ragionando, il brando abbassa, 

E quanto può il percuote nel cimiero. 

Clic 'n terra cade, c '1 «no fid’ elmo lassa 
Proprio al mezzo avvallato, ben che intero; 
Ma il gallo cavalier tutto olirà passa, 

Piò die fosse ancor mai cruccioso e fero, 
D’ una pania lo scodo dritto al fianco, 

E '1 poteva impiagar nel iato manco, 


xxv»l 

S* accortamente non porgeva innante 
Quanto può il braccio, e non piegava in arco 
Il ventre e I petto il saggio Gallinante, 

Si che polca di vita essere scarco j 
Poi mentre l’altro il brando suo pesante 
Di ritirar »’ ingegna, non fu parco 
Di vendicar lo scudo, ma non valr 
Sopra l’arme, eh’ egli ha, colpo mortale, 
zxviu 

Nè men dall’ altro lato avea Ornine no 
Con Nestore il rugin cruda battaglia ; 

Che all’ uno e 1’ altro di valor ripieno 
Par del nemico suo niente raglia ; 

Ciascuno intorno a* fianchi, e 'atorno al seno 
Egualmente ha squarciala e piastra e maglia; 
E ti poco vantaggio in ambo appare, 

Che non si vide guerra esser piu pare. 
XXIX 

Ma pur nel lungo andar, la prima forza 
Si srerneva strancar nel fer Boemo, 

Che non area nel ver la darà srorza, 
Come il buon gallo di vigore estremo ; 

Il qual nel faticar più si rinfuria, 

Non che si mostre d’ una dramma scemo ; 
E tanto era montalo, e quello sceso. 

Che al Gn tosto l’avrebbe ucciso, o preso. 

xxx 

Se non che Malanasso, clic ciò vede, 
Meutre pen^a il re morta a’ suoi raccolte, 
Lassa I* impresa, e ratto muove il piede, 
Ove già vincilor senlia Nestorre, 

E dal traverso non veduto il fiede 
Tra la fronte e la spalla, e ’l pensa porre 
Con quel colpo disteso su l’arena, 

E la vittoria aver di gloria piena. 

xxxi 

Pure il guerrier di Gare si sostenne, 

Ed a luì tutto irato si rivolge, 

Dircudo : Tale usanza si convenne 
Ove Durenza tua Parerle avvolge; 

Ma il Celtico terreo, che onor mantenne 
Mai sempre intero, e sol la vista volge 
Alla vera virtù, tien vii colui, 

Che d' ascoso senticr ferisce altrui. 

XXIII 

E ’n tal parlar la fronte gli permute, 
Quando men I’ attendeva, con la spada ; 
Che gli fece crollare arabe le gole, 

E le ginocchia andar sopri la strada ; 
Volea finirlo il Gallo, ma non *1 punte, 
Perchè di dietro vien, mentre a lui bada, 
L' empio Dnimrno, e sopra il collo il trova, 
E 1’ Ha condotto a tal, ch’indi non muova. 

XXXIII 

Però che essendo nel medesmo lato, 
Qnasi in un punto, e da due tali olTeso, 

I nervi ha oppressi, e ’l cerei) ro intonato 
Si, rhe a pena sostien dell’elmo il peso: 
Pur P allo core, e *1 gran valore innato 

II regge ancor, che non sia in terra «teso ; 
E ti saria con lor ristretto ancora, 

Ma uuovo altro suo mal sorvienc allora: 


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"ào? ^ l’ avarchide ]p^Ì^ 

miv 

Che Safaro, e Merangio, e Morassallo 
Ch'ivean quei di Granata, e di Gattiglia 
Ore han sentilo il faticoso assalto, 

Quanto più ratti pon girao la briglia; 
Ond* ei, che non è porfiro nè smalto. 

Di ritirarse indietro si consiglia, 

E dice al sno german : Chi morte certa 
Senga prò cerca e ’nvan, gran biasroo merla. 

su 

E *1 combattuto premio ivi abbandona 
E si tiene a guadagno aver la vita; 

Cosi non più conteso da persona, 

Han la vittoria in man larga e spedita ; 
E '1 buco Nestore allor dolce ragiona : 

Poi che ’l Ciel ne donò grazia compita 
Di scacciare i nemici, non si lasse 
L' opra indietro di far, che qni ne trasse* 

XXXV 

A migliore stagion servar la vita 
Deve il forte guerrier, che più non puolet 
Colpa nostra non è, s' hanno impedita 
La giusta impresa le celesti rote; 

Che forse altro sostegno, e nuora aita, 
Per non rendere alfin d" effetto vote 
Le nostre voglie pie, serbano altrove, 

Col supremo voler del sommo Giove. 

XUI 

E cosi detto, a lui chiama Aboodano, 
Che già con gli altri lutti era risorto, 

E dolce il prega con sembiante amano 
Gli porga aita al sostener quel morto ; 
Indi ha raccolta 1* una e 1’ altra mano, 
Ch’ ebbe lungo 1’ onore, e ’l viver cor:o ; 
La lesta poi, eh’ ancor nell’ elmo spira 
Maicslà regia, ed alta a dii la mira. 

XXXVI 

Così stretti fra lor, con passo tardo 
Si van traendo in più secura parte ; 
Quando in un punto, più leggier die pardo, 
Che di catene scacco si diparte. 

Poi ch'ha scoperto rol bramoso sguardo 
Damma, che di scampare usasse ogui arte, 
Ivi appar Liouel con molli arcieri 
De’ suoi, eh' ha più fedeli, e dei più feri. 

XLIll 

Indi il lotto ripon dentro allo scudo. 
Che ritolto a' nemici avea Potete ; 

Nè fu Ira loro alcun di pietà nodo 
Sì, che di lagrimar non aggia sete : 

E perchè muova i cor 1' esempio crudo, 

E svegli al vendicar le menti quete ; 

Noi volse ricoprire, e *1 fregio adorno 
Fur le piaghe onorate, e '1 sangue intorno. 

XXXVII 

Ch’ai cominciar delle novelle risse, 
Dubbioso in cor di quel, clic poscia avvenoe, 
Nestor ivi lassando, c Blomberisse, 

Per diverso cammin fra' suoi pervenne ; 

E la schiera appellata, che *1 seguisse, 

Al soccorso rattissimo rivenne ; 

# Ove i fratei conforta in alte grida, 

E gli altri appresso alla battaglia sGda. 

xuv 

Portanlo molti al suo reale ostello. 

In cui con lunga pompa è ricevalo ; 

Ma in questo tempo il forte Lionello, 

Da poi eh' ha largo popolo abbattuto, 
Chiamando indietro il vincilor drappello 
Già con gli altri compagni era venuto, 
Ove il lor buon Tristano, e Sepurano 
L* un dell’ altro avanzar a’ adopra in vano: 

XXXVIII 

Nè di più tardo iodngio era (sestiero. 
Che ’1 numero a* nemici anco crescea. 
Che con Nabone il fello, ed Agrogero 
Al soccorso de" snoi quivi correa ; 

Ma Lionel già sceso del destriero, 

Come erano i cugin, già in mano avea 
(Entrato tra i compagni) il nobil' arco, 
E vie più d' uno strale aveva scarco. 

XLV 

Che di tolto qnel tempo, che fu mollo, 
Ch' a siugnlar battaglia erano insieme. 
Nullo avea questo a quel di campo tolto. 
Nè di lor questo o qnel più spera o teme j 
Bene è d' essi ciascun di forza sciolto, 

E stanchezza e sudor vie più gli prem* 
Che non fa del nemico il ferro ardito, 

Ch’ aneli* ei si truova ornai lasso e ’mpedito. 

XXXIX 

E 'l primo, eh’ ei trovò, fa Perimone, 
Che '1 buon re Caradosso tiene in braccio, 
E già nel porta, ma tosto il ripone. 

Che gli dà in mezzo al ventre orrido impaccio 
L' aspra saetta, e 1* anima gli pone 
In libertà dal rio terrestre laccio, 

Che pien di vizi e di lordure nacque 
Là, dove il Tago aurato insala 1' acque. 

XLVI 

Ma nel primo arrivar di questa schiera, 
L’uno e l'altro «li loro il piè ritira; 

Che nessun d' essi immagina quel ch’era. 
In fin clic più vicin non la rimira ; 

Allor del pio Tristan la mente altera 
Quasi ver Lionel si mosse ad ira, 

Dicendo : Or perchè m* è da voi contesa 
Nel mio maggior desio si bella impresa ? 

xt 

Onelorc il Iratei poscia, e Pistore 
Tra T arene distende a lui vicini. 

Quel percosso alla, gola, e questo al core, 
Con le gambe tremanti, e i capi chini i 
L'altra schiera, eh* egli ha, spiega il furore, 
Ove scorge il gran numero, e meschini 
Fa di vita in un punto tanti insieme, 

Che chi vivo riman di morte teme ; 

xlvh 

Risponde il buon guerrier t Caro signore 
Non son venuto a voi per oprar questo; 
Anzi pori' io nel cor sommo dolore, 

S' al vostro disegnar venni molesto ; 

Ma beo direi, che si spendesser l’ore 
In altro affare, e si provveggia al resto. 
Che lontsu senza voi periglio porta, 

Sendo privalo ornai d’ ogn altra scorta. 


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3og 


L AVÀRCHIDE 



tifili 

I miglior civalitr, come v’ é noto. 

Già wn lotti feriti, e '1 grande Arturo ; 

Lo stuol nemico di temenza voto 
Della vittoria ornai ti lien sicuro : 

E già con quel furor, che Libo, e Noto 
Suol Nettuno assalir nel verno oscuro, 
Con Brunoro, e Clodia a' è innanzi motto, 
E minaccia pattar del campo il (otto. 

IV 

Coti fa il pio Tristan, che poi ch’accolta 
Ha tutta insieme la famosa schiera, 

E rimessa a cavallo, il pasto volta, 

Ove i sani liberar del tatto spera ; 

E già trova io camrain la gente folta, 

Che di Clodin seguiva la bandiera ; 

Cui senza cura aver, dona alle spalle, 

E nel mezzo di lor fa largo il calle. 

XLIX 

Mentre parla coti, correndo arriva 
Tutto pien di sudore ivi Creuso, 

E con voce lontan di forza priva 
Va chiamando Trittan lutto confuto, 

E gli dice : Signor, per quella viva 
Virtù, che *n voi trapassa il mortai uso 
Non tardate al portar ratto soccorso 
Al vostro campo in gran miseria scorto. 

LV| 

Non altrimenti appar, che fiamma ardente, 
Che depredi al gran di d’ ampia foresta 
L* altere chiome, il cui valor possente 
D' Aquilone il soffiar sospinge e desta ; 
Che delle accese frondi alto si sente 
Il crepitare in quella parte e ’n questa; 
Ove con più furor veloce vada. 

Larga dietro di se lasciando strada. 

t 

Perchè già lo spietato Palamoro 
Ila co* levi detlrier percosso al fianco 
Le schiere di Gavrn, ti che fra loro 
Raro gurrrier appar oon morto, o stanco : 
Dopo il qual gionse ancor l'aspro Brunoro 
Al destro lato, e "1 fer Clodino al manco, 
Ch* lian di quei del re Lago aeriti e vinti 
Molti, e dentro de* fotti han gli altri tpinti. 

r.vti 

E Terrigano il grande il primo intoppa, 
Che senza Ini temere ad altro intende; 

E si forte al destriero urta la groppa, 

Che col Signore in terra si distende : 

Indi senza arrestarse, olirà galoppa, 

E nel passar, di' ei fa, si forte offende 
Gaiindo, e Gracedono, ed Agrogero, 

Che spedito di lor Irnova il sentiero. 

LI 

Nel trapassar de* quai, mischiati insieme 
Infiniti v* entrar di quei d’Avarco; 

E se non riverdesn la secca speme 
Ne* nostri, e difendean I* aperto varco 
Uriano e Landon, già il nostro seme 
Era e di vita, e di buon nome scarco; 
Pure i due Telamoro, e '1 Bruii con essi 
Gli han con somma virtù di fuor rimetti. 

LVIII 

Gli altri, che son con Ini, 1* istesso fanno 
Che ciascun quanto può percuote e spinge 
Ma Lionello a piè fa maggior dauno, 

Che di rosso color 1* arena tinge ; 

E tanti strali in nn volando vanno, 

Che 1* aer tenehroso te ne pinge ; 

Cosi già spaventato fa ritorno 

Da' fossi indietro di Clodino il corno. 

ut 

Ma non estendo quivi Maligante, 
Fiorio, Boorte, e ‘I cavalier Norgallo, 

Non pon, come vorrien, spingere innante 
Gli altri guerrieri al combattuto vallo; 
Che la parte maggior trista e tremante 
Fall' ha contra i ricordi al core un callo, 
E più tosto morir fuggendo elegge, 

Che seguir con ooor chi lei corregge. 

LIX 

E le fugaci genti di Gaveno, 

Ch* odon già di Tristan gli alti romori, 
Sotto il viso più lieto e più sereno 
Di novello sperar s’empiono i cori; 

Ogni uom d' allo desio raccende il seno 
Di racquistare i suoi perdati onori ; 

E ehi prima parea più vile e tardo, 

Or si mostra più ardilo e più gagliardo. 

LUI 

E per questo Gaven, che *1 danno vede, 
Mi vi manda a pregar, chiaro Tristano, 
Ch'ai gran bisogno ornai voltiate il piede. 
Senza altrove altro onor cercare in vano, 
Se non volete, che la vostra sede 
Sostegno sia di quei di Scgorano : 

La qual voi tutto solo ha per refugio 
Par che si toglia via tosto ogni indugio. 

LX 

E ’ncontra a Marabon della rivieva, 

Che con molti de* suoi passò la porta, 
Confuso io un tra la Britanna schiera 
L* arme, che 'ndietro già, dritta riporta ; 

E *1 suo duce Gaven con voce altera 
Qnel chiamando garrisce, e quel conforta, 
E spinge in guisa, che in angusto calle 
Face a nemici al fin volger te spalle. 

LI V 

Quando l’ode cosi Tristan si muove 
Con quel proprio furor che 'I villanello, 
Ch’ aggia, mentr' ara fuor, dogliose nuove, 
Che '1 foco ingombre del suo firn l'ostello. 
Che i buoi ratto ha disciolti, e come e «love, 
Va il misero spiando a questo, e quello { 
Nè per suo domandar raffrena il corso, 

In Cu che arrivi a’ suoi saldo soccorso. 

LXI 

E fu ventura lor, che pria toroaro, 

Ove è Clodin co* suoi fuor delie fosse. 

Che i buon Tristan col drappelletlo chiaro 
A quel loco vicin venuto fosse; 

Che ben compralo avrien col fine amaro 
L’ aver 1* audaci mani ivi entro mosse ; 

Ma dove i lor compagni erano uoiti, 

All* arrivar di Ini son rifuggiti. 


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L AV A 11 C H 1 D E 


Or con dinno moria l «li chi 'I con Icnde 
Quest» onorato stuolo innanzi passa ; 

E 1’ Armorico dure il corso stende 
Di là dal vallo, e tutti pii altri lassa ; 

Li con Gaveno esamina e comprende 
Quanta pente vi sia ferita c lassa ; 

Poi chi fuor resti ancor, chi dentro sia, 
Con riguardo sottil per tutto spia. 


Così dicendo, al loco si presenta, 

Ove ardito salir cerca Brnnoro, 

E ’n diversi cammin co’ suoi ritenta 
Gli argini, che per Ini troppo alti foroi 
Di lupo in paisà, che la notte senta 
Dentro al serrato ovil gridar fra loro, 

E pii apuelli e le madri, che ti strugge 
D’ ivi entro gire, e nella mente ruppe: 


E rigirando intorno al lato manco, 

In cui più volpe il colle all’ Aquilone, 
Trova <1 re Lapo, che canuto e bianco 
Sembra all’ oprar di piovine stagione ; 

Né di consiglio, nè d’ aita stanco 
In saldo mantener gran cura pone 
L’ argine, in coi Brnnoro i sooi conduce, 
E gran tema e periglio agli altri adduce. 


E quinci e quindi visitando mira, 

S 1 ei trova a’ suoi desir finestra, o strada ; 
Or move il passo innanzi, or ti ritira. 

Or raspa in basto, or di montar gli aggrada : 
Talora il porta speme e talor I* ira, 

E tanto in giro rivoltando bada. 

Che ’l di l’ aggiogar, e visto dal pastore, 
L’ affamato bramar volge in timore. 


, Come scorge il buon vecchio ivi apparire 
Il nobil cavalier, eh’ adora in terra, 
Lietamente con lui comincia a dire: 

Ben securi siam noi di questa guerra, 

E ’ndarno ornai si pensi d‘ assalire 
L’ aspro avversario il cerchio, che ne serra; 
Ch' ogni vali' ima, e cui niente chinile, 
Può difender di voi l'alta virtude. 


Tal fea Bruno™, di' ogni forza, ogni arte. 
Ogni industria spiegando, ogni in» ingegno, 
Or si mette a montar per qoella parte, 

E degli omeri altrui si fa sostegno ; 

Or le sue genti in molli lochi sparte 
Tutte ad nn tempo spingerne dà il segno. 
Per tentar te '1 combatter molli riti 
Rendesse i difensor più sbigottiti. 


Il conforta Tristano, e grazie rende. 

Clic tal uomo aggia in Ini tale speranza ; 
Poi del cursier già stanco a basso scende, 
E nell' argine estremo il passo avanza, 

E d' un di quei gucrrier nuova asta prende; 
E per giunger in loro alla baldanza, 
Chiamando questo, e quel, che rouotcca, 
Per onor di ciascun, cosi dicea : 


Ma come il verde scado, eh’ alto preme 
Il dorato leon, vede apparire, 

E conosce Tristan, perde la speme 
Di potere indi solo ornai salire ; 

E drizza il passo, ove ancor lingue e teme 
Il corno di Clodin, che di fuggire 
A pena il jwion tener preghi, o minacce. 
Senza aver più nemico, che gli cacce. 


Questi sono i gucrrier, coi gloria eterna 
E cui lode immortale il mondo deve ; 

Che dal silo gelato, ove più verna, 

Di seguire il suo re ria dolce e leve, 

Per sì lungo cammin : nè in lor si scerna 
II periglio o ’l sudor noioso, o greve , 
Anzi, ove l'un eoo l'altro più s’ accoppie, 
L' alta innata virtude in essi addoppie. 


E ’n tendendo i lor danni gli assicura. 
Che I' Armorico duce è io altro loco; 
Poi dice : Alto signor, se non si cura. 
Che venga Srgurano, io spero poco 
D'aver vittoria, che l’ impresa è dura, 

E non si dee tentar da scherzo e gioco 
D' assalir fossi e valli, ove sia gente 
Non mioor della nostra, c ri possente. 


Or col medesmo cor, che aveste sempre, 
Siate al nostro signor compagni fidi ; 

Cht ▼' ha condotti in si famose tempre, 
Per si dubbiosi mar, per tanti lidi 
Al sommo onor sì largo che contempre 
Ogni alto affanno, che la guerra annidi 
E I' ultima fatica, che ne resta, 

Non vi vegua al soffrir per lui molesta. 

IICTIM 

Ch' ancor vi fia dentro alla patria soglia, 
Tra la pia famiglinola, all'ombra e al foco 
Dolce a narrir questa passata doglia, 

E '1 sofferto sudor recarse in gioco ; 

Or d’ A varco spiegando alcuna spoglia. 

Or di voi stessi discoprendo il loco, 

Che ’inpiagato vi fu, lieti mostrare, 

Aperto testimon dell' opre chiare. 


Ma poi che i primi duci, e ’l re Britanno 
Non verranno oggi fuori alla battaglia, 
Creder si può di far non pirciol danno. 

Se ’l rampo con bell’ ordine s'assaglia; 

Ma in questo modo in van prendiamo affanno. 
Nè faremo opra, eh' a Tristan ne caglia; 
E per far un di lor di vita scemo, 

Cento miglior de' nostri perderemo. 

LXXV 

Or che s* attenda a«lunqne Segnrano 
E ch’un vada a ('.lodasse entro alla terra. 
Che ne mandi volando a mano a mano 
Ciascuno atto instrumrnto a simil guerra ; 
Poi tutti iusieme l’animosa mano 
Coutra il popol moviam, eh’ ivi si serra : 
Ma non si perda il tempo, che 1’ ardire 
Porria tornare in essi, e in noi fuggire. 


3i3 


L AVARCHIDE 



invi 

Mollo ha lodato di Clodatso il figlio, 
E gli altri duci poi, di’ erano in Ionio, 

Il buon ricordo, e 1' utile contigli» 

Drl Nrr Brunoro, e lenza far soggiorno 
Ove il gran Seguran con lorbo cìglio 
Era rimalo, e pien di sdegno e scorno 
Di non aver Tristan vinto all* assalto. 
Che tosto veglia a lor, manda Yerrallo, 

Lxxxm 

Ma il discreto Brunoro indietro il chiama 
E gli parla : Signor, se *n voi rilnce 
Sovra ogni altro guerrter d' illustre fama 
L'alto valor, ch'ai sommo vi conduce, 
Non son gli altri cosi, che egnal non ama 
Tutti i duci e gnerrier la quinta Luce; 
Ch' a quel più largamente, a questo meno 
Del suo chiaro splendor riempie il seno. 

ijuvh 

Che immantenente a lui n’andò volando, 
E gli dice : Signor, Clodin vorria, 

Ch’ ogni impresa di qua lassala in bando, 
Voi '1 veoiste a trovar per corta vìa. 

Ove dentro a' snoi fossi sta tremando 
L* avversa gente, e dove agevol fta 
Misturar di Clodasso Tonte e i danni 
In poche ore per voi di si lunghi anni. 

txxxnr 

Però dov’ esso manca, si conviene 
Al saggio imperador compir con l'arte, 

E con T ordine saldo, che sostiene, 

E ragguaglia in tra se assenna parte: 

Or pria eh’ avanti andar, riguardiain bene 
Di rarcor tutte in nn le genti sparte. 

Poi formarle alla guisa, che si mostre 
Di poter più giovar le voglie nostre. 

LXXVttt 

Risponde a Ini T Iberno : Or ritornale 
Riportando a Clodia, che ratto vegno ; 
ludi alle genti sue disperse amiate. 

Clic s' accogliamo in un, comanda il segno; 
Tutti i suoli marziali, e trombe aurate 
DrlT altera Giunon crollano il recoo, 
Richiamando il lontan, destando il tardo, 

MSZV 

E per dire io primiero il mio consiglio, 
In nove schiere il lotto partirei. 

Dando duce a ciascuna, eh* al periglio 
Regga ben con ragion se stesso e lei : 

Sei per questo sentier, che volge il ciglio 
Alla fronte, ove siam, ne locherei: 

Due sovra i lati e T altra alle sue spalle. 
Ove il colie lontan chiude la valle. 

LXUX 

Poi lassando a Drumeno, e *1 fello Arvino, 
Che conducendo quei seguano appresso, 
Fra molti ravalier verso f. lodino 
Con più veloce corso in via s*c messo; 

E de* fossi il ritrova sul confino, 

Che noli' altro attendeva, clic sol esso, 

Per donar pieno effetto al suo desire, 

E ì trepidante esercito assalire. 

LXXXVf 

E se ben queste tre di manco forza, 
Che non richieggia il loco, altrui parranno. 
Chi '1 nemico in più parti essere sforza, 
Assai più che* non pensa apporta danno ; 
Che ’l noccliier combattalo a poggia ed orza. 
Per salvar il ino legno ha doppio affanno; 
E non è ardito cor, che non paventa 
Se di contrari lochi il dubbio sente. 

UK 

Poi eh’ arrivati fur ristretti insieme, 

I maggior duri, e ragionato alquanto, 
Diceva Seguran : La vostra speme, 

Di compir tutta integra io sol mi vanto; 
E là, dove il nemico manco teme, 

Vo' che surga di lui l'estremo piaolo; 
Che mi fia tulio piano argine e uiuru. 
Nè dj mille Tristan le spade curo. 

LXXXVtt 

A qnei saggi ricordi il grande Iberno, 
Vergognando fra se, fermato ha il piede ; 
Di rivo in guisa, che correndo il verno, 
Preso dal nuovo giel subito assiede, 

E risponde : Colui, che prende a scherno 
Quel, che gli reca onor, non dritto vede ; 
E men chi in qualche parte gli altri avanza, 
Di sormontargli in tutta aggia speranza: 

I.XXZI 

Vengasi tosto pure all' alla prova 
Che '1 soverchio indugiar nocque sovente; 
E ’l tosto e molto ardir mai sempre giova, 
Con le voglie più al far, che al dire, intente; 
Scenda ogn’uutn del cavallo, e‘l passo muova, 
E la mano aggia pronta, e ‘Icore ardente, 
Il piè snello e veloce, in ogni sorte 
Disposto a riportar vittoria, o morte. 

LX XXVIII 

Che *1 Ciri giusto comparte tra i mortali, 
Nè dona lotte ad un le grazie rare ; 

A quel dà forze, eh' e’ non trovo eguali, 

A questo sommo ardir, che non ha pare: 
All' uo dà il scnuo, all* altro le immortali 
Di Dei lodi e d* Eroi mostra cantare t 
Perchè non vuol la somma sua bontaJe, 
Per far ricco un, por gli altri in povcrt/de. 

USUI 

E'o rotai ragionar lo scudo imbraccia, 
Che restando a cavai dal collo pende ; 
Nuova celata aucor, che mtno impaccia 
E la vista e T andare in fronte prende ; 
Poi, qnal fero molosso al lupo in caccia, 
Senza attender compagno il corso stende; 
Già si muove in ver gli argini, ove vede 
Larga schiera nemica aver la sede. 

LXXXIX 

Or senza contrastar lodo e consento. 
Che si segua il cannaio da voi mostralo : 
Cosi fermo fra loro, in un momento 
Fu il numero migliore ivi adunato; 

E '1 proprio Sepurano all' opra intento, 
l>a Clodiino, e Brunoro accompagnalo 
Al proposto disegno ordine mise, 

E’ suoi duci, e guerrier così divise. 


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xevn 

Per se medesmo elegge, ove la porla 

Seco ha Galin, e F alto Bustarino, 

Del ben ferrato rampo in mezzo assiede, 

Tolosan quegli, e questi aspro Baviera ; 

Perch' è il loco più forte, e che piò imporla, 

Dan poi F ordine estremo che Clodino, 

E eni guardia maggiore intorno vede ; 

Con Terrigano il grande, ed Agrogero, 

E d' aver aero poi fidata scorta 

(Duce il primiero al duro Limosino, 

Il Fortunato aolo, e Grifon chiede, 

L’ altro al chiaro Nemauso, e Mompoliero) 

Che mroavan le genti oteile fuore 

Sien senza guerreggiar per dare aita 

DelTinculla Pannonia inferiore. 

A chi fosse al ben far la via impedita. 

xei 

xcvirt 

Il primo loco poi da destra in mano 

Non qneta il buon Tristan dall* altra parte 

Al forte Palamede in guerra assegna ; 

Mentre intorno i nemici accinger vede ; 

Ch’ oltre agli Ebridi suoi, vuol Dinadano, 

Ma con dovuta industria, ardire, ed arte. 

Che tra ’l freddo Visero, e l* Albi regna ; 

Ove il bisogno appar, tosto provvede ; 

Bronadasso lo Svevo, e*l suo germano. 

Poi col re Lago, e gli altri va in disparte. 

Safar, che di Castiglia avea F insegna. 

K 1 consiglio di loro umil richiede. 

E '1 giovin Gallinante, che di Mona 

Per dipartire i duci, e F altra gente, 

Con agurio infelice avea corona. 

Ove possa più star sicuramente. 

xcit 

XCIX 

Il silo a lui più presso avea Brunoro, 

E ’neominciò : Signor, bissino non merla 

Col Provenzal M argoudo, e Gracedono ; 

Qual sia sommo guerriero, o imperadore. 

Dal manco Iato il primo è Palamoro, 

Che scorgendo a’ suoi danni a fronte aperta 

L’ Aquitan valoroso, e con lui sono 

Spiegar l’empia Fortuna ogni furore, 

Calarlo, ed Eirlabor, che duci foro. 

Il pristino ardimento riconverta 

Ove il Duero, e ’l Tago altero dono 

In saggio dubbio, e ’n nobile timore. 

Fan di loro all’Oceano, e poi ’l seguia 

Non dell’ armi nemiche, ma di lei, 

Merangio dell’ alpestre Andalofia. 

Che spesso più che i buoni aiuta i rei : 

xeni 

c 

Verralto il Biscain gii pone appresso, 

E nel popolo spesso in nn momento. 

Ove 1' Euro virin più spande 1’ acque ; 

Senza rimedio omao, cangia il pensiero ; 

Morassallo, e Drnmen vanno con esso; 

Che 1 antico valore in questo ha spento. 

Questi snl Beli, e quei tra F ombre nacque 

E quel fugace e vile ha fatto altero ; 

Della frondosa Ercinia e gli ha concesso 

Che ’l medesimi, eli’ ha in mare, e eh’ ha nel vento 

Estero Iranio, eh’ al suo Febo piacque, 

Sopra il mortai valore ha largo impero ; 

Tal che sempre tornò di pregio carco. 

Dico del vulgo por, non di chi chiude 

Ove in proova vcuian gli atrali e l’arco. 

Invitta nel soo cor, qual voi, virtude. 

XCIV 

CI 

liba, fi primo dultor dell'Ostrogoto, 

Però scasati temo in questo giorno, 

Col crude! re degli Eruli Odnacro, 

Se feriti i miglior dei duci nostri, 

Cui seguia d’ Aragona il nobil Loto, 

E spogliato il desir d* onore adorno 

E ’l Catalan Boderco a' vicini acro, 

Già scorgete ne' miei, com’ io ne’ vostri, 

Sopra il gran colle, che riguarda a Noto 

Sol per necessità duro ritorno 

Che tra i Neri Etiopi ha il tempio sacro, 

Facriam, raccolti tra vallati chiostri ; 

Con gravissime strida al lato manco 

E s’ a difender quei drizziam le voglie. 

11 Britannico campo assale al fianco. 

Più tosto eh’ all’ uscir delle sue soglie. 

xcv 

cu 

Gnnebaldo il Borgondo, e Matanasso 

Certo è, che se di me sol questa vita. 

Quel, che i più feri Allobrogi condace, 

Nello stalo ove siam, fosse in periglio, 

A diverso caromin muovono il passo, 

Pria che cercar di questi fossi aita, 

Verso ove Apollo asconde la sua luce: 

Sarebbe ella di me posta in esiglio ; 

Ove alza il monte ti, che scopre in basso 

Ma per si chiara gente e si gradila 

Quanto il nemico esercito c 1 suo duce 

Convien sempre prepor F olii consiglio. 

Puole oprare, o pensar per sue difese, 

Che non manchi d' onore a quel che sia 

Beo' securo da lor di tutte offese* 

Con certissimo duol per alla via. 

xcvi 

cui 

Va Kossano il Selvaggio all' altro calle, 

Or s* a voi cosi par, padri e fratelli. 

Che si volge ove Borea il Cielo offende 

Direi, che i nostri dnci e cavalieri 

Al colle pur, che dell’acqnosa valle 

(Che molli pur ancor restan di quelli, 

Biserrando il sentiero olirà si stende ; 

Che non feriti il Ciri ne lassa interi) 

E perchè l’ improviso e dalle «palle 

Gisser da parte, e che ciascun appelli 

Con più grave timor gli animi prende, 

Quei, ch’ci pensa tra’ suoi miglior guerrieri, 

Per ascoso sentiero e quietamente, 

E che prr pruova ornai conosco tali, 

Quanto è possibil più, mena la genie. 

Che i ben possa lodar, puuire i mali ; 


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L AVARO H IDE 




CIV 

E ’ntante schiere poi fosser dirisi, 

Q natili lochi a guardar mestirr ne fi a ; 
E che '1 capo di lor miglior s’ avvici, 
Che di senno e valor fornito sia; 

Un vada poscia intorno, eh* agli uccisi, 
O gl* impiagati altroi ristoro dia ; 

E così ogn' uom saprà qnanlo far deve 
E chi merli alta lode, o biatmo greve. 

eviti 

Bandegamo il fratei di Maligante, 

Con quei, eh* ha di Violonia, e di Cireslra 
Che sotto la sua insegna erano innante. 
Pone olirà il fiume alla montagna destra ; 
Seco è Gerfletlo col suo stoolo avante, 

Ch’ ei menò di Sarbnria, e di Dorcestra, 
Agraveno, Abondano, ed Arganoro, 

E dì Vigornia il cavalier Mandoro. 

cv 

Poi ch’ha detto, il re Lago a lai risponde: 
Non si cerchi fra noi forma migliore. 

Che non ti troverebbe, e ’n vao confonde 
Chi troppo in contraddir contorna 1’ ore ; 
Or col rhiaro voler, che’l cielo infonde 
Nel petto di virtù, che brama onore, 

(die più che *1 ferro, e l'adamante adopra, 
Con sollecito andar moviamo all' opra. 

C1X 

11 gran re Pelinoro ha in guardia il monte 
Con Lucano, Agrevallo, e ’l pio Malchiuo, 
Che alla sinistra spalla alza la fronte, 

Che più scorge Boorte esser vicino ; 

Ch’ avean quei di Nortumbria presso al fonte 
Di Tneda aspra, e del gelato Tino, 

Con quei di Cantabrigia, e di Valpole, 

E quei che la Bangaria in alto cole. 

cn 

Così fermo fra loro, il bnon Tristano 
Per consiglio dell* Orrado famoso 
Ha il meuo in guardia, dove Segavano 
Della porta sforzar vedea bramoso ; 
Blomberisse, e Blanoro il sao germano, 

E Costernante ardito e valoroso. 

Tra quei di Neastria, e di Cornubia intorno, 
Con 1* Armorico re fanno soggiorno. 

ex 

Sieambro il sommo Franco, che conduce 
Del gran re Clodoveo gli ornati Ggli, 

Con la celeste insegna, in coi riluce 
Lo splendor sacro degli aarali Gigli, 

Verso ove il sol, togliendo a noi la lace, 
Di Marocco i coofin rende vermigli, 

Ha tutto in guardia il Sabbionoso colle, 
Che sovra quanti ivi han la fronte estolle. 

erti 

Dalla man dritta saa loca Gaveno, 

Col ricco Ivan, eh* ha il popol Sii Inailo, 
Con Cremo, e Mandrin, eh' all'altro seno 
Han quei che alberga il promontorio U vallo ; 
Pon Lionel col pio cugin Baveoo 
Del manro lato nel più estremo vallo, 

Co’ soni d' Anversa, e Nestore e Taulasso, 
Che viene onde Solveo più Mende in basso 

CXI 

L* Orrido invitto, col figlinolo Eretto 
Con Ganesmoro il Nero, c Meliasso, 

A ingombrar tutto il mezzo è stato eletto 
Dell'ampio campo, e rivoltare il passo 
Ove più senta dal nemico astretto 
Questo, o quel loco, ristorando il lasso ; 

E di gnerrier empiendo quella parte, 

Che vota avesse il saoguinoso Marte. 


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ARGOMENTO 


// stalla il campo avverto Separano ; 
/lampe una porta , e fa t trapi inuililr ; 
Ma al toccorto de’ suoi move Tristano : 
Arde la pupna ; tcrndom molti a Dite. 
Poi che il tol ti nascose in Oceano 
Fin mette T ombra alla funesta lite. 
Galealto domanda in tal periglio 
L'armi fatali del re Sano al figlio. 


Liiscun dure d' A varco I’ ampie schiere, 
Che al io mm<< impero suo commesse loro, 
Va intonso visitando, e *n voci altere 
Quel rhe de g già no oprar dimostra loro; 

Ma sovra ogn* altro poi si può vedere 
Mostrando il dragon nero in rampo d’ oro 
Il fero Seguran, rhe lotti insieme 
Picn d’ ardente furor sospinge e preme. 

ti 

E dice: Or questo è il tempo, io mi mostrane 
Convien P alla virisi, che *n core avemo ; 
E quel chiaro splendor, che largo apparse 
Del Britanniro onor, rendere scemo ; 

Che le glorie di lor per tutto spane 
E per si lungo tempo, acquisimmo 
In questa valle sola, e in questo giorno, 
Pria eh' all'occaso il sol faccia ritorno. 

ili 

Ricordatevi pur, che ’1 ciel ne mostra, 

Se calcar la sa p rem, la strada breve 
Di Gne imporre alla inGnila nostra 
Gii sofferta fatica, e sudor greve ; 

E che dentro a quei fossi ornai la vostra 
Pace e riposo ritrovar si deve : 

E con lode immorlal larga Ticchetta, 

E tutto il sommo ben, che '1 mondo appretta, 

IV 

Or non sapete voi, eh* ivi entro stanno 
Di mille aline cilladi i tesori ampi ? 
di' ultra il mare, e di qua dispogliali hanno 
I più fertili, aprici, c lieti campi 
Che dall' unghie rapaci del Britanno 
Non è tempo onorato, che ne scampi ; 

Ma delle prede antiche, e falli suoi, 

Eredi e punitor sarete voi. 


Accingetevi pur con core ardito, 

Qual piu conviene a sì onorata impresa. 
Coatra un popnl gii lasso e sbigottito. 

Che larghi argini e valli ha per difesa ; 

Di cui l’ impcrador giare ferito, 

Bonrte, e molli, che v' han fatto offesa ; 

Nè resta altri fra lor, che 'I nome vasto 
Dell’ Armorìco giovine Tristano. 

vi 

A coi prometto io sol tal freno imporre 
Ch* agli altri cavalier noveri poro ; 

Nè 'I salverà da me fondala torre, 

Nè riparo miglior di chioso loco ; 

Ch* ogni suo schermo, ogni sua fona torre 
Spero al primo apparir eoa ferro e foco ; 

E render lotto il tutto eguale r piano 
Si, che ’1 difenda sol 1' arme e la mano. 

VII 

Gii tacendo il grao duce, a lento piede, 
Ch* essi seguan pregando, il passo muove 
Verso la porta, alla coi guardia siede 
Il boon Tròtto, che noi vorrebbe altrove: 
Come poi più vicino esser si vede. 

Empiendo I' aria e *1 ciel di varie e nuove 
Barbare voci, e di snono aspro cd alio, 
Velocissimo il gir dritta all' assalto. 

vm 

Nè impedimento alcun d’ argine, o fosca 
Gli contende il tenlier eh’ ei non t* avvento 
Olir* ogni spazio, e con I* estrema possa 
Di passar' olirà sol non s’argomcntc; 

Prende essa porta, e mille volte srossa 
L' ha io guisa tal, che '1 popol ne spaiente; 
Dietro a lui son 1' insegne, clic 'I cammino 
Van mostrando al lontan, come al vicino 
IX 

Vicn I* altra gente poi calcata e stretta. 
Con gli scudi fra lor serrati in guisa. 

Che pria che penetrargli, ogni saetta 
Del più pregialo arcicr saria ririsa ; 

Van di par sempre e ben l’un l'altro aspetta 
Si che dal vario andar min sia divisa 
L* annodata eh’ avean seeura forma, 
Stampando unitamente l’ istess' orma . 

x 

Scemimi nel fosso, e quel, eh' è indietro, aita 
Quanto può quel dinanzi alto salire, 

Ove dal vallo e l'argine impedita 
La via ritrova al chiaro suo desire ; 
Spingono insieme, e con bei delti invila 
L' un 1' altro all' opra di mostrare ardire ; 
E tentando in fra lor novelle forme. 

Vanno ora inorine, or han diverse 1' orme. 


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L’ AVARCHIDE ^ 3^ 


xr 

XVIII 

Or come mai potrà lingua mortale 

Colai parlava attor, credendo morto 

Raccontar tolto a pien 1’ alio romore ? 

Il suo caro cugin, ch'amò cotanto; 

I colpi orrendi poi d’ asta e di strale 

Ma come vide poi, ch'era risorto, 

Del popol folto, ch’or aocidr, or muore? 

Rivoltò io ira di dolore il manto; 

Di chi scende percosso, e di chi sale, 

Ma il fero Seguran da Marte scorto 

Cangiando il viver suo con largo onore ? 

Di ridar tutte in polve si dà vanto 

E la grandine spessa, che qui cade, 

Le fortissime porte con la mano, 

Di tassi e dardi all’ arenose strade ? 

E di vita e d ooor privar Tristano. 

XII 

XLX 

C,li’ ora il pio Rlomlw? risse, or Gossemante 

Vede un grosso tronco», rbe tragson ivi 

Che di Trillano il di compagni furo, 

Sei più forti gnerrier di quello stuolo, 

Vi con 1' asta ferrala indietro e innante, 

Versando di sudor dal volto rivi 

Scorrendo intorno il comballnto muro ; 

Con lungo e faticoso affanno e duolo; 

E quale al sommo ornai posa le piante, 

Ratto entralo fra lor, d’ esso gli ha privi, 

E di vittoria aver si firn seenro, 

E con ambe le mani il prende ei solo, 

Percosso in fronte, e con pallente faccia, 

E se 1 pon sopra l’ omero si come 

Scusa spirto raccor, tra* suoi ricaccia. 

Villanella d’agncl (ondate chiome : 

XIII 

XX 

Fa il medesrao Blanoro il terzo duce. 

■ E va inverso la porta a largo passo, 

Che congiunto con lor si truova all' opra ; 

E con quello aspramente la percuote; 

f -he questo a spasmo, e quello a morte adduce, 

E sovente addoppiando or allo, or basso, 

L’un di sotto riverso, e l’altro sopra; 

Qual terremoto, o folgore la scuote ; 

E chi conira i suoi colpi si conduce 

Non aspetta Trislan vederlo lasso, 

Nno ha scudo a bastanza, che ’l ricopra ; 

0 le speranze sue d'effetto vote; 

Che ’l porfir, l'adamante, o l'altra sia 

Ma stimando il suo cor d’ onore indegno 

Pietra più dura ancor, poco sarta. 

Chi riparo si fa di muro, o legno. 

XIV 

XXI 

Montò spinto da' suoi snperbo in vista 

Chiama a tè Blombcritse, e Gossemante, 

Sopra l'argine estremo il Ner perduto. 

Dicendo: Or non movete d’esto loco. 

Sì che i minor guerricr d' intorno attrista 

Guardando ben l'entrata, mentre innante 

L’oscuro tigre suo, ch’han conosciuto; 

Contr' a quel rada, che ue prende in "ioco; 

E la tema era in lor con danno mista, 

Blanoro, e ogn* altro cavaliere errante, 

Se non tosto gìungea con largo aiolo 

Che le nemiche spade apprezza poco, 

Blanor correndo al tubilo rumorr, 

Segna il mio gire in parte ove quest' alma 

Che gli percosse io un 1' orecchie e ’l core. 

Lasserò nuda, o 1* ornerò di palma. 

XV 

XXII 

E'1 truova, che più d’nn già impiagato ave 

Coti detto, la porla in nn momento 

E T acquistalo loco si difende. 

Quanto ogu’ uscio si stende mostra aperta; 

E chiama ì suoi dicendo : Ora ho la chiave 

Ed ci, qual leve tirai, qual foco e vento, 

Che la porla apre, onde il ben nostro pende; 

Con brevissima schiera seco inserta 

Ma giunto a destra, ove men guarda e pavé, 

Vini sopra Seguran, eh' è troppo intento 

La man sopra di lui Blanoro stende, 

Alla vittoria sua, che sperò certa : 

E con 1’ asta mortai che vien traversa, 

E con l’urto improvviso in modo il preme, 

Sopra quei, che *1 segnian tosto il riversa. 

•Che lo stend' ivi col tao tronco insieme. 

XVI 

XXIII 

Non con altro rumor nel fondo diede 

Indi altra penetrando tra ì guerrieri, 

Del più inchinato fosso delle spalle, 

Quel privalo ha di membro, e quello ancide ; 

Che scoglio alpestre, ch’alia riva assiede 

Trova Entello, il primiero intra i più feri, 

D'aspro torrente, a cui ristringa il ralle; 

E la fronte in due parti gli divide; 

Che di pioggia arricchito, irato il fiede, 

Avenliu getta agli aridi sentieri 

E lo sveglie iuili, e rimbombar la valle 

Senza il piè destro, di' all’albergo il guide; 

Fa col suo rovinar, tremando i cori 

Euforbo, Amilaonc e Forcitio, 

Agli armenti vicini, e a’ lor pastori. 

Quel senza braccio, e questo a capo chino. 

XV|| 

XXIV 

Non fa ardito gnerrier, che ciò sentisse, 

Non con altro terror va Ira costoro, 

Che dal danno dì lui non preuda esempio, 

Che famelico lupo ai caldi tempi 

Fuor che '1 fero Grifou, che sempre visse 

Tra la gregge sott ombra, e fa di loro, 

D'animo invitto, ma superbo ed empio; 

Pria che senta il patine, crudeli scempi ; 

Il qual, Giove lsiasuiando, altero disse t 

E i can, eh’ al nudo sol gran tempo foro, 

Donami pur, se vuoi, 1' istesso scempio, 

Prendendo dai signor dovuti esempi, 

Ch io non curo il morir, mostrando aliueuo, 

Si riufrescan nel sonno alla verdura. 

Clie 'nlrepido il voler riserbo in seno. 

Che dal raggio d’ Apollo gli assicura. 


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l’ AVARCHIDE 



XXXIX 

lodi come ringhiai, che intoppo trova, 
Che di piò olirà «ir pii rhiodr il ralle; 
Che poi rhe di «qnarriarln indarno prova 
Torna la fronte al fine «v'ha le «palle; 

E spronando il fnrnr, di strada nuova 
Cerca il traverso alla «pinosa valle; 

E 'n quanti può incontrare il dente adopra, 
Qaeslo e quel riversando sotto e sopra; 

XLVI 

E ch'egli era nel rampo entrato solo, 
E gravissimo danno ha fatto, e molto ; 
S'empie il candido sen d'onta e di duolo, 
E si mette ertidel tra ’l popol folto; 

Qual lupa alpestre, clic si muova a volo 
Contra il fero maslin, che gli abbia tolto 
Il più caro di tolti al mezzo gionio. 
Mentre i figli a lattar ficea ritorno. 

xt 

Così il rrndele Iberno al manco lato 
Tra la schiera, ch'ha indietro, si riearcia, 
Poi che ’l primo rammin vede serrato, 

Nè ’l porria beoe aprir forza, eh* ei faccia ; 
Troova T ordin confino, e mal guidato. 
Qual chi fuor di timor si mette in caceia; 
Sì che senza contrasto affretta il passo. 
Riversando nel gir piò d’uno in basso. 

USD 

E fa di tntti quei si largo strano. 

Che pensar non «i può, non che ridire ; 
Pon venti uomini a terra in poco spazio, 

I quai non gli volean la strada aprire ; 
Ma quanti piò n’ uccide, meno è sazio 
Del sangue loro, e tnen quetale ha l'ire; 
Quando gli risovvien di Gossemante 
Cosi famoso cavalicro errante. 

XLI 

Cosi senta tener cara d* alcuno, 

D’ Euro sopra il rnscel pii posto ha il piede, 
Di lontan perseguito da ciascuno. 

Che chi di fromba, e chi di dardo il fiede; 
Ma vicin con la spada ornai nessuno 
Di proprio, o d’ altrui mal vendetta rhiede; 
Poi gli altri duri, e 1* Orrado, e ’l figlinolo 
Di poterlo raecor gli toc lo stuolo. 

XI. Vili 

Por' oltra va, che assai presso alla porta, 
Che con somma virtù guardò Rlanoro, 
Conosre il Fortunato che fa srorta 
A' suoi Pannoni, e combattea fra loro; 
Allor qual orso alpestre, ri»' aggia scorta 
Senza vicino aver mastino o turo 
Giovenca al prato, se gli avventa sopra, 

E per largii la vita il brando adopra. 

xut 

Giunto egli adunque, ove le basse arene 
Del lento fiiimicel l’onda raggira, 

Si volge a tergo, e gran vergogna tiene 
Di ritornane indietro, e ne sospira j 
Por la torba infinita, eh’ ancor viene 
Tra i miglior cavalier, gli «pengon 1* ira. 
Sì ebe d'esso varcar consiglio prenda, 

Ma non sì, che qnalch’un pria noti offenda. 

XLIX 

E ben fatto l'avrebbe, se Grifone 
Dell* allo passo giunto a lui non fora, 
Ch'alia mortai battaglia s’ interpone, 

E trae ’l compagno di periglio fora: 
Ma del suo danno stesso fu cagione. 
Perchè ’n vece di lui, lasso, dimora 
Tra le nemiche mani in tal maniera, 
Ch' al più luceule sol s' adduce a sera. 

Xtltt 

Pe rrh’ indietro rivolto, appresso scorge 
Panenione, ni Agan venirgli al fianco ; 
In lor la spada ricorrendo porge, 

E percosse il primier nel lato mauro; 
L'altro eh* a vendicarlo irato sorge. 
Permise in fronte, e pallidello e bianco 
Nel bel dell* età sua, eh* all* aprile era, 
Spcnsel, qual rosa o fior la pioggia fera. 

L 

Perchè srndogli tolto lo sfogare 
L* Armorieo furor contra il primiero. 

Il versa in cimi, e senza spazio dare, 

Tre volle il fere, ove allo sta il cimiero; 
Al terzo colpo il fa per terra andare 
Diviso in due; che non gli resta intero 
Se non dal busto in giù la parte in cui 
Sta quel, ch’avanza al nutrimento altrui. 

XI.IV 

Poscia un salto leggier nell* onde prr«e, 
Le quai con gran rumor pel greve pondo 
Salirò in allo, quanto in basso scese 
Il fero Iberno all’arenoso fondo; 

E le cerulee gonne intorno offese 
Dell* alme ninfe, col colore immondo 
Delle arme sanguinose in altro! danni», 

E ’n tra i suoi si ritrae con breve affanno. 

LI 

Morto il nobil Grifone, il Fortunato 
TVr raggiunger Tristano il passo affretta; 
Ma il seguitar più innanzi gli è vietato 
Dalla gente, che fogge accolta e stretta; 
Il buon Trislao non meno sconsolato 
(Quantunque parte feo della vendetta 
Del caro Gossemante) il sentier tinge 
Di nuovo sangue, ovunque il brando spinge. 

SLV 

Ma il famoso Tristan, poi eli* ha mostrato 
Al superbo avversario, che non sia 
Del suo primo valor tutto spogliato. 

Se bene il premea al lor fortuna ria, 
Tornando indietro, sente d’ ogni lato. 

Che ’l fero Segnrano ucciso avia 
11 suo buon Gossemante, e Blomberiise 
Quasi condotto a tal, ma poi rivisse: 

MI 

E fra la turba Anlifono, e lalmeno, 
Pannoni entrambi, e di Grifon parenti. 
Quel del cor trapassato il destro trito. 
Questo le terapie, crudelmente ha spenti; 
Con lor d’ Ibernia 1' orgoglioso Ebcuo, 
Dispregialoe di tulle umane genti. 

Perchè di Marte figlio essgr crrdea, 

Pud, nel ventre impiagato, a morte rea. 


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L AVARCHIDE 






LUI 

Vendendo olir' a quegli altri infiniti, 

Ma di nome vulgar, »i fa il cammino ; 

Ma poi eh' è presto, e sopra i Irisli liti 
Scorge il misero amico tal virino, 

E tanti intorno afflitti e sbigottiti, 

Ch' haii perduto chi *1 frate, e chi *1 cugino, 
Colai doglia e furor l'alma gl' incende. 
Che d' indietro tornar consiglio prende. 

U» 

E qual tigre d' Ircania, che ri tra ore 
Da 'ntidiosi villani uccisi i figli; 

Che rabbiosa fra lor battaglia muove 
In cui 'I morso stendendo, in cni gli artigli, 
Onde il sangne di fuor si largo piove. 

Che i verdeggianti rampi fa vermigli ; 

Né si mostra ella sazia, in fin che manche 
La torba intorno, o die le forze ha stanche: 

LV 

Tal P Annorico duce indietro volto 
Poi eh' ha inteso per ver, che Segorano 
Tornato è foora, e 'I Ini seguir gli è tolto, 
Spiega sopra costor P ira e la mano ; 

E tanto miete ornai del popol mollo, 

Ch' ei n* ha roperto il sanguinoso piano : 
Poi ch'ogni gente è già fuggita, o morta, 
Ricerca al Gn la mal lassala porla. 

LT» 

La qnal, come pria fu, tosto riserra, 
Che ’l consiglio dell* Orcado fu tale, 
Dicendo : In molti lochi aviam la guerra, 
E larghissimo stuolo il tolto assale ; 

E veramente P nom vaneggia ed erra 
In sì torbidi tempi, a cni più cale 
Di falsa gloria, che di star sicuro 
Poi che '1 ciel cosi vuol, tra fosso o moro. 

LVtl 

E no 'I diceva in van ; che Palamede 
Col forte Dinadano, e Brunadasso 
Di montar dalla destra allo provvede; 

E già non lunge al vallo aveva il passo, 
Mentre il popol, eh’ è li, tentando al piede 
Con zappe e con marron l'argine in basso, 
Cercan d' apparecchiar si larga strada, 

Che la grave armatura indi entro vada. 

Lvm 

Nè dall'ùtrssa man Brnnoro il Nero, 
Col Provenxal Margondo, e Gracedono, 

Al procacciar anrh’ei nuovo sentiero 
Più di quei neghittosi o lenti sono ; 

Ma chi sopra i guerrier usa P impero, 

Che nessun lasse P opra in abbandono ; 

E chi al popol maggior va sprone e scorta, 
Che dal frondoso bosco i rami apporla : 

LIX 

E ne riempie il fosso si, che aggnaglie 
Quanto si può vicin P altezze estreme ; 

Ma il franco Lionello aspre battaglie 
Fa intorno ad essi, e gli rispinge e preme; 
Che 'I possente arco suo le salde maglie, 

E gli acciari, e gli scodi passa insieme, 

In si veloce andar, di’ ad ora ad ora 
Quel ferito, e quel morto è tratto fuora. 


LX 

Egli era entro la torre, che fiancheggia, 
Fin do v' era Tristano, il manco lato, 

E d* indi ascoso, ove nessuno il veggia, 
Chi ferito riman, chi spaventalo, 

Onde sforza il nemico, che proveggia 
In nuova altra maniera, o ceda al fato 
D’ indietro ritornar, ma ciò non vuole 
Palamede ostinato, come suole. 

LXI 

Ma lassando tati' altro, si eoogionge 
Con Brnnoro e co’ suoi, ch'avea vicino; 

E con doppiato stuol veloce giunge 
Dell' aspra torre al prossimo confino ; 

E col desio d’ onor, che '1 cor gli punge, 
Grida altamente intorno: Il mio destino 
Pria mi furi la vita, che mi toglia 
11 prender, o spianar P altera soglia. 

LXM 

Poi conforta i guerrier dicendo: Un'ora 
E non molta fatica trar vi punte 
Di lungo affanno, e di periglio fuora, 

Se Palme avrete di temenza vote; 

In questo punto sol lutto dimora 
Il largo onor, che le celesti rote 
V’han promesso, e 'I guadagno, e 'n voi sol fiat* 
D* acquistar sommo bene, e lunga pace. 

LXIil 

Cosi detto, il primiero in basso scende, 
Né gli resta Bruiior mollo lontano: 

E li mrdrsmo il ratto passo stende 
Safaro, Gallinante, e Dinadano, 

Poi tutti gli altri appresso, e ciascnn prende 
Ferro, o pesante legno, e non invano; 

Che in guisa fan tremar di quella il seno, 
Ch* se ne crolla intorno anco il terreno. 

Laiv 

Si come avviene, ove Nettuno imprima 
Speco aspro e cavo, eh’ al suo gir s* oppone* 
Che dei monti crollar l'altera rima 
Fa tutta intorno, e l'altra regione: 

Ora il buon Lionel, die seco estima. 

Che d'aita appellare aggia ragione. 

Con si pochi guerrieri essendo solo. 

Conira si chiari duci, e tanto stuolo ; 

LXV 

Il fido messaggier Toote chiama, 
Parlando : Or ricercate a ratto corso 
Il buon Tristano, e ditegli, s* egli ama 
Il comune alto onor, mi dia soccorso : 

Che fuor che Seguran, r^ual altro ha fama 
Tra i migliori cavalieri e quinci accorso; 

E per tome di qna studiano il passo 
Palamede, Brunoro, e Brunadasso. 

ixvi 

Non ritarda Toote, e ’mmantenente 
Truova Tristan, che come udito Pavé, 

Dice al suo Blomberisse ; la mia gente 
Conosch'io ben, che dell' Iberno pavé; • 
Però ri prego aver P occhio e la mente. 
Che non le avvegna caso ontoso, o gr***l 
E se *1 bisogno fia, fate chiamarne 
Da chi con Lionel potrà trovarne. 


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L AVARO II IDE 




tini 

Con lai orti in t'invia ratto alla torre. 
Che con sommo valor si difendea: 

Qui il famoso Baven, lì Nestor corre, 

Ove il mestier maggior ti conotcea ; 

E quanti può ciascuno in man raccòrrò 
Cli' al bisogno infiniti ve n' avea, 

Sassi, tronchi, terreno, arbori, e travi 
Tanti ne gellan più nodosi e gravi. 

tx Vili 

E cadean di lassù ti spesse e folte. 
Come al verno maggior la neve suole. 

Se Giove i monti, e le campagne sciolte. 

Gli arbori, e i campi, e i prati asconder vuole; 
Che i venti acqueta, ed ha le nubi accolte 
Più fredde in basso, e più nemiche al sole; 
E 'I vialor tremando a poco a poco 
D' no medetrao color vede ogni loco. 

LXIX 

Cotale ivi apparta l'aspra tempesta, 

Che da quei difensori in basso scende, 

E ‘I piede il petto, e gli omeri, e la testa 
A questo, a quello amaramente offende 5 
Nè il gran popol d' Avarco in posa resta, 
Che 1’ arme ivi cadute in man riprende ; 

E col furore in alto le rigetta, 

Che fa il percosso in ricercar vendetta. 

US 

Ma quei, che più lontaa dal fosso stanno. 
Con varie aste leggieri, e trombe, ed archi 
Fanno a quei della torre estremo danno, 

E nel mostrarse fuor rendon più parchi ; 
Or quinci e quindi parimente vanno 
D' entrambi i colpi nei medetmi varchi: 

E *1 montare e '1 calare insieme aggiunto 
Si ppolc ivi veder quasi in un punto. 

LXXI 

Sembrano al rimirargli estiva pioggia, 
Quando subita appar nel mezzo giorno, 
Che ’l Noto all' Aquiinn centrano poggia, 
E quanto in mezzo sta girano intorno ; 

Ch* or taglie, or cade io disusata foggia 
L'onda, e più volte cangia il suo ritorno; 
E le piante impiagando or alle, or basse 
Fa di frutti e «li frondi ignude e casse. 

ut XP 

E vie meno è '1 romor sugli alti letti 
Della più dura grandiue all' agosto, 

Cagion che 'ndarno il villanello aspetti 
Il soave liquor del nuovo mosto, 

Di quel, che ’n sugli scudi, e sogli elmetti 
Hisuona intorno, mentre in terra è posto 
Questo, e quel cavalier morto, o ferito 
Si, eh' al più guerreggiar resta impedito. 

L XXI II 

E 'I saggio lioncl di parte asrosa 
Ila molli bnou guerrier dì vita privi : 

Tra quei Nolanlo clic nell’ aria ombrosa , 
Nacque, ove al mezzo aprii gelano i rivi 
Dentro all' Ebrida Cumbra ; e sanguinosa 
Gli fc' la destra, orecchia e murio quivi 
Tra le braccia di Schedio suo cognato, 

In non molto per lui secoro Lato ; 


SJtXIV 

Perchè mentre il mesehin per altrui piange, 
E *1 vuole indi portar vien uuovo strale, 

E ’l percuote alla fronte, e tutto frange 
L* osso, che in alto fra le ciglia sale. 

Si eh* aneli’ ei muore j e I nobile Flnrange, 
Che per lanuto andar guida le scale, 

Fn percosso alla gola, e ’u quello {stesso 
Loco alla coppia prima cade appresso. 

Ut XV 

Uccise dopo lor Fere, e Tal mone, 
Ambedue Frisi, e cavalier d'onore; 

A questo il ferro entro alla gola pone, 

A quel nel seggio del sauguiguo umore; 
Ma non per citi la fera opinione 
Cangiar si può nell' ostinalo core 
Del crudo Palamede, die si caccia 
Più sempre addentro e rovinar minaccia. 

LXXVI 

Egli avea in tal guisa al basso piede 
Della torre già fral la terra scossa, 

Che poco tempo ornai seco s'avvede. 
Ch'ai gran peso, che porta, regger possa; 
Oud ci s* allarga alquanto, e poi provvede. 
Che d'altre parti intorno sia commossa 
Da lunghi legni e duri, e non s' inganna, 
Che per lei rovinar poco s* affanna ; 

IXXVII 

Che per breve crollar, qaal era ìntegra, 
Senza ritegno aver, giù in basso cade 
Con I* allo rimbombar, eh* udirò a Fiegra 
Le cenerose e (umide contrade; 

Vien tenebroso il ciel d* oscura e negra 
Polve, ch'ai rimirar ehindea le strade; 

Si che mollo passò, pria che ’1 vedere 
Potesse il primo stato riavere. 

utxviu 

E col sno rovinar condusse molti, 

Che ciò non atlcndeano al cader fuora, 

Di quei d' Arturo ; che restar srpolti 
Tra legni e travi alla medesinT ora ; 

Altri son morti ivi entro, altri disciolti 
Di quei, che Marte trai migliori onora ; 
Come Nestor di Gave, e Tanlasso, 

Che si tosto s’ alzar, che furo in basso : 

LXXIX 

Che ancor tengon la spada, e senza tema, 
L'un e l'altro rìpicn d'oscura terra, 

Pria che ‘I popol congiunto troppo prema, 
Accoppiati fra lor s* armano a guerra ; 
Spingonsi avanti, e già di vita scema 
Parte di quelli han fatta, che gli serra ; 

E dimostrando poi gli altri seguire, 

Colser tempo scettro al sno fuggire : 

LXXX 

E col veloee andar, che levi pardi, 

Che di molli leon fuggano il morso, 

Ove agli argin vicini i suoi stendardi 
Pon spiegati veder, drizzano il corso ; 
Palamede, e Bruuoro giunser tardi. 

Che *1 nobil paro, qual baleno, ha scorso 
Il fosso, ove trovando intero aiuto, 

Dentro al prossimo vallo era venato. 


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LIXXI 

Tomenti indietro adunque d’ira carchi, 
Quale veloci ean eh' ebhrr vicine 
Due cerve, o damme, che ’n selvosi varchi 
Dopo alcun nudo pian fn^iro al fine ; 

E van dove i Britanni erano «carchi 
D’ Ojcni difesa antica, e che *1 confine 
C.onvien col ferro sol tener sicuro, 

Non con lo schermo più di torre, o moro. 


LXXXVIII 

E si ristringe allor tra sotto e sopra 
In cosi angnslo ralle la tenzone, 

Ch' ornai indarno ciascun la spada adopra. 
Ma con rabbioso urtare altrui »' oppone ; 
Ciascun mette al passar la forza in opra. 
Fermo trnendo il piè sopra il sabbione; 
Quai faticanti buoi, che ’l carro han carco 
Si, che spuntar non pon pietroso varco. 

LXXXIt 

E richamaodo appresso i lor guerrieri, 
Palamede pii spinge, e pii conforta. 
Dicendo: Or pimo ornai di spoplie alteri, 
Poi ch’aperta n* aviam la chiosa porta; 
Indi si mette ardito fra i primieri, 

E Brunor lassa, che rimanga scorta 
A quei che dietro sono, e punga e sproni 
Chi per temenza gli ordini abbandoni. 


LXXXIX 

Ma il pronto Liouel, che ciò rimira, 

S* arreca a* fianchi coi più dotti arcieri ; 
Egli a destra rimane, e Nestor gira 
Dalla sinistra dietro a’ snoi gnerrieri, 

E questo e quel si folli colpi lira 
Per traversi ed incogniti sentieri, 

Che molti anriile, e molti lassa in doglie. 
Sì che ’l nodo fermissimo si scioglie ; 

LXXXtlf 

E per l'alta rovina, che fa strada 
Per in alto salir, ratto venia ; 

Ma trova in cima l‘ onorata spada 
Del famoso Tristan, ch'ivi apparia, 

E gli vieta il rammin, che ‘nnanzi vada ; 
E già sopra la fronte il feri, pria 
Ch' ri possa immaginar che pente è questa ; 
Ma il colpo di' ei senti gliel manifesta. 


xc 

Che ciascun voleotier ritira il passo, 

E fuggendo il morir già il loco cede : 

Ma il possente Bronoro che dal basso 
Pur co' snoi per tornare addrizza il piede. 
Gli risospinge, e grida : Ahi popol lasso. 
Questo è l’ amor che porti a Palamede ? 
Questo è 1’ ouor dell'Ila e della Iona, 

11 cui raro valor si largo suona? 

UUIV 

Che ben raccoglie in se, eh’ altri non fosse 
Fnor che M figlio di Ban, di forza tale; 
Che l' elmo intorno di tal modo scosse, 
Che poro avea da gir, eh’ era mortale ; 
Non però l’ inviti’ animo turhosse, 

Ma col valor, che raro aveva eguale, 
Spinge pur anco, e cerca olirà passare, 

Nc vuole indarno l’ore contornare; 


XCI 

Con qnesto ed altro dir gli torna in alto 
E gli segue esso poi co* suoi Germani, 

E più che mai rinfresca il primo assalto : 
Ove oprar non si pon spade, nè mani, 

Pon di ferrati scudi nn saldo smalto 
Da ciascun lato, onde ritornio vani 
Della coppia di Gave i colpi ascosi, 

Ch’ al suo primo apparir venner noiosi. 

UXXT 

Che sapea ben, che lungo tempo invano, 
Per abbatter l'un l'altro, si porrebbe; 

Ma poi die ’l passo aveva aperto e piano, 
Vincer l’ impresa, e non cosini vorrebbe ; 
Prosando in se, che poi di Seguraoo, 

S* egli avvrnisse ciò, più lode avrebbe; 

E co' suoi si ristringe, e drizza il piede, 
Ove il popol più frale c miuor vede. 


xon 

E tal fu il gran soccorso di costoro. 
Clic mal pon gli altri il peso sostenere; 
Già lasserian 1 impresa, se fra loro 
Non gridasse Tristan con voci altere: 
Ove fuggite voi? di' altro ristoro 
Sperate indietro, o clic soccorso avere? 
Altro fosso, altro vallo non sverno, 

Se qncsti a Palamede lasseremo. 

LMXVI 

Non ne cale a Tristan, ma spinge al fianco 
Contra gli altri guerrier, die ron lui vanno; 
Caccia il brando a Filea nel lato manco, 
E gli di del mortai 1’ ni limo danno; 
Mirinto appresso rende esangue e bianco. 
La gola incisa, ove gli spirti vanno; 

Dopo costor fa Tulio, e Dedupoto, 

E Basalro restar d'anima volo. 


xeni 

Non ne resta altro poi, che 1’ armi esporre, 
E nudi prigiooier farsi a' nemici 
Ch’ anco poi vi vorran la vita torre, 

Per goder meglio i vostri campi aprici, 

E le spose e le figlie in seno accorre 
Di voi gregge vilissime e ’nfelici , 

Che qui stolli temete questa morie. 

Che più dolce sarà, che quella sorte. 

fJUtXVII 

E degli altri guerrier a’ anride tanti, 
Quanti al montar lassù sospinge il fato ; 

Si che 1' allo romore, e ‘1 grido, e ‘1 pianto 
Hanno il pensier nell' Ebrido cangiato ; 

Ch' al soccorso si volge, e quello intanto 
Britanno sluol da prima spaventalo. 

Che fuggia innanzi a lui, già indietro torna, 
E contra il percussore alza le corna. 


xeiv 

Con qnesle voci insieme, e con la spada 
A* suoi porge ardimenti agli altri tema ; 
Ma il famoso Brnooro a ciò non bada, 

E spinge quanto può con possa estrema ; 
E forse aperta al fine avria la strada 
In altra parte, ove Tristan non prema; 
('.he se ben T occhio ha presto in ogni late. 
Non può per lutto poi Irò v arse armato. 




zed b^Gq 


l’ AVARCHIDE 

xc» 

Ma l' animo*© Eretto, risei rumori 
Ila «li lontano udito e '1 gran periglio, 
Tra le ‘chiere eh' egli ha di più valore, 
finn lo «tentlardo «io d’ oro e vermiglio 
Ratio al soccorso vien ron ({urlio amore, 
Che la madre pietosa al dolce figlio} 

E solo il suo gridare, e 1* alta polve 
Il Britanno timore ai cor dissolve. 

cu 

Giunge tosto a quel loro, e di già scorge 
Con le scale imbracciate il fero Iberno ; 

E già le stringe al muro, e in alto scorge 
Tutti gli altri, e Gaven prendendo a scherno; 
Già per mettersi in rima il passo porge, 

E già tutto ha varcalo il muro interno. 
Già Calarlo, Esrlahorre, e *1 Fortunato 
Seguendo il suo sentier gli sono a lato. 

XCVl 

E eoo tanto furor percuote in fronte 
L* a«pra nemica schiera che venia, 

Che non sol rintuzzò le voglie pronte, 

Ma d* indietro tornane apre la via. 

L’ un sopra 1* altro fra confuso monte, 

E mal grado de* duci indietro già, 

Ch' ove sia il suo Brunoro, o Palamede, 
Nessun più cerca, o più l'ascolta e vede. 

cut 

Non ritarda Tristan, rh' ha l’alma intenta, 
Ove vede arrivar l'asaro drappello; 

E ron I* asta ferrata s argomenta 
Di riipinger veloce or questo, or quello ; 
Fu il pritnirro Esclabor, che’n basso avventa, 
E 1 fa rader, quale invescalo augello 
Dall' insidiose (rondi, ove al mattino 
Allcttalo al suo mal torse il cammino. 

xeni 

Qual Sisifo infrlice, che ’l fatale 
Sasso gravoso all'erto monte spinge, 
Ch' ove pio falirando in alto sale, 

Il ino «Irstin più al fondo il risospiuge; 
E mentre ira, pielade, e duol 1' assale, 
Altra nnova speranza il cor gli cinge. 
Onde al suu vano oprar ritorno face. 
Senta aver notte o ili riposo » pace ; 

civ 

Gettò Calarlo, e *1 Fortunato appresso, 
Che nel suo rovinar le forti scale 
Salde tenea con man, si che sovr* esso 
Al percuoter dannoso arroge il male, 

Che ’nsieme andato; e ’l popol che gli è presto 
Sente non xurii di lui colpo mortale ; 
Perdi’ a quanti guerrier si trova sotto, 

Ha troncale le gambe, o ’1 capo rotto. 

acmi 

Tale a' linci avvenia, poi clic rivolto 
Il popol che salia, si getta in basso, 

Clic agli avvrrrsarii pur mostrando il volto, 
E sforzati da' suoi volgono il passo; 

Ma il malvagio, e'1 migliore in un ravvolto 
Rovina alfìn, come quel proprio sasso, 

O quel, che rota il rustiro architetto, 

Per far fido sostegno al patrio letto. 

cv 

Resta sul Segnran, ch* Ita innanzi il passo, 
E dal muro acquistato è si lontano, 

Ch' esser non puote ornai riposto in basso 
D' un rolpo solo, e si ripara al piano ; 

E benché tutto sol, di vita casso 
Esser prima dispon, che avere iovano 
Calcato U vallo ornai più d‘ una volta, 

E poi la possession gliene sia tolta. 

xnx 

E 'nvan s’ adopra 1' Ebrido e Rrnnoro, 
Margondo, c Gracedono, e Dinadano, 
di' a viva forza aliai scrudon con loro, 
E *1 supremo sperar ritorna vano ; 

Ma mentre in guisa tale opran costoro, 
Vien volando Mandrino al pio Tristano, 
E gli dire affannato; Senza voi 
E io periglio mortai Gaveno, e i suoi. 

evi 

Né solo il buon Tristauo invita a guerra, 
Ma quanti altri vi son, con tai parole : 

Il superbo lena, quando si serra 
Nella mandra d’ agnelli, uscir non suole, 

In fin eh’ ad uno ad un non ponga in terra 
Di sangue scarca la invilita prole; 

Ned’ io partirò quinci, eh' io non abbia 
Tinta di voi la mal tessuta gabbia. 

c 

Peri) rhe a lineila torre, che s* agguaglia 
A questa, all'altra man verso 1’ Orone, 

Gli ha mosso Palamoro aspra battaglia, 
Ma di poco curarlo avra cagione ; 

Or rhe '1 gran Segnran teme 1* assaglia, 

E già in ordine i suoi d' intorno pone, 

Vi prega per onor, che *n cor portale, 

Ch’ al soccorso di lui ratto segniate. 

crii 

Cosi detto il crndel vede Trocooe, 

Che non (unge a Tristan ver Ini veniva, 

E squarcialo il cervello a terra il pone ; 
Oresbio presso a quel di vita priva ; 

Ma il gran re dell' Armorico Leone, 

Poi eh' ha gli altri scacciati, in tempo arriva, 
Che se tardava ancor, degli altri molli 
Avria, come quei due, di vita sciolti. 

CI 

No*l nega il fido Armorìro, e poich’ebbe 
Veduto in sicurtà quel loco ornai, 
Promettendo a ciascun ch'ivi sarebbe, 
(Se'l bisogno venia) veloce assai, 

(ino quello amor, che ’n ravalier si «Ichbe, 
Si volge a trar di sanguinosi guai 
Il re d' Orcania, e gran drsire il muove 
Di far cou Scguran novelle pruove. 

evia 

Ma qoal lupo affamato, eh' alla greggia, 
Che sola ritrovò, gran danno apporla, 

Che raffrena il furor, da poi che vepgia 
Del lcrore masliri la fida scorta ; 

Tale il gran Segnran uuu più vaneggia 
Coulra i minor, nè fra la gente morta, 
Come vede Tristan ; ma si raccoglie, 

E ’n più saldi pensieri arma le voglie. 


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cts 

E va incontra veloce, e pira d' ardire, 
Nè T altro il teme, anzi *ol esso brama ; 
Ma quando più vicin sono al ferire, 

Vien la schiera maggior, che Gaven chiama; 
Che poi eh* lia visto del tuo vallo uscire 
Ogni altro cavalier di maggior fama, 

Vien contro a Separano e spinge in guisa, 
Che la guerra primiera hanno divisa. 

cxvt 

Il qual di Gonehaldo la figlinola, 
Amalilde appellata, sposa avea ; 

(.In taro a Mirino la vita invola, 

Ch* all' antico Vetonzio il fresi rrggea ; 
Clodamiro Larceo, che regna in Dola, 
Sospinse di sua mano a morte rea ; 
Teodorico il quarto uccise Aldero, 

Che del suo Matiscon tenea 1' impero. 

ex 

Che non pnò il fero Iberno al grave intoppo 
Della gente, che vien, fermare il piede ; 
Ma col valor gagliardo, e ’! poter zoppo 
Di passo in passo sospirando cede : 

Talor si sprona innanzi, e poi che '1 troppo 
Lo sforza intorno, alla sua strada riede ; 
Fin eh* all' estrema parte della torre, 

Senza oflesa sentir, pnò il passo porre. 

CXVII 

Nè pur di questi sol ma d'altri molli 
Di sangue popolar posero a terra. 

Ma delle cose ornai nasconde i volti 
L* oscura umida notte, e *1 giorno serra ; 
Già i gran duci d’ A varco al tutto sciolti 
Sou d' ogni speme (l’allungar la guerra; 
E già di ritirarse ordine danno. 

Ove possan curari' avuto affanno. 

CXf 

Poi calcando col piè la parte estrema. 
Quasi il voi prese a guisa di colombo, 

Ove J'argin di fnore il. fosso prema, 

Che periglioso avea latsarse a piombo : 
Tra i suoi •' accoglie, e con dolore e tema 
Di chi d* esso virino ndio il rimbombo ; 
Qual peregrin norchicr, ch'oda il flagello 
Delle pietre affocate in Moogibello. 

CX vili 

Ma il fero Segarano irato ed empio, 

Fria che d’ indi partir, gridando chiama : 
Fate inerti Britanni un sacro tempio 
Alla Notte immortai, che troppo v'ama; 

E la seconda volta d* allo scempio 
Ha scampata di voi 1' alma e la fama ; 

Se la fama scampar di quei si crede. 

Clic 'ntra gli argini e i fossi asconde il piede. 

cxn 

Nè più che in qnesti lochi in altra parie, 
Ne' due fianchi del campo, c nelle spalle 
Ha tregua o pace il sanguinoso Marte, 

Ma del medrsmo suono empie la ralle ; 
Ch' liba il fero Ostrogoto ha in giro sparlo 
Le genti sue, dove difende il calle 
11 chiaro Baadegamo, ed Agravcno, 

Verso ove ha il mezzo di tepido il seno. 

CXIX 

Cosi detto, sen va con gli altri insieme. 
Che d' aver tutto in man speran 1' alloro. 
Tosto che d‘ Oriente i liti preme 
Di Latona il figliuol eoi raggi d'oro; 

Dall' altre parie si sospira e geme 
Tra quei d Arturo, che i miglior di loro 
Veggion tutti impediti, e di quei bassi 
1 più morti, o feriti, e gli altri lassi. 

CXIIt 

Ma poco punte oprar, che la virlude 
Dei chiari difensor trovò più dura, 

Che '1 fabbro Sicilian 1' antica incode, 

In cui 1’ arine del ciel forma e procura ; 
E liotsan ver Boote, ove si chiude 
Fra lo stuol suo nelle terresti orari 
Con Pelioor, Lucano, ed Egrevallo, 
D’ivi entro penetrar tentato ha in fallo. 

cxx 

Muovesi ir buon Trìstan molto a pietade, 
E 1' Orrado famoso, e gli altri regi ; 

E die curati sien, cercan le strade. 
Promettendo a ciascuno onori e pregi : 

Ma più che in altro, in Galealto cade. 
Che fu il fior sol dei cavalieri egregi. 

La doglia del lor mal, che si convinse 
A madre, che ’1 figliuol ri irò ve in pene. 

CXIT 

Nè Gunebaldo al loco, ove si pone 
11 sol, che del re Franco aveva i figli, 
Con men furore il sacro gonfalone 
D' abbatter cerca degli aurati Gigli ; 

Che l'odio antico se lì aggiunge sprone 
Ai dispielalo cor di far vermigli 
Del regio sangue i campi ; ma il valore 
De' quattro giovinetti è via maggiore. 

CXXI 

E quanto tosto può, per via spedita 
Piangendo trova il figlio del re Bano, 

E gli dice : Signor, se mai gradila 
Fu da voi l'alma amica, non sia vano 
Il mio pregar, si che si doni aita 
Al re Britanno almen per la mia mano. 
Se '1 cielo al vostro core ancor non spira. 
Che debbiate posar lo sdegno e l’ ira. 

c IV 

Che quiuci e quindi son fra lor partiti. 
Come il vecchio Sicambro ordine diede, 

E si ben guarda ogni uomo i proprii liti, 
Ch'apprrssar non gli può nemico piede; 
Molti uccisi ne son molti feriti, 

Che fichiaman luulan la patria sede. 

De’ Burgundi miglior che t.hildcbcrlo 
Trapassato ha nel cor 1 empio AUbcrlo: 

CXXIt 

Non r’ accorgete voi, che più non puote 
Senza soccorso altrui reggere il pondo 
L’ afllilio stuol, cui le celesti ruote 
Di miserie hanno spinto al se zzo fondo ? 

E sì tosto che ’l sol domane scuote 
Il tenebroso vel dal fosco mondo. 

Or che gli argini e i valli son per terra. 
Sarà morto, o prigion subito in guerra. 


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338 




crani 

Ch'olirà i «luci miglior, come «aprir, 
Son Orili i guerrieri in maggior parte ; 
Infiniti varcar l' onda di Lelr, 

Non bene accolli dal favor di Marte ; 

Or «e di bene oprar mai fotte in tele, 

O te vi mosser mai lagrime «parte ; 

Siami concetto, e tenia farvi ofTeta, 

Gli’ a questo uopo maggior vada in difesa. 

CXXIV 

nitpondc Lanrilotto : Già in me «tesso 
D* aiutar pure Arturo area detire. 

Per non vederlo al fin del tntto oppresso 
All' ultima rovina pervenire. 

Ma sento nn late spron giungersi ad etto 
Dal pio vostro pregar, che tutte Tire 
Che m* avvampino il ten per giusta via, 

Il consiglio di voi spegner porria ; 

cxxv 

Ch'io non però di libiro leone 
Porto il cor dentro, e di pietà ru bello ; 
Ma, come il mondo sa, giusta ragione 
Mi mosse al farmi a lu! ritroso e fello. 

Or eh' è ridotto a tal, nulla ragione 
Mi può più mantener contrario a quello, 
Send' ei qui, sendo re, sendo cristiano, 

Eli io I' unico crede del re Bano. 

CXX VI 

Or scusa altro più dir, come 1' Aurora 
Spanda i suoi biondi crio nell' oriente, 
Menar potrete alla battaglia fnora 
Con la vostra miglior la nostra grnte ; 

E 'I mio corticr, che in ozio si dimora, 
Prender potrete poi, che più possente 
K più snello è del vostro, e più leggiero 
Da ritrarvi secnr d’ ogni sentiero. 

cxxvu 

E di più vestirete P armadnra, 

Che già più giorni sono in pace siede, 

Ch' ha di molle altre assai tempra più dura, 
Nè mrglio in noi che *n voi riposta assiede : 
lo mi resterò qui, prendendo rara 
Di quel, che 'I loro r la stagion richiede; 
K mi fi* a grado eli’ un ti largo onore 
Venga in voi, caro a me più che I mio core. 

ex svili 

Non fu già mai più lieto Galealto, 

E gli dice : Signor chiaro e gentile, 

Al buon vostro voler cortese ed alto 
Rendo grazie iufioite in atto umile; 

Ma perrhè spaventati dall assalto 
Restati confusi i duci e I popol vile, 

Mi par eh' io debba andar dove si trova 
Lu sconsolato re, con questa nuova. 


ex xix 

Lanrilotto risponde che gli aggrada : 
Cosi il pietoso re con ratto passo, 

Come che iu parte desiata vada, 

Giunge ove Arlnro sta dolente e lasso. 

Che ron Tristano e gli altri rerea strada 
Per la salale lor, di speme casso ; 

Ma si tosto che scorge ivi apparire 
Galealto tra* suoi, comincia a dire : 

rux 

Mandavi il cielo a noi per nostro bene, 
O sacro re dell’ isole lontane, 

Per fine imporne all' infinite pene, 

E le speranze far degli altri vane? 

E *| sangue pio delle britanne vene 
Sparso si largo già da sera a mane 
Non ha tale ornai sazio Lanrilotto, 

Ch* all’ averne mercè si sia condotto ? 

cxxxi 

Dine atlor Galealto : Io vengo a voi, 
Famosissimo re, per dirvi come 
Lancilotto ha commesse intere in noi 
Di quanto ei può dispor le chiare some; 
L'elmo, lo scudo, e gli altri arnesi suoi 
Vuol che mi preman gli omeri e le chiome ; 
E mi porli Nifonte il «no destriero, 

Più d' ogn’ altro che sia forte e leggiero. 

cxxxii 

E che qnanli ha gnerrier giunti co* miei 
Vengan meco animosi alla battaglia, 

Si ch* io possa provare i buoni e i rei, 

E Segnrano altero quanto vaglia ; 

Che non *1 sperando addiir qual io vorrei, 
Che per voi rivestiste e piastra e maglia, 
Il pregai che ciò fesse, e fa contento, 

E spieghe rem diman I* insegne al vento. 

CXXXIII 

Lieto piò eh* ancor mai l'alto Britanno 
Risponde: Adunque voi chiamar dovremo 
Sommo ristorator del nostro danno, 

E divin salvator del punto estremo; 

Di voi sempre figlino! •' appelleranno 
Quei che ’l spirto non hao del corpo scemo ; 
Ed io tra palme aurate e sacri allori 
Vi darò coutro a morte alti tesori. 

cxxxtv 

Qui finito ciascun che 'atomo odia. 

Con allegro sembiante il guarda e loda; 
Già n'è il campo ripieno in ogni via, 

Già par, eh’ ogu’ uom per la vittoria goda: 
Torna il buon re con larga compagnia, 
Ove il gran Lanrilotto indi si snoda 
Da tulli gli altri, e *n parte si riduce, 

Ove in posa atlrndeo la nuova luce. 


i 



yfloogle 


Digiti^ed bj 


I 


ARGOMENTO 

-to+e+c* 


/v invitte schiere alfin traggono fuure 
< introito rei il figlio del rr Unno, 

Onde ì nemici n' han si fier limare , 

( he i duci il irnian dissipare invano . 
Pugna da prode Calmilo, e muore 
Trafitto prr Ir. man di Srgurnrto, 

(he da Trislan poi vinto , privo resta 
Della salma del re lacera e pesta. 


C sopra il tutto poi prrmlelf cura 
Di ben seguire il nostro Galeallo; 

Nè da lui vi disgiunga orrida e dura 
Forza d’altrui nè di Fortuna assalto; 
Rimembrando, che d' onta aver paura 
Dee, non di morte acerba, il guerricr alto; 
E che sete appellati a ritrae fuora 
D'aspra miseria Arturo aU'allim' ora. 

vi 

Cosi detto e tornato al padiglione, 

Con le sue stesse man dal capo al piede 
L'arme sua tutta integra a torno pone 
Al dolce amico, e ne I' ha fatto erede ; 
li snol di ferro e 1' argentato sprone, 

Lo schinier sopra, e *1 coscial dopo asaiede; 
Indi il saldo braccia), poi che locato 
Alla gola ha l'acciaro, c ben serrato. 


lvon avea ancor la sposa di Titonc 
Imbiancato il sentiero al nnovo «ole; 

Ma il fido Galealto, a cui lo sprone 
D'onor l’alma pungea, già surger vuole; 
E con ardenti voci in opra pone 
I ministri miglior che in guerra cole ; 

('.Iti sveglia il buon vie-in, chi grida intorno 
di* all* orizzonte «mai s'appressa il giorno. 


La corazza incantala, dura e grave 
Troppo alle forre sur gli chioda iotornn ; 
Pongli poscia il plastron, come chi pavé. 
Che alcuno aspro colpir gli faccia scorno ; 
Al destro Iato poi con salda chiave 
Ripon la buffa, dove assiede adorno 
Lo spallaccio sì duro, che no *1 possa 
Piegar non che squarciare umana possa. 


Ma i primi suoi guerrier, nè quei che vanno 
Sotto l’ insegna pia del chiaro amico. 

Di stimolo all* andar mestier non hanno. 
Che sempre ebbero il cor d’ozio nemico; 
Or di caldo desio compunti vanno 
Di mostrar fuor che *1 gran valore antico 
Non sia spento anco in essi, e eh’ e' son tali 
Clic posson ristorar gli avuti mali. 


Cingeli poi la spada che Viviana 
La donzella del Lago e sua nutrire, 

Cinse a lui già, di tempera sovrana. 

Con l’ altre arme eh’ avea nel di felice, 
Ch* al Britanno terren non mostrò vana 
La sua virtù d' ogni altra vincitrice; 

Leve al sno braccio solo, agli altri appare 
Di soverchio pesante e senza pare. 


Già in piede «Laorilolto, e poste ha insieme 
Dello stool suo le candide bandiere, 

Che dieci furo: e 'n torno all' ali estreme 
Locate ha de* cavai le squadre altere ; 
Poco lontano a lor 1’ arena preme 
L' orlili medesmo delle folte schiere 
Che 'I buon re Galeallo seco avia, 

Che l' insegna ventesima compia. 

IV 

Va intorno Lancilotto, e ’l nome chiama 
De' suoi duri maggiori, e dice a tutti ; 

Chi di voi, dolci amici e fratei, brama 
Del nostro lungo amor rendere i frutti, 
Non faccia oggi fallir la chiara fama 
Clic 1 inumili empie di voi, gli amari lutti 
Vendicando degli altri, e l’empia sorte 
Di si gran cavalieri e di Boorle. 


La cotta marzial poi dove splende 
Il rosato color col bianco accolto, 

Dall' nmer manco per traverso stende. 

Si che ’l braccio miglior si truove sciolto; 
Il cui solo apparir da lunge rende 
Ogni avversario suo di ghiaccio avvolto ; 
Che del sangue nemico è aspersa tale 
Che l'argento alla porpora era eguale. 

x 

Vien poi ’l nobil drstrier, che candido era 
Qual pulito crmrllin, che in don gli diede 
D' Artur la realissima mogliera, 

I)' onor, di grazia e di bellezza erede, 
Allor che dei uemici prigioniera 
La trasse fuor delle famose prede ; 

Per memoria di cui sempre da poi 
L* ebbe in pregio maggior di tutti i suoi. 


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UT 

E quando veppiou poi le bianche insegne 
Ch' han le tre verge oscure a lira ver sa te, 
Par che ciascun in cor timido vrgne. 

Che l‘ ha più volle già viste e provate; 

E 1' ardente desio tosto si spegne 
D'assalir, come ier, le squadre armate; 

E 1* un I* altro tacendo in volto guarda 
E quanto puote aucora il piè ritarda; 

XXVI 

Si come il caccia tor eli' al vespro cinse 
Di tele intorno la spiuosa valle, 

Ch’ai mattin ritrovare io cor si finse 
Cervelte o damme nel serrato calle, 

E con securo andar leve »' accinse ; 
Quando in vece di lor dopo le spalle 
Sente il fero leon ruggire o I' orto 
Che gli fan ricangiar volere e corso. 

xxvit 

Ma il chiaro Seguran contrario pare, 
Qual si vede talora aspro molosso. 

Che per volpe o lepretta seguitare 
In gioco è del pastor di laccio scosso, 
Chc'n ver lupo o cinghiai, eh* a caso appare, 
Lassando 1' altre girne, il piede ha mosso 
Con più lieto desio, eh’ a sdegno avea, 
Quando fere vilissime offendea. 

xxnu 

Spingesi alquanto innanzi e'1 guardo affisa 
Si che’l biauco deslrier ch'ai mondo è noto, 
Che Ga quel che parca, per fermo avvisa, 
E che del suo signor non venga voto; 
Cangia il volto e '1 color nell' improvvisa 
Vista, come al soffiar d' acquoso Noto 
Suol cangiare il seren l’ umido aprile, 

Che raro usa tener l' islesso stile. 

XXIX 

Tremagli in seno il cor, trema la mano, 
Nè disecrne fra se che farcia o dica ; 

Non perdi’ ei tema il figlio del re Bano, 
E non gli sia con lui la guerra amica ; 
Ma in si gran novilade adopra invano, 
Che l’invitto valor se stesso intrica 
In quel primo arrivar, ma a poco a poco 
Il girl che dentro avra divenne foco. 

XXX 

E rivoluto a* suoi dicea : Signori, 

Or poss' io ringraziar del tutto Marte, 

Ch' a’ miei promessi e da me chiesti onori 
Non vuole oggi furarne alcuna parte. 

Poi eh' oltre 'I mio sperar conduce fuori 
Quell' amico guerricr di cui sou sparlc 
Già Unte glorie, c di mi il mondo estima 
Che '1 supremo valor Unga la urna. 

XXXI 

Ch'io conosco nel ver. che ben che in basso 
Fosse lutto il poter del gran Britanno, 
Fora il trionfo ancor di gloria casto 
Nè compilo di lui 1' estremo danno, 

Finché non era ancor battuto r lasso 
Lanciotto, con quei che con lui stanno ; 
Or scodo esso già fuor, l’ islesso punto 
Fa il nostro faticar nel sommo aggiunto. 


XXXII 

Moviam pure animosi alla battaglia. 
Cangiando ordine tosto, arme e disegni ; 

E con più grave acciaro e salda maglia 
Di possenti corsier prendiam sostegni, 

Che Ga miglior per noi eh’ altra muraglia 
Assalir di terreo, di rami e legni. 

Ove uu sol vai per mille ove la sorte 

I buon per man de' rei conduce a morie. 

XXXIII 

Cosi detto ogni duce e ravaliero 
Spoglia I' arme più levi e I’ altre piglia ; 
Ed ei fece il medesmo, e ’n su '1 destriero 
Monta ch'era alto c grosso a maraviglia, 
E senza alcun candor del tatto nero. 

Che gli die’ Radagazo, che ’n Siviglia 
Trnea l’ impero, il Vandalo onorato. 

Che ’n giovinetta età l'aveva amalo. 

xxxiv 

E *1 tenea Segoran cotanto caro. 

Che solo a guerre altere e perigliose 
E ’n contro a cavalier più d’ altro chiaro 
Qual tcnca Lancilotto, in opra pose ; 

Sovra il qual già condusse a Gne amaro 
Ginglante il forte, e fe* mirali il cose 
in quel tempo primicr che io Gallia venne, 
E d* Avarco il cadere in piè sostenne. 

XXXV 

Già col nobil cavai per ogni parte 
Va iutorno visitando i suoi guerrieri, 

E gli riscalda al gran furor di Marte, 
Dicendo : Or valorosi ardili e feri 
Esser convien e por tatto in disparte 

II neghittoso andar che faeest* ieri, 

E scguirme ov* io vada, che la luce 
Sarò del vostro onor, compagno e dace. 

xxxvi 

Poi gli rimette in quadro aggiunti insieme; 
Qual nel fermo ediGcio I' architetto 
In tra lor 1’ un con l'altro i sassi preme 
Per sostener più saldo il regio tetto ; 

Indi con gli altri suoi mostrando speme 
Più che fosse ancor mai nell’ alto aspetto. 
Sprona il destriero innanzi, a Palamede 
Ogni schiera lassando, eh' era a piede. 

XXXVII 

Fan I* islesso Tristano e Galealto, 

Ché l'esercito a piè resta a Gaveno, 

Ed ei co' lor cavai moovon 1' assalto 
Si che la polve oscura empieva il seno 
Non della valle pur, ma 1' aria in alto 
D' ogni Iure eh’ avea veniva meno; 

Che'l sol, che i raggi aurati spunta fuore. 
Non la può penetrar col suo splendore, 
xxxviu 

Sembrava a riguardar qual esser suole 
11 cicl, poi che '1 villan le biade accoglie. 
Ch'ai solchi affaticati e ai campi vuole 
Scartar pietoso le rimesse spoglie; 

Che 'I foco sveglia intorno, onde si duole 
Fuggendo il serpe nell' ascose soglie; 

E ’l fumo adombra tal, ch'ivi ha condotte 
Quante tenebre ha in seti I' oscura notte. 


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L AVARCHIDE 




mix 

Scontrasi insieme e’1 gran roroor ne snora 
Non men rhe quando Astrra cangia l'estate, 
Che Giove irato allor fulmina e tuona, 
Spaventando le menti scellerate ; 

£ sì grave è il colpir rhe al metto dona 
1/ una in ver I' altra delle squadre armate, 
Che ben fa cavalier di gran potere, 

Chi vivo o ’n so '1 deslrier si può tenere. 

IL 

Trova il re Galealto Licaone, 

Che german fu del fero Bostarino, 

Nel Norieo terreo nato d'Alcone, 

Che I* impero reggea di qnel ronfino: 

La lancia in merzo il cor dritta gli pone 
R ’l fa, lasso, cader sovra il cammino 
Fra la gente si stretta, che calcato 
Fu nel medesmo punto da ogni lato* 

ILI 

Nè sol batte costui che 'I colpo istesso 
Infimi sopra al quinto si distende} 

Alleo, Biante, Tarco, e Tresio appresso, 
Tutti nati ove l' Istro il corso prende ; 
Morti quei primi tre, 1* nllimo oppresso 
Nel petto si, che sovra l' erbe scende ; 

E gran ventura fn eh* ei trovò loco, 

Ove ’l popol ebe vien gli nocque poco. 

XLII 

Il famoso Tristan trova Arasmeno, 

Ch' alf aspra selva Ircinia era molesto, 
Della qnal con Drumen reggeva il freno, 
K*1 Borni irò sluol fea nudo e mesto» 
Gettalo in basso, e seco ;n su ’l terreno 
Cade chi virn compagno insino al sesto ; 
Mestor, Troilo, Amfio, Ciniro e Ormede, 
Ch' ove 1' alba esce fuori avean la sede. 

stili 

Ni il chiaro Seguran con meo furore 
Drlla schiera Britanna ha posti a morte 
Molli buon cavalier, che largo onore 
Avean dalla virtnde e dalla sorte ; 

Alio, Pritano, Entiehio ed Ipenore, 
Pandoro, e Laroonte il fero e forte 
Armorico goerrier, che di Tristano 
Era per rcal sangue prossimano. 

XI.IV 

Gli altri di Blomberisse e di Blanoro 
Nati nel lito Nenstrio eran parenti i 
E l'un sopra dell'altro ivi fra loro 
Miseramente van di vita spenti ; 

Nè il crudo Terrigano e Palamoro 
Nell' opra marzial suo pigri e lenti 
Che quegli il franco Androgeo, e Polilide, 
Questi Tissando, e ’l suo l imano uccide. 

xtv 

Cosi al primo incontrar delle battaglie 
Reslan tanti impiagati e tanti morti, 

A cui poco giovar piastre nè maglie, 

Né V esser valorosi, ardili e forti, 

Che pareano all' agosto aride paglie, 

(Tal tono insieme stranamente attorti) 

Che ’1 villan negligente sparse a terra, 

Poi che ’l frutto eh' avean nell’ arca serra. 


xlvi 

Pomi la mano al brando d' ogni lato 
Per qaei che serbò in piè sorte, o valore: 
Il buon re Galralto è ratto entrato, 

Ove il piò stretto stnol vede e maggiore. 
Che fu quel di Clodin eh' era restalo 
Più inverso il fiomicello, ove il furore 
Dell* assalto mortai non fu si grava, 
gì che 'I danno minor per ancor ave. 

xtvn 

Ma s' allor la Fortuna gli fu amica, 

Or d' un altro color gli mostra il volto, 
Che di sangue, di duol, di morte intrica 
Il possente guerriero ovunque è volto; 
Non sa il nuser Clodin, che farcia, o dica, 
Tal di nuovo timor si trova avvolto; 

Che quella esser credea l'invitta mano 
Dei figliuol valoroso del re Bano. 

xlvui 

E se fornito è ben di sommo ardire, 

E di somma virtude ha cinta I* alma. 

Gli fa il vederlo allor risovvenire 
Dell' avuta ne* suoi più d’ una palma ; 

E rhe male a tal uum può contra gire, 
Ch* è per gli omeri suoi soverchia salma ; 
Il medesmo fra sé ciascun dieta, 

Che *1 provato valor riconoscea. 


lux 

E con qnesto pensiero omnqoe giva 
Il sovran re dell' isole lontane 
La stretta schiera al suo spronar s' apriva, 
E nessun contro a lui saldo rimane. 

Ed egli or questo, or quel seguendo arriva. 
Come lepre Ile vili ardilo cane, 

E quanti vuole atterra, onde sovente 
Gran vergogua e pietade in cor oc sente, 
t 

Uccise il nobil Glauco, e '1 fer Dimone 
D* un fratei di Clodasso nati insieme; 
Diviso il primo iofin sopra I* arcione 
Dell' arnese ch’avea, la falda preme; 
Dell'altro il capo in su Carene pone, 

Che dal busto troncato spira e geme ; 
Abbatte dopo questi Agno c Molari lo 
Nel militare onor d'egregio vanto. 

LI 

Quel dei monti Lemeni avea l'impero 
Già del sangue illustrissimo d* Albino ; 
Questo di men ricchezze, ma più fero, 
di' al terreo comandava Limosino : 

Dopo loro Acamante e *1 saggio Oserò, 
Che del fatto che avvenne era indovino ; 

E fuggendo lontan sotto altrui spoglie. 

Fu ingannato da Alfca la cruda moglie: 

Lll 

Che quale ad Amfiarao fece Enfile, 

Al giovin re Clodin il discovrio; 

Nè a ciò la spinse aurato e bel monile, 

Ma d' illecito amor caldo desio; 

E così il giunse al suo più vago aprile, 
Come il miser temeva, il verno rio ; 

E quando al cor ferito a morte veuoe, 
Della sposa iufedcl gli risovvenne. 


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L AVARCH1DE 




un 

Va sfinendo il gran re, nè il corto amila, 
Che quanti aggiunger può di spirto priva: 
Qual lupa eh* ha i fi gli noi nella foretla, 
Contr’a gregge d' agnri eh* errando giva 
Senza cane o pastore in qnrlla e *n questa 
Verde campagna erbosa, o fresca riva ; 
Ch’ a numero sì grande il viver toglie, 

Che de* figli e di se sazia le voglie. 

u 

Perch’ al candido scudo il colpo muove, 
Dicendo : Or senta il fero Lanciotto 
Di Gaiindo il potere e Palle pruove, 

E come del ferir nell’arte è dotto: 

Che se P erba e P incanto uon gli giove 
Della Fata del Lago, oggi coadotto 
Sarà dal suo destino a quella morte. 
Ch’ha riservata in me l'amica sorte. 

UV 

Scorge appresso Nabon nomato il Fello, 
Che 'n Ira ’l fiume Sigmrno e la Garona 
Reggeva il firen del popolo rubello 
Alla sua antica Gallica rorona: 

Va iucontra a Ini come rapace augello, 
Cui sofferto digiuno al vespro sprona 
Sopra colomba candida che vede 
Che dai campi solcali al nido riede. 

LXI 

E ’n tai parole il fere, e la percossa 
Qual martel dall* ùmide indietro riede ; 
Nè il magnanimo re la spalla ha mussa 
Più che saldo troncon, cui Borea Piede ; 
Ma riversala in lui tolta soa possa 
Sopra l’alto eimier tal colpo dede. 

Che la fronte s' aperse in quella guisa 
Che pianta alpestre dalla scure incisa. 

ir 

Non fuggì T altro, che’l poter gli è tolto, 
Tanto a Ini già vicin venire il sente; 

Ma quanto può il più tosto s' è rivolto, 

E s' acconcia a battaglia arditamente. 
Galealto gli dona in mezzo il volto 
I)’ una punta mortai cosi possente. 

Che gli passa olirà dove al naso scende 
L* umor soverchio che la testa offende. 

LEU 

Cadde il fero guerrier col volto pieno 
D* atro sangue mischiato e di cervella, 

E con grave rumor batte il terreno. 
Abbandonando al fin P aarata sella ; 

E di se dispogliato il erodo seno 
Sen gio ratta a colui Palma rubella, 

A cui del nostro oprar ragion si rende, 
E dovuta mercè da lui si prrude. 

IVI 

Cosi morio Nailon senza vendetta 
Che non potè il meschino il brando oprare; 
Al cui duro cader la gente stretta 
Tosto comincia il varco a rallargare ; 

Ed ti per entro, qual leon, si getta, 

Ove aprrta talor la Riandrà appare 
Per follia del paslor, cui giovinetto 
Cora ardente d'amore ingombre il petto. 

(.sin 

Fugge nel soo cader la gente intorno 
CIP avea sperando in Ini fermato il passo ; 
Come quando il fatcon fere uno storno. 
Che poi latto il drappel si getta in basso 
E si nasconde ove Pia il bosco adorno 
Di folte spioe, al più serrato passo ; 

Poi senza oprare il volo addrizza il piede 
Alla più oscura, occulta e chiusa sede. 

t.VM 

E ’n fra lor poi facea si larga strada, 
Eh* a molti che ’l seguian donava loco; 

In guisa del villan che intento bada 
A riportar dal bosco il cibo al foco; 
Spinge il conio al Ironcnn che 'nuanzi vada 
Con la punta sottil, che a poco a poco 
Yien rallargando il resto e in egtial parte 
Il disegnato legno apre e diparte. 

LE1V 

Cosi quella al perir del sommo dace 
Si scorgra dileguar per corta strada, 

E tutta inverso Avarro si conduce, 

Nè la può fosso o rio tenere a bada : 

Ma il possente Clodin la fama induce 
Ove questi foggiano, in eoi la spada 
Opra poi che non vai prego o minaccia, 
A rivolger le spalle ov’ han la faccia. 

tvin 

Cotale avvenne allor di quelle schiere, 
Che penetrò il primier per esse solo, 

In fio che ’l suo drappel si può vedere 
Dopo lui misto tra ’l nemico stuolo ; 

Il quale spaventalo dal cadere 
Di tanti e lai guerrier, già fugge a volo; 
Nè il può saldo tener conforti o preghi. 
Ch’ai cominciato andare ornai non pieghi. 

t XV 

Nè molto sta fra lor che sopra giunge 
11 chiaro Galealto in quella parte ; 

Che ’nverso la vittoria il destrirr pusigc. 

In seno ardendo del fnror di Marte. 

Come il vide Clodin poco a lui lunge. 
Desio d' onore, e '1 dover proprio io parte 
Di girlo a rirontrar ratto lo spinge. 

Pur d'antico timor la fronte pinge. 

in 

Fassi avanti Galiodo il Tolosano, 

E per frenar i suoi si mette in opra ; 
Poi contr’a Galealto arma la mano, 

E quanto ha piu valore in esso adopra. 
Che infinito era pur, ma viene in vano, 
Che concesso non fu da rhi sta sopra 
Sì largo onore a lui di tanta palma, 

Ma spogliar ben di se la misera alma. 

LEVI 

E dice al del gnardando: O sommo Giove 
Se mai di larghi don ti fui cortese. 

Se il sacro nome tuo quinci cd altrove 
Il mio cor d'onorar mai sempre intese; 
Dammi quella virtù che da te piove 
In chi ferma di le fidanza prese, 

Che in nu colpo, in un'ora, mi permetta 
Di tali e tanti miei chiara vendetta. 


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uni 

Così tifilo, il destricr bramoso sprona, 

E la lancia die avea, ti reca a resta; 

Ma nel candititi srodo in basso dona 
Il colpo che drizzava allo alla lesta ; 

Il colle intorno e la campana suona, 

E veniva al nemico anco molesta. 

Se il legno era piò doro, ma fn tale, 

Che ’n mille brevi tronchi in aria sale. 

lxviii 

Cosi non gli giovò T aver vantaggio. 
Che ronlra il brando sol mosse la lancia. 
Nè al chiaro Galeallo oscurò raggio 
Dell' ardilo valor, ma il prende in ciancia, 
Dicendo: A voi roedesmo fate oltraggio, 

E ne dovreste aver rossa la guancia. 

Non a me, mi «ni 11’ aste insieme accolte 
Di mille pari a voi non sarian molle. 

t*|X 

E*n tai detti il ritrnova, che ritorna 
Già indietro col destriero a nuova guerra; 
Ivi l'ira e ’l furor alza le corna, 

E ’l desio dell’ onor gli stringe e serra ; 

Fa il primo Galealto che I' adorna 
Chioma del Pino aurato abbaile in terra. 
Che sovra il bei ciroier (.lodino avea, 
Perch' al regno paterno succedea. 

LXt 

Nè rimase ivi il colpo, che diirende, 

E con piò grave «non I' elmo percuote : 
No ’1 rompe già, ma si il nemico offende. 
Che gli sembra veder sorgenti ruote. 

Non s* arresta perciò, ma il brando stende 
Inverso Galealto, e quanto puote 
Gli spinge alla visiera una tal punta. 

Che con morte di lai veniva aggiunta. 

LISI 

Se non fora incantato il fido acciaro, 

E che doppio venia, dove ella colse; 

Pur il sentirne in se dolore amaro 
Per la fera percossa non gli tolse ; 

Ma qoal torbo Aqnilon che di gennaro 
Tatto il superilo fiato io sen raccolse 
Per affondar quel legno che varcare 
Vuoi mal grado di lui d’ Icaro il mare, 

usti 

Stringe ogni forza insieme Galealto 
E ’n verso il cavalier ratto s' avventa; 

E senza mai posar, mortale assalto 
Gli dà col brando, e quinci e quindi il tenta; 
Tanto eh' al quarto rolpo, che vien d' alto 
Pur su la fronte, ov’ha la voglia iuteula, 
In tal mudo il percuote che conviene 
Che raggia alfin sovra le trite arene, 

LZXIII 

Non già morto o ferito; ch'assai doro 
Fu l'elmo a sostener la cruda forza, 

Ma la vista ha ravvolta un velo oscuro. 
Che gli spirti vitali alquanto ammorza. 
Rovina appar d’ nu mal fondalo muro 
Luogo il fiume talor, che l’onda sforza 
Sormontando all’ autunno, e della valle 
Rimbomba al suo cader l’ erboso calle. 


LXXIV 

Giunse tardo al soccorso il pio Margondo, 
Che menò quei del lito Provenzale, 

Ove al Rodan piò largo e piò profondo 
Mischia Nettano in scn I' amaro sale ; 

E pensando in fra se che ad altro mondo 
Sia passalo Clodin, pietà 1‘ assale j 
E come fido amiro, a Galealto 
Muove intorno co’ suoi novello assalto, 

txxv 

Ma ’l magnanimo re tra lor si stringe, 
Come il fero leon tra i vili armenti, 

E con nuovo rossor la valle pioge 
Del largo sangue delle uccise genti : 

Poscia il fero Margoudo che s’ acringe 
In guerra ronlra a lui, non altrimenti 
Gli cacciò per le lempie il brando fero, 
di’ al cervo, che giacca, saetta arderò. 

Ulti 

Cadde egli ancora ; e quel della Vallea, 
Che Graredano il forte nominaro, 

Che nel mrdesmo loco impero avea. 

Ove in ver l’ oriente irriga il Varo, 
Cercando vendicar la sorte rea 
De’ compagni e signori, il fine amaro 
Di se stesso trovò di’ al primo intoppo 
Frale al disegno si conobbe, e zoppo. 

UUflI 

Perchè mentre al ferirlo s* apparecchia, 
Il maguanitno re già in rapo il fere, 

E ’l colpo rio fra 1' una e i’ altra orecchia 
Fino ai denti partito il fa cadere. 

L* altro s tuoi piò che mai I’ usanza veedùa 
Riprende del fuggir, né sostenere 
Il può freu di guerriero o d' altro duce. 
Ed in fin sotto Avarco si conduce. 

LXXVIil 

E 1’ no I* altro impedisce, e serra il passo, 
Come quando all’ agosto il ciel riversa 
Si larghe piogge, che correndo in basso 
L' un torrente cou 1' altro s‘ attraversa, 
Ch’ogni campagna, ogni arbore, ogni sasso, 
Ogni opera mortai resta sommersa | 

E di si gravi areoc hanno il mar carco, 
Che non pon ritrovar 1' usato varco. 

LXXIX 

E’1 forte Galealto ancora il segue, 

E già torca con lor le regie mura. 

Alle quai non vuol dar paci, uè tregue, 
Ma d espugnarle il di prenderla cura, 

Ch’ a lui non par eli’ al suo valor s’ adegue 
Cosa mortai, nè si rilruove dura 
Impresa couir' a lui, né 1 crede iuvano, 
Sc’l nemico fatai gli era lonlauo. 

LUI 

Ma il crudo Sepura n tosto che intende 
Di tanti e lai guerrier la morte acerba; 

E che quasi Clodio I’ anima rende 
Riversato e negletto sovra I’ erba ; 

Il corso ove ciò avvieu veloce stende, 

E ’n vista minacciosa, aspra e superba 
A quanti incontra dice: Ogni uoni mi mostri 
Ov'é’l bianco guerrier ch'uccide i nostri. 


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L AVÀRCHIDE 


35a 


Risponde Marabon della Rivierz, 

Che 'I cercava per (alto : Egli è virino 
Della porta d* Avarco, e quella spera 
Col fuoco aprir, se ciò vorrà il destino ; 
Ma temo senza voi 1’ estrema sera 
Veder del vecchio padre di C.lodino, 

Che con la figlia, lasso, e con lo sposa 
Di temenza e di duol non trova posa ; 

LXXXtt 

E por dice piangendo : Ove or si trova 
11 nostro Segnran ? la nostra speme ? 

Come esser può, eh* al qui venir no *1 muova 
Di noi lassi pietade, e del sno seme ? 

Ma forse il buon valor poco ne giova, 

Ch* oscura morte, o dora piaga il preme ; 
E *n tal timore e 'n tale angoscia oppresso, 
Ch* io vì debba cercar m' avea commesso. 

Lizzili 

Fecesi in vista e *n cor l'altero Iberno 
All* udir le pungenti e pie parole. 

Qual il fero mastio eh' al fosco verno 
Udio le gregge che si lagna r duole. 
Ch'ave il lupo vicin, che prende a srhrrno 
La guardia antica che salvar la suole. 

Che n rabbioso gridar ratto s* avventa, 
Ove chi spera in lui piange e paventa. 


lx zx viti 

Quando ciò ascolta il chiaro Galralto, 
Ben che pien di valor, si cangia alquaulo. 
Che sculto serba il cor in saldo smalto 
Quel di che Lancilotlo il pregò tanto ; 

Pur s* apparecchia al suo fatale assalto, 

E d'ogni altro desio spogliando il manto. 
Quanto più leve può torna al destriero 
Cantra il superbo Iberno cavalieri». 

LIZZI X 

E quali aspri leon, che ’ntorno stanno 
Alla comune lor già vinta preda. 

Che ’ncontra irati !’ uno e 1* altro vanno. 
Perchè 'I compagno a lui la parte ceda. 
Che per d'unghia o di morso estremo danno 
Alcun non è de’ doni che ’ndietro rieda ; 

In fin che ucciso I’ ono, il vincitore 
Del combattuto premia è possessore : 

zc 

Col medesmo furor gli alti guerrieri, 

E col medesmo fin dell' altrui morte, 
Spronan tutti animosi i lor destrieri. 

Ove gli sospinge* valore e sorte ; 

E furo ambi al colpir si gravi e fieri. 

Che non apparve beo, chi sia più forte ; 
Clic 1* ano e I' altro d* essi indietro scorse, 
E di a terra cader si mise in forse. 


E piò veloce assai, eh' a Pelio in fronte 
Il fulgore del ciel I* autunno cade. 

Il traportan le vaglie acerbe e pronte. 

Ove per lai trovar mostran le strade; 

Ma poi ch’ornai vicin I* egregie e conte 
Fattezze scerne, in cni I' altere e rade 
Virtù di Laneilotto esser si crede, 

Raffrena alquanto in se I* animo e *1 piede. 

LXXXV 

Qual arso viator che *n fretta corre, 

Leve il eolie varcando e la campagna, 

Ch* al fin pervegna ove al traverso scorre 
Profondo e largo rio, che ’nriga e bagna. 
Che si deve in un punto il passo accorre, 
E dal ratto pender l'alma scompagna; 

Poi dell' ultra passar I* arte e la guisa 
Con più tardo coosiglio in seno avvisa } 

I.XXXVI 

Tale al gran Segnrann allora avvenne, 
Quando il famoso re già presso scorge; 
Che mentre al suo volar 1' ali ritenne, 

Con più agate mirare il guardo porge; 

E vedendol ferir, per certo tenne 
O che ’l primo valor piu lento iusnrpe 
Cir ai non soleva, o eh' alcun altro indotto 
Sotto la forma sia di Laneilotto. 

LXXXVIt 

E riveste speranza, r n sen riprende 
L’ intermesso furor, l'ira e P ardire, 

E grida in allo snon, ch'ogn nom l'intende: 
Latriate il vile stimi irroro gire: 
Apprendasi a' miglior cui I' alma incende 
Della fama iinmorlil caldo desire ; 

Volga pure H suo brando a Segurano 
11 magnanimo erede del re liano. 


Ma il candido Nìfonte in un momento. 
Quasi ontoso fra se, vigor riprende; 

Né quel del negro non rimase spento. 

Che più che fosse mai ratto s' accende : 

E quale al minor dì rabbioso vento, 

Il passo questo a quel di nuovo stende ; 

E I buon re di Canana fu il primiero 
Che feri Seguran d' un colpo fero, 

zen 

Fero assai sopra I' elmo, ma non quale 
Si crrdea di sentir l'invitto iberno; 

Che già da Laneilotto n' ebbe tale. 

Che scender si pensò più giù d* A verno ; 
Ora a quel comparaggio il truova frale 
Sì, eh' ogni ano ferir quasi ave a scherno ; 
E nel medesmo loco il batte in guisa, 

Che la fronte gli avria rotta o divisa ; 

xeni 

Se non fora il fin elmo c 'I sacro incanto, 
A cui forza mortai non nocque mai; 

Non potè far che non piegasse alquanto, 

E non sentisse allor dogliosi guai ; 

Pur l'onore e 'I valor l'aiutò tanto. 

Che vie più che da prima ardito assai 
Alla sinistra spalla il ripercosse 
Si, che del loco suo lo scudo mosse : 
xav 

E non picciola piaga in essa stampa. 

Non tal pero, che l' impedisca moli» ; 

Ma il crudo cavalier che d'ira avvampa. 
Gli risospinge il brando a mezzo il voi tu; 
Ma la doppia visiera anco I» scampa; 

Pur cosi dritto a pieu gli venne rollo. 

Che se ben non l'impiaga, l'aspro peso 
Gli ha la fronte c I veder soperchio offéso. 


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l’ AVARO H IDE 


356 



ctx 

Qual tigre irata che ritrove il figlio 
Che 'n mezzo ai caccialor legato giace. 

Che di q oetto e di quel molle e vermiglio 
11 campo intorno furiando face ; 

Nè con r aguto morto, e con 1' artiglio 
Latta i crudi avvertati in tregua, o ’n pace 
Fin che quanti vi ton vcggia cadere, 

£ ’l dettalo pegno aggi* in potere ; 
ex 

Tal rArmorico re tembeava allora, 

E topra Seguran gii il corto atende, 

£ '1 truova tn '1 cavai mal fermo ancora, 

E da iraverto e d’ improvviso il prende. 

Si che ’l possente Eton non ben dimora 
Saldo al grand'orto, e ’n terra ti distende; 
E pria che tome in piè, Tritlan richiama 

I guenrier eli’ ivi avea di maggior fama. 

exi 

Che fn il re Galganete di Norgallo, 

E '1 gran re Sinadosso d' Estrangorre, 

E ’l re Rion, che nel parte Gallo 
Fn di sommo valor fondata torre ; 

E ci ateo n gii lattalo il tuo cavallo 
Al piò fido scndier, veloce corre, 

E ’l miscr Galealto accoglie in seno 
D’atro sangue e di polve intorno pieno. 

exit 

E d’ ogni guerra intanto gli assicura 
L’ alto guerriero, e ’n voce gli conforta : 
Non aggia in ti bell’opera paura 
Chi questo acuto brando ha per iscorU; 
Che pria mi spegnerà la morte oscura, 

Che del mio padiglion trovi la porta 
Sema il buon Galealto, te non vivo, 

Foi eh' ha voluto il etcì, di spirto privo. 

auii 

Che dir non posta il figlio del re Bano, 
Ch* abbandonalo sia pegno ti chiaro, 

Ove sia stato il fido suo Tristaoo 
Vie più di larghi onor, che d' anni avaro. 
Cosi dicendo, al fero Segurano 
Di sopra I* elmo ancor colpo *i amaro, 
Ch* ove sorger credea di nuovo in piede, 
Col sinistro ginocchio in terra Cede. 

exiv 

Ma in qnesto tempo gii son molto avanti 
Col doloroso peso i Ire gran regi, 

Ch’ han gii più duci e cavalieri erranti 
Ritrovati in cammin di nomi egregi; 

E gli fan compagnia con larghi pianti, 

E ricoperto 1' han d’ oleari fregi ; 

E 1 conducono al fin con sommo onore, 
Ove al campo svegliaro alto dolore, 
cxv 

E ’l famoso Tristan, poi che s’ accorge, 
Come in secura parte è Galealo, 

E vede eh’ animoso ornai risorge 

II fero Segnrano a nuovo assalto; 

E con Ini nuove schiere accolte scorge, 

Sì che ’n periglio vien gravoso ed alto 
Di rimaner ravvolto stanco e solo 
Da numeroso, fresco, c forte stuolo ; 




CXTI 

Ya cedendo alla fona a poco a poco, 
Sensa volger però gii mai le spalle ; 

E ritirando il piè di loco in loco 
Yiene, ove I’ Euro più slringea la valle ; 

Ivi teenro ornai si prende in gioco 
Il difender da lor 1' angusto calle, 

Che tra le liqnid’ onde c tra le schiere. 

Che conducea Gaven, si può vedere. 

ex VII 

Va dietro Segnran con torlo sguardo ; 
Qual lupo, che ’l montone avea predato. 
Che mentre schiva il cao, dal leve pardo 
L’ha sentito furar d'ascoso lato, 

Che *1 vorria racquisUr, ma il passo ha tardo 
Al soo veloce gir ; che *1 core irato 
Sfoga, seguendo] pnr con lento corso. 

Sopra i roghi e gli spini oprando il morso ; 

cxvni 

Tal era egli in quel ponto; e poi che vede. 
Come ogni disegnar gli torna vano, 

Il suo chiaro Brunoro, c Palamede 
Ritrova sa ’1 sentier poro lontano ; 

] quai tanto il pregir eh’ ei ferma il piede 
Sciolto di speme ornai d* aver Tristano, 
Dicendo: Assai faceste in questo asaalto. 
Poi eh’ Decideste il nobii Galealto. 

ex IX 

Poi seguitò Brnnoro : A me parrebbe. 
Quantunque il sole ancor sia in alta parte, 
Cbe *1 miglior richiamare ornai sarebbe 
Le genti intorno al guerreggiare sparte ; 
Che più li con ragion non si dovrebbe 
Oggi per noi tentar l' ira di Marte, 

Scndo i nostri gii stanchi ed ai nemici 
Quei, che sdegnali fur, tornali amici. 

cxx 

Voi potete veder nei nostri danni 
Del figliuol del re Bao 1* insegne chiare. 
Senza le quali ancor non brevi affanni 
Aveste', il vostro campo a conservare. 

Or tendo morto quel, coi già tanti anni 
Più che ‘1 cor proprio soo si vide amare. 
Non dobbiam noi pensar ch* alla vendetta 
Con generoso cor tosto si metta? 

ex XI 

E quantunque il valor, ch’io veggio in voi 
Non me» puuto di qoello essere stimi, 

Ei verrà intero e fresco, ed avrà noi 
Lassi e 'inpiagati negli assalti primi ; 

1 cavalieri erranti, e i sommi eroi 
Di sangue alteri e di virtù sublimi 
Uscir vedreste allor, che sol di lui 
Riconoscon l’ impero e non d’ altrui. 

cxxu 

E voi sapete ben, che questo giorno 
Per combattere il vallo uscimmo fuore. 

Nè pensammo in campagna avere intorno 
Delle schiere novelle aspro furore ; 

E se n* ha dato il ciel che danno e scorno 
Venne a’ nemici ed a noi largo onore, 
Sappiamlo mantenere a miglior uso. 

Ove il nostro ordinar sia meo confuso. 


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exxiti 

Tal dicera Brunoro ; e benché fosse 
Al fero Segurano aspro il consiglio, 

Il pregar pare, e la ragione il mnjie 
A non tentar de* suoi certo periglio. 


Coti arrestarci il corso ; e le me forte 
(Poi che Tolte nemico atta! vermiglio 
Ha fatto, e che da lui ne va lontano) 
Pattò il Britanno cacrcilo e Tristano. 



CA.INTO XXI 



ARGOMENTO 

/ generoso amico alla reale 
Te^da raccoglie Calmilo ucciso ; 

J*rr cui , tal ira e tal dolor f assale, 
Cibo non prende , da ciascun diviso. 

Cli appar f 'irtana, e usbergo a lui fatale 
Dona , e uno scudo da Merlino inciso ; 
Ove la sua prosapia appar scolpita 
Di somma gloria e di valor nudrita. 

•*«*•>**♦■ 


Or mentre questi e quelli in tale sialo 
Han l'uno stuolo, e l'altro ricondotto, 

Gii il re Rion securo era arrivato 
Col miser Galeallo a Laocilolio j 
A cui nessun narrar T acerbo fato 
Non •’ area per timor T animo indotto; 
Però, quel nuovo inaspettato danno. 

Piò doglioso gli apporla, e crudo alfaooo. 

II 

Il qual sempre restato era, dappoi 
Che 'I suo diletto amico era partito, 

Lungo l'albergo, che chiudeva i suoi, 
Fuor d’ ogni fosso io solitario lito ; 

Or quando scorge il re, con gli altri duoi, 
Ch' han gli occhi molli, e 'I volto sbigottito, 
£ ’n fra lor I* aspra soma hanno divisa, 
Cho sia quel, ch'era io ver, subito avvito. 

ut 

. £ gridò dì lontano: O signor miei, 

È quel eh' io scorgo qui, T eletto amico, 
Che mi renda infelici i giorni e rei, 

£ *1 viver (lasso) al mio voler nemico ? 
Deh come volentier toslo vorrei 
Pria che risposta aver di quel ch'io dieo; 
Ch* io so, che 'I rio destin mi pose al mondo 
Per oon lassarmi mai tempo giocondo. 


IV 

Risponde il re Rion : Chiaro Signore, 

A quanto piace al cielo a noi conviene 
Quetameote adattar l'animo e ‘I core, 

E tutto in grado aver, che da lui viene | 
Il gran re Galealto in sommo onore 
Ha del mondo schivate ornai le pene, 

E dell’alto motor, fattore e duce 
Gode lieto or lassù 1’ eterna luce. 

v 

E del possente e fero Segurano 
Dopo aver lui mostrala alta virtude, 
Ucciso fa dalla spietata mano. 

Che troppo gran valor per esso ehiode ; 

E ’l lassò al 6n so T arenoso piano. 

Con le membra reali tcarche e nude 
Dell' armi vostre iolino ad ora invitte» 

In mille parti gii chiamate e scritte. 

vi 

E se non era ancor la chiara aita 
Del famoso Tristan, che non fu parco 
Gii mai del sangue sno, d' altrui rapila 
Questa spoglia mortai fora in Avareo; 

Ma mentre in altro affar tenne impedita 
La schiera Iberna, doi pietoso incarto 
Di lui prendemmo, e con veloce piede 
Qui il conduciamo all* infelice sede. 

VII 

Poi eh’ ha detto così, del peto scosto 
Ha tè medetmo e gli altri, e posa in terra 
Il grave scodo allor di Sinadosso, 

Che’l miser Galeallo ascoso serra: 

Mentre eh' al discoprirlo era già mosso 
L'afflitto Laociiollo in coi fan guerra 
Tra loro Ira, pietà, sdegno, e furore, 

E di pari ciascun gli ingombra il core. 

via 

E poi eh’ egli ha la candida bandiera, 
Onde celato già, di sopra tolta, 

E T ha squarciata in vista orrida e fera, 
Le braccia intorno al caro collo avvolta: 
Indi con voce olirà i' usato altera 
In tal duro parlare al citi si volta: 

Deh perchè mi serbasti, invida sorte, 

Yivo a cosa veder peggior che morte ? 


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- 



L AVARCHIDE 


^3 


IX 

È quello il ben, f he aicnn predetto m'ire 
f.he da voi mi ver ria, crudeli ilrllc ? 
f.h’ oggi Hanno si amaro, acerbo, e prave 
Mostrate agli occhi miei spieiate < Ielle, 
l.he 1* incarco tcrren più nulla pive, 

XVI 

Peri vi prego nmil, per qoetln amore. 
Che si chiaro di lui vi scalda il seno, 
Che noi non ditdegniam rendere onore. 
Qual più si pnole, al earerr sno terreno ; 
Che sia ridotto al pristino candore 

Ch’ a sani brevi dcsir siate rubelle ; 

Dalla polve e dal sangue, ond egli 1 pieno 

Oie tanto in nn sol dì pii avete tolto. 

Da noi medrimi, e nessun altro sia 

Che uoo vi resta ornai da torgli molto. 

j n tale ufficio indegna compagaia. 

X 

xvsC 

Ma se de' miei dolor foste si vaglie 

Poi ch’ha finito, il nobil Sinadosso 

Perché almen onn volgeste in queste membra 

Per preghiera drgli altri a lui risponde : 

L* armi nemiche e le ntedetme piaghe, 

Quanto poo questi duci, e quanto in posso. 

E '1 fin, ch'ogni mortale in uno assembra? 

Al dover vostro e nostro corrisponde. 

Deh come del suo mal talor presaghe 
Sun nostre menti, oimr, che mi rimembra, 


Con ricche urne dorate, ove eoo Tonde 

Che all' apparir dell' Alba mi desiai 

Bagna d' Euro il niseel T erbose rive. 

Tulio tremante di futuri guai. 

Del lungo guerreggiar già fatte schive. 

XI 

XVIII 

E tu. Spirto reai, eh' or sei nel cielo, 

E dove più profonda e ehiara appare. 

E che del mio dolor forse hai pietade, 

E mrn rotta da' farri e da’ destrieri. 

Non li sovvirn ron che fraterno zelo 

Cerca intento ciascun la sua colmare 

Del guardarli d' altrui mostrai le strade ? 

Di quelli illustri e rari cavalieri; 

Dicendo: Ahi lasso, e sotto ascoso velo, 

Indi a vedergli carchi ritornare 

Per uoo ode oiler lue virtù si rade, 

Ingombravan le vie gli altri guerrieri. 

Che dovessi schivar la cruda mano 

Che npieo di lugubre maraviglia 

Del fatale avversario Scgurano ? 

Alzano inverso il ciel Tumide ciglia. 

XII 

XIX 

Ma il troppo too valor, la troppa allena 

Poi giunti al padiglion, fra terra e sassi, 

Del magnanimo cor t' indusse a questo. 

Pur di lor propria man fan riero il foco 

Per furarmi dal mundo ogni dolcezza. 

Di tronchi e (rondi che in veloci passi 

E per lassarmi a me gravoso e mesto ; 

Hanno arcuiti vlcin d' intorno al foco. 

Ma con qoel cor, che sol piacerti apprezza, 

Pendente in mezzo ov' ampio vaso stasai, 

Ti promell'io, s' al del non Ga molesto. 

In cui givan versando a poro a poco 

Che lo potrai veder ron chiara sorte 

Tra mille erbe odorifere e «aerale 

Larga di te veodetla o di me morte. 

L' arque dal picciol fiume ivi portale. 

XIII 

XX 

Che nessun posta dir, che Lancilollo, 

Al qual d’ alto romor fremendo in gir» 

Dopo il crudo partir di Galealtn, 

Fan le montanti fiamme orrida guerra. 

Non aggia, o il percussore, o sé condotto 

Mentre s’ode lontano alti sospiri 

Sotto aspro incareo di marmoreo smallo; 

Muover T onda crollante, eh’ ei ri serra ; 

Che '1 Gl saldar che dalla Parca è rotto, 

In fin rhe'n freddo loro si ritiri. 

Sol si conviene a ehi ne scorge d' alto ; 

Vuol Lancilollo, e si ripose io terra. 

Che oel perder gli amici a noi promette 

Tanto, che '1 suo calor termine prenda. 

Solo i piaoli, le lodi e le vendette. 

Che la man di eh* ’J tocca poco offenda. 

XIV 

XXI 

Il pianto avrai, ma non dagli occhi miei, 

Poi sopra mensa aarala collocate 

Ch' al generoso spirto si disdice ; 

Le membra quasi incognite • chi vede. 

Ma da chi scorger! gli acerbi e rei 

Fur le spietate piaghe pria lavate. 

Casi del popol suo morto e 'nfelice ; 

Indi il corpo rral dal sommo al piede ; 

Le lodi altri ned' io donar potrei 

Si eh’ all' esser di prima ornai tornate 

Simili a quelle ognor, che canta e dice 

Le fattezze divine, eh' eran sede 

Delle bell' opre lue l'alta memoria, 

D'ogni virtù immorlal, ai dimostrar». 

Ch’ ovunque cinge il mare empie di gloria. 

Come fouer giammai nel viver chiaro. 

XV 

TX II 

Poi eh'alqoanto é sfogato, intorno chiama 

Non potè fare allnr T invitto amiro. 

Sinadosso, Galnese, e '1 re Rione, 

Che con prave sospir non gli parlasse x 

Diceodo : A cavalirr di tanta fama, 

Ov’rra, allo mio re, l'amore antico. 

Cui soggiaea si larga ragione, 

Ch’ a me sempre seguir fra ooi vi trasse. 

Per chi perfettamente il cole ed ama, 

Che dal nostro romane aspro nemico 

E del tutto adempir sua cura pone, 

Almeno a mia cagion non vi ritrasse. 

Non si dee di ministro adoprar usano, 
Che di sangue e virtù oon sia sovrano. 

Dicendo : Or fieno in me scolpile e fisso 
Quelle estreme parole eh* ei oc disse ? 


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l’ AVÀRCHIDE 


xnif 

Hi dove n« tene* 1* ifpri mia aorte 
Clic qual sempre solfa non v* era a lato? 
Ch’ a mille Seguran dava io la «norie 
Pria eKe lasso vedervi in tale stalo ; 

O che le mie giornale cran si corte 
Come a voi 1' ordinò l’acerbo Calo, 

Si che l' officio diremo, eh* or fo a voi 
Il faceva allea snaoo ad ambe duoi. 

XXX 

E luogo il rio dell' arenoso lito 
Duro seggio si feo pensoso e solo; 

Ed or prigioo »’ immagina, or ferito 
Per le sue man tra '! suo gradito stnolo 
Il forte Srgoran, nò sbigottito 
(Brnchò gli doni al cor travaglio e duolo) 
L* ha <1 ritrovane allor quell’ arme lolle, 
Che trionfare il feeer mille volte; 

XXIV 

Cosi lasso dicendo, intorno intorno 
L* abbraccia, e siringe a se la chiara fronte; 
Indi con vel di bei «ripunti adorno 
Per onorale man nobili c conle. 

Che gli fu dalo in quel felice giorno, 
Ch'egli abballò le forze al nuocer pronte 
Del frro Annido, che la bionda Isotta 
Sotto il «no crudo impero avea condotta; 

xxzi 

Che a* ei fosse mestier l' andare ignudo, 
Per vendetta cotale aoro il faria, 

Che *1 suo più fino acciaro e ’l forte scodo 
Era l' invitto ardir, che 'n seoo avia ; 

Ma rampognando il sol, 1' appella crudo, 
Che si tosto coir’ al mar tuffalo fu; 

E gli par else 1' indugio d’ una notte 
Tulle le sue speranze aggia interrotte. 

XXV 

Che fra mill’ altri don gli fo cortese 
Di questo, eh’ ei vorrebbe a più lieta opra 
Aver servato, in cui lutto il paese 
DrH'Armoriro regno pinse sopra; 

Come hao orli' Orean le krarcia stese. 

Le quali or lassi nude, or tutte coopra, 
Seroodo il vario corto ch'ave ia ciclo 
La sorella di quel che nacque in Del*. 

XXXII 

E mentre d’ ano in altro aspro pensiero 
Il dolore e *1 furor la mente guida, 

Scorge vicino il piè sopra il sentiero 
Drlls Notricc sus famosa e fida. 

Questa è la soa Viviana, a coi leggiero 
Fu ’l vedere il cordoglio che s’annida 
1 Nell’ alma invitta, e che d’ altrui sien prede 
L'arme ioeaotale prie, ch'ella gli diede; 

XXVI 

Con qnel donqoe 1' asciuga, e poro e netto 
D’ ogni sangne e di polve lutto il rende; 
Poi Ira le piume stese in aureo letto 
Sovra fino ostro, e seta esso distende ; 

L' asconde appresso dal mortale aspetto 
Da tappeto ricchissimo, che pende 
Da ciaaeon lato, in coi varia riluco 
E di gemme e di perle oliera luce; 

xxxnt 

Che io tollerilo core avea provvisto 
DÌ quanto oopo facca oel gran bisogno s 
Cosi dove sedira pensoso e tristo, 

Quasi immagine appar, che venga in sogno; 
F. ’o vnltu amaro, e di dolrezxa misto 
Comincia : O figlino! mio, cui solo agogno 
Veder sovra t mortai lieto c contento. 
Qual ts affligge di nuovo aspro tormento ? 

xxvn 

Li dove il del pareva, e le toe stelle 
Ben distinte fra loro ad una ad una. 
Poco men die le vere ardeoti e belle. 
Quando più scarta aia la notte bruna; 
Ma qoal regina poi tra tutte quelle 
Di candidi adamaoli era la luna 
Cinta il volto divio, che 'utero mostra 
Al pio germano, ed alla vista nostra. 

XXXIV 

A cui rivolto il figlio del re Bano 
Risponde: or noo sapete alma autrice. 
Come il brando rrudel di Segurano 
Fosse al mio Galeallo agro e *n felice ? 

Ed a me mollo più ch’ogni altro invano 
Accidente mortai chiaro e felice 
Per mio restauro può venirmi ornai. 

Ch’io non spero altro più, che tragger guai. 

xxvm 

Questa una fo dell' onorate prede 
Di Laneilotlo gii infinite allora, 

Ch’ a forza vincitor l'ardito piede' 

Pose in Benicco, e ne ritrasse fuara 
La vaga donna d' ogni grazia erede, 

Di cui chiara beiti larga dimora, 

La vaga Claudiana, che poi volse 
Rendere al padre, c premio non oa tolse: 

XXXV 

Ma ben bramo dal ciel per somma grazia 
Che innanzi ai mio morir, cb* è (unge poco, 
Mi faccia don eh' io renda 1’ alma sazia 
Di sna larga vendetta io questo loco; 

A fio eh' or chi ne strugge e ehi ne strazia 
Noa molto il nostro mal si prenda io gioco; 
E eba ‘1 mio dolce amico intenda scorto. 
Che qual vivo l'amai, l'ami anco morto. 

xxtx 

La qoal dii poi Clodasso per i sposa 
Al fero Segnrsno, onde alfio nacque 
Dell' iuvido Gavao la lite odiosa, 

Cha io altrui mio vederla gli dispiacque. 
Or poi che dalla veste preziosa 
Il mi ter Galcallo occulto giacque, 

Del dolore incredibile condotto 
Gio dagli altri ia disparte Laociiolto. 

XXXVI 

Dogliomi io beo, che delle fatali arma, 
Che mi vrnoer da voi, diletta madre, 

Non potrò, lasso, nell’ aurora armarme, 

E scorta averle all' opere leggiadre ; 

Ma fia else può, che non potei vie tarme. 
Se non solo il voler del sommo padre. 
Contro il qual nulla poosse, eh' io non vada 
Nodo e di vetro ancor porti la spada» 


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uxvn 

Ch'aitai mi baila il cor,*ch’io porlo io leoo, 
E 1’ onore e I* amor di Galeallo, 

Che tanto poo, ch’io non gli apprezzo meno, 
Ch’ arme incantate, al periglioio malto ; 

E te por ne morrò, sovra 'I terreno 
Accolta fia dal ino fattore io alto 
Qaeil’ alma afflitta con perpetua lode. 

Tra *1 chiaro ituol eh’ eternamente gode, 
zumi 

Tal dicea Lancilotto, a coi riipoM 
La nobil donna del famoio Lago: 

Il grave duol delle avvenute cote 
Vi fa di lamentar aoverchio vago; 

Nè ben cooviene a menti gloriole 
D* alcun futuro mal 1’ eiier preiago ; 

Ma il panato toffrir coltante e forte. 
Sperando all’ avvenir più amica aorte, 
xxx» 

Nè temer gii dovreite ov’ io mi trove, 
Che vi maocauer mai V arme pregiate, 

Nè per voitra aalute aite nuove, 

Onde al aommo d’ onor aalir poniate ; 

Che com'io intesi riofelici prove 
Di Galeallo, e come rollavate 
Del ferro privo, ood* io vi feci adorno, 
Quando varcaate il mar nel primo giorno. 


Coli dicendo allora il gran profeta 
Il deiiato don mi poie io mauo ; 

Ed io quanto eaier paone di ciò lieta, 
Grazie gli reodo con lembiaote umano | 

E volando ove I’ aria è più quieta, 

E ’l aereo dalle nubi più lontaoo. 

Quale il fulgore ardente in bario cade, 

Ho regnalo al venir 1’ altere ilrade. 

XLV 

E per qua ot’ io v' appresso, e per ino nome 
Coo tutto il mio deiir grazia vi chieggio. 
Che del panato ornai le dure lume 
Scarcar vi piaccia, e non temer di peggio; 
Che »e bea pria che'mbianchin quelle chiome. 
Il vostro ultimo Gn venuto veggio, 

Sari con tale ooor quel breve tempo, 

Ch* aliai dolce vi fia partir per tempo. 

XLVl 

Ma le voleile voi rotando in pace. 
Dentro al patrio terreo menar la vita, 
Trapanar li porria quel che vi face 
Di quoti anni la via corta e spedila ; 

Ma cercaodo d’ onor l’ accesa face. 

Come il vostro valore ogoor v’ invita. 

Me lasserete c i vostri in larga doglie. 
Richiamando di voi la sciolta spoglia. 


Tosto all* osenra tomba, dov’ io legno 
L’tocaolator Merlino a me soggetto. 
N'andai pregaodo che voi fesse degno 
D* altro acciar rivestire, e più perfetto ; 

Ed ei eh' aneor per me soggiace al regno 
Cieco d’ Amor, col più benigno aspetto 
Che facesse ancor mai, mi dine : Donoa, 
Che sete n* miei peosicr ferma colonna ; 

XLl 

Egli è gran tempo ornai che le mie carte, 
E gli spirti migliar, che meco stanno, 

Mi moslraro, e narraro s parte a parte 
Il presente di voi caduto danno ; 

Pereh' io fei fabbricar eoa divina arte 
Arme celesti, che virlode avranno 
Sopra quante mai foro, e dì beltade 
Non vide a loro eguali alcuna clade. 

xtn 

E nel nobile scudo fei scolpire 
Di Lancilotto poi la larga prole, 

Che dee di tempo in tempo riuscire 
Alta e famosa, ovooqoe allume il sole, 
Pereh* ei possa per lor gli sdegni e Tire 
Temprar mirando, e ciò che pesa e duole 
Far leve e lieto, e *1 mal presente oscuro 
Richiamar con l' ooor ne’ suoi futuro. 


Cosi diceva, e *1 fero Lancilotto 
Risponde s Assai mi 6a, madre pietosa, 
Che’l cielo iofino e qui m’aggia condotto, 
S* io posto vendicar la morte odiosa 
Del caro amico; e poi mi spiaga sotto 
Li, dove ogni mortai perpetuo posa ; 

E di vita aggia uà’ ora questa salma. 

Pur che viva in ooor poi sempre I' alone. 

xi viti 

Qui si tacque egli, ed ella oltra seguendo 
Gli dice : Poi eh' a voi questo ooo piace. 
Col voler di lassuso in grado il prendo 
Presta al lutto soffrir col core io pace ; 

E ’l ferro invitto in poter vostro reodo, 
Che fia al chiaro desir guida verace. 

E cosi ragionando stende a terra 
L* arme, coi siroil mai non scese in guerra. 

Xk» 

Quando venne al buon duce lo splendore 
A percuoter la vista che I' abbaglia. 

Senti lauta dolcezza il tristo core, 

Che in estrema allegrezza se ne saglia ; 

E più raccresce in lui I' ardente amore 
Di tosto ritrovane alla battaglia; 

E tutte ad una ad una in man si presu 
Le parti altere del celeste arnese. 


Or le prendete adunque, e dite a lo», 
Che noa gli può mancar chiara vendetta; 
Che fia colai ch'ogni alla gloria altrui 
S* adirò al par di lei bassa e negletta, 

E si conforti io contemplar de' sui 
La regia stirpe, dalle stelle eletta 
Per alzar eoo la spada e col consiglio 
Al quioto e sesto ciel I’ aurato giglio. 


Guarda Telmo onorato, ore il cimiero 
D* una crinita stella ardea d’ intorno 
Di bel piropo, eh’ aranzava il vero. 

Quando il ciel più seren si mostra adonto, 
Allor che minacciar proviocìa o impero 
Di daouo iolcndc, o di novello scorno ; 
Che *1 popol tra temenza e meraviglio 
Alza devoto al ciel T umide csgUe. 


L* AVÀRCHIDE 

u 

I#» pelante corazza appretto prende, 
Che di finiiifm' oro ha largo fregio, 

In mi davanti un ani Incido prende 
Di fiamme avvolto di colore egregio; 

E i raggi ardenti d' ogni intorno ateodn 
Tra carbonchi e topazi d* alto pregio, 

E ti vaghi al mirar, che mostran bene, 
Che da divin martel tal opra viene. 

LVM 

Alt» apparii ’l magnanimo Roberto, 
Che del famoso Angiero scettro avea. 
In arme, io senno ed in valore esperto 
Si, che i crudi vicin a f reo tenea, 

E *1 popoi lasso, e de* suoi beni incerto 
Col medeimo sno sangue difendei ; 

Che liberando quel d* acerba sorte. 
Trionfò de* Normanni eoa sua morte. 

ili 

Tolte T altre arme po», che ton difeta 
Delle braccia e del retto infino al piede, 
Con mente allegra e di dolcezza acceia 
(Qual detiato don) maneggia e vede, 

E P apprezza colai, che non gli pela 
f.h’ or tia dell* altre Segorano erede ; 

Che tanto a quelle ton le prime eguali, 
Quanto ton le terrene alle immortali. 

LI! 

Indi il mìnor Ruberto d'esio usciva. 
Che regnò tra ’l Pireoe e la Garona, 

E *1 saggio Otinn, che per boutade schira 
Dell* onorata Gallia la corona ; 

Ma non già quel, che la quieta oliva. 
Per acquistar cipresso, n’ abbandona; 

Che mantenendo il pria gustato onore, 
Luogo il fertil Setson tra Tarme muore. 

Liti 

Potcia il brando telette in mano ha preto, 
E del foder gemmato ha tratto Cuore; 
Truoval di tempra tal, che mal difeto 
Ogni incanto taria dal tao furore ; 

Né di lai ti tpaveota al grave pelo, 

Coi non men convenia che ’l tuo valore { 
E già vorria vicin, eom* ha lontano, 

Il crudele avvertano Segurano. 

LI 

Di coi giovin rimato il grande Ugont 
Contea i nemici sooi fu ardente foco ; 

Ch’ ora al Gallico re temenza pone 
Dispogliando! talor di piò d* on loco; 

Or gastigando il rio cognato Olone, 

Che ’l legame del sangue stimò poco, 
Quando al Neoslrio terreo la chiara Sena 
Feo del sangue Germao vermiglia e piena. 

LTV 

Il doro scodo al fio ponente a gTeve 
Con ardente desio leva da terra, 

Com* un altro faria la scorza leve 
D* arido taleio, eh* Aquilone atterra ; 

In eoi di fino acciar cerchio non breve 
Cinque scorze durissime riterrà ; 

Le quai regger porri eo eontra le prove 
Delle folgori asprissime di Giove. 

i» 

Di costui nato poscia Ugo il secondo, 
Che ’l popoi per onor Capeto appella, 
Ch'ebbe il destia più amico e piò giocondo, 
E piò cortese in del ciascuna stella, 

Lì si vedea, eh’ all* affannato mondo 
Riportava T età fiorila e beila, 

Levando i gigli d'or negletti e bassi, 
Colpa de’ suoi rellor di virtù cassi, 

LV f . 

Dentro d* argento e d’or tolte coverte 
Eran le ornate pelli, onde a* appende 
Al collo, o '1 braccio, dove a gurrre incerte 
Di lancia o spada il cavaliero intende, 
Con fermissimi chiodi in etto inserte, 

E di ciatcun de* qnai la fronte splende 
Di rabin, di diamanti e di zaffiri 
De abbagliare il veder di chi gli miri. 

UH» 

Degenerato essendo il divia seme 
Del glorioso erede di Pipino 
Dopo il volger duo secoli, e che preme 
Coo loro il terzo al mezzo suo cammino. 
E quale al freddo del nell’ ore streme 
Porla dolce restauro nel mattino 
Il risorgente sol ; non punto meno 
Vena' ei bramalo al Gallico terreno. 

LTt 

Di fuor torre P acciar commessa d’ oro 
Guarda la stirpe so* 1* altero duce, 
Distesa intorno in ti sotti! lavoro. 

Che bisogna al mirar del tol la luce. 

Ivi ton quei miglior, che primi foro, 

I quai virtote invitta riconduce 
Alla insegna reai del giglio aurato, 

Per difetto d’ altrui già ia batto stato. 

LXIlf 

Ma perché rare volte, o mai non viene, 
Che sia in ciascun mortale il veder sano, 
Ivi era scollo, come a lui conviene 
Muover eontra i piarci l’arme e la mano; 
Abbatte il Lotteringo, e ’o vita il tenne 
Con la sposa e i figlino! cortese e piano; 
Poi tea *1 popoi miglior di lui contento 
Prende il reale scettro, e ’l sacro unguento. 

LT»i 

Ivi tcorgea ne* suoi gli eterni onori, 

E le chiare opre loro al mondo sole: 

Nè pure io Gallia i guadagnati allori, 

Ma i Germani anco ove mcn scalda il sole. 
Congiunta cu* piò illustri imperadori 
Di tempo in tempo la felice prole; 

Ma poi eh* al regno Sassone discese, 
Ritornò io Gallia al suo natio paese. 

. — 

Z.MV 

Poi nell* anno secondo fa il figliuolo 
Ruberto coronar (lai vivo ancora) 

Per far lieto di quel T amico stuolo, 

Che ’o gelosa temenza ne dimora; 

Questi il sommo fattor dell'alto polo 
Con si devoto cor mai sempre adora, 
Ch* al buon popnl ledei fu vero esempio 
Di coltivar di Dio l’eletto tempio. 


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L AVARO II IDE 


3C8 



UT 

Dopo colini venia chi 'I chiaro nome 
Tra *1 legnaggin rral primiero porla, 

Ch’ oppi totlicn ti* onur famoic tome. 

Ed a ehi (pira al cicl ai mmlra teoria ; 

Fn quelli Enrico, che le forse ha dome 
Al normanno drappel, ch'alia via Iurta 
Traile la ipada indarno, e cime I' elmo 
Coolra il duce illuiUiiaimo Guglielmo. 

Ufi 

Del medetmo irpnir gli alti vestigi 
(Giunta alla forte lor la virtù vrra) 

Gli onorali Filippi, e i gran Luigi 
Fotran vederle in gloriola ichiera. 

L'un dopo l'altro, in cui gli otruri Sligi 
Non polero adombrar la fama altera, 

('urne roder del tempo i crudi tarli 
Non poterò il valor dei quattro Carli* 

uni 

Lì li irrrne io Valete, e io Orlitnie 
Il laero arbor reai con tornino onore 
1 rami avere e le toc fmndi cliente. 

Poi ridnrerle in ti co» chiaro amore ; 
Quelle in Filippo il aetlimo che tpente 
Più d’ una volta I' anglico furore, 

Quote in Luigi I* ultimo, eh' a freno 
Tenne primier 1' iuiubricu terreno | 

(.sviti 

Dei buon duci del qual inoltrava uteire 
La famnta ava tua, qual certa erede ; 

E ehi a gran torto gliel volea disdire 
Menar pngion Ira le famote prede ; 

E più volte calcar con mollo ardire 
L' Alpi nevose altissime ti vede. 

Or cnnlra il chiaro Veneto, or per torre 
Le discordie a Liguria, e 'n pace accorre. 

mix 

Di sacra maestà la fronte cinta. 

Si vedea dopo lui giungere al regno 
Il gran genero tuo, quel, che !' estinta 
Bontà ridusse al pria lassato segno ; 

Quel, ch'ogni altra virtù, già in terra accinta 
Per foggirse da noi per giusto sdegno, 

Con le bell' opre tue quaggiù ritenne, 

E lieta c felicissima mantenne. 

UI 

11 celeste Francesco era rotini. 

Che del nome onorato fu il primiero, 
Come il primiero ancora appar de* sui 
Di valor, di bontà, d'animo altero} 

Ivi il saggio Merlino avea di Ini 
Più che d* ogni altro bel piolo l'impero; 
F. di più dotta man più bei colori 
Adombravano iv' entro i rari onori. 

LXXl 

Vivo ancor l'alto suocero apparia 
Scacciar sovente le nemiche squadre ; 

E mentre la tua vece sostenta, 

Fare in consìglio e io arme opre leggiadre; 
Né por la gioventù eh* allur fioria, 

Ma l’età ferma ed ogni antico padre 
Net senno e nel valor di sì bell’alma 
Del ino verde sperar locò la salma. 



LIMI 

Giunta poi la tlagiooe ove il eie! volse 
(Poi eli* al quarto suo lustro era il natale) 
Porlo al gallico impero, e ’u man gli accolse 
Degli indorali fior l’asta reale: 

Il magnanimo re l’arme s’ avvolse, 

E del chiaro derio spiegando l’ale. 

Per non lassar de* suoi I* antica forma. 

Nell* italico seno stampò i' orma. 

LXtlU 

Li si scorgea per lui I’ Elvezio invitto 
Giudicato dal muodo infino allora 
Con le dure falange essere afflitto, 

E di vita e d’ mior privo in un' ora ; 

Che difendendo il mal negato drillo 
Di chi Eridan, Tesino, ed Adda irrora, 

L’ altrui gran torto e 'I suo voler superbo 
Eliber qual con venia lor fine acerbo. 

Lxxnr 

E ’l famoso Francesco io arme fero. 
Come in pace a' miglior soave c piano. 

Di Marte esercitando il sommo impero. 
Ben mostrava d'ogni altro esser sovrano; 
Ch'or questo tuo stancando,or quel destriern. 
Or avea ’l pia da lunge, or prostimano. 

Or d’nna trhiera.or d'altra, or prima, or dopo. 
Come al bel gocrreggiar veniva ad uupo. 

UlT 

Nè appresto il faticar di quanto é *1 giorno. 
Si rivedrà la notte essere in posa ; 

Ma col ferro reai tra suoi d* intorno 
Non rumo oprar nella stagione ombrosa ; 
Fin eli* al secondo sol di raggi adorno 
Colse l'intera palma gloriosa. 

Quando apparta la terra a maraviglia 
Dell* avversario sangue esser vermiglia. 

nifi 

Dopo il qual largo onor cortese e pio, 
Come verso i figlmoi l' annoso padre. 

Ogni offesa maggior posta in oblio 
Si mostrò amico alle nemiche squadre s 
Le quali io porlo al ino terreo natio 
Dalle fere tempeste oscure ed adre 
Feo seeure menar, senz’ altro affanno, 

Fuor che ’l primo di Marte avolo danno. 

LXJtVII 

Cinger si scorge poi la forte sede 
Di fossi inghirlandata, e d alte mora, 
Ch'avea d' inespugnabile tal fede. 

Ch'alia forza mortai vivrà sicura; 

Ma quando il re magnanimo ivi aisicde. 
Non conosciuta pria sente paura, 

Si che sé stessa c l' insubre suo duce 
Sotto al Gallico impero ricoudoce. 

Uivru 

A lui quanti ban gl’ italici terreni 
Princìpi illustri, c chiare libertati. 

Venir quei si vedean d* amor ripieni. 
Come al vero signore i servi grati : 
Queste mandar degli adeguali seni 
Di virtù te c di senno i più pregiati. 

Come al pio difeosor dell' alme vaghe. 
Che del viver disciollo altri •’ appaghc. 


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l’ avarchide 


LXXIX 

Ed ei eoa quello amor talli fili accoglie. 
Che *1 buon valer d' altrui fa il *001100 Giove : 
E raffrenando in se le avare toglie. 

Che spesso al viocitor vittoria muore. 
Contento sol delle sue antiche spoglie 
Non vuol C armato sluol drizzare altrove, 
Poi rh* al sommo paslor di Pietro erede 
Con dovuta umiltà a* inchina al piede | 

LXXXVI 

Ivi scolto era ancor più d’ una volta 
L'empio avversario suo del terreo Gallo 
Esser fugalo, a con la gente folta 
A gran danno e disoor pagarne il fallo, 
E 'ndarno sempre aver eoo pena molla 
Sforzalo muro in esso, argine 0 vallo; 

E leoerse felice, chi polca 
Rifuggendo schivar la molte rea. 

un 

Poi net Belgico aro poco olirà appare 
Con le schiere a battaglia, e con l'insego* 
Indarno il suo avversario richiamare, 

Di marziale arder le voglie pregne ; 

E quello il passo indietro ritornare. 

Qual Inpo, ove il leoo vestigio segne, 

Che per più angusta via, spinosa e fosca 
Spesso saturno ascoltando ai rimbosca. 

(.XXXVII 

Né di Pallade io lui mostrava ascosa 
L'arte onorata e la sa a verde oliva; 

Ma si vsga. sì bella e speciosa, 

Che nel colle più aprico, 0 ’n calda riva; 
Ogni Musa, ogni Grazia, qual la rosa 
In seno al dolce aprii seco fioriva ; 

E dolcemente si vedeano intorno 
Spirargli amor d’ ogni virtude adorno. 

imi 

Poco olirà anco apparia, dove il Tesino 
Va il terreno irrigando erboso e molle, 
Quando il fato maligno, e ’J rio destino 
Delta intera virtù la palma volle ; 

Dall' no lato apparia *1 valor divino. 

Che ‘1 famoso Francesco io alto estolle; 
Dall* altro l'empia ed invida Fortnoa, 
Ch'ogni fona, eh’ avea, conte' esso aduna. 

uxxvm 

La nobil Gallia ti vedea per lui 
Di toga ornata, e del aolare alloro 
Avanzar di aavere i vicin sui 
Net greco e nel latino ampio tesoro : 

E coatra i colpi, e *1 vaneggiar d' alimi, 
Come 1' annoso pino all* Austro e ’l Coro, 
Tener beo ferme le radici prime 
DeU’alte leggi del fattor sublime. 

IUIU 

Sopra 1* allo corsier di ferro adorno 
Con la lancia arrestata sembra un Marte, 
E facendo a* nemici oltraggio e scorno 
Ci vedea questa urlare, c quella parte; 
Poi *1 fugace de' sooi sinistro corno 
Ratto insieme ripon con bellica arte, 

E con 1* istessa man vie più d’ un duce 
Delle nemiche squadre a morte induce. 

txxxix 

AI collo gli awolgea le braccia caste, 
E *1 bianco manto suo la pura fede, 
Qoasi dicendo : Alcoa non mi contratte 
Di Ini fermar d' ugni mio regno erede ; 
E per ciò beo chiarir 1* esempio baste 
Di quel eh’ ivi vicin scolto si vede ; 
la cui vien 1* avversario, il quinto Carlo, 
Disarmalo e soletto a visitarlo. 

LXXXUI 

Ma non potendo al Gn 1’ estrema possa 
Sostener lassù e solo, ond' egli i cinto, 
Dell'alma invitta ogni viltadc scossa, 

Si vedea 'n altrui furia, ma non vinto; 
Che di contraria sorte alla percossa 
Il naturale ardir non ha più estinto. 

Che faccia unto liquor 1' ardente Gamma, 
Ch'ai suo primo arrivar vie più a' inGamma. 

xc 

E lai poste in oblio l' aspre contese, 

I ricevuti oltraggi, c 1' odio antico, 
Essergli d' ogni ben largo e cortese, 
Cora* unico germano e caro amico ; 

E qnal Irionfator del suo paese. 

Che più volle calcò fero nemico, 

II menò sicurissimo in qoel loco, 

Ove ogni bene oprar conobbe poco. 

MUSSI V 

Indi aggiunto alto senno alla fortezza, 
E 1* onesto soffrir con dcgnilade, 

Nel crudo vincitor 1' empia durezza 
Rompe, e trova il cammin di liberlade; 
In cui di vendicar 1’ osata asprezza 
Onorate ritrova e belle strade, 
Consenlmdo pietoso il giogo torre 
Agl* ilalici campi c i lacci sciorre. 

XCI 

Assedra dopo lui l'altero figlio 
Enrico invitto, al nome suo secondo, 
Ch' ai tre lustri compiti 1* aureo giglio 
Di famosa vittoria fea secondo; 

E dell’ aquila cruda il fero artiglio. 

Che parea minacciar 1’ afflitto mondo. 
Sol mostrandosi al Rodano feo tale. 

Che piò tosto, che quello, adopra l' ale. 

LXXXV 

E '1 vicario di Cristo, e quella soglia, 
In cui primo sedeo 1’ antico Fiero, 

Poi di' esser vede vergognosa spoglia 
Del Germano iufedel, del crudo Ibero, 
Il medesimo re, di chiara voglia 
Ripieno il giusto core, e d* amor vero, 
l.e pie galliche iusegne a Roma stende, 
E dell’ iniquo sluol libera rende. 

seti 

Non molto aodala ancor la verde etade, 
L' Alpi olirà varca al più nevoso verno, 

K del serrato passo apre le strade 
Con sno sommo valore, ed alimi scherno ; 
Scaccia il nemico, e rende le contrade 
Furale allora al Gallico governo, 

E sgombrando le nubi o»core ed adrc 
Chiaro e quieto il etcì dimostra al padre. 


*1 


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XCIII 

Squarciata poi U mal testala pace, 

Dace rimena ancor I' armate schiere, 

Ore in tra i Pirenei la terra giace. 

Che *1 Nerboneie mar porria vedere ; 

Torna indi poi contra I’ ardente faee, 

Che parea sormontar l* ohimè spere, 

Della goerra mortai, eh’ adoni insieme 
Il Belgico, il Germano, e 1' Anglo seme, 
xerr 

E eoi! giovinetto, ove Matrona 
Ce piagge erbose dolcemente bagna, 

Ora il (reo saggio accoglie or olirà sprona, 
Ove piò aperto il aen dia la campagna ; 

E ch’a tema, o foror oon s’ abbandona, 

Il vecchio imperadore in cor ai lagna ; 

E ch'egli aggia alla fin s’accorge io vano 
Di Fabio l’occhio, e di Marcel la mano. 

xer 

Onde all’ estremo andar fonato appare 
D* altra novella paee a consentire, 

Con promesse a lui dorè, ad altroi care. 
Ma con mente fermala di fallire! 

Poscia ivi al ciel tra l’ anime piò chiare 
L* alto parente ano vedea salire 
Il grande Enrico, con la pietà stesaa. 

Che debbe in nobil core essere impressa. 

xcvi 

Dopo il coi lagrimar, l’ invitto core 

I danni andanti a vendicar •’ appresta, 

E dr II' anglico staci contra il furore 
La già indonnita spada altero desta; 

E l’ adopra colai, che ’n sì poche ore 
Ogni salda muraglia afflitta resta, 

Che dir paole : in tal fato I’ arme cinsi. 
Che in un momento venni, vidi, e vinsi. 

xcvtt 

Poi che ridotto al pristino sno impero 
Ivi apparia il gran lilo de’ Morini, 

Non mrn pietoso mostra il sao pensiero 
A chi fuor sia de' Gallici -confini ; 

Sentendo in preda dell* orgoglio fero 
Di chi indotti gli avea gli aspri vicini, 

II buon duce rumano afflitto e solo, 

Qual germano il soccorre, o qual figliuolo. 

xcvnt 

E *1 difende e manlien da quello (stesso, 
Che gli dovria donar cootr* altri aita, 

(Ahi crudo cor) dal suocero, eh’ oppresso 
Il leoea (lasso) e' suoi nemici invita ; 

E poi che al vmser padre avea permesso, 
Che tolta fosse I" insidiala vita, 

La suedesma pia 6g!ia, e i suoi oepoli 
D* ogni paterno ben fea cassi e voli. 

xcix 

Ma il magnanimo Enrico del soo sangue 
E de’ soni gran tesori è sì cortese, 

Ch* ei ridare a salale il qnasi esangue 
Chiaro corpo illustrissimo Farnese; 

Poi l’ alma libertà, che morta langue 
Pur dal ferr’ empio delle ispane offese, 
Ritornar viva fa, integra e serena 
Tra l' alme mora della etnisca Siena. 


C 

Tal che quanti hanno De» le Tirresie onde, 
Quante Ninfe o Driade ha il terren Tosco, 
Ornando quei le sue salale sponde. 

Queste il chiaro cristallo e *1 verde bosco, 
Ciascun divolamenle a Giove infonde 
Prieghi che mai non fia piò eh* allor fosco 
Del buon re Gallo all' onorata voglia. 

Si ebe tutto il terreo dai lacci adoglia. 

a 

Non molto laage a questo seulto appare 
Il medesimo Eorico sovra il Reno 
L’ invittissimo esercito menare, 

E dell’ alma Germaoia il largo seno 
D’ ogni fnror tirannico sgombrare, 

E dell* empio sigoor romperle il freno ; 

E dall’ infide braccia riconduce 
L’ uno e 1’ altro di lei famoso duce. 

ai 

E lassando i tuoi campi e ’l patrio nido. 

Si vede in foga aver l‘ infermo volo. 

Del magnanimo Gallo al primo grido. 

Di Giove il fero occcllo afflitto e solo. 
Mentre quel trionfante sovra si lido 
Di Morella e di Musa il franco sloolo 
Rimena, al cui valor non fu secoro 
Ferro, foco, montagna, argine o muro. 

cui 

Scolpito ha intorno l'uno e l’altro frate. 

Il secondo Francesco, e 'I chiaro Carlo ; 
Quel furaron le Parche, congiurate 
Di coronare Eorico, e ’n cielo aliarlo ; 
Quest’ altro giunto a piò perfetta elate 
Tosto il tolse colui che potea farlo. 

Con soverchio dolor del padre pio. 

Del gran germano, e del terreo natio. 

ctv 

I quai tutti vivean con ferma speme 
Di veder sormontare il suo valore, 

E di render piò illustre il divia seme, 

E piò splendido far I’ aarato fiore ; 

Come seppe il terren che Mosa preme. 

Che mal contrasta al giovine furore. 

Qual ben descritto li potea vederle. 

Che ratto al soo venir le strade aperso. 

cv 

Nè il gran vate divino ivi entro ascose 
Del frntto femminil le piante chiare ; 

Del gran Francesco la sorella pose 
Sovra quante fur alme altere e rare ; 

E quale i minor 6or le vaghe rose. 

Le vincea tal, che in tutte I’ altre avare 
Parean le stelle, che versero io lei 
Quanto bene al mortai donan gli Dei. 

evi 

Scritto avea nella fronte a lettre d' oro: 
L' alma regina che ì Navarri affrena ; 
Cingela Apollo del suo sagro alloro 
In vista piò che mai lieta e serena; 

Non lontan poscia a così bel tesoro 
Si leggea '! nome pio di Maddalena, 

Di Francesco primier progenie degna, 

Che nel Scoto terreo non mollo regna. 


L ATARCH1DE 




crii 

Da tulle l’ altre poi solo in disparte 
Il nome alto surftea di Margherita, 

Ove il saggio scultor ripose ogn' arte 
In mostrarla a ciascun vaga e gradita ; 

Ni lassrrien le stelle alcuna parte 
In farla olirà 'I mortai rara e compita 
Di virtù, di valor, di cortesia, 

Saggia, casta, gentile, onesta e pia ; 
eviti 

E che merli eoo V opre drittamente 
D* esser chiamata poi figliuola e suora 
Di Francesco e d* Enrico, onde sovente 
L'uno e l'altro di lei sé stesso onora; 
Mostrava in vista dalla bassa gente, 

Che sol false ricchezze e ’mperi adora, 
Andar sì longe con la oobit alma, 

Che quei tutto era a lei negletta salma. 

ax 

E qnanto al crei poteva assimigliarse 
Col giovare a' mortai de' ben eh’ avea, 
Tanto in vista parca beata farse 
Questa del seco! suo terrena dea ; 

E perché nel mirare agli occhi apparse 
Di Lancilolto allor, ch'ella dovrà 
Regger d’ Avarco il soo nativo regno. 
Dimostrò di dolcezza aperto segno. 

ex 

Poi si vede lasciar, dov' Arno bagna, 
Dell’ alma Etruria il più fiorilo nido 
La reai Caterina ; e s' accompagna 
Col grande Enrico al Gallico suo lido; 
Dal coi sommo valor non si scompagna 
Virtù, senno, onestade ed amor fido, 

Che la fanno al gran re pregiata e cara, 
A tutto il mondo poi lodata e chiara. 

ext 

E so 'I mar provenzale accor si vede 
Dal gran suocero suo, dal pio consorte, 
Come d* alta bontà suprema erede, 

E degna al tutto di celeste sorte; 


L* altera nobiltà che '«torno assiede, 

Par che ’n ino cor mirando si cooforte 
Di speranza immortai, che da lei scenda 
Chi *1 Gallico terren bealo renda, 
ex il 

Ed ella in vista alteramente amile 
Secondo i merli lor ciascuno appaga ; 

Poi de* verdi anni suoi passato aprile 
Larga prole produce ornala e vaga, 

Che del paterno onor 1' antico stile 
(Come intagliato avea la man presaga) 
Imiteria colai, che ’l grido fora 
Dal vecchio Atlante al nido dell* aurora. 

CXIII 

Li si vedea, mentre cb’ Enrico al Reno 
Con I’ armato sno stuol gran cose adopra, 
Ella regger per lui di Gallia il freno. 

Nè temere il fnror che a lei vien sopra; 
Ma il Belgico crudel d'orgoglio pieno 
Rispinge indietro dalla spietata opra ; 

E le pria per insidia avute spoglie, 

Per magnanima forxa a lui ritoglie. 

exiv 

Poi con la gran bontà, che sia commista 
Coo la dolcezza pria, che lega i cori, 

De' maggiori e minor gli animi acquista, 
Sì che i privali e pubblici tesori 
Di riversarle io sen nessun s' attrista, 

Più ebe fa il buon dei trionfali allori; 

Ed ella adorna di benigno aspetto 
Quando può mostra toro il regio affetto, 
cxv 

Di tali onor de' snoi rimira ornato 
Il divin Lancilolto il forte scodo. 

Con I' alma lieta ; e rende grazie al fato, 
Che di lunga memoria no 'I feo ondo ; 

E certo in core ornai che vendicato 
Saria del chiaro amico il caso crudo, 

Poi che si corca il sol nell* occidente, 

Ov' è il sno Galealto andò dolente. 


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L AVARO II IDE 





ARGOMENTO 

Nella presenta drì dolor rovello 
L' offesa antica Lnncilotto obblia , 

E appar placato fra il reai drapprllo 
Più caro a tatti , che noi fu dappria ; 
Di tjvi 1 1’ A varco fa crudcl macrl/o ; 
Sgombra a’ Britanni alla città la via ; 
Diradano e Bruti oro, il fier germano , 
Era primi uccide , e fra i minor Forano. 


D ’ * 

argentato color l'alba splendei, 
A'mortali e gli dei menando il giorno ; 
Quando arrotando ancor la sorte rea, 

Al morto Galealto era d* intorno 
L'invitto Lanciotto, e s'aisedea 
Sovra lo tendo de* tool beni adorno; 

Ma come lei «puntar di Cuora vede, 

Lassa ogni lamentare c quella sede, 

n 

E con alto chiamar risveglia i suoi 
Che non molto lontano a lai si stanno, 
Dicendo a tatti : O più famosi eroi 
Ch'ebbe ancor mai «'esercito Britanno, 
Men, eh* a quanti altri so a, conviene a noi. 
Che deviata vendicar lo scorno e ’I danno 
Di sì altera corona, e si famosa, 

Che '1 dì quasi vicin ne trote in posa, 

ili 

Or raccogliete in un le vostre schiere, 
Ch'ogni duce de* suoi la cara prenda, 
Menlr'io vo' il grande Arturo a rivedere, 
Acciò che il mio voler più certo intenda | 
Ch'io non vo* più lo sdegno ritenere, 

Poi che Tiralo cìel par se n* offenda j 
E segnane che può, che di Ini solo 
Sarò sempre gnerrier, servo e figliuolo. 

IV 

Cosi dicendo, solo e disarmato 
Al padiglion reale a piè s'invia; 

Trnova il buon re del sonno già svegliato, 
Che'l rornor. benché lunge, udito avia; 
Entra l'araldo Amato, e ch'arrivalo 
Era ivi Laocilollo gli dicia : 

Fecel subito entrare, e sovra il letto, 

Osde non move ancor, I* abbraccia stretto. 


E pien di dolci lagrime T accoglie. 
Dicendo: Or non morrò se non contento : 

Or la speme eh* avea dell* altrui spoglie. 
Non temo più, che se ne porte il vento. 

In questo mezzo ornai li si raccoglie 
L'altro drappel de' duci in od momento. 
Che del venir di lui seoloo la fama, 

E ’1 campagno e *1 vicin Tua I* altro chiama. 

vi 

Venner tra* primi i folgori di gaerra 
Maligante e Boorte a lento piede. 

Sopra I* aste appoggiandosi alla terra. 

Che ’l dolor delle piaghe ancor gli fiede; 
E Lionello entr'ambe si riserra, 

Perchè degli omer suoi si faccian sede. 
Questo a sinistra, e quello a destra mano : 
Poi seguiva il re Lago e '1 pio Tristasso. 

VII 

Dopo i quai Gargantioo, e Pelinoro, 
Aboodano, Uriaoo ed Agraveoo 
bandone, il Brun, Mandrino e Talamoro, 
E *n tra i primi onorali iva Gaveoo, 

Che del sommo piacer, che sceme in loro. 
Un non pieciol dolor s'asconde in seno: 
Sol restò Fiorio c 'I cavalier Worgallo 
Di soverchio, impediti c Persevallo. 

Vili 

Or nel cospetto lor I' alto guerriero, 

Poi che baciato avea la regia mano, 

Coti dicea : Gran re, di cui T impero 
Ha di gloria ripien presso e lontano. 

Il terreo gallo, il belico, e Ciberò, 

Il nobil sen italico e 'I germano; 

Eccovi il travialo Lanciotto, 

Ch'ai suo dritto cammino è ricondotto, 

IX 

Onde i passi torcea non per orgoglio. 

Ma menato, credea, da gioito sdrgno ; 

Né per tema maggior di quel ch'io soglio, 
Al gran seggio reale amile vegno; 

Ma perché lardo ornai troppo mi doglio 
Che del pio core uman passato ho il segno, 
Di lassar tanto sluol lasso perire, 

E si ouorati duci a morte gire. 

x 

Deh quanto era il miglior per ambeduoi, 
Che non foste mai nata Claudiana ! 

O ch'ella fosse morta, e ’nsieme ì suoi 
Frali, usciti quaggiù di stirpe strana, 

Qael dì, che prigionier gli fé* di noi 
Fortuna, de' miei beo sempre lontana ; 

Che mi die* gran vittoria e ricche spoglie. 
Perché mi fosier poi tristezza e doglie ; 


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AVARCHIDE 



Perch’ io vedessi poi di morte avvolto, 
Degli avvertavi ino» trionfo e «direno 
Del mio bon Gaiealto il regio volto 
Per la fannia man del erodo Iberno; 
Nudo di polve e d'atro «aogoe avvolto, 

Di latti i miei pemirr tormento eterno; 
Ch'ovunqoe io volga mai gli occhi e la mente, 
Qual io *1 rividi ier, mi «la premale. 

xtt 

Ma poi ch’altro non pnoste, a noi conviene 
Por con necessiti 1* animo in pace 
In quel eh’ è gii seguito, perché avviene 
Dal voler di colui che tutto face, 

E dentro alle sue braccia il male e ’l bene 
De* miseri mortali accolto giace ; 

E ’l soverchio dnlerse a donna aggrada, 
di’ altra a sfogare il cor non ave strada. 

xi rt 

Ma il forte cavalier col vrndicarse 
Drl.be aprire il sentiero al sno dolore ; 

E se trova io ciò far le stelle scarte, 
Sappia il mondo lassar con dritto onore : 
Or se in altra stagion questa fiamm’ arse 
D* altro ofFrso guerriero un nobil core, 
Arde ora il mio rhe d’Etna il monte sembra, 
Se del suo Galealto gli rimembra. 


Com’er forse bramando, a qoel ch’io spero, 
D a abbassar di Ciodasso il doro orgoglio, 
Il fin per Segoraoo acerbo e fero 
Condusse in Gaiealto, in voi cordoglio, 
Onde spento riman lo adegne oltcro, 

Ch* al vostro navigar ai facea scoglio ; 

Ma in tal guisa adoprando, scoria fida 
E più sempre di quel che ’a lui s' affida. 

*«x 

Però, caro ftglinol, grasie rendrmo 
Al suo santo volere, onore e lode; 

Che pria che ’l danno tuo giunga all'estremo, 
Del britannico stool le preghiere ode ; 

Il qual del nuovo amore, io che noi semo, 
Racconsolalo io cor s' allegra a gode, 

E per la vostra man bramoso aspetta 
Giona, trionfo, oqor, pace e vendetta. 

xx 

B quanto oggi e poi sempre amica e cara 
E gioconda mi sia la pace vostra, 

Ve ’l mostrerà la man che non sia avara 
Di quanto v’ offerirò io vece nostra 
Maligante e i compagni, poi rhe chiara 
Bareni (ornala alle paterne chiostra ; 

In cui voi tolto solo avrò più io pregio. 
Che quanti altri mai fur di nome egregio. 


E però lutto ornile a voi ritorno. 

Ogni sdegno primier posto in obblio, 
Prrgando eh* a voi piaccia in tal soggiorno 
Prender tra i peggior vostri il brando mio, 
Ch* io possa ristorar I’ avuto scorno 
Dall'empio Segurano e’I fato rio 
Del dolre amico, che vedrà dal cielo 
Che di lui mi riman risicato telo. 


Così parlava, e il chiaro Lanciotto 
Risponde: Assai mi fia quel puro amore 
Ch'or mi mostrale, il qual m'ha solo iudollo; 
Nuo di lesor, nè d' altro pregio onore, 
tir pria che 'I sole in allo ricondotto 
Sovra il oostro terreo riscaldi l'ore, 
Cluaroio l'altere trombe lo battaglio, 

E riprenda ciascun 1* aulica maglia. 


Qui finì Lsneilotlo ; e quei, che stanno 
D* intorno ad ascoltar, ferma fidanza 
Ifan già di ricovrir I* antico danno, 

Tal della sua virtode è la speranza ; 

E *1 lieto bisbigliar che 'otorno fanno, 
Empiei d'alto roroor la regia stanza, 

Fio eh’ amico ailenzio Arturo impose, 

Ed allora, il gran re, coai rispose t 


Ed io ’n tanto fra’ miei farò ritorno 
E vestirò volaudo 1' armadura, 

E di spinger avanti il nostro corno, 

Si che vada il primier prenderò cura, 
Vago di soorre ornai Tempio soggiorno 
Delle genti aspre e delle acerbe mura, 
Ove alberga colisi che lolto m’ ave 
Chi solo il viver mio rendei soave. 


Valoroso figliool del gran re Bino, 
lo non posto negar, che di ragione 
Non foste il mio parlar tanto lontano, 

Che di farvi sdegnar vi diè cagione 
Ma sappia il mondo par, ch'alfin sia vano 
De' pia saggi mortali ogni sermone, 

Che spesso in questo, o io quel la colpa stende 
Di ciò, che ’l del fra noi dispone e intende. 


K mostrerò, «per* io, se la vìrlnde 
Di Lancilolto è morta, o se indormila 
Fu dallo sdegno ardente, che si chiude 
In lei, s'al suo signor poco è gradita: 
E si polran veder taoC alme nude 
Prender nuovo aeotier da questa vita, 
Che maledetta ancor di Segurano 
Da mille madri fia la cruda mauo. 


Vero è eh’ e' non adempie il suo volere, 
Sciolto d* ogni altro mezzo assai sovente, 
Ma del bene, o del mal dona il potere 
Io cui gli aggrada nell’ umana gente; 
L’allr’ier gli piacqoe delle nostre schiere 
Una parte, qual feo, reoder dolente : 

E consenti fra noi l’ira e lo sdegno, 

Per condoccr al fin T aspro disegno. 


Or non si lasse indarno il tempo gire, 
Mo visto pur tosto, ove il voler mi sprona; 
Ma il famoso re Lago a questo dire 
Si volge e parla; Altissima corona, 

Poi eh* al vostro giustissimo desire 
Soccorre il ciel, che i buon non abbandona, 
In farvi ritornar congiunto e fido 
Chi d‘ ogni altro grao duce avanza il grido; 


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xxv 

Mi par che ornai ai debba, quale ha delio, 
Tolto a battaglia uacir, ma in mente avere 
Che non fia mai guerrier coaì perfetto. 

Che valgia il lungo affanno a sostenere 
Anelato e con fame ; a coi diadetto 
Dalla natura al fin non aia il potere; 

E perù il faticar, che molto fia. 

Prenda d' cica e di via totlegno pria. 

XXVI 

Vadan dunque gli araldi, e'n vostro nome 
Comandin, che ciaicun l’albergo trave; 
Solva il digioo, poi di lucenti rame 
D'arme esca carco alle battaglie nuove : 

E quelli regi e duci, eh' han le chiome 
Di lauri ornale io mille altere prave, 
Farao ghirlanda alla rotonda menta. 
Ch’agguagliati gli onor per voi dispensa. 

xxm 

Coti ditte il re Lago, e 'I grande Àrtnro 
Con lietissimo volto F acconsente, 

Seguendo : Poi che ’l fato acerbo e duro 
Impiagato mi li», lasso e dolente, 

Che ne assereni almen l’animo scoro 
In veder qui di si famosa gente 
Lo sconsolalo e vedovo soggiorno, 

E del suo Laocilotto essere adorno. 

xtviti 

Qui finito il parlar, già in mrxzo appare 
Chi la mensa, e chi I’ esca conducea ; 
Quando il figlio di Ban : Cerio mi pare 
Ottimo ogni consiglio, rispondea. 

Che pochi pon fra gli uomioi durare 
Lunga stagion contra la fame rea, 

Ch'ogni vigor, ch’ogni valore ammorta, 

E ch’ai tartareo seno andar ne sforza; 

XXIX 

Pur vi sapplico amil, che non vi spiaccia 
Glorioso mio re, che ’ndielro rieda, 

A ciù che al voto mio non contraffaccia ; 

Il qual è, eh' al digioo già mai non ceda, 

10 fin che questa man vendetta faccia 
Di quel re misere! di morie preda; 

E dopo lei se ’n vita tarò ancora, 

Poco andrò poi di vostra vista fnora. 

Xxx 

Ma il saggio re dall’Orcadi, che intese 

11 dannoso consiglio, gli risponde: 

La natura mortai mai sempre intese, 

Che la giovine età di forza abboode ; 

La qual degli anni poi sentendo offese, 

AI più canuto viver si nasconde; 

E perù in questa parie non vorrei 
Indarno contrastarvi e cedo a lei. 

XXXI 

Non è il senno cosi, di’ ei vico dagli anni, 
E nel cor giovani! mal può trovarse, 

Ma dai passati sol travagli e danni, 

E dì se stesso, e d'altri può imparane; 

Nò sia ehi indarno mai pensi o *’ affanni 
Per grande studio io breve saggio farse. 
Che non meno è ingannato, che chi spera 
Saper l’ arte in un di dal fabbro intera. 


XXXII 

E perù s’ io dicessi esser di voi 
In questo per I’ etade assai sovrano, 

Non vi sia sdegno il consentirlo a noi. 
Perchè dal vostro onor non fia lontano ; 

E mi crediate qoeUmente poi, 

Ch*a voler bene oprar l'arme e la mano 
Coovien con l’esca fermo mantenere 
Il vigor, che di lei privato pere. 

xxxtii 

D* amarissime lagrime uo sol giorno 
Render si deve onore a chi sia morto ; 

D' esse iodi sendo, e di sepolcro adorno, 
Prender al faticar dolce conforto ; 

Che per 1’ altrui doler non fa ritorno 
Chi di morte at cammio dal fato è scorto ; 
E s’ arme io chi l'uccise la vendetta, 

Non sopra il veolre suo, che ’1 cibo aspetta. 

XXXJV 

Non cercate voi stesso in grado porre, 
Che noo possiate poi seguir la voglia 
Cosi onorata in voi, di luce torre 
A chi vi die’ cagion di tanta doglia; 

Ma per ogni cammio tolta raccorre 
La forza invitta, che i nemici addoglia. 
Donando or qui fra noi gioconda salma 
D* esca alle membra, e di dolcezza all’ alma. 

xzzv 

Il gran figlio di Ban cortese in visto 
AI buon retlor dell* Orcadi rispose: 

Il vostro saggio dir tal fede acquista, 

Che riveder mi fa le strade ascose; 

Ma del mio fido ben la morte trista 
Ogni ragione al cor per modo rose, 

Che la salute tua gli sembra amara, 

E la dannosa via soave c cara. 

xxxvi 

Nè gli pois' io disdir, nè voglio àncora; 
Perù vi prego umil, che mi sia dato 
Girne all’ albergo mio, dove dimora 
Tatto lo sloot che già m' attende armato; 
Ed io spero con Ini che ’n ciel s’adora. 
Pria che sia nell* occaso il di corcalo, 
Vendicar Galealto, e scarco poi 
Alla mensa reale esser con voi. 

XXXVII 

E dicendo cosi, fece ritorno 
Ove in ordin rilruova le sue schiere, 

Ch' han le squadre a cavallo fuor del corno 
E net mezzo spiegate le bandiere; 

Va il tutto ratto visitando intorno, 

E dicendo a ciascnoo ; Ogn* uomo spere 
Di fare oggi tal proova, che sia dillo, 
Cbe'l vostro alto valor fu tempre invitto. 

XXXVIII 

E non senza cagione al mondo sembri, 
Ch’a voi servata sia la prova estrema, 

E del boon Galeallo vi rimembri, 

L'alma chiara di coi la spoglia è scema. 
Che de* suoi sanguinosi e ’ncisi membri 
Sol la speranza in voi loca suprema, 

Che la vendetta sia coti per tempo, 

Che non ne rida Avarco lungo tempo. 


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nxu 

Così dello, ri torna al sno soggiorno, 
Ove giacca disteso Galealto : 

Il qual discopre e pon le braccia intorno, 
Poi dopo on gran sospir focoso ed alto 
Gli dice: Anima eletta, io qoesto giorno, 
O eh’ io sarò dal doloroso assalto 
Teco congiunto in citi, o che vedrai 
lo olirai piò, che io noi, terrestri guai, 

XL 

Iodi appella Saolippo, il suo scodiero, 
Che le sue celesti arme gli appresenta, 
Ood* ei ratto si rnopre, e ’o so ’l destriero 
Tatto soello e leggier poscia •’avweota. 
Al qual ragiona : o mio Nifoote altero, 
Non fia io te la virtù per oggV spenta, 

Ch’ aliò già il nome Ino per ogni loco, 
Ove del guerreggiar più ardesse il foco. 

XLI 

E ’n questo oliimo dì li risovegoa, 
Quanto al mio (lasso), aoai al tuo stesso onore 
Fallisti ier, che chi nel mio cor regna 
Lassasti in preda all'altrui rio furore; 

Sì eh’ or piò belio oprar eonvieu che spegna 
La toa larga vergogna, e ’l mio dolore, 
Riportando di lui la spoglia opima, 

Che posti n' ha d* ogni miseria in cima. 

XLIt 

O t'appresta animoso ad esser privo 
Oggi insieme fqoand' io) di questa Iure ; 
Che’oon s'intenda mai, che resti vivo 
Dopo il primo signor soli' altro duce. 

Cosi parlando, e d ogni indugio schivo, 
Dell'arme squadra la splendente luce, 
Onde sovra 'I mortai lieto ai goda; 

Poi le braccie e le spalle accoglie e snoda. 

XLIII 

E prova ad ono ad uo se stringa, o grave, 
O ae *1 moto da lur regna impedito ; 

Ma il tolto gli è piò acconcio e più soave, 
Che di serico filo drappo ordito ; 

Prende poi l’asta in man si grossa e grave, 
Cbc non fa mai guerriero io alcun lito, 

Che crollar la potesse, se non solo 
Ei, che par ooo avea sott’ altro polo. 

xi.iv 

Iodi fra’ i suoi si spinge, a* quali apparse 
Marte, quando più irato a terra scende. 

Nulla cometa io ciel si lucida arse, 

Qual essa il di, ch'ai suo cimiero splende ; 
Presso all' aurato scudo erano scarse 
Le chiome vaghe, che I’ aurora stende : 
Parean I' elmo e I' allr'arme fiamme vere 
Scesce a lui intorno dalle stelle altere. 

XLV 

Ma Gaveno, il Re Lago e 'I pio Tristaou 
Con gli altri duci poi le genti accoglie; 

Che parean dagli alberghi uscendo al piano 
Api, di' al gran reailin le regie soglie 
Laisan, quando I' aprii resta sovrano 
Del tempo rio; che fior novelli e foglie 
Van depredando avare, ovunque intorno 
L'almo prato o'I giardm si mostre adorno. 


xtvt 

Poi da'destrier percossa alta fremea 
La bassa valle, e la sua nuda arena 
D' argentato colore esser parca, 

E d’ardenti faville intorno piena; 

(.he siccome la torma il piè movea, 
Sembrava tutta il ciel quando balena 
Piò sovente la notte, onde si vede 
Ore il chiaro, ore il hron, che I' arie Sede. 

xtvn 

Nè le schiere d'Avarco d’altro lato 
Stanno al muover di quei oel sonno avvolte. 
Ma per l'ooor primiero guadagnalo 
Han piò larghe speranze in core accolte ; 
E ‘I trionfante Iberno a' era ornato 
Delle chiare armi al gran nemico tolte ; 

E riducendo e’sooi la forma antica, 

Salo leve ciescon con voce etnica, 

XLTflI 

Dicendo: Oggi e quel di, eh’ aperto spero, 
Che I* intera vittoria io noi pervegna. 

Se ’1 giovio Laneilotlo irato e fero 
Del miser Galealto a guerra vegna ; 

Ch’or piò noo ave, ood’ egli aodava altero 
L'arme incantata che accoro il tegna, 
Siccome gii gli avveuoe altra fiata 
Con 1’ aiolo immurisi della sne fate. 

XLIX 

E così ragionando, innanzi sprona 
Con Clodino, e Brunoro, e Palamede, 
Gallioante, e Rossano, e tutta dona 
La cura a Terrigan degli altri e piede. 

Or gii da tutti i lati s'abbandona, 

Per l' altrui guadagnar, la propria sede; 
Solo il gran Laneilotlo il piè ritarda, 

E dove aggia e ferir, d' intorno guarda. 

l 

Quale ardito leon ch'ai prato scorge 
Di crrvetle e di damma i vili armenti. 

Che non degna seguirgli e innanzi porge 
Gli occhi, eh' a maggior preda erano intenti; 
Poi ch’aspro orto,o cinghiai vedeche insorge, 
Arma sol cootr' a quei gli artigli e i denti, 
E i Ganehi perrotendosi e la terra 
Con la aetosa coda, muove a guerra ; 

ti 

Tale il gran Lanciotto acceso d* ira, 

E d'ardente desio d'alta vendetta, 

S’ei vedesse l'iberno gli occhi gira. 

Perchè cootr* a Ini sol Irovarse aspetta. 

Poi conoscendo in sè, che ’ndarno mire, 

Nè ’l potrie riveder, tanto era stretta 
La turba che veniva, e tal la polve, 

Cbe ’l sabbioso sentier di nube involve; 

in 

Or chi potrl narrar, senza l'aita 
Che vien sola da voi, di Giove figlie, 

Il valor sommo, e la virtù gradita 
Di Laneilotlo, e I* alte meraviglie, 

Che tanti chiari cor privò di vita, 

E fé' I' onde dell* Euro adre e vermiglie f 
Siate dunque al mio dir sostegno fido, 

Cla* ei se ne senta alinea dappresso al grido. 


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AVARCHID 


E 



LUI * 

Muove il piè innanzi a'saoi con quel furore, 
Che Cuore irato il folgore n' avventa ; 
Percuote entr* ai nemici col romore, 

Ch’ Etna le piaggie aicole apavenla : 

Trova Anlifale, Alcanorc ed Antere, 

Catillo, Erminio, Remolo, e Tarpeota 
L'un dopo l'altro a aorte ; e tutti c aclte 
Nel mio primo arrivar per terra mette. 

uv 

Morti i quattro, impiagalo poacia il reato, 
Con l’urlo del cavai rotto e «fiaccalo, 
Dell'atta iotera ancor venne moiette 
A Polidoro. Drente, E»do ed Afato, 

Gli altri tre riveraali, ci aopra quetlo 
Della forte aata sua riman privato: 

Solo il Ironron gli retta in man, col quale 
L'altro slool clic gl'inconlra intorno assale. 

te 

Cli* ei ai adegna di trar l'altera apada 
Sovra il popol vicin, che vii gli sembra, 

E ai facea lassar larga la strada, 

Or le frooli rompendo, or I' altre membra. 
Passa oltra sempre inoanzi, e nulla bada 
A quel che faccia altrove e gli rimembra, 
Che sol centra il nemico Separano, 

Non coolra altro, che fia, a' armi la mano; 

LVI 

Ma (a quale il villao che gire intende 
Nella selva a tagliar la querce annosa. 

Che quella fpina, e questa a batto stende, 
Ch'ai passare in cammio gli vien noiosa; 
Tal Lanciotto face a chi contende 
Il ritrovar qncl loco, ove ti pota 
Quel eh' ei sol cerca, c che vorrebbe solo. 
Perdonando ogni colpa all' altro stuolo. 

LVII 

Ma no *1 può rivedere, ovonqn'ei muova 
Con ratto corso il candido destriero : 

Or qoioci, or quindi eoo delio rinnova 
Dalla speme fallito il soo sentiero; 

Or mrotre ancidc e fiacca, ti ritruova 
Con Gallioanle, il giovinetto altrro 
Di Giron nato, e della bianca Arana, 
Ch'era de* suoi peosicr danna e sovrana. 

LVIJI 

Quando il vede vicin, ch'ardilo viene 
Col grande scudo d' oro traversato 
Sol di purpurea riga, ritovviene 
Al chiaro Lancilolto io altro lato 
D' averlo visto, c 'I suo troncali rilieoe, 
Per non far onta a eavaliero ornato 
D' mia insegna si nobil, ch'apparisse 
Che dal franco Girooe io lui veoissc. 

US 

Il qoale ebbe io onor sovra ciascuno, 

E morto piò che mai I' apprezza e cole : 
Nè gli cangia pensier I' esser del Bruno, 

Si come Scgoraoo, onde si duole ( 

E pria che fare al giuvio danno alcuno, 
Con cortesi preghiere intender vuole 
Chi sia, dicendo: Non vi spiaccia, ch'io 
Sappia il nome di voi, come desio. 


Valoroso signor, da poi che degoo 
Di portar tale tendo vi stimale 
Del famoso goerricr che ne fé degoo 
Il secol nostro, c qualunque altra etate : 

E per qual fia cagion che 1 pirriol segno 
Del color porporino vi mischiate, 

Perdi' io intenda prinsier da cui riporte 
Onorata vittoria, o trista osorle. 

LXI 

Risponde il giovinetto: Volentieri; 
Glorioso figliuol del gran re Bano ; 
Gallioanle «on io, Ira i liti feri 
Nato d' Ibernia, al padre mio lontano, 

Che fu Girone, e per iitran sentieri 
Ho seguito il cugin mio Segurano, 
Sperando esser con voi, non con Clodasso, 
Ma di quanto bramai son nodo e casso; 

LXII 

Ch' avendo egli sposata la figlinola. 

In A varco, ei tra suoi mi tiene a forza; 

Ma r alma ho eoo voi sempre, e riman sola 
Di me con lor la rilegata scorza. 

La quale aver sotto la vostra scuola 
Così tosto sper'io, come s'ammorza 
Alquanto il guerreggiar; che non si dica, 
Che mi scacce il periglio, e la fatica. 

LXUI 

Che se ben mi fe* il ciel di madre iberna, 
Vien la parte miglior dal terrea gallo, 
Ch'avrà sempre di noi memoria eterna, 

E fora il lui lassar soverchio fallo; 

Or perchè io nulla guisa non si scerna 
Macchialo il mio dever (scodo a cavallo 
In favor di Clodasso) alla battaglia 
Di dimostrarvi bramo quaol'io vaglia. 

LXIV 

Così parlando, a guerra s'apparecchia; 
Ma il nobil Lancilolto sorridendo. 

Dice : Il perfetto amor, quanto più invecchia, 
Più si deve affinar s' io beo comprendo ; 
Onde all' ultimo dir chiuder I* orecchia, 

E d'oprar con voi spada non intendo; 

Vi prego io ben, quando l'onore il porta. 
Che deggiatc d* Arturo essere scorta, 

ixv 

E che vi piaccia or qui per nostro amore 
Di portar sempre io guerra questa spada, 
Clic m' ha fatto talor sì largo onore, 

Che i nemici maggior m' liso fallo strada. 
E si face ivi addur d'alto valore 
l)a Sanlippo fede], che intento bada. 

Un fortissimo brando, e la cintura 
Picca di gemme vaghe oltra misura. 

LX VI 

La qual sempre portava, sovvenisse 
Della miglior eh' avea, fortuna ria, 

Che Ira quante più Goe erano affisse 
Alla dogliosa guardia presa avia. 

Il giovinetto a lui oon contraddisse, 

Ma se la cinge allor eoo voglia pie; 

E quell' altra eh* avea, cerca eoo preghi. 
Che di prenderla in vece non gli meghi. 


385 

l’ avarchide 

386 





Dicendo : EH* fa già del mio Girone, 
Dell* qual don mi fé quando morio, 

K, per Barrare il vero, altra stagione 
Piò matura eonvieole al parer mio; 

Ch'oggi ha il lerz'anno por, che’nsn l'arcione 
Montai, partendo dal terreo natio, 

R di tre lotlri soli era il natale. 

Sì che meglio è pur voi brando cotale. 

LXVIII 

Prende!* Lanciotto, e poni* io mano 
(Poi che grazie rendrn) dello aeudiero ; 
Poicia il domanda : E ’l vostro Segurano, 
Che del nostro dolor va coti altero, 

Ov‘ or ai ala, che pretao né lontano 
Non ai vede apparir aovra il aentiero f 
Dite per coricai* dove il lassaste. 

Tra cavalieri armali o pedestri atte. 

LUI 

Riapote Galliaante : Ei non é Junge 
Con Clodin, con Brunoro e Palamede, 

E verso il buon Tristano il deatrier punge, 
Vicino ove l'Euro Ita l'umida tede. 

Ch’or questi spinge innanzi, or ricongiunge 
Quei che vede ire sparsi, e beo provvede 
Ove il bisogno vico, da poi eh’ ha inteso, 
Che scie io guerra voi di sdegno acceso. 

LU 

Il ringrasia egli allor; poi ratto sprona 
Verso la destra mano, ove ha tentilo, 

Ch‘ è f avversario ano, né spinge e tuona 
Più il cruccioso Aquilon nel Tracio sito, 
Qisand’ Eulo al più gran verno lo sprigiona 
A pernio ter crudel questo e quel Ilio ; 

E nell' aria e nel ciel movendo guerra 
Abbaile i legni in mar, le mura io terra. 

mi 

Incontra al cominciar la gente tirella 
Sì, che non può trovar sì tosto strada $ 
Che da quei, che son dopo, in guisa è retta, 
Che non si vede aletta che 'odietro vada : 
Ma f.ancilolto allora il Ironcon getta, 

E pon la mano alla divina spada. 

Di mi l'ardente e 'asolilo splendore 
Empie* ciascun d* orribile terrore. 

I.XXII 

Siccome al peregrio talora avviene, 

Che si rilrnov* sol la notte fosca, 

Che sovra I' orizzonte accesa viene 
Con la fiamma crudel che 'I mondo attosca 
L' empia cometa, che 'ngombrata tiene 
Del ciel gran parte, ed ei nnn la conosca ; 
Ma lem* il miserei, che da qoel loco 
Tutto il moudo di poi ai volga in foco; 

l XXIII 

Tale avvien tra coloro: ciascun frigge 
Col core almen, poi ebe col pté gli é tolto ; 
Ma qual fero leone intorno rogge, 

Che da reni e pastor si trova avvolto, 

E tatto il miter popolo distrugge, 

Ferro lenti. »gli il cor, le spalle, il volto, 
Come prima s’ avvien, si che i sentieri 
Empie d* uomini, J* arme e di destrieri. 


Sembra alla calda estate, quando cada 
Grandine spessa e subita tempesta, 

Che tronca e fiacca le mature biade, 

Che né spiga né paglia intera resta ; 

Ma si vede calcar l‘ afflitte strade, 

Quella in polve conversa, e trita questa; 
Che la pia villanella grida e piange, 

E si squarcia i capelli e ’l volto frange. 

LXXV 

E dal fero Nifonte, io corc acceso 
Di far vendetta anch’ ei di Galeallo, 

Era l'afflitte stuol non meno offeso, 

Ch'or de' piedi or de'deoti io nuovo assalto; 
Quel sopra il volto, e qoel snpin disteso 
Fa nella trista valle orrido smalto; 

Ed ei dove più d’ essi scorge insieme, 

Con più caldo furor la terra preme. 

LXXVI 

Quali come il cultor, ehe adeguar vuole, 
Per le biade mundar, I' eletta parte, 

Che le sue rozze genti al caldo sole 
A calcarle il terreno ha io cerchio sparle: 
Poi con rotondi marmi spiegar suole 
In grave rivoltar la forza e l’arte, 

Tal che più nullo in lei, ch'offenda il piede, 
Sasso, gleba, nè sterpo esser si vede ; 

entra 

Così face* il destrier: che *’ almo vivo 
Cogli abbattuti ancor rimane in terra, 

Si trovava di poi di spirto privo 
Dal secondo aspro peso, che 1' afferra ; 

E benché Lancillotto appaia schivo 
D' arrider gente tal, poi che gli serra 
Il cammin di trovar I* Iberno altero, 

Yien conlra l'uso suo spietato e faro. 

txvvii» 

Era il brando già Incido ricinto 
Di cervella atre, e di sanguigno orrore: 

Di lordissime macchie era dipinto 
Dell’altro arnese il candido splendore: 

1/ argentalo suo scodo pare* tinto 
Nell* onde Stigie d' infermi colore: 

Gli occhi già dolci, c *1 grazioso volto 
lo quel d' aspe mortai pare* rivolto. 

txxix 

E per nuovo timor la genia molla, 

Ch’ all’ invitto furor forza non ave, 

Qnal era in schiera numerosa e folla 
Dentro all’ onda si pone armata e grave, 

E di doppio periglio insieme avvolta 
Più Lancilotlo assai, che morte pavé : 

E tanti in nn ai gettan dall’ arena, 

Che U riviera ornai n' è intorno piena. 

LXXX 

Sembeao, come talor, che'l ciel» ingombra 
D" affamate locuste i lieti campi, 

Cha ’l villanel de’ frulli suoi le sgombra 
Con alla fiamma, che ’l terreno avvampi ; 
Ch’elle tra 'I foco e ’l fumo che l’adombra, 
Nou trovando altra gnita che le scampi, 
Del fiume più vicin eh* ivi si mostri, 
Empioo «aliando in Ini gli umidi chiostri. 



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31 


Rè per empier del rio le placide onde 
Quella squadra nemica, th'è infinita. 

Può il famoso gnerrier lungo le sponde 
Trovare al suo desir la via spedila : 

Tal che I* ira maggior che Marte infonde, 

A mischiarse con lei ratto 1* invila; 

E con si gran romor s'avventa ivi entro, 
('.h’ci fé', credo, tremar Piotali nel centro. 

(.XXXII 

Ferri Tacque spumose, e in aria alzane 
Al profondo saltar del gran destriero, 

E la chiarezza lor vider cangiarse 
In aspetto per lui sanguigno « fero ; 

Sta sotto alquanto, e poi di sopra apparse, 
Come mostro maria pronto e leggiero ; 

E dove scorge piu le calche strette, 

Col sanguinoso brando ivi ai mette. 

LXXXIll 

Nè per leve fuggir, che 'I popol faccia, 
Al disegoato fin secur riesce, 

CV ei, senza abbandonar I' umida traccia, 
Or con questi or run quei ratto sì mescei 
Qual rapace dclfin, che segua io caccia 
Dopo il lungo digiuno il min oc pesce, 
di' or rifugge nel porto, or sotto il sasso 
Dello scoglio vicin più stretto e basso. 

LXXZIV 

Tal rifuggendo quei, su l’altra riva 
C.erran levi posar 1 ' afflitto piede: 

Ma il feroce guerrier prima gli arriva. 

Che* sien montali alla più asciutta sede, 

E numero coiai di vita priva. 

Che con grave dolor, lasso, si vede 
Già I' Euro niisercllo avere il seno 
Vie più di sangue assai, che d'onde pieno. 

LXXXV 

E dì lant’ arme colmo e di lant 1 aste, 

Di lauti elmi c di scudi c di destrieri. 

Che la forza impedita ornai noo baste 
Per distender più il corso a' suoi aenlicri: 
Le vaghe Ninfe sue nitide t caste 
Lamentando fuggir gli assalti feri: 

Ed ei per non veder, l’ erbosa fronte 
Ascosa area sotto al Cemeoio monte. 

IXXXVI 

Poi eh* ha sfogato alquanto Lanciotto 
Con tra il popul laggiù l‘ avoto sdegno, 
Sopra T asciutta terra ricondotto 
la ritrovar I* Iberno opra l' ingegno, 

E dove è mcn lo staci fugato e rotto, 
Scorge un gran cavaltcr, che mostra segno 
Di nobillade insieme e d' alte prove, 

E che 'n verso di lui correndo muove. 

LXXXVU 

Fecesi lieto in core, e seco spera, 

Ch* esser potesse il chiesto Segursno : 

Poi che gli vide iu man f insegna altera 
Dei leoo brun, conosce Dmadanu, 

E gli dice: Signor per quella vera 
Virtù dovuta a gran guerriero umano, 

Nun mi negale il dire, ove or dimora 
Il vostro Srguran, ch’ogni uomo onora. 


Lxmxvnt 

Risponde il eavaliero iu vista acerba: 

10 non ton qui, signor, per cura avrrc 
Qual loco Srguran ne rende o serba, 

Ma per alle spiegar le mie baodiere, 

E per largo punirle, alma superba, 

D' aver percosse le germane schiere, 

Qual lupo al borro le smarrite gregge 
Senza il cane o 'I pastor «he le corregge. 

(.XXXIX 

Che mentre in altra parie io slava ioleso 
A drizzar di Ciodino il destro corno, 

Udì lontano il nostro stoolo offeso 
Da stran nuovo gnerrier di bianco adorno : 
E ’l cansmin verso lai volando ho preso. 
Per vendicar de' miei l’avuto scorno; 

E questo è il Seguran, eli* ite cercando, 

11 qual vi mostrerò con questo beando. 

xc 

Rispose Lanciotto : Io non rifiuto 
A chi m'invila mai, noova battagliai 
Ma ben di Segurano avrei volato 
Più tosto che di vui, tentar la maglie : 
Che da voi nullo oltraggio ho ricevalo. 
Ma da I ui tal, che nnllo gli •* agguaglio: 
Or s* ei vi piace pur, facciasi presto 
Che 'I soverchio indugiar sarta molesto. 

xct 

Così detto, alta il brando e dallo scudo 
L* oscuro som Irmi per terra getta, 

E I forte Dinadan di quello ignudo 
Pen«a di tosto far larga vendetta > 

E di colpo qual può p ù acerbo e crudo 
Nel lucid* elmo il fcrc, che saetta 
Faville tante, che d’ardente foco 
Fece intorno avvampare il vicid loco. 

XCII 

Ma bisogna altro colpo che mortale, 

O che di Dinadan la forza passe 
Per fare a Lanciloltn si gran male, 

('.he por la froote alquanto se n'abbasse: 
La spada indietro rimontando sale, 

Quasi che 'I duro porfido toccasse : 

Ma *1 figliaol del re Ban» il ripercuote. 

Ove di scodo avea le spalle vote. 

xeni 

E’1 Uova a un pon lo in quel medesmo nodo. 
Ove il braccio era all’omero cummeiso : 

E 'I getta io terra io qnello istrsso mudo. 
Che suul ramo dì faggio o di cipresso 
Il paslor che vuoi far selvaggio rh>odo 
Per la mandra dubbiosa, rhe sia presso 
Del bosco folto o delle alpestri rupi. 

Ove insidie maggior tendano i lupi. 

XCIV 

Tale il sinistro braccio si disciolte 
Dal famoso gocrriero e ’n basso cade, 

E tra le areoe misero s'avvolse, 

E del sangue che versa empieo Ir strado : 
Raddoppia il colpo Lancilotto e 'I colse 
In luco onde ronvien rhe a morir vade. 
Ove appunto la lesta al collo atsirdr, 

E del tuo gran dcitricr la pose al piede 3 



l’ a V a R C II I 1) e 



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L AVÀRCHIDE 



CIX 

Ch'olirà nolli ha Drumen della Fontana 
Con Ellero e Faran dal mondo tolto ; 

Or tra la geote misera germana 
È qual fero leon nel lingue avvolto; 
Ch'ha la ilrada a' tuoi danni aperta e piana 
Sendo ogni doce suo di vita aciollo, 

Tal che 'n breviiiima ora il popot tutto. 
Senza aiolo novcl Mrl distrutto. 



cxn 

E ae di lui tentar delio v' aitale. 

Mi parria rifiutando oltraggio farne; 

Por con altro gocrrier, che non meo vale. 
Mollo più che con voi, vorrei provarne ; 
Perdi' al nobile ipirto mai non cale 
Coolr' a chi non 1' offese muover I' arme, 
Com’or farò con voi, che mai nemico 
Non tenni io questo c in altro tempo amico. 


ex 

Quando il fero Brunor I' aspre novelle 
Dell'amato fratei misero ioteode. 

Alzando gli occhi al ciel contri le stelle 
Lo spietato parlar cruccioso stende: 
Crude faci, dicendo, inique e felle 
Dalle quali ogni mal fra noi discende, 

E nel coi duro sen, d’ ogni virtode 
Somma invidia e velcn lassù si chiude ; 


ex VII 

Ma il superbo Brunoro allora irato 
Più di' ancor fosse mai, crudo favella : 

Se voi noo sete a noi nemico stato, 

A voi son io per la cagion novella 
Che del caro fratei resto privato, 

Il qual I* aspra fortuna empia e rubella. 
Non la vostra virtù, condusse a morte. 

Che più d' altro e di voi fa ardilo e forte. 


est 

Voi non potete far danno maggiore 
Al germanico lito c al mondo tutto, 

Or che per vostro oprar, l'alto valore 
Nel mio buon Dinadan giace distrutto; 

Ma segnane che può, che brevi I* ore 
Saran della mia vita o del mio lotto; 

Che qoetlo istesso di lui vendicalo, 

O me seco vedrà cangisodo stato. 

cxn 

Poi rivolto ad Arvin, dice; Or vi piaccia 
Di menarmi ov* é 'I figlio del re Oano, 
Ch'ai volere e 'I dover ti satisfaccia 
Per ti famoso doce e pio germano. 

Cosi parlando, alla famosa traccia 
Si mettono ambedue, né ‘I fanno io vano. 
Che poco andar, eh' apparve Lancilotto, 
Che '1 popolo uccidea fugato e rotto. 


CXVIII 

E con fermo voler di vendicarlo 
Vengh' io, se foste beo lotto adamante ; 

E se 'I mio reo destio negherà il farlo, 
Murrò qual duce e cavaliero errante ; 

E che mi roda il cor qual legno urlo. 
Non mi fia tempre il gran germano avanle 
La notte e *1 giorno, e mi rammenle eh' io 
Debba per lui compir T ufficio pio. 

czix 

Al parlar disperato di Brunoro 
Lancilotto alla fin così risponde: 

Se 'I cipresso cercale, o ver I' alloro. 

Né vi cal qual si sia delle due fronde, 
Agevol vi sarà I’ una di loro 
Meco trovar che in questa man t' asconde 
Di qoei la morte, ch'oatinati vanno 
Bramosi cootra lei del proprio danno. 


ex III 

Come il vide Brunoro, in vista faste, 
Qual lupa irata, che *1 leone scorge, 

Che dal nido a lei lunge i Ggli trasse, 

E che cibo ne fa Urdi a* accorge. 

Che quantunque a tal fera umili e lasse 
Sue forze estimi, tale ardir le porge 
La materoa pietade e 'I duol che stringe. 
Oh' a ditperaU guerra il dente accinge. 

CXIV 

Tal Tirato german, ch'aperto vede 
Troppo alt» al soo potere il guerrier Gallo, 
Pur peotaodo al fratello al dolor cede, 

E quanto può ver lui muove il cavalloi 
Gridando : Il seguitar sì basse prede 
In cavalir d'onore é troppo fallo j 
Turni a me il volto Laocilotlo, e prove 
Se chi Tagguaglie o ’l vinca si riiruove. 

czv 

Volgasi al soo chiamare il gran guerriero 
E che ciò sia Brunor gli è tosto avviso 
Al bianco scodo, in cui tra rotto e nero 
Ila il sorgente leone il pel diviso; 

Tolto umil poscia al tuo parlare altero. 
Signor, ritpoode, se 'I mio brando ucciso 
Ha del popol più vile, anco sentiti 
Han Ulor de' tuoi colpi i più gradili. 


cxx 

Tacque il fero germao d’ ira e di doglia 
Premendo il chioso core, e 'I brando scarca 
In Lancilotto, il qual più che mai soglia 
Sente la destra spalla esserne carca ; 

Ma il sacro acciaro e T incantata spoglia 
Al secoro difender non fu parca 
Ed oprò si, eh’ alla percossa stanca 
Nel suo primo arrivar la forza manca, 
cxxi 

Ma raddoppia il crudel presso al cimiero 
Del lucid’ elmo io so'l medesmo lato, 

Si che d’ esser si forte ebbe mestiero, 

Ch’ ogn* altro oe saria rotto e fiaccato 
E quel rimase por si saldo e 'ntero. 

Che noo più ch'adamante cangiò stato; 
Ripone il terzo colpo al proprio loco, 

E sol d' ampie faville accese il foco, 
cxxti 

In coti gran prestezza e ’n tal forare 
I colpi van, che Lancilotto a pena 
Puote armar verso lui la mano c '1 core, 

E ripigliar la traviala lena; 

Por riveateudo alfin l'usalo ardore. 

Onde gli ha il qointo etcì l'alma ripieoa. 
Mena il brando ver lui con quella forza, 
Ch'ogoi possa mortale abbatte e scorza : 


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ARGOMENTO 


J}'a Brunadasso a Palamede avvito 
Che Lanci/otto tanta strage apporta ; 
Quegli v accorre, e pugna e resta ucciso 
Con Brunadasso ancor , clic gli era scorta, 
('■lodano intanto dalla torre assiso 
Mira la gente fuggitiva e morta 
Da Lancilotto, e il suo figliuolo istesso 
Da sfurilo estinto , e Segurano appresso. 


Ti «ubilo cader di sì gran dace, 

Di' era d ogai suo beo la prima speme. 
Nei gwnanici cor lai tema indoce 
Che per loslo fuggir )' un 1* altro preme. 
Ciascun eoo ratto piè si riconduce, 

Ove vedea de' suoi più gente insieme, 

E di' apparia la strada più sicura, 

Per gir d' A varco alle bramate mura. 

il 

Ma in quella arriva il fero Brunadasso, 
Ch* avea seco i guerrieri, ove Elio e Lieo 
S' accompagna eoo l' Istro e scende io basso 
Ove il Rezio terreo più viene aprico ; 

E eoo gran cura il fuggitivo passo 
Di quel popol vicino e dolce amico, 

D’ arrestar, cerca e tutto andava io vano, 
Cli'es sena* altro ascoltar giva lontano. 

ut 

Né potendo altro far, rivolge il piede 
Ove non Inope a lui dal destro lato 
Con Ira il re Lago il nobil Palamede 
In intricata guerra avea lassato ; 

Quinci, c quindi spronò tanto che ‘1 vede, 
E ’n parlar basso a tatti altri celalo 
Disse : O gran re degli Ebridi, noi semo 
Scota il vostro soccorso al punto estremo» 


MotIo è Farano, Estero e*l suo D rumeno, 
E '1 peggio è Dioadan poscia e Brunoro 
Dal crudo Lancilotto che '1 terreno 
Ila bagnato pur or del sangue loro, 

E già sopra i German trionfa a pieno. 
Qual sovra le giovenche, eh' han del toro 
Già smarrita la guardia e del pastore, 
Sfoga il lupo famelico il furore. 

v 

E però, se di noi punto vi cale, 

Del nostro Segurano e dì Clodino, 

Venite a dar riparo all'aspro male. 

Ch'ai mortai nostro danno è già vicino. 
Grave e noioso duol I' Ebrido assale, 
L’altrui biasmando c 'I proprio suo destino, 
E rimati dubbio alquanto, t' egli sproni 
Yer Lancilotto e i suoi quivi abbandoni ; 

vi 

O se pur segua l'opra, ove ha speranza 
Danneggiare il re Lago e *1 figlio Eretto, 
Ma il prnsier che d'onor quel primo avanza, 
Scaldò il cor nell' animoso petto, 

£ di poter gli reca alla baldanza 
Riportar la vittoria al (in perfetto. 

Se Lancilotto spegoe ; che sol era 
Degli avversari lor la luce intera. 

VII 

Cosi fermo in tra se, Safaro il frate. 

Che non funge era a lui, chiama in disparte, 
E gli dice : Or il lutto riguardale, 

Che sia beu provveduto in ogni parte. 
Mentre ch'io vo dove ha rotte e fugate 
Le nostre genti ed ha per terra sparle 
Le Germaniche insegne Lancilotto, 

E con molli Brunoro a morte indotto. 

Vili 

Tremò tolto nel core il pio Germano, 
Quando ndio del guerrier la dura impresa, 
E risponde : A me par, eh* adopre in vano, 
Chi se abbandona per 1' altrui difesa ; 

E chi più che '1 suo stesso ama lo strano, 
Carilade ha di torta fiamma accesa ; 

Volete voi lassar per altrui scorno 
Senza il suo proprio duce il vostro corno? 


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l’ avarchide 

ix 

Ed or, che quali in man certa vittoria 
Già desìi Ore* (li avete e di Garrno , 

Per dubbio**, danno** e vana gloria 
La volete lauar Bell' altrui seno ? 

Quanto lia lunga e chiara la memoria 
Nel patrio nottrn e nobile terreno, 
Quando saran degli Ebridi le toglie 
Degli Orcadi vicin cerche di spoglie ? 

XVI 

Ma poi che piò s’appressa e bianco e bruno 
In quadri minutissimi distinto 
Scorge lo scodo io alto, sa che 1’ uno 
Sia Palamede che ne viene accinta; 

E di due spade, onde mai fu nessuno. 
Sopra il sinistro fianco il vede cinto; 

Dell* altro il cancro aurato in negra sede, 
Che Brun adasso sia gli ha fatto fede. 

X 

Come fia più gran suon del nostro nome, 
Che d’ aver risto sol di Bano il figlio ? 

E d" infiniti aver le forar dome, 

Che del sangue d‘ un solo esser vermiglio? 
Per quelli ornate avrem I* Ebridi chiome 
Dal Britannico fior, dal Franco giglio, 
Abbattendo color che ’o su la cima 
Tiro di valore il mondo e invitti estima; 

XVI 1 

In guisa di levrier resta smarrito. 

Che da Innge venir damma o rervetta 
Seeo stimando, per l'erboso (ito 
Or si fa incontro ed or nascoso aspetta : 
Che sdegna in se del sno pensier fallito. 
Poi che vide eh' ei fu correndo in fretta, 
Un cornuto nionton, che a quella strada 
D' alcun lupo vicin dubbioso vada. 

xt 

Non per aver ucciso un gnerrìer solo 
Di furor più ripien che di virtude. 

Giovine e traportato d'alto duolo. 

Che del morto compagno io lui si chiude; 
Prenda il vostro desio piu altero volo; 
Cerchi il vostro affannar più degna incitile ; 
E la spada famosa in ogni terra 
Sia posta in opra a più lodala guerra. 

XVIII 

Tale avviene al guerrier, da poi ch’è certo, 
Clie ’l ricercato Iberno ivi non sia, 

E ragiona in silo core : or veggio aperto, 
Quanto ho ne’ miei desir la sorte ria ; 

Che mi face il senlier sassoso ed erto, 

Ch* ad altrui piano e dolce diverria. 

Di ritrovar colui, die in ogni loco 

Suol non meno apparir, di' all' ombra il foco. 

xn 

II fero Ebrìdo allor che ’atende e vede. 
Che '1 timor ch'ha di lui, muove il suo dire, 
Risponde irato : Or dunque a Palamede, 
Che di portar due spade ha solo ardire. 
Fallirà T allo cor, la mano c *1 piede 
Dell’ nna e 1' altra impresa oggi fornire, 

D' uccider presto e d’ esser presto poi 
A distrugger qui Lago e tutti i suoi ? 

XIX 

E *n tai duri pensier la coppia trova, 

A cui parla : Signor, le vostre insegne 
Conosco io ben. che mille volte in prova 
Quant' altre mai d' onor le vidi degne; 

Nè con lor cercherei battaglia nuova : 

Ma se le voci mie non sono indegne. 

Di mostrarmi il cammin vi pregherei 
Da 'nconlrar Segurao, eh* io sol vorrei. 

xm 

Rimanete por voi, prendendo cura 
A* bisogni più gravi, ia fin eh' io rieda 
Db trarre il nostro popol di paura, 

Che d'un sol cavaliero è fatto preda; 
Mostrando altrui, come a virtù matura 
Il giovioil furor piegando ceda, 

E gran fiamma che vien da piccini foco, 
Al tempestoso eiel contrasto poco. 

XX 

Ma il ferocissimo Ebrido, che vuole 
Di Lancilotlo il dì la palma avere. 
Risponde alle cortesi sue parole i 
Limar è mollo di qui con le sue schiere, 
E troppo in basso ornai cadrebbe il sole. 
Pria che ’1 poteste in ozio rivedere. 

Ma prr non trapassar quest’ora in vano. 
Armale in vece sua ver me la mano. 

XIV 

Cosi detto si parte e 'I fralel lassa 
Vien di dubbio dolor di tale impresa ; 

E cui suo Brunadatso olirà trapassa, 

Ove il figlio di Ban fa grave offesa 
Alla gente d' Avarco in guisa lassa, 

Che posta ha nel fuggire ogni difesa, 
Menlr'ei volgendo a questa e a quella mauo 
L' odiato Segurao ricerca ia vano. 

XXI 

E cosi detto, il brando eh* alto avea, 
Sopra la lesta searca a Lancilotlo 
Si, di' ogn* altro guerriero a morte rea 
Con l'infinita forza avria coudotlo ; 

Ma l' intrepido cor che ‘n scn truca 
L* offeso cavalier, non resta sotto 
Il grave peso estinto, ma »' arrende 
Qual fiamma al vento, ove il vigor riprenda. 

XV 

E mirando, vicin vede a lui farse 
L' altera coppia che spronaodo viene ; 

Ch’ al primo riguardar degna gli parse, 
Che d’ esser l'un de' duoi gli accenda spene; 
E di si gran desìr nell’ animo arse, 

Cbe d' alquanto aspettargli non sostiene, 
Ma incontra spinge il candido corsiero. 
Lassando a lui vici Cren 1’ arbitrio intero. 

XXII 

E dice tatto irato : Io non pensai 
Da sì chiaro guerrier ricever questo ; 

Nè che ’1 cortese affetto, eh’ io mostrai, 

A sì gran cavalier fosse molesto : 

Ma il eiel chiude la vista a cui dar goal 
Dispone, e gli apparecchia aspro e funesto 
Fioe al viver mortai, come a voi face. 

Poi che 1 torlo adoprar meco vi piace. 


le 



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norvit 

Ma qual erodo leon, quando ai accia 
Dal rouo or»o impiagar più, che con soglia, 
Che sdegnoso e rabbioso ne diventa f 
£ d' ira micidiale arma la voglia ; 

Poi doppiato il foror, ratto s’avventa 
Di morir fermo, o riportarne spoglia, 

E ruggendo e fremendo fa temere 
Quanti il poono ivi adire nomini e fere. 

XXXVIIf 

Tale il figlio onorato del re Bano 
Tatto d’ira infiammalo a lai si getta, 
Gridando : Tronchi il ciel la pigra mano, 
Se del nostro dolor non fa vendetta ; 

E percuote il guerriero, e non in vano, 
Nel braccio, onde lenea la spada stretta ; 
Che fe* piaga profonda, ma non tale. 

Che '1 danno, che ne vien, gli aia mortale. 

XXX (X 

Opra ben sì, che ’l brando che non era 
Come solea, di valida catena 
Congiunto al braccio, la percossa fera 
Scorrer fa da loutan sopra 1' arena ; 

Ma quella alma onorala, invitta, altera, 
Che non cura periglio o sente pena, 
Impedito, qual è, l'altro riprende, 

Che d' un' altra cintura al collo pende ; 

n 

E gii viene a cader su ’l lato manco. 
Più alto alquanto, ove impedir non puole 
Quella che vien più bassa sotto il fianco ; 
E dell’albergo suo ratto lo srnole ; 

Indi senza mostrane afflitto o slanro, 

Più che mai I* avversario suo percuote ; 

Ma 'I colpo, che scendea dritto alla testa. 
Dallo scudo interrotto in allo resta. 


E fu tale il furore, ond'egti scese, 

Che non ebbe a suoi di simile assalto ; 

E quanto il taglio fulminando prese, 

Che fu il terzo di lui, ne cadde d'alto; 

K Lancilolto a più spietate offese 
Armalo ha il oobil cor di crudo smallo, 

E per dar fine alla dubbiosa guerra, 

Vie più stretto, che mai con lui si serra. 

XUI 0 

E senza altra di se cura tenere 
Raddoppia i colpi, e non s' arresta mai ; 

Or sopra l’ elmo, or nella spalla il fere, 

Or la al braccio sentir nuovi altri guai ; 
Non s'abbandona quel, quantunque intere 
Non aggia il miscrel le forze ornai, 

Perché I braccio ha pur frale, e *n più d un loco 
Sente il sangue versarse a poco a poco. 

xim 

E Lanrilotln alfin di cruda punta 
Gli ha drizzata la spada nella gola ; 
Ch'uve gli spirti van, vibrando «punta, 

Per formar tra le labbra la parola. 

All' estremo confin I' anima giunta 
Trista e rabbiosa in altra parte vola, 

Libera in tutto del corporeo nodo, 

Che a terra scorse in miserabil modo. 


Tosto che *1 vide steso Lancilolto, 

Del suo fero destin mosso a pietade 
Seco si duol d‘ avere a tale indotto 
Un dei miglior guerrier di quella elade ; 

E per chiaro saver, se ’l fi I gli ha rotto 
La parca ria, dall' arenose strade 
Aiutato da' suoi l’ innalza e scioglie 
L'elmo d' intorno e dalla fronte il toglie. 

XIV 

Indi, che scorge pur pallido il volto, 

Le labbra essere esangui, r gli occhi attorti, 
Dice quasi piangendo : O mondo stolto. 
Che 'ngauni ancor quei, che più sieno accorti 
Oggi é di vita parimente sciolto 
Il fior dei cavalieri arditi e forti, 

Come il più vii suo servo, nè gli valse 
L’ alta virtù di cui aola gli calse. 

xiv» 

E cosi ragionando Elea richiama, 

E gli dice : Or si porti al padiglione 
Fra molti anco costui, che d' alta fama 
Di preporsi ad ogni altro è ben ragione. 
Con Brunadasso : e quel, come chi brama 
D' obbedire al signor, tosto ripone 
Sopra gli omcr di molti il doppio socarco. 
Che '1 portar tosto al comandato varco. 

XLVtl 

Il chiaro Lancilolto su ’l destriero, 

Che gli presenta appresso, rimontalo, 

Più che fosse ancor mai gravoso e fero, 

A ricercar l’iberno torna irato; 

E seco si dolca dentro al pensiero 
Delle palme, onde allor giva ooorato. 
Dicendo : Or fia però questa mia mauo 
la ogni altro crudel, che ’n Segorano ? 

xLvni 

E eh* uccisi aggia ornai cotanti amici, 

E sì gran cavalier di sommo onore, 

Ch' io bramava vedere alti e felici, 

E che cari mi far quanto il mio core ? 

E questo sol per tutte le pendici, 

Ov’or m'avvolga il mio biliare errore, 
Non possa ritrovare in alena loco. 

Tal prende i ratei desir Fortuna io gioco ? 

xttx 

E n tale immaginare il caramin prende, 
Ove foggia ciascun, verso le mura. 

Or già Clodin da Bustarino intende 
Dell Ebrido retlor la morte dura, 

Il qual gli dice: Or sovra noi distende, 

Se 1 ciel non ha di ciò piò larga cura, 
Fortnna in tutto 1' ultima rntua, 

Che minacciosa ornai ratta s' inchina. 

L 

Morto è il gran Brunadasso, e morto ancora 
Ch’a gli stessi occhi mici do fede a pena. 
Quel, che del vecchio Atlante c dell' aurora 
Ciascuna riva del sno nome ha piena. 
L'altero Palamede, che ’n brev' ora 
Yid' io, lasso, disteso su I' arena 
Dal crudo Lancilolto, in guisa tale, 

Ch' è dal fero Icone aspro cinghiale. 


3rH 


L AVARCHIDE 




II 

Né mollo pria Brnaoro e Dinadano 
Con molli altri famosi cavalieri, 

Che contro al suo poter corsero in Tino, 
Bagnar di sangue gli aridi sentieri ; 

Tal che sol resta il nobil Segurano, 

Ch' ornai non so quel che si farcia o speri, 
E voi sommo signor, dal quale aspetta 
Salute il vivo, e chi morì vendetta. 

LVItl 

A voi tlìeder le stelle oro e terreno, 

E ’n dorati capei canuto senno, 

E gran forza e valor, ma certo meno, 

CI»' a Lancilotto e Srguran non drnno. 

Or ciascun con la grazia, ond'egli è pieno, 
Segua il rimmin che gli mostrò col cenno 
11 cielo al suo venir; non quel eh' altrui 
Apertissimo è dato, e chioso a lui. 

Ut 

Nè vi eoo rie n tardar che lo spietato 
Della fugace turba tanti atterra, 

Che n’ è colma la valle io ogni lato 
Sì, che ’l volto è nascoso della terra: 

E chi poote scampare, infin eh* entrato 
Non sia nel cerchio, che la villa serra, 
Secnro non si tiene, onde là entro 
Pianto è maggior, die nei Tartareo centro. 

LIX 

Pria ch'ora esporvi alla dubbiosa impresa 
(Se vi cal del fidato mio consiglio) 
Dovreste presso aver salda difesa 
Di Srgurano in sì mortai periglio, 

Che sia possente scodo all'aspra offesa, 
Che far vi possa del re Uann il figlio; 
Che *1 valor di due tali aggiunto insieme 
Può '1 furore affrenar che tulli preme. 

un 

Ascoltandolo attento il giovinetto, 
Ch'olirà il poter umano ode novelle, 
Timor, dnolo e pietà gli ingombra il petto, 
E si lagna nel cor dell’ aspre stelle : 

Pur per non dare a’ suoi certo sospetto, 
Che le voglie d'ardire aggia rubri le, 

Con voce alta risponde: Non si può le 
Contrario andare alle celesti rote. 

U 

Gli risponde Clodin : Grazie vi rendo 
Dei buon saggi ricordi e dell' amore, 

Ch* esser «li ine per lunga prova intendo 
Ora, e molti anui pria nel vostro core, 
E tutto in grado dolcemente prendo 
Il vostro ragionar; quantunque fuore 
Del dritto sia, poi che ’n si larga sorte 
Laucilollo di me stima pia forte. 

LIV 

A coi poi che ciò piace, a noi conviene 
Del lor volere a sofferenza armarle, 

E nel presente aver 1’ alme ripiene 
D' alto e chiaro desio di vendicarle, 

E rivestire il scu di certa spene, 

Ch' oggi non sicn le nostre forze scarse 
Piu che fossero ier, né che d' un solo 
Men vaglia un tanto e si onoralo stuolo. 

LXI 

E vi prometto qai, che latto solo 
Lui, dovunque io '1 ritrovi, assalir voglio, 
In mezzo anror del suo francese») stuolo; 
E qual nave, che carca orrido scoglio 
Tmve, dall' aquilon sospinta a volo, 

Tosto il farò tornare ; e pur mi doglio, 
('.he '1 cugin suo Boorte r Lionello 
Noa sarau seco, e tutto il loro ostello. 

tv 

Or moviara lieti adanqne a ritrovare 
Quel, coi piò che virtù, fortuna aita. 

E cosi detto, subito chiamare 
Fa eh' a lai vegaa, dal famoso Ortrita, 
Agrogcro crude l , qnel che dal mare 
Di Nerkona ha la gente intorno uuila: 
Al qual giunto gli dice : Or di voi fia, 
Mentre io sarò lontan, la vece mia. 

Mfl 

Or prendete pur qui la cura intera 
Di tener salala e stretta questa gente. 

Cosi parlando, irato e ‘u vista altera 
Hivulge e sprona il suo rorsier possente ; 
Ma Trrrigauo il grande, e lunga schiera 
De' maggiori e miglior, che all' alma sente 
Del soo gir contro a tal temenza grave, 
Pur mal grado di lai seguito l'ave. 

LVt 

Ch' a me forza è di gire ove gran danno 
Il crudo Lancilotto ai nostri face, 

Con secnro sperar, che il breve affanno 
Tosto rivolgeremo io lunga pace. 

L' altro, eh' é de'primier, che molto sanno 
Per prora e per etade, al lor non tace, 

E gli dice : Signor, lodo ogni impresa. 
Pur eh' al pubblico ben venga in difesa. 

LXI II 

Vanno olirà ratti, c Bustarin gli scorge 
Lungo il cainmin d‘ A varco, ove l‘ Oro ne 
Su la mau destra il lento corto porge 
Di destrier morti colmo e di peritine ; 

Né mollo van, che già vieta si scorge, 
Che del lor ivi andare era cagione 
Il chiaro Lancilotto, in mezzo entrato 
Del popolo infelice e sconsolato. 

Leu 

Ma come al mio gran re sommo e sovrano 
Vi dirò ancor, di' egual 1’ esperienza 
Non avete al gran figlio del re Bano, 

Né di forza alla sua pare eccellenza ; 

Che quel che nulla cosa adopra in vauo, 
Giusto compatte alla mortai semenza 
Le virisi rare, e mai per nulla etite 
Furo in uu petto sul tolto adunate. 

HIV 

Quando il mira Clodin, che proprio appare 
L* accorto mietitor, che '1 verde fieno 
Fa nell' aprii disteso riversare 
Con la falce mortai de' prati in seno; 

Quel vedrà morto, e quei ferito andare 
Dal brando micidial sovra ‘1 terreno. 

Né i miser contrastare a morte acerba 
Più che faccia al villau la spiga o l'erba ; 


n<> 


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ix<r 

Si fa nel vallo pallido e «narrilo, 
Ch’olirà ogni creder tuo le prove vede; 

E già dentro al pender re» la pentito 
Di i vendicare il morto Palamede ; 

Ma l’onore e *1 dovere il rende ardito 
Si, che pur verni lai muove anco il piede, 
Ma in d cangiala forma, eh' apparì o 
Più freddo in parie il caldo tuo detio. 
l.x fi 

Quale il {^iovioe alan, che ’l rabido orso 
Scorge dagli alti colli entro alla valle. 
Che *n ver lui quanto può ti «prona al corto 
Per più dritto, spedito e breve calle : 

Che poi che vede oprar l' artiglio e ’l morto 

I Or nel rapo, or nel petto, or nelle spalle 
Degli altri suoi compagni, volentieri 
Prenderebbe al tornar nuovi sentieri ; 

f.IVII 

Ma lo stormo de* molti, e Palle grida, 
E ’l voler giuvinil gli porge ardire 
Tal, che più d’altro semplice s" aliìda 
Senza riguardo alcun quello assalire ; 

Il qual lunge trovandul d' ogni guida, 
Onde possa a buon porto riuscire, 

Con le gravi unghie nella tempia il fere, 
E latrando lontano il fa cadere, 

LXVMI 

Tale al miter Ciudi no allora avvenne, 
Poi eh’ al certo periglio era rondollu ; 

Ma por dritto il caminin correndo tenue, 
Ove i molli abbatteva Lancilotlo: 

E d’ Avarco vicin tanto pervenne, 
di’ alla porta e la torre era già sotto 
Ove con molli il misero C loda sso 
Tutto scenica, che si faceva in basso, 
ini 

E con amare lagrime piangea 
Con quauli ivi ha con lui, per la pirtadr 
I)i quei eh’ a morte gir, lassi, vedrà 
Di sangue empiendo V arenose strade ; 

E quasi a se medesmo non rredea, 

CIP uua sola apparia tra tante spade 
Voltasse in larghi giri, e 1’ altre tutte 
Di forza e di valor morte e distrutte, 

LUX 

Ma in sino a questo punto di lontano 
Non area ogni parte conosciuta. 

Se noo la fuga e 'I contrastare in vano 
Della turba maggior, eh' era perduta ; 

Or più vicino il figlio del re Bano 

All' imrgna famosa, che veduta 

Tiù volte altrove avea, discente, e trema 

J Per I' antica memoria, e nuova tema, 

un 

Or lotto, eh' apparir vede non lunge 
Il pino aurato, e persa le bandiera. 
Ch'aveva il suo figliuol, che ratio giunge 
Sullo alle mura ornai cou larga schiera, 
Tale acerbo dolor 1’ alma gli punge 
Immaginando il ver, si come gli era, 

Che la barba tvcglicudosi dal mento 
Quasi umor di dolore c di spavento. 


LXXN 

Or si vuol avventar dall* alte mura 
Per difender laggiù l'amato figlio; 

Or ratto andar per vìa larga e sicura 
Sena arme a lui salvar col suo periglio ; 
Or da molli impedito a* suoi sì fura, 

E vuol render di se ‘1 ferro vermigli»: 

Ma poi che questo c quel d'altrui gli è tulio, 
Chiama Ài figliuol con lacrimoso volto. 

usui 

E spingendosi avanti, quanto lice 
A chi ben ritenuto e slrcllo sia, 

Gridava; Or dove vai, salo infelice? 

Quale spietata stella, uiroè, t' invia 
Verso quei snicidial, che la felice 
Già bella e numerosa prole mia 
Ha si bassa condotta, che tu solo 
Con quattro altri minor mi sei figliuolo i 

LSII? 

E eoo quei pochi ancor rendevi quel* 
Questa canuta e debile vecchiezza ; 

E tutto il regno mio, clic 'si te s’acqueta. 
Pur attendeva un di pace e dolcezza. 

Or non tentar, che morte acerba mieta 
L’ ultima nostra speme e la ricchezza ; 

Non voler porre in rischio il nostro bene. 
Che sol di tutti in vita ne manlirue. 

LXXV 

Ma perchè ha fral la voce e pnr »' avvede, 
di’ udirò il suo parlar noo può C lodino ; 
Che tal grido e rumor 1’ orecchie Cede, 
Che ’n vati 1* ascolleria, chi gli è vicino : 
Questo e quei chiama intorno, in coi piu fede 
Apgia per lunga prova; c basso e ’nchino 
Umile il prega, non con regie note, 

Ch' ogni spirto orgoglioso il duolo scuote, 

itivi 

E dice : Or gite insieme, amici rari, 
lì dove il mio llgliuol co’ Suoi s' aduna, 

E gli narrate s miei dolori amari. 

A cui simil non vide sole o luna; 

E se i paterni preghi ebbe mai rari. 

Che non tenti oggi f invida forlnna 
lontra il figlio di Ban, ma dentro vegna 
A salvar la città con quella insegna. 

LXZVtt 

Vai» tulli quelli, ed è di loro il duce 
Il suo primo scudier, detto Amillano; 

Che eoo gli altri volando si conduce. 

Ove trove Clodia, ma giunse in vano, 

Che già corso era alla dorala luce 
DeU’arme illustri, che spiendea lontano. 
L'ardito Lancilotlo, eh' avea speme 
Di trovar Segurau con questi susieme. 

tuvm 

E conosciuto alfin, eh' egli era solo 
Il grande crede del famoso Avarco, 

Qual aquila affamata mosse il volo 
I)’ ira in un puuto, e d’ allegrezza carco ; 
Che *1 figliuol riveder gli apporta duolo 
Di chi 'I patire gli avea di vita scarco ; 
Passi lieto al trovarlo in pace, dove 
Possa di trarlo a fin porsi alle prove. 


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LXflX 

E min* giunge i Ini, senz’ altro dire 
In mrzzo a qnanli ivm «Iona alla trita 
Di colpo tal, che allor potrà finire 
La vita in tutto, eh* a panar pii reità; 

Ma Biuta rimi il grande, eh' al ferire 
Di lui ben guarda, e che la spada ha pretta, 
Con quella il gran furor, che 'n bailo scende, 
Raffrenando, Clodin sicaro rende. 

univi 

Ma pnre il gioviti re, ch’altro non vede, 
Fuor che ’l fuggire a qnel periglio scampo, 
E più tosto che 'ndietrn accorre il piede, 
Vuol fine aver sol destinato rampo, 

Si fa innanzi spronando e nulla cede, 

E fa qual lume che più ardente lampo 
Mostra che pon solca, quando più scemo 
Ha il nutrimento suo giunto all' estremo 

LXXX 

Non però Unto fa, eh* ei non ti senta 
Della percossa si, che ne rimane 
Stordito alquanto, ma non gia«*qnc spenta 
La virtù regia, o le ine fonte rane ; 

Ch* ardito più che mai, ver lui s'avventa. 
Come contro al ringhiai ferito cane, 

Che ne' compagni suoi ponendo speme 
|l crudo offendi tur di nuovo preme. 

LXXXVlI 

Così fece egli ; e molti colpi in vano 
Su lo sendn, su 1* omer, su la fronte 
Dona al figlio onorato del re Bano, 

Ma nuoce meno assai, eh’ al Prlio monte 
Non fan 1* arme temprate da Vulcano, 
Quando ha Giove al ferir l’ tre mrn pronte; 
Che gli pon ben crollar gli arbori e i sassi, 
Ma il suo rìgido dorso immoto stani. 

Lmt 

E eon qnanto ha rigor preiio al eimiero 
Non aspettala allor gli pnn la «peda ; 
Bmtarin, Terrigano e ’1 forte Nero 
Fan seco a pruova chi più innanzi vada ; 
Quel nell'omero destro un colpo fero 
Gli diè da lato, mentre ad altro bada, 

Il serondo nel rollo, « ’l Ner perduto 
D a una punta nel petto 1* Ita lenito. 

LXXXV 01 

Rompe alquanto lo scudo, alquanto scorza 
Della mrn dura maglia e del cimiero : 
Gravagli il capo e lentamente sforza 
Il braccio in basso, che più giva altero; 
Ma Lancilntto atfìn, con quella forza 
Ch' uvea più intensa e più spietato e fero 
Che finse forse ancor, verso esso sprona, 

E ’n cotale aspro dir seco ragiona : 

unni 

Lirico altro staol di cavalieri è mosso, 
Che del suo giovin re la guardia area, 

E con ogni polir va tatto addosso 
Al prode Lanrilotlo, e tal farea 
Ch' ogni altro ne saria di lena scosso. 

Ma quella anima invitta la virtude 

Fa io più doppi maggior, che dentro chiude* 

LXXIIX 

Non pnò, spietato re, da me scamparle, 
Se non l'alto Fattor, che lotto punte; 
Chiama invan pure il bellicoso Marte, 
Ch'fiai tanto in pregio e le sue quinte rote: 
Che ti ennvien volare in quella parte. 

Ove udirai le dolorose note 

Di più d' un tuo fratei, cui la mia spada 

Sospinse acerbo alla Tartarea rir.tda. J 

LXXXIlt 

E quale avvien, se ad espugnar le mura 
Al nemico eaitel, di orribil polve 
Di nitro e zolfo un* ampia fossa oscura 
Ben chiusa intorno il saggio dnee involvc, 
Poi di in preda a Vulcan, ch'ultra misura 
Sforzando ogni ritegno, apre e dissolve 
11 monte altero e ’n paventoso tonno 
Getta i sassi lontan che in esso sono i 

xc 

Così parlando anror vibra una punta 
Con tutto il suo valor rontra lo snido. 

La qual con quel furor per esso spunta, 
Come un* altra faria, chi foue nudo : 
Squarcia anco 1' arme e tra le roste giunta 
Corre in mezzo del Core, e '1 colpo crudo 
Ivi non resta, ma dall* altro lato 
Per k> spinoso dorso ha trapassato. 

LXXXtV 

Tale il fero goerrier, ch’oppresso e stretto 
Da tanti e lai nemici si ritrova. 

D'ire infiammando l'animoso petto. 

Con T istesso furor par che si muova ; 

Gira il forte corsiero e ’n se ristretto 
Spiega le braccia alla incredibil pruova, 

E del sinistro f empio Terrigano 
Con un r over so sol distese al piano. 

XCI 

Ftiggesi Palina afflitta e disdegnosa 
Di partir indi alla stagione acerba; 

Cada il gran busto e duramente posa 
Riversato tra' suoi sovra arida erba r 
Né lungo tempo al vecchio padre ascosa 
Del figtiuol T aspra fin, lassa, si serba : 
Ch' ei con l’occhio medesimi sceme il tutto, 
Nunzio non mentito* del proprio lutto. 

LXXXV 

Col collo di Nifonte Bustarino 
Insieme col cavai posto ha per terra; 

Indi il Nero Perduto, che vietilo 

Più 1* impedisce ancor, con molti atterra; 

Poi con più rabbia al misero Clodino, 

Che soletto riman, si muove a guerra ; 

Nè mai restò con lupo a tal flagrilo 
Da cani e da paslor lassato agnello. - — 

xcit 

Ma in «|uello istesso ponto che ’l destriero 
Lasciò, morendo, il misero figliuolo, 

Esso i sensi smarriti, su ’1 sentiero, 

No '1 sostenendo alcun, cadde di duolo: 
Ma il chiaro vincitore ardilo e fero 
Conira quei, eh' ivi sono, addrizza il volo : 

K '1 primier fu il superbo Bustarino, 

Che risorto il cavallo è il più vicino. 


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XCIII 

E dove pria donar pensava aita. 

Or del suo gioviti re s’arma a vendetta, 
E baldanzoso sprona e gli altri invita, 

Nè però alcun di lor tardando aspetta: 
Arriva, ove la man forte ed ardita 
Tenea contro al suo gir la spada stretta: 
Ma per esser colui più grande assai, 

No '1 può sopra la spalla aggiunger mai. 

xciv 

E quello alteramente sovra lui 
11 può sempre ferir dritto alla lesta, 

Nella qual raddoppiando i colpi sui 
Or quinci or quindi di ferir non resta : 

Ma il Franco invitto, di' ha virlude in cui 
Nulla forza mortai verna molesta. 

Basso c ristretto in se tutto sostiene 
Tanto ch'ai suo disegno alfin perviene. 

xcv 

Che aliar che’l grave brando in basso srende 
Per impiagarlo ancora, alza lo scudo 
E dall’aspra percossa si difende: 

Poi gli addrizza di punta un colpo crudo, 
E sotto il destro braccio proprio il prende, 
Ove il loco di piastra è sempre ignudo. 
Solo armato di maglia : che nini resse. 
Che tela al grandinar, ch’Aragne tesse. 

xcvi 

Che trapassa entro al cavo di quell' osso, 
Ove all* omero il braccio si rnnpiungc, 

E seguendo il cammin, di' ha in alto musso, 
In bn nel collo per la spalla aggiunge. 

Ma no ’l vedendo amor di vita scosso, 
Tragge indi il brando c nuovamente punge 
Nelle roste più basse al lato mauro; 

Che fan 1' arco minor vicino al Ganco : 

xcvil 

E squarciò 1" intestili, die primo arrogile 
Quel ch'avanza a nodrir la vita umana; 
Così dal suo gran vel 1' anima scioglie, 
Che di crudele orgoglio era sovrana. 

Ma già vien Trrrigan, che delle spoglie 
Di Lancillotto ha in se speranza vana, 
Pensando : Cosi stanco è quegli ornai, 

Che sarà il mio valur piu saldo assai. 

XCTIll 

Coiai dicendo in se, ver Ini s'avventa 
Quasi intricata anror cou Bustarino, 

E con la spada d'improvviso il tenta, 

Ove il collo alla testa è più vicino ; 

Ma d' impiagarlo indarno $’ argomenta, 

Che *1 ferro al suo poter fu troppo Gno ; 
Allor di sdegno pien 1* alto guerriero 
Verso, ove il colpo vien, torna il destriero. 

xcix 

E gridando altamente: O disleale, 

Non ti sieno anco d’ utile i tuoi inganni, 
Nè schivar ti polran l'ora fatale, 

Che ’n sn 'I b»r bel fiorir ti tronchi gli anni; 
E ‘n questa viene il colpo micidiale, 

Ch’ alla perpetua notte gli condanni 
L’ umana luce : che traverso il prende. 

Ove il collo più basto al petto scende : 


e 

E il troncò tatto, e la feroce lesta 
Assai d* ivi lontana andò per terra. 

Di papavero in guisa, a coi molesta 
La verga fosse che per gioco serra 
La fanciullesca man: che sciolto resta 
Dal suo sostegno e pallido s* atterra 
Intra l'erba più vii, ma ch'ai suo piede 
Avea presa di lui più ferma fede. 

ci 

Cadde appresso il gran boslo, e fe’ la valle 
Risonare, e tremar d* allo romore. 

Quando 1' arena dell’ armate spalle 
Oppressa fu dal subito furore. 

Or gli altri cavalier cercano il ralle 
Per trarsi ornai di tal periglio fuorc. 

Nè si trova di tutti alma secora 

Fin che non sia d' Avarco entro alle mura ( 

cu 

Ma il Ner Perdalo, che sovra il destriero 
Rimontato più lardo si ritrova. 

L'ultimo fu di lor rhe ’l braccio fero 
Del crudo Lanciiolto, miser, prova ; 
Drizzagli irato un colpo su 'I cimiero 
Cui Gnissimo acriar niente giova ; 

Che eoi capo in due parli sa le spalle 
Fu orrendo incarco all'arenosa valle. 

cui 

Fa il chiaro vinritor, che sia portato 
Il gran regio Ggliuol, questo, e qnei dui. 
Ove morto di lor rimanga ornato 
Chi più d' ogni altro vivo è caro a lui. 

Or già di duci tali il duro stato, 

E di molti altri amici e copio sai 
Pervennlo alle orecchie era lontano 
Per più d' un nunzio certo a Segurano: 

civ 

E fu in fra molti il giovin Polibone 
Mandato ultimo a lui dal re Vagorre, 

Poi che Clodasso alla reale magiooe 
Condotto avea dalla famosa torre ; 

II qual pungendo con più aguto sprone 
Che possa il suo cavai cercando corre 
Del grande Iberno, e 1’ ha trovato in breve, 
Cli* avea col re TrUtan battaglia greve. 

cv 

La quale appunto allor condotta a tale 
Per l'ima e l’altra parte si vedea. 

Clic poro polca gir, eh’ era mortale 
Per chi più avversa la forlooa avea ; 

Però rlie la virtù fu lauto eguale 
Ch' a*sai poco il vantaggio si scernea ; 

Pur di Meliadusse il franco erede 
Vie più jiroulu c leggi cr la lor si vede. 

evi 

Rompe allor Polihon I’ aspra battaglia, 
Gridando; O re d’ Ibernia, e* vi conviene 
Altrove arme squarciare, e romper maglia. 
Ove morti i miglior son gli altri su pene; 
E se del vostro onor punto vi caglia, 

E di chi scettro iu man d' A varco tiene. 
Venite a dar soccorso a quelle mura, 

III cui por Claudiana è mal sicura. 


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l’ avarchide 

CfH 

Morto « 'I buon Dinadan, morto è Ilrunoro 
Palamede il gran dace, e Bustarino ; 

Ma quel, eh* aggrava più, morto è fra loro 
Il vostro caro e misero Clodino ; 

£ '1 gran suocero vostro il suo tesoro 
Vide condotto all' ultimo confino. 

Che sopra all' alta torre scene il lotto, 
Chiamando sempre voi con pianto e lutto. 

«mie 

Ma rinfiammalo Iberno alfin condotto 
Alle sponde vicin della riviera. 

Come scorge da lungc Lancìlotlo, 

Gli dice in voce minacciosa e fera : 

Pria die ’l giorno, ch'or Iure, asconda sotto 
L* occaso il volto e si converta in sera, 
Tremante il petto, c lagrimoso il viso 
Ti pentirai d‘ aver Clodino ucciso. 

eviti 

Gridando: Ov' or si trova ogni mia speme 
11 gran geoero mio ? perchè non viene 
A soccorrer «|ael resto del mio seme, 

Che la fortuna anror vivo ritiene ? 

£ ’n questa srorge chi T assalta e preme. 
Poi che gli ha tratto il sangue di piu vene« 
Ferirlo in messo il cor con 1’ empia spada, 
£ riversar sena’ alma su la strada. 

cxv 

Nè li varrà Pavere arme incantate 
Vano e folle gnerrier della nutrice; 

Nè mille più di lei sagaci fate 
Ti porriano scampar l’ora iufelice, 

E triste oggi per te saranno stale 
L* alte vittorie, onde ti fai felice ; 

Che i tuoi chiari trofei, le ricche spoglie 
Spiegherai di Plutoa nell'aire soglie. 

C1X 

Al coi erodo cader cadde egli ancora 
Sopre le nostre braccia afflitto e smorto; 
E '1 re Vagorre mi comanda allora, 

Cir io vi cercassi per cammiu piti corto, 
E narrassi il gran danno ove dimora 
La misera città, senza ronforlo. 

Senza sostegno ornai d’ alcun de’ soni, 
Senza speranza aver se non in voi ; 

czvt 

AH' aspro minacciar subito volto 
Il gran figlio di Bau, tosto che sceme 
Ch* egli è pur Seguran, che 'ntorno accolto 
Più d'ano avea delle sue schiere (berne; 

Col cor ben lieto, e con allegro volto 
Rende alte grazie alle virtù superne; 

Tra gli arcion ti conferma, e sovra il petto 
Lo scudo addrizza, e meglio il brando ha stretto 5 

ex 

Che '1 erodo Lancìlotlo in tale orgoglio, 
In tal rabbia e furore oggi è salilo, 

Che di romper di Scilla il duro scoglio 
Col brandii, eh* ei soslien sarebbe ardito ; 
Pìen di spavento in somma e di cordoglio 
Tutto il campo in Avarco è rifuggilo; 

Sol questa parte di tinnir si sgombra. 

Che del vostro valor combatte all' ombra. 

cxvtt 

Indi come leon, che dal digiuno 
Lungamente già oppresso, ha il di cercato 
Per boschi e valli, nè d' armento alcuno, 
Nè di cerva, o di damma orma ha trovato; 
Che quando ha meno speme all' aer brano 
Se gli mostra un gran tauro al verde prato, 
Ch' a lui s’ avventa, qual tacita soglia, 
Sbramando ingordo l'affamata voglia; 

CXI 

Mentre il feroce Iberno le parole 
Del tristo messaggier tacendo ascolta, 
Non fu di si grand' ira al caldo sole 
Offesa dal villan mai serpe avvolta, 
Com' egli allora, ed or nel cor si duole 
Del suo Clodino, or della gloria tolta. 
Che mal può rirovrar, poi che Ini vivo 
Sia d* un Unto figliuol Clodasao privo. 

Cavili 

Cosi verso il corrente Segaraoo 
Il brumoso gnerrier muove il destriero. 
L' uuo e l'altro di lor 1’ arerba mano 
Alza all' istesso punto ardito e fero; 

Ma T onorato figlio del re Bano 
A ferir 1' avversario fu il primiero ; 

E T oscuro dragOn, che in oro siede, 
Sovra il possente scudo altero Cede. 

cxu 

Nè sa con quai conforti possa ornai 
Raffrenare il dolor della consorte. 

Ne con la vecchia Albina scusar inai 
La lonUuanza sua da quella morte; 
Vergogna il punge, e gli raccresce guai 
Puugcule invidia in pio gravosa sorte; 
Che ‘1 gioviti Laucilotto ornalo vede 
Di tante illustri c si famose prede. 

CXJX 

E quantunque d'arciar la sesta scorza, 
E finissima e grossa il ricìugesse. 

Del sacro brando all' influita forza 
Nuo come contra gli altri integro resse ; 
Che '1 parte fimo al mezzo, e tanto sforza, 
Che la sinistra spalla aurora oppresse 
E fé’ in basso piegasse il grande Iberno, 
Qual 1' abete Aquilone al maggior verno. 

CXJII 

E da' tristi pensier di. trailo il core, 

Ove il pensa trovar ratto s' invia, il 

E *n un momento uscio di vista fuore 
Del buon Trislan, che presso il brameria ; 
Pur lui perdendo, sfoga il suo furore 
Sorr' altra gente, e spinge a morte ria 
Tanti cjuel di, che si porrian f un lare 
Non piu che 1’ onde dell' Icario mare. 

CSX 

Ma non senza vendetta, eh* esso irato, 
Con la spada, eli' ei tolse a Galealto, 
Tosto percosse lui nel proprio lato 
Colai, ch'ebbe acerbissimo 1' assalto. 

L' argentalo suo scodo, fabbricato 
D' immorlal tempra di porfireo smalto, 
Por cou tutto il valor al darò peso 
Col sao nuovo signor fa molto offeso. 


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Qui dell'uno e dell’altro in guisa accresce, 
Lo ipir tato delio di vendicarle, 

Che eoo manco furor •' avvolge e meire 
La fiamma in Mongibel, qoanto piò arie ; 
Ma pui che ’l ferir primo in van rieiee, 
Per tosto vincitore a* tuoi mostrane. 

L'un e l'altro di lor lana da parte 
Del mani al lavor la norma c l'arte, 

CUM 

E arnia aver riguardo al «no vantaggio 
Come l'ira amministra, i colpi vanno 
Pin spelli assai, eh' al tempestoso maggio 
Grandine, eh' alle spighe apporti danno; 
Nè coti ratto in giro il solar raggio 
Muove specchio, eh' é mosso, come fanno 
Le spade lor, che sembrano al sereno 
Notturno estivo ciel, lampo e baleno. 

CXXMI 

li popol, eh' a vedere è intorno accolto 
Dall'ima e l'altra parte, e stassi in pace. 
Col cor tremante e con dubbioso volto 
Or spera, or teme quel che più gli spiare. 
In se parlando: Or n' è concesso, o tolto 
II fin bramalo e la tranquilla pace; 

Perchè in man di costoro è posto solo 
11 ben perpetuo, o *1 nostro eterno duolo. 

cxsiv 

E levando le ciglia in preghi e ’n voti 
Ciasrno quel che desia, domanda al cielo; 
Questi con umil cor efaiamaa devoti 
Chi del ver prima aeroso squarciò il velo. 
Quelli i fallaci Dei più bassi e noti, 

Giove, Marte e *1 pastur che nacque in Dclo, 
Che al suo donin vittoria, per mercede 
Dell' avuta di lor credenza e fede. 

cxxv 

lif questo tempo i nobili guerrieri 
Sono «offesi fra lor di danno eguale ; 

Van dì pari al ferirsi arditi e feri, 

E di pari han partito il bene r *1 male; 
Son raduti per terra ambe i rimicri 
E P incantato ferro a pena vale 
Degli elmi a mantener salva la lesta 
Dalla forza crude!, che gli molesta. 

enn 

E senza piaga aver riman sovente 
L' uno e I' altro di lor quasi stordito : 

Ma ìl core invitto, e 1* animo possente 
Mantiene al corpo il suo vigor si unito. 
Che qual gravalo più talor si sente, 

Per vergogna eh' ei n’ha, più torna ardito, 
E lai la mano sprona al vendicane 
Cbe non gli toruan mai le forze scarse. • 

cu. vii 

Qual nell* ampio Ocean, quando 1' offende 
Il nevoso Aquilon con greve assalto, 

Ch’ ove più l'onda spinta in basso scende, 
Più in minaccioso suon risorge in allo, 

E 'I turbato suo corso innanzi stende. 
Variando il cammin di salto in salto. 

Si eh’ ora eccelso monte, oca umil valle 
Si lassa indietro alle spumose spalle; 


curati 

Tale avvien di costar : or qnello appare 
Quasi esser vincitore, e pui «i vede 
Questo con tal valor sopra tornare. 

Clic di lui sol la palma esser si crede ; 

Ma l'orgoglioso Iberno, ch'aver pare 
Si sdegna al mondo, e che si tiene erede 
Di quanta gloria mai gli antichi suoi 
Ebbero al moudo e tutti gli altri eroi; 

esili 

E ch'ornai trarre a fin vuoi qnesta guerra 
E eh' ha vergogoa in se, che tanto dura ; 
Irato ad ambe man la spada serra 
Per isforzar se stesso c la natura : 

Drizzala in fronte, ina vaneggia ed erra. 
Che *1 saggio Lancilolto, eh' ba pur cura 
Di quanto avvenir punte, alza lo scudo, 
Che non vegna su 1* elmo il colpo crudo. 
rxxx 

m E bene ad uopo fu, che in colli guisa 
Rovinò in basso l' orrida tempesta. 

Ch'ogni pietra durissima divisa, 

Non por di Lancilolto avria la lesta ; 

Ma l’ incantala guardia non incisa. 

Né pur segnala di quel colpo resta ; 

Fu ben colai, che in un la mano c *1 braccio 
Nè sentir lungamente amaro impaccio. 

CXXXI 

Or non fu visto mai salva lico «rio 
Sovra I* Alpi avventarse con lant' ira 
Verso il fero mastio che 1' avea morso, 

E di lui paventando il piè ritira; 

Che ruggendo e gemendo il lardo corso 
Muove infiammato, e tutto rabbia spira. 

In fin che ritornalo a nuova guerra 
Con 1' artiglio mortai lo stese a terra ; 

carni 

Come in qnel ponto fece Lancilolto, 
Spiugendu il suo dcslricr nel percussore, 

E di punta ìl ferio, che scorse sullo 
Lo scodo al petto, che si mostra fu ore ; 
Trapassò il brando addentro, ma condotto 
Non s'è tanl' olirà, che trovasse il core ; 
('.he nella quarta costa in basso il prese. 
Né dritto gio, ma in allo si distese. 

(XXXIII 

S- empion 1' arme di sangue, e non ne cale 
AU’ animoso Iberno, che già il sente, 

E con più ardore il gran nemico assale ; 
Ma intanto il negro tlon, che men possente 
Fu di Nifoote, a contrastar non vale 
Al furioso urlar, che alteramente 
D* improvviso gli vien del destro lato 
Sì che sopra il sinistro è riversalo. 

cuuf 

E sopra il suo signor tutto si trova, 

Il qnal più presto assai, che leve augello 
Da lui ss scioglie, ed a novella prora 
Si rappresenta minaccioso e fello ; 

Ma il nobil Lancilolto, a cui non giova 
Vantaggio alcuno aver, veloce e snello 
Salta giù del destriero, e *n larghi passi 
Onde vien 1' avversario, innanzi (assi, 


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. CX*XY 

• Dicendo : Or non prosit» altero durr, 

Che l'amor ch'ho portalo al chiaro amico, 
E 1 desio di vendetta, che m'induce 
A chiamar Segnrano aspro nemico, 

Mi faccia oppi oscurar la pura luce 
Di virtù vera, e del valore antico ; 

O ricercar di vni bramata morte 
Per altre, che d'onor lodale scorie. 

CXtlI 

E’I potrà ben finir, ma torta viene 
La spada, e sovra P omero discende, 

E 'rn piaga sì, che a pena più aoslirne 
Lo scudo ornai, che da quel lato pende ; 
Perch' avea i nervi incisi, e P altre vene. 
Onde il bracrio sinistro il vigor prende : 
Spinge una pania poi, che dritta giunge, 
Ove piò il collo al petto sì congiunge. 

cxtxvr 

Risponde Segnran : Nulla mi curo 
Di qual per danuo mio prendiate strada; 
Che del mondo c di voi vivo seenni. 
Mentre in man sostener potrò la spada : 

; Or si dia (ine all* opra, anzi che oscuro 

Lassa n< lo il nostro mondo altrove vada 
Il sol cadente, che m‘ avanzi aneora 
D‘ espugnare il vostr' oste larga ora. 

cxizn 

Ma non venne tanl'alta, clic ritrove 
Il cavo in cui mortale il colpo fora. 

Or dalle prime piaghe, e queste nuove 
Tai tenguinose stille meivan Inora, 

CIP a pena il piede, a pena il braccio muove 
L' afflitto Iberno, e pur si vede aneora 
Lo spirto invitto ardito dimostrane, 

E quanto oppresso è piò, più alter» farse. 

cxxxvit 

Cn colai ragionare un colpo dona. 

Che gli venne a trovar la destra spalla, 

E quella in guisa, e lotto l'altro intuona, 
Che in basso rovinar di poco falla ; 

Par reggendo alta e 'nlepra la persona 
Con un ginocchio sol piegando avvalla 
Il dritto piè, ma tosto nc risorge, 

1 E '1 brando alla vendetta altero porge. > 

CXtAY 

E qual veggiam la vincitrice palma, 
The 'n famoso edificio posta in opra 
Quanto sente aggravar maggior la salma, 
Più d' in alto montar te forze adopra, 
Cotal di Seguran la nobil alma 
In quantunque fortuna, a tutte sopra 
Mai sempre si mantien, nè prende cura 
Della vita mortai, che poco dura. 

cxxxvut 

E sopra il destro bracrio per traverso, 
C,he più scoperto aveva, irato il fere; 
Taglia olire tanto, che di sangue asperso 
Quant'ivi ha fino acciar fece cadere. 

Non si sgomenta il fero, e cangia verso, 
Poi che sente fra se, che sostenere 
Può il grave brando ancor, che nervo. od osso 
Impiagalo noi* ora, o d* indi scosso. 

rir 

Ma il buon figlio di Ban, che vede ornai 
Giacer nelle sue man di lui la morte, 
Spoglia l'ira crudel degli altrui guai, 

E pietoso divien della sua sorte, 

E dice : Alto mio re, se foste mai 
Per tempo alcun da più cortesi scorte 
Guidato a far mercede a giusti preghi. 
Quel, eh' io domanderò, non mi si nieghi. 

CXXXIX 

Ma qual crudo Iroo, che '1 cacciatore 
O di strale, o di dardo aggia ferito ; 

(die srerneado il vermigli» atro colore 
Vie più, che non solca, diviene ardito; 
Drizza l' irsuto vello, e mostra fuore 
L* artiglio « '1 dente e con la coda il lito 
Battendo intorno a se, di salto ìu salto 
S addrizza irato al micidiale assalto ; 

cxi.vl 

Piacciavi oggi trovar 1' albergo mio 
Del quale, e poi di me vi fo signore; 

Ivi al re Galealto amile e pio 
Domandar sol la pace, e fargli onore ; 

E vi prometto qui, se son degp' io 
D' esser da voi creduto, che ’n brevi ore 
Vi renderò in Ayireo , e non vogliate. 
Ch'io spenga sì gran lume a questa elale. 

CXL 

Tale il gran Seguran ratto a’ avventa 
Verso il nemico suo pien di dispetto, 

E con mille percosse in giro teuU, 

E la fronte e le braccia e '1 ventre e ’l petto. 
Tal che ’l popol Britanno si spaventa, 

Che di vederlo ucciso avea sospetto ; 

Ma 1‘ accorto guerrìer senza paura 
Di difendersi sol prendeva cura. 

CXI.VII 

Che potete veder, eh’ ornai m* è dato 
Sovra voi questo dt certa vittoria, 

La qual non mia virtù, ma vostro fato 
Slimerò sempre, e di noi par la gloria ; 
Ma lassar senza onore in (ale stato 
Nun potrei fuor di bissino la memoria 
D* un re sì grande, e si leale amico, 

Ch’ ogni esempio avanzò moderno e antico. 

czls 

E col divino scodo or alto, or basso, 
Ogoi colpo, che vien, Irnea lontano ; 

Né cangiando orma, o ritirando il passo 
Solo in guardia ponea Panne e la mano; 
Fin che 1 feroce Iberno frale e lasso 
Oroai conosce il faticar suo vano; 

AJIor più verso lui movendo il piede 
Con quanto avea potare io fronte il firdc. 

CZLVtlI 

Risponde il cavalier tulio sdegnato, 

E piii che altrove mai, con alto core: 
Tu dunque ardisti, folle e scellerato, 

Di Seguran tentar l’ invitto onore ? 

Usa la sorte tua, eh' al duro stato 
Yogl' io più presto d' internai dolore 
Per mille morti, e mille esser condotto. 
Che questa vita aver da Lancilollo. 


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cu.dk 

Coti parlando, col vigor che retta, 

Che pur poco era ornai, torna a battaglia, 
E quinci e quindi quanto può moietta 
Del franco cavaliere» or piatirà or maglia; 
Drizzagli al line il brando tn la letta 
Tal, che la viata quati gli abbarbaglia ; 
Onde il figlio di Ban motto a pinti’ ira 
Per dar line alla guerra nn colpo tira; 
et 

E drittamente il colte ove la gola 
Agli spiriti el cibo ha doppia strada; 

L‘ una e 1* altra squarciando, innanzi vola 
Tinta d’atro color l’apnta spada. 

Col sangue mista rapida t'invola 
L’alma, cui vero onor, non altro aggrada; 
Cadde il gran butto, e l' arenosa valle 
Empio» «T alto rumor 1* armale spalle. 

cu 

Il chiaro viocitor tosto 1’ accoglie, 

Punto il cor di dolcissima pirlale ; 

E con sembiante nman dell' elmo scioglie 
Le luci £ià di tenebre adombrale: 

Lo scudo e 1 chiaro brando iodi gli toglie, 
Aprendogli le man, che ancor serrale * 
Coti morto lenea, come anco schivo 
Di si onorate spoglie ivi esser privo. 


cui , 

Tatto il popolo Iberno, e I’ altro insieme. 
Che quivi era virin, fogge in Avarco, 

Qual gregge, a cui leon col morso preme 
Il pio pastore, e *1 can di morte è ai varco; 
Ma il Britannico sluol di certa speme, 

E di estrema dolcezza il petto carco, 

Corre a veder, nè che sia crede aucora 
Dallo spieUlo cor 1' anima fuori ; 

cult 

Nè s'ardisce appressar, ma di lontano 
Il fero volto tuo, che Marte spira, 

Il forte petto, e la possente mano, 

Ch’ei teme ancor, con maraviglia mira; 
Ma dopo alquanto il figlio del re Bino 
Dal sovrastante vulgo indietro il tira, 

E ricoperto poi d' aurati fregi 
Il fa seco portar fra gli altri regi. 

CU V 

E condotto all'albergo il fa purgare 
T)' ogni marchia, eli* avea di sangue, o polve. 
Con tepide acque, e dentro dispogliare 
Di che più tosto in putrido si solve ; 

Poi sotto a Galealto il fa locare. 

Ma pria di tela serica V involve ; 

Fa il medesmo degli altri, e di Clndino, 
Gli’ al forte Seguran fa il più vicino. 



CANTO XXIV 



ARGOMENTO 

•»**■*«*• 

Ogni Britanno esalta il vincitore. 

Che sempre mesto, è ulftn dal sonno preso ; 
E tiulealto presso al nuovo albóre 
fili appar , e dice ch‘ è dal del disceso. 
Desto, alla salma ogni dovuto onore 
Con regia pompa , e molto pianto è resot 
Quindi ne' giochi funerali ai prodi 
Porgami i doni e le merlate lodi. 

*&<*** I* 


I\Iorto il gran Segurano, e rifuggito 
Tutto l'oste avversario dentro Avarrn, 
Lassa il Britanno siimi già d' Euro il li lo, 
L ’n verso i padiglioa sii gioia carco 


Volge il piè vincitore, e del gradito 
Lanciotto lodar nessuno è parco. 

Dicendo : Ei tanto più d' ogni altro vale. 
Che non si dee stimar cosa mortale. 

il 

E ben si può biasmar l’aspro consiglio 
Dello sdegnosa Arturo e di Gavcno, 

Che n* avea tutti posti a gran periglio, 

E la parte miglior di morte in seno. 

In tai parole il popolar bisbiglio 
Correa d' intorno di licenza pieno ; 

Gli altri daci maggior taciti vanno, 

E l’ invidia di lai celando vanno, 
in 

Onde latti «in colmi, fuor ebe solo 
Il generoso cor del pio Tristano, 

Che non teme poter di pari il volo 
Stender nn di, che poco avea looUoo ; 

Or poi ehe le sacr'anne e ’n parte il duolo 
S' ha dispogliato il figlio del re Baoo, 

Con fresche onde alle mani, al collo, al volto. 
L'altrui sangue e *1 sudor s’aveva tolto. 


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L AVARO II IDE 



IV 

E cangialo il vestir, ma bruno ancorj, 

Il qual sempre portar dispose poi, 

S* invia tulio soletto, ove dimora 
Il re scoia volere alcun de* suoi ; 

Come il arnie appressar, portasse foora 
Fa il grande Arluro da famosi eroi 
Sovra un aurato seggio e ’n su le soglie 
Qual figlio dilettissimo I* accoglie, 

v 

Dicendo : Or chi potrà *1 valore invilito 
A pini lodar del chiaro Lancilolln, 

Che ‘1 nostro slato misero ed alllilto 
Al sommo del suo ben solo ha ridotto ? 

E di chi fea tremar I' lodia e 1' Egitto 
Oggi ha di vita il fil troncalo c rotto, 
(iua tanti altri Camusi duci e regi. 

Clic d* ouore ammortai merita fregi? 

vi 

Ma poi Hi* altro non posso, per mercede 
Vi dono io *1 nostro scettro e lutto il regno , 
E d' esser meco d' ogni cosa erede, 

Qual unico figliuol, vi appello degno. 

Ma il cortese guerrier chinato al piede, 

E di somma umiltà mostrando segno. 
Dopo il baciar la man, che no 'I volea, 
Con riverente amor così direa : 

VII 

Invittissimo re, non la viriate, 

Non 1’ ardire o ‘1 valor che in me ti chiuda, 
llan portati» altrui danno, a noi salute. 

Ma la voglia del ciel semplice e linda. 
Alla qual sol le grazie son dovete ; 

Però die indarno s* affatica c suda 
L* oprar nostro mortai, che s* alsa o cade 
Sccuudo il suo parer per dubbie strade. 

vili 

Ma poi che per mia mio questo consente, 
E che darmene pregio a voi pur piace ; 
Ne voglio no sol, se la cortese mente 
Olirà ogni merto mio degno mi face : 

Che per sua regia man sacra e possente 
Di vittorie, di fe', che io essa giace. 

Mi sia sproue allaccialo, brando cinto. 

In memoria di quei die a morte ho spinto, 

ix 

Le corone, il terren, le gemme c V oro, 
L’alle cose maggiori al moudo care 
Serbate a gran perigli per coloro, 

Che n’ aggiau piu di noi le voglie avare; 
Ch a me sol basta il marxial lavoro 
Allumar di virtù eoo 1* opre chiare, 

E ’mpiegar le mie forze e questa vita, 

Agli oppressi e i miglior porgeodu aita. 

x 

. Cosi parlando ancor, I* invitto Arturo 
Con le braccia il sollicva e tiriilu stretto, 
Poi lagrima ndo dice: Animo puro 
Per esempio dd ciel fra* nostri eletto, 
Ogni ben chiaro ouor verrebbe oscuro 
Del vostro alto splendor scudo al cospetto ; 
Ma per far la mia man, uou voi piu degno 
Della cavalleria vi darò il segno. 



si 

Poi chiamando Agraven sommo scudiero, 
Gli comanda portar la spada istessa. 

Che dal gran padre suo famoso Utero 
Per la propria ragion gli fu ronccssa ; 

Ch’ ha d' or I* albergo, e sì lucente e altero 
Di gemme lutto appar, che a chi s* appressa 
La vista abbaglia intorno, come suole 
Quando è nel di seren più chiaro il sole. 

XII 

Nè men di lei la serica rinlnra 
Di preziose pietre splende e d'oro; 

Che sembra, ove l’ aprii con maggior cura 
Tesse d'erbe e di fior più bel lavoro, 

O ’l ciel qoaodo più appar la notte pura, 
Ch’ aggi a di stelle in sen ricco tesoro : 
Ond’ ri fu pria di Vortimero crede, 

Venula a lui tra le sassooie prede. 

XIII 

E con quella gli spron, ch'ebbe allor anco, 
Ch* alla guisa medesma erano ornali ; 

Le stelle, ch’ai deslricr pungono il fianco, 
Son d' agoli adamanti assai pregiali. 

Ma in questo mezzo il bel drappello stanco 
De* duci al lungo giorno affaticali 
Dopo alquanto riposo, al proprio ponto 
Desialo dal re quivi era giunto: 

XIV 

Al cospetto de* qual lieto rivolto 
Al chiaro Lanrilollo, gli ragiona : 
Qualunque duce o re mai foste accollo 
A si gran dignità eh* a voi si dona, 

Giurar si face, che ’l pio core avvolto 
Avria di quel desio eh' al cielo sprooa, 
Confidando il lui sol, che 'I guado mostra 
Del torrente mortai dell’ età nostra : 

IV 

Nè che mai giusta aita negheria 
A ehi fosse con forza offeso a torto ; 

E eh' a donne e donzelle onesta e pia 
Saria difesa e oel dolor conforto ; 

Nè che battaglia mai refiuleria, 

Fin die sia dal destiu battuto e morto, 

E più che della vita, cura avere 
Delia promessa fede mantenere t 

XVI 

Nè mentir mai di sè con torta Inde, 

Nè del biasimo altrui rendersi adorno ; 
Scoprire al suo signor 1‘ ascosa frode. 

Che gli potesse far dannaggio e scorno ; 
Esser sol per virtnde ardilo e prode, 

Non per turbare il placido soggiorno 
Del a gente migliar, che in dolce pace 
(, u u la famiglia sua sccura giace, 

«ni 

Ed altre cose assai; ma perchè intendo, 
Che mai sempre per voi viveste tale. 

Sol di farvi giurar la cura prendo, 

Che siate ogn' ora a voi medesmo eguale; 
Fui vi prego, siguor, s’ io non v‘ offendo, 
O K de' miei desir punto vi cale. 

Che vi piaccia abbracciar Gaveno ornai 
Cam quel candido amor eh’ aveste mai. 


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L’ A V A R G II I D E ^4^ 



um 

Or poi che delia tele e del digiuno 
Il naturai detio rimane tpenlo, 

Scarca la menta al fin, tedea damino 
Con le membra più talde e '1 cor contento { 
Solo il pio Lancilotlo orrido e bruno 
Tiene il pensiero al caro amico intento ; 
E per altro compir, che in mente area. 
Già drizzatoti in piè, coti dicea ; 

XXXIX 

Dop’ etto il re dell' Oreadi e Tristano 
Con la schiera famosa ch'ivi assiede, 
Securo il fan, eh’ al giorno prossimano 
Seco taran nella sacrata tede. 

Coti fermo io fra tutti, a mano a mano 
Ogn' uom verso 1’ albergo volge il piede 
Col congedo de) re, desideroso 
D’ aver nel sonno ornai qualche riposo. 

xx ani 

Invittissimo re, poi ebe concetto 
M‘ ha il del di vendicar chi tanto amai. 
Vorrei dar fine a quel che viene appresso, 
Ch' è di pregio maggior, che 1' altro astai. 
Di porger preghi al ciel, che voglia in tuo 
Spiegar la tua bontà, se *1 volse mai 
In altro pio guerriero, le tue colpe 
Nel sangue del figiiuul pietoso «colpe. 

XI 

Ma il famoso Tristan pria che ritrovo, 
Benché assai travagliato, il padiglione, 
Verso gli ultimi fossi il patto muove, 

E 1' usate tue guardie intorno pone ; 

Che ancor che intenda che l'andate prove 
D' esser senza timor gli dian cagione, 

E ben eh’ ci sia guerrier d’ invitto ardire. 
Della guerra si dover non vuol fallire. 

XXXIV 

E quantunque lassù niente vaglia 
Pomposo onor, ma le preghiere amili. 

Per mostrar pur quanto di luì mi caglia, 
E che i tuoi, che qui ton, non tenga vili. 
Come il sole co' raggi al mondo taglia. 
Vorrei eh’ a voi co’ nobili e gentili 
Vostri duci maggiori in negro manto 
Piaceste esser presente al nostro pianto : 

XLt 

Già rimbrunito il cielo e la campagna. 
Si ritrova ciascun nel tonno avvolto. 
Discarco il cor, come chi assai guadagna, 
E ’l sospetto e ’1 dolor del seno ha tolto. 
Solo il boon Lanciotto ancor ti lagna 
Di dogliosi pensier 1’ animo avvolto, 

E dispiace a se stesso d* esser vivo. 

Poi che d' amico tal ti sente privo. 

XXXV 

E dar l’ estremo don, ehe qui si deve 
A così altero cor, come il vedeste ; 

E far poi comandar, che pronto e leve 
Tutto anco il nostro esercito s'appreste 
D* esser al santo officio, e non gli greve 
Mover le voci pie devote e mette 
A Dio per quel guerrier, eh' a morte è corto, 
Scudo a* perigli suoi fido soccorso. 

XLII 

Pure stanco alla fin verso 1* aurora. 
Come un leve dormir gli occhi gli ingombra) 
Più che mai foste, lieto scorge allora 
Di Galealto suo la placid' ombra 
Non men lucente e vaga che 1* aurora. 
Quando al ciel più seren la notte sgombra, 
E gli dice: Fratei, perchè piangete 
Del divia, eh’ era in me, le torli liete ? 

XXXVI 

A sì giusti desir 1' alto Brilaooo 
Risponde : Per (ratei, padre e figliuolo. 
Che gli fotte ragion d’ eterno affisano. 

Non piante alcun già mai eoo tanto duolo. 
Come al pubblico nostro estremo danno 
Di quel che di bontà fu al mondo solo. 
Ho fatto il primo gioroo e ’l farò tempre. 
Mentre fia integra in me 1’ umana tempre. 

XLIII 

Io mi trovo or lassù tra le più chiaro 
Anime che '1 Faltor seco raccoglia, 

Di quei, che d' opre sol lodate e rare 
Nella vita mortale ornan la voglia, 

E eh' alla tua bontà falda fermare 
Osar la speme lor; eh' a quella soglia 
Dì salire il eammin gli mostreria 
Per aperta e sicura e dritta vie. 

xxxvn 

E di Cifoli ogni onor quasi immortale 
Non cessero giammai per ogni torte. 
Perchè l’ amor di no» fu del tuo male 
Cagion, come diceste, e di tua morte ; 

Ma quando ciò non fotte, or ton io tale, 
Che della cortesia chiugga le porte 
A Lanrilotto mio, dove conviene 
11 dover, la pietà, P onore e 1 bene ? 

sur 

Non vi dolete più della mia pace, 

E che d' aspra prigiou sia fuore ornai, 

Se '1 beo di chi v' onora non vi spiace, 

O non piangete i miei, ma i vostri goai ; 
I.’ amor eh' ho visto in voi, troppo mi piace. 
Nè vendicato pur mi tengo assai. 

Ma troppo ancor; perché quassù non spira 
Il rabbioso furor di sdegno e d’ ire. 

XXXUII 

Così detto, l’araldo Amato appella, 

E gli ragiona: Voi con gli altri insieme 
Gite dell otte in questa parte e ’n quella 
Comandando a ciascun, che m' ama o teme t 
Tosto che il sol diman caccia ogni stella. 
Venga io guisa di qoel, cui doglia preme. 
Seni’ arme al tempio, a far con umil core 
A Galealto il re dovuto onore. 

xcv 

Le gloriose imprese e gli ellrl onori. 
Che ‘n memoria di noi di far bramate, 

A schivo non avrò, pur che sien fuori 
Degli altri danni e <1' empia crudellate ; 
Ma perché il sol montando i tuoi colorì 
Rende al mondo quaggiù, lieto restate, 
Senza turbar mai più co* pianti vostri 
La pace eterna mia negli alti chiostri. 


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l’ AVARCH1DE 




mi 

Mentre parlava ancor, di Bano il figlio 
L’ avide braccia a prenderlo strndea ; 
Lagna»! al fin con lagrimoso ciglio, 
di' aria vana e non lai «eco slringea t . 
Poi mollo più rh’ al candido e vrrmiglio 
Ciri rivolgere il voi, lauo, il vedrà, 
Dicendo : E perchè m' è ti presto follo 
Il quetar gli occhi miei col votlro volto? 

UH 

Che d' Andromeda ascilo a lai sorella 
Il seguio fedelmente in ogni sorte : 

Poscia il giovin Candor, nato aneli* ei d'elle, 
Vien tra *1 buon Maligante e *1 pio Boorte ; 
I quai mal fermi ove pietà gli appella, 
Volser pure onorar si chiara morte ; 

Poi seguir tutti quei ehe seco furo 
In mezzo a* cavalier del grande Artoro. 

xlvi» 

Ma nel dir questo e porger prieghi al cielo, 
Clic ’l lassasse restare alquanto seco, 

1/ umido sonno gii 1* oscuro velo 

Gli scioglie e fogge al suo nascoso speco ; 

Orni* ei fuggendo con ardente zelo 

Gli occhi volge d* intorno e riman ricco. 

Che non 1' alluma più 1’ andata luce, 

E 1' aurora anco acerba poco tace. 

uv 

Così tacili van con lento passo 
Dentro al sacrato Tempio, ivi eonttrullo 
Non di pietra porfirea o Pario sasso 
Dall'Egeo nè dall' Issieo condotto: 

Ma in marzial lavoro iorullo r basso 
Di più d' un edificio eli* hai» «Ir il rullo: 
Pure io lai ampio tpaaio si stendea, 

Che gran parte del)' oste ricevea. 

XLvm 

Poi donando al gran sogno fede intera, 
Dell' amico beato assai s'allegra; 

Pur seguendo il costume, la sua schiera 
Tutta fece coprir di vesta negra, 

E mostrarle a ciascun come a chi pera 
Caro padre, o figlinol, dogliosa ed egra. 
Non mrn di quella , eh* al principio venne 
Con Galeallo e seco si mantenne. 

tv 

Cinto era tutto quel sopra e d* intorno. 
Chiuso il lume solar, di drappo ascaro : 
Ma tante faci ha iu sen, che fanno scorno 
Al di, eh* aggia 1’ aprii più vago e puro : 
Poi tutto è in giro mestamente adorno. 
Per mostrar del mio re 1* effetto doro, 

Di scudi, ove il leon vermiglio atsiede 
Tra perse stelle in argentata sede. 

XLIS 

Or ai stava tra lor pentolo e mulo, 
Fin die ron gli altri Arturo ivi arrivassi, 
Nè fu lungo 1’ attender, che venuto 
E chi il lassa lontan non molli passi ; 
Drizzasi allora in piè, poi che veduto 
1/ ha presso al padiglion ; nè 'ncontra Tassi, 
Ma la fronte inchinando alle sue soglie 
Tacilo e in atto semplice P accoglie. 

Ginnto il famoso stnol, si come inoanti, 
Trova i seggi ordinati, ove si posa 
Ascoltando devoto i preghi santi 
Della sacerdotai turba pietosa; 

Alle lor note umili, a* tristi canti, 

Ch* hanno iu voce or pienissima, or' ascosa, 
Chi con tacite labbra, e ehi col core 
ya invocando dal del V alto favore. 

t 

Feeel tosto asseder sn *1 manco lato, 
Ch* ebbe il di Laneilotto il primo onore ; 
Indi ogni «avallerò, • *1 più pregiato 
Vien primo sempre a dimostrar dolore : 
Poscia si riponea, dove locato 
Era il seggio per tutti ivi di fuore, 

In doppio ordine posto, ove chi siede 
Di quel che incontra sia, la fronte vede; 

Poi ch’ai sacralo ufficio il fin a* impone, 
Talli al modo primier ritorno fanno 
Del mesto Laneilotto al padiglione. 

Ove poi che rassid alquanto stanno. 

Grida l'Araldo allor : Regie corone. 

Duci alti e cavalier, del preso affanno 
Vi rende grazie Laneilotto e i suoi, 

E ‘1 partire, e ’l restar sia posto in voi. 

LI 

Assegnata io tra* dnoi si larga strada, 
Che possa il varco dar che largo sia 
A famoso drappel ehe in guisa vada, 
Che i pedestri guerrieri usan per via. 
Come ripiena fu l’ ampia contrada 
Della reale e nobil compagnia, 

E eh' assisa fa alquanto, in alto dire 
Comanda il regio araldo indi partire. 

tvm 

Drizzasi il primo Arturo, e salutati 
Tutti quei che restaro, iodi si parte ; 

Colai di grado in grado i più pregiali 
Il seguon tutti alla medeima parte ; 

Ma Laneilotto, e gli altri sconsolali 
Presso al re morto asseggono io disparte 
L’ un all'altro lontan, bagnando il volto 
Coq 1* estremo dolor, di' è io essi accolto. 

Ltl 

Drizzanti tatti allora c *1 meno tiene 
Del primicr rigo il figlio del re Bano, 
Seco in su '1 destro lato Arturo viene, 
Il boon re Lago alla sinistra mano ; 
Preme indi appresso le dogliose arene 
Sotto avendo Gaven, sopra Tristano, 

Re Roriban, che Galealto solo 
Amò come iiralel, come figliuolo: 

tn 

E così notte e di nel nono giorno 
Questo angoscioso pianto si distese ; 
fame il decimo sol fece ritorno, 

Fu imposto il fine al lamentar palese; 
E '1 buon figlio di Ban per fare adtirno 
Come 1* oso chiede a dei suo paese, 

Il gran funebre ouor, subito chiama 
Tarqniro Araldo suo di maggior fama : 


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I— A 



1*’ AVARCUIDE 



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LOTI? 

L’ nliimo lillà, ehi con piò doli* mino 
Piò dritto e piò lontano il dardo avventa. 

I prefri urin lai, che non in vano 
Sarà il «dorè, ond' altri ri ripesila; 

Siccome allora il figlio del re Bino 

A qnei ch'avranno al girla voglia intenta! 

Co s ano proprio parlar farà palese 
In atto benignissimo e cortese. 

mr 

Cori detto ri tacque, e *n mono altero 
Mille labe di onoro ri sveglierò 
Sfoga in lieto gridare il «no pensiero 

II popol lieto, e di vedere avaro ; 

Ogni altro duce illustre e cavaliere . 

Va rivolgendo in core, onde piò chiaro 
Possa ritrarre onore, e chi piò stime, 

Che contenda con Ini le palme prime. 

t««vr 

Ma il chiaro Lancilotto in alta sede. 

Ove lor più spedile rian le viste, 

E scernan dritto, chi del pregio erede 
Sia veramente, e per qoal via 1' acquista, 

11 gran re Lago, e *1 bnon Lambego assiede; 
Ben che qnel di tal grado li contriste. 
Dicendo : Io che gii fini, più d' altro buono, 
Or dall* opre d’ alimi giudice sono, 
uutvn 

Con lor Sicambro poi, che d’ anni greve 
Ha 1* usato valor volto in consiglio, 

E ’l re Hion, eh' amò Benicro e ©ave, 

E Lancilotto poi qoal proprio 6glio ; 

Il quinto era Mandrin, che seguito ave 
Per segno in quella guerra il franco giglio, 
Il qual per longa etade, e per la prova 
D' ogni lite dubbiosa il ver ritmova. 

LXXVItt 

E perché Lancilotto non volea, 

Sendo il dator de* pregi, essere in prova, 
Al grande Arturo, e gli altri nmil dicea t 
Spogliate i cor di maraviglia nuova, 

S* a me, chiari signor, che pur solea 
Volentier faticare, or Torio giova; 

Che di quel eh* amai piò, T acerba morte 
Ha chinse a’ miei piacer T antiche porte. 

Lami 

Pregovi dunque in quella riverenza. 

Che *1 mio stato bassissimo richiede. 

Non sdegniate mostrar vostra eccellenza 
In quella arte miglior, che Dio vi diede; 
Non per me sol, ma per colui che, aenza 
Se m'ha qni Catto di miseria erede, 

E che lauto amò voi, che queste arene 
D’ altrui aangue, e di suo lassate ha piene. 

mi 

Or eh» a* estima aver destricT piò leve, 
E che quanti ne rieno al corso passe, 

Di spronarlo egli stesso non gli aggreve 
Al presente paraggio, che farasse ; 

E ’l primo vincitor la fronte greve 
A.vrà d'aure* corona, in cni vedrasse 
Di heltade c di prezzo gemme assai, 

Onde il gran re Sutonio dispogliai. 


LXXXf 

Nè senza premio ancor «ari il secondo, 

Che del forte corrier di Palamede, 

Nato intra » monti Belici, ch’ai mondo 
Pochi ha par di bonlade, il faccio erede r 
Nè il terzo ancor con T animo ingiocondo 
Si lasserà partir di quesU sede. 

Ch’avrà la sopravveste d'oro fino 
Del figliuolo di Clodasso Massimino. 

LXXKlt 

Avrà il quarto la sella e *1 ricco arnese 
Del cavai di Vittorio il sno germano. 

Ove il Mastro famoso tolta intese 
In farlo unico allor T arte e la mano j 
Del quinto fia la coppa, in cui T Inglese, 
Ch'uccisi in Catanesia, il re Velano, 

Bevea ne' Testi di, ch’ha T aaro intorno 
Di mille varie gemme aspro ed adorno t 
meni 

Al dir di Lancilotto io nn momento 
Sorge il giovìn re Franco il pio C lotaro, 

A coi il vecchio Sicambro fa contento 
Di donare il deslrier pregiato e raro. 

Leve non neo, che sovra T onde il vento. 
Che dall" orse ci vico nel verno chiaro. 

Nato all* orrida Tracia ; e fu credenza. 

Che dell* antico Borea era scmeuxa. 

mnv 

Fu il secondo Gaven, che seco estima, 
Ch’ anco il sno buon co rsier non aggi* pare; 
Ch’ al Britanno terreo la palma prima 
D’ ogni altera tenaon solea portare ; 

11 terzo è Persevai, che l»en la cima 
Di saver regger bene e ben guidare 
A tempo ed a ragione ogni destriero, 

E ’l piò grave e*l più vii fa snello e fero. 

LUX» 

E se ben non ha quel, eh* egli amo tanto. 
Che dal gran Seguran ne fo privalo. 

Spera con l’arte sua d'avere il vanto 
Sopra ogni altro cavai poco onorato ; 

Vien Nestor poi, che men si pregia alquanto. 
Non però si, che non gli vada a lato ; 

Ch* ove dell'arte altrui temenza il preme. 
La bontà del cavai gli aggiunge speme. 

LXXXVt 

H quinto a presentarle è il forte Eretto 
Che di certa fidanza ha cinto il core ; 

Che *1 giovinile ardor gli scalda il petto. 

Il naturai ardire e *1 gran valore ; 

Ha il paterno deslrier, che fu perfetto. 
Mentre che 'n lui fiori T alto vigore ; 

Or di tre lustri carco era por tale, 

Ch’ al breve faticar piò d' altro vale. 
LXXXVII 

Quando vede il re Lago, che ’l figliuolo 
Alla lodala prova •' accingea, 

In parte il chiama, ov’ egli ascolti solo, 

E in amorose note gli dicea : 

Peecbè chi affisse T uno e T altro Polo 
M' empiè di nohil arte, ond' io solca 
Nel corso de 1 destrieri in simil forma 
D* ogni altro cavalier trapassar l'orma; 



L ÀVÀRCHIDE 



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cri 

Coti quanto può più spinge il destriero, 
Nè Dirn (acca Gaven dall'altra parte» 
Quando han trovato» che stringea I sentiero 
Un alto lasso, clic i ronfili disparte 
Tra due vicin, per discoprire il vero 
Ai possrssor, che vivono in disparte ; 

Dall’ altra era il gran vallo» ond' era poco 
Al caper tolti due l’ angusto loco. 

cm 

Quando il vede Gaven» con aspro ciglio 
Grida: 11 vostro corsier fermate alquanto» 
Nè vogliale oggi porne a tal periglio 
Ch' a chi ne porta amor ne vegna pianto; 
Allor più sprona del re Lago il figlio» 

E di lui non udir si finge in Unto, 

E quel seguila ancor : Voi folle sete» 

Sé «li voi» né d’ altrui cura tenete. 

Civ 

Non si eonvien si poco riverire 
Chi di regno e d’età vi sia maggiore; 

Ma il giovine sprezzando ogni suo dire 
Al correule deslrier cresce il furore; 

Onde Gaven, temendo ivi perire» 

Prrpou la vita al guadagnalo onore, 

E ’l lassa avanti gir, nè il potè poi 
R acquistar più con gli argomenti suoi. 

ev 

Ma in qaeslo contrastar, già PersevaMe, 
Che lor dietro era ancora, incanii è gito 
E già del mezzo per più accorto calle 
Il corso primo a tutti avea compilo; 

Ma nel volUr so I* arenosa valle 
Venne al girar la mela il piè fallito 
Al suo destriero, e 1' nno e l'altro in essa 
Ebbe la manca spalla insieme oppressa. 

CTI 

Surge tosto il meschin, benché si senta 
Della percossa asprissima impedito; 

Ma il suo cavai, die a muover s‘ argomenta, 
Vie più, che non è Ini, trova impedito ; 

E dopo lungo a ver la forza intenta, 

A pena il può drizzar sopra quel lito ; 
Onde accusando il eiel doglioso e lasso 
11 tira per lo freno a lento passo. 

cvn 

Or già di Clodovco 1* altero figlio 
Primo a quanti altri sono al segno arriva; 
E ’1 popol lotto lieto l'aureo giglio 
Va innalzando alle stelle in voce viva. 

E Lancilotto a Ini con lieto ciglio 
Dice : Caro signor, non vegna- schiva 
Questa corona ornai di questa chioma. 

Che d' altre assai maggiori attende soma. 

eviti 

Così d» propria man d' essa gli cinge 
La nobil fronte ; e 'I giovinetto adorno 
D' onorato rossore il viso piuge, 

Est fra* suoi tutto lieto fa ritorno; 

Nè »1 buon vecchio Sicambro ancor s' infinge 
D’ appellar Mirissimo quel giorno. 

In aii quel di’ ci nodrisce e '1 suo destriero 
Di eusi cbiaco pregio ir vede altero. 


Vien dopo il Franco re l’Orcado Eretto 
Che ai trova Gaven, ehe sprona a lato» 

E correa si vicin, eh’ avea col petto 
Quali l' arcion di dietro trapassato, 

E se '1 spazio del corso, ivi perfetto. 

Si fosse pochi passi prolungato. 

Era forte il secondo, ma io quell' ora 
Con grave ira e dolor terzo dimora. 

ex 

Fu il quarto all’ arrivar Neslordi Cave, 
Che 'I tirar d' un bnon arco indietro viene. 
Per ch'aveva cavai possente e grave. 

Coi più del corso il guerreggiar conviene ; 
E ’l suo signor, eh' altissimo cor ave, 

Di coti basso onor aara non tiene, 

Ma per far cosa grata a Lancilotto 
Fn con poca speranza a ciò condotto. 

ext 

L* ultimo è Persevai, che frale e stanco 
Biasmando il suo deslin contrario troppo. 
Conduce, il me' clic può traendo il Ganco, 
Per la briglia il deslrier debile e zoppo, 
Come bifolco il bue, che venne manco 
Arando al mezzo di, ehe 'I fero intoppo 
D* aguto legno entro alla siepe ascoso 
Ai rivolger 1' aratro ebbe noioso. 

Odi 

Del quale a Lancilotto, che lontano 
Già lo vede apparir, prende pietade, 

E dice sorrìdendo : Or «dii sovrano 
Vive in qnest' arte «Iella nostra elade. 

Se la sorte ebbe avversa, fia che ’n vano 
Senza premio calcar debba le strade ? 

E n tal dire il deslrier di Palamede 
Prende, e far ne lo vuol famoso erede. 

CX1II 

Ma I* infiammalo Eretto che ciò mira. 
Tosto al figlio di Ban di mano il toglie : 
E con note tremanti e colme d' ira, 

E eh' a gran pena dalle labbra scioglie. 
Gli dice : Alto signore, al torto aspira 
Chi cortese si fa dell'altrui spoglie; 

Non più vostro é il cavai, ma fatto è mio, 
Poi. di’ io fossi il secondo piacque a Dio. 

ex iv 

E se di sue virtù vi astringe amore. 
Non vi mancan corsieri, oro ed argento 
Da dargli anco del mio pregio maggiore, 
Ond' ei si resti lieto» ed io contento. 

Rise del giovinil semplice ardore 
1| nobil Lancilotto a gloria intento, 

Ed abbracciando! dice : lo veggo scorto. 
Caro più che figliuol, ch’oprava il torlo. 

cxv 

Riprendete il cavai vostro a ragione. 
Ed io d* altro miglior sarò rortrse ; 

Poi Tarquir manda tosto al padiglione. 
Che quel di Seguran, eh' era ivi, prese, 

Il qual tutto doralo avea l' arcione, 

E di prezzo infinito il rinii arnese, 

E 1 presenta dicendo a Persevalle: 

Questo fia più aecuro in ogni calle. 


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l’ AVARCH1DE 


CXVf 

Or mentre in «lira parie il chiaro Eretto 
Ne mena il pregio suo .li gloria pieno, 
13’ allo sdegno infiammalo e di dispetto 
All’ incontro di lui surge Gaveno, 

E dice : Di lai principi al cospetto 
Vo' die ’l ver, qual ei sia, si senta almeno; 
E gindichin da poi se ragion fia 
Che '1 cavai più che nostro, di voi sia. 

cxxnr 

Nè si conviene a voi farne rifiuto, 

Fui che di guadagnar pregio altramente 
Vi contendono or gli anni e '1 pel canuto, 
Che le membra guastando ornan la mente. 
Lieto T antico re del ricevuto 
Onor fra tanta e si fiorita gente 
Risponde: Troppo è ver, figlio onorato, 
Che ’l tempo ogni vigor m* aggia spogliato. 

ex VII 

Non consentite voi che per inganno 
Poste, non per valor vittorioso ? 

Che mentre io mi trinca portarvi danno, 
Ritenni il mio corsier di voi pietoso : 

E voi spronando mi rendeste affanno 
In vece del ben fare, ond' io doglioso 
Mi trovo il lerxo, che il serondo o ’l primo 
Polca forse vénir, s* io dritto estimo. 

cxxiv 

Deli mi trova*»’ io tal, quale allor era, 
Che ’l gran re Catanesio fu sepolto; 

Che non fu alcuno in quella festa altera, 
Che contro al mio poter valesse mollo; 
Feri io del resto alla battaglia fera 
Restar quasi troneon di vita sciolto : 
Vinsi Ombrane alla lotta e ’l leve Aureo 
Nel corso a me la palma concedeo. 

cxvr « 

Quando il re giovinetto il vide irato 
E del padre e d* altrui hiasmo (etnea, 
GH dice : Per tornar nel primo stato 
Del vostro buono amor, com* io solea, 
Non sol qnesto cavai eh' ho guadagnalo, 
Ma quanti mai n' avrò, quanti n’ a vea, 
Che sien vostri, signor, contento sono, 

E d' ogni mio fallir diteggio perdono. 

evvv 

Nell’ avventar del dardo Afide ed Ali, 
Ch’avanzavano ogn’ nom privai d’onore; 
Sol de* destrieri in prova più pregiali 
Fur di me .ilquihto Arantico e Fattore, 
Non dirò più nell’ arte ammaestrati, 

Ma perchè il mio corsier nel gran furore 
Fece al proprio tornar 1* istrsso fallo, 

Ch* ora il suo far vedeste a Perse vallo. 

exix 

E cosi ragionando, in man gli pone 
Vii briglia del corsier che seco adduce 
Non alle spighe all' arida stagione 
La pioggia estiva più dolcezza induce, 

Che fe' del giovinetto il pio sermone 
Nel petto irato drU'Orcanio dace: 

L* abborda e stringe e gli risponde appresso : 
A voi dono il cavallo e poi me stesso. 

cxxvi 

Or di nalnra all* oraline m’arrendo, 
Pascendo il cor della pattala gloria : 

E ’l vostro amico don gioioso prendo, % 
Per la vostra e d’ altrni chiara memoria : 
Nè di farmene adorno meno intendo, 

Ch’ io facesti nnqua mai d’ altra vittoria t 
Ch’ esser «lei vostro amor tentilo degno 
È d* intera virtù non dubbio segno. 

cxx 

E riconosco or ben, eh’ è tutta in voi 
La patema virtù che non ha pare, 

E prego il del che voglia gli anni suoi, 
E l'alta sna fortuna in voi versare: 
Volgcsi a Lanrilotto e ’l prega poi, 

Che voglia il terzo pregio a lui donare : 
Ed ei di Massimino in alto umano 
La sopravvesla allor gli reca in mano. 

CXXVII 

Rise il figlio di Ban : rivolto poi 
Verso i dnri più forti e cavalieri. 

Dice in atto cortese : Or chi di voi, 

('.he tanti re ne son di nomi alteri, 

Fia che lottando gli avversari suoi 
Stender ad uno ad nn su 1* erba speri, 
Surga per onorar morto chi solo 
Fu vivo il primo onor di qnesto stuolo. 

• CXXI 

Ebbe il suo quarto don Nestor di Gare, 
Che di Vittorio fu la regia sella: 

Riman T altera coppa d‘ oro grave, 

E di gemme e di pietre ricca e bella, 

Ch* è il quinto pregio, che cursor non ave, 
Che più possa sperare ornarsi d'ella; 

Onde il pio Lancilotto in man la prende, 
E con essa al re Lago il braccio stende, 

CVXvfìI 

E gli avem destinato il primo pregio 
Nohil vaso d’ argento e cinto d’ Oro, 

In cui scolpio la terra il mastro egregio 
Fra Tonde accolta con soltil lavoro, 

E verso i labbri in alto il ricco fregio 
Ha Febo in seno e delle Mote il coro; 
E grande è si, che in esso il vincitore 
Potrà lavar giacendo il suo sudore. 

CX XII 

Dicendogli : lo vi prego tnlto umile, 

O chiarore dell’ Orradi famoso, 

Che non vi sia da noi prendere a vile 
Il basso don eh’ a presentar sono oso : 
Perchè poscia possiate in Dura o in Tilc 
Dentro al bel regno vostro in gran riposo 
Bevendo tra i miglior, del valor allo 
Ricordarvi talor di Galealto. 

CXXI» 

Nè il vinto anco sarà senza mercede. 
Che d* irsuto Icone avrà la spoglia. 

Con la testa «T argento e ciascun piede. 
Qual Ercole e Teseo portar si soglia : 

E T uno e T altra fu tra le mie prede, 
Ch’ acquistai già dentro alla regia soglia 
Del Cimbriro Pireo che volea, lasso, 
Soccorso cootra noi dare a Clodasso. 


435 


L AVARO H IDE 



ex XX 

Cosi parlivi ancor ; qnando Malrhino, 
Mairi) ino il prosto che gigante appare, 

Del popol dì Moravia, a coi vicino 
Il porlo di Salute afTrena il mare, 

Ivi avanza ciascno, «crome il pino 
Suol gli altri arbori intorno sormontare ; 
Getta ogni vesta all' arenosa valle, 

E mostra nude fuor l’ orride spalle. 

cxxxi 

E quanti in giro son tanli ne sfida, 
Dicendo : Or vruga a noi di si gran gente, 
Chi più di lutti al suo valor $' affida, 

E che si pensi meco esser possente. 

Nessun risponde all* orgogliose grida 
Per lungo spazio, ed ei più fieramente 
Le voci addoppia e le sue forze pregia. 
Come quelle d'altrui biasma e dispregia. 

CXXXII 

Non sa più il buon Tristano ornai soffrire 
Il superbo parlari ma poi che vede 
Che pure allr'uom non vuole iucontra uscire, 
Verso lui tutto queto addrizza il piede. 
Quando il mira Malchiu, comincia a dire: 
O di Meliadusse invitto erede. 

Usate il vostro ardir sovra il cavallo, 

Cb’ a piedi e meco poi farete in fallo. 

cxxxut 

Tace il saggio guerriero e spoglia intanto 
Ciò che ’l copriva e nudo si presenta: 

Il gran Malchin, poi ch'ha tardato alquanto, 
Tutto pien di furore a lui s’ avventa : 

Qual il geloso tauro, eh' aggia a canto 
La sua cara giovenca, e guerra tenta 
Cantra il leone e d' atterrarlo spere, 

Per aver più di lui le membra altere. 

CXXXJV 

Cingel sotto le braccia e cerca in vano 
D* alzarlo e sentel fermo su 1' arena 
Più eh* aspra quercia il vento Subsolano, 
Nata infra dure pietre e d'anni piena; 

Lo scuote appresso or su la destra mano, 
Or su l'altra più volte e ’n giro il mena: 
Nè 'I ritrova men saldo in ogni sponda, 
Ch' alto scoglio maria di Teli all' onda. 

ex xxv 

Ma il sagace Trista» eh' è sempre inteso 
Di fare un colpo solo e *1 tempo aspetta : 
Come il vede sforzando esser sospeso, 

E non tener coi piè la terra stretta : 
Alzandolo più ancor con tutto il peso 
Ch' ha di petto e di braccia ivi si getta, 
Ove il sente più in aria, e tal s’ accampa, 
Che delle spalle fa che il filo stampa. 

cxxxn 

Con quello alto romor, ch'argine o ponte 
Combattuto dall' onde raggia in esse: 
Parve un colle minor sovra un gran monte 
Tristau, quando Malchin cui petto oppresse! 
Le genti attorno con allegra fronte, 

Cui nuova maraviglia i cori impresse, 
Alzan le grida al ciel miste di riso. 

Di vedere il maggior da lui conquiso. 


cxxxnt 

Drizzanti antrambi e 'I misero perdente 
Forbendo in allo l'omero arenoso 
Di vergogna ripieno è si dolente. 

Che '1 cortese Trislan ne vien pietoso, 

E dice in alta voce: Assai sovente 
Fa la fortuna 1' uom vittorioso, 

Che di minor virtù fornito sia, 

Come forse oggi a me fatto ba la mia. 

cxxxviir 

Però, s* a voi paresse, io non rifiato 
D* esser ron voi nella seconda prova. 
Risponde quel : Pria eh' ora ho conosciuto 
Il magnanimo cor che ’n voi si trova i 
Siami assai d* una volta esser caduto. 
Senza cercar da voi percossa nuova : 

E basti eh' io vi cedo con lo scudo 
Con la lancia, col brando, armato e ondo. 

cxxzix 

Il chiaro figlio allor del gran re Bano 
Si fa tosto portare il vaso aarato, 

E dire : Or fia condotto al mio Tristano, 
Che questo ed ogni pregio ba guadagnato. 
Ore vorrà spiegar 1’ arte e la mano, 

E '1 valor suo, rhe per vittorie è nato. 
Risponde a lui Tristano : E chi porria 
Lanciotto agguagliar di cortesia ? 

ext 

E ben sì prova in voi, che la virtode 
Che si cnno«re in se non aver pare. 
Dell’altrui gloria nulla invidia chiude, 
('.erta di quella e tutte sormontare. 

Non ronvieo più che ■' a (Fatiche o sode 
Per acquistare ornai palme più chiare 
La vostra altezza, eh’ all' estrema punta. 
Ove arriva il mortai, d’onore è giunta, 
citi 

Ride il pio Lanciotto e dice : Assai 
Mi fia premer di voi l'orma vicina. 

Col vello del leon poi gli aspri guai 
Di Malchin sana e I* alta sua mina : 

Indi si volge agli altri e dice: Ornai, 

Poi die già il sol dall'alto punto inchina. 
Venga qualch' un con l' impiombato cesto 
Ad onorar se stesso e ’l giorno sesto. 
cxlii * 

E pregio simigliante avrà il vittore 
All* arme, onde acquistò gradila palma, 

Ch' un nobil cesto fia, cìnto di fuore 
Con piastre d' oro fin di grave salma. 

Di seta ordito d' ostrico colore 
Dentro ove delia man cuopre la palma : 

E se ‘1 ver di sì lunge si conduce. 

Fu il più onorato arnese di Polluce. 

extra 

L’ altro un’ anfora d’ or di ginsla allena 
Di presiosi unguenti fido albergo. 

Per dar conforto alla dogliosa asprezza 
Di braccio intorto o d' impiagato tergo. 

L' orgoglioso guerrier ch'ogn' altro sprezza. 
Tosto eh' ode il parlar si mostra a tergo : 
Tania sso è costai della montagna. 

Nato dove il Solveo nel mare stagna. 





L AVARCH1DE 



flUT 

Quante tvei vesti intorno avventa a terra, 
E d' impiombati cesti arma le mani. 

Poi snodando le braccia, invita a guerra 
Quanti ha btfhn cavalier pressi e lontani : 
E dando colpì al cielo, or apre, or serra 
Le pugna io giro e dice : Come vani 
Saran tutti color che penseranno 
Altro ritrar da me, che morte o danno ! 

SLT 

E piacesse oggi al ciel, eh* a ciò venire 
Volesse un de' miglior clic chiuda Avarco, 
Ch’ io ’1 potessi percuotere e ferire 
D* ogni demenza c penitenza scarco : 

Ch* assai mi fia pur duci veder morire, 

Chi per nostra salute è d‘ arme carco ; 

E questa man contra Clodasso acciaia 
Del pio sangue civile aver dipiuU. 
osavi 

E per ch'ai chiamar primo alcun non viene, 
Che quel rilien vergogna e quel timore. 
Prende il gran pregio aurato, e: Si conviene, 
Die* egli, a me questo primiero onore : 

B I’ altro ancor, poi che nessun si tiene 
Possente a contrastar col mio valore. 
Risponde Lancillotto i lo vel cautelilo. 

Se nullo or di mostrarse aggia ardimento. 

(Urli 

Quando Piorio il loscan che vieta era, 
Vede tacere ogni uom, pietade il prende 
Della negletta e vilipesa schiera, 

E n ver 1* invitatore il passo stende. 

Allo parlando: Or questa vita pera, 

Ch* a passo a passo oel suo (ine sernde. 
Solo in un punto ; prima che soffrire 
Di tanto e tale stuolo il biasmo udire. 


Ma perch* era pur grande, ivi noi coglie. 
Che gli venne a cadere in mezzo al petti», 
E *1 ferì tal che d' ogni carne scioglie 
L’osso più in alto io tra le coste astretto; 
All'ira il fer Britanno il fren discioglie, 

E col folto cader, ch'arbore o tetto 
Batte grandine al maggio, i colpì versa 
Con 1* una e 1* altra man dritta e riversa, 

cui 

L* ammaestrato Fiorio che t* accorge. 
Che conviene al furor conceder luco, 

Ora il cesto ora il. braccio innanzi porge, 
E dell' ira immortai tien longe il foco : 

L' altro mentre s' abbassa e mentre insorge, 
Va le forze scemando a poco a poro, 

E col molto ferir già frale e ’ncerto 
Or questo looo, or quel lassa scoperto. 
ct.ni 

Ed ei, che qnal 1* accorto cacciatore. 
Che nascoso il leon tra frondi aspetta, 

Clic quando gli è più al dritto, in mezzo il core 
Gli scocca inevitabile saetta; 

Come vede al Britanno il capo fuore 
Della dovuta guardia, a lui si getta, 

E nella manca tempia in modo il fere, 
Ch« co’ sensi smarriti il feo cadere, 
cuv 

Va con la fronte in basso, si che appare 
Combattuto delfico al lito spinto. 

Quando è più irato e tempestoso il mare, 
Dal fero austro vernai dì nubi cinto. 

Come il vede in tal guisa a terra audare 
Il cortese toscan da pietà vinto 
Ratto il sollieva in alto e ’u seno il porse 
Della schiera de* suoi che al caso corse. 


czlvui 

Grida il popol d’intorno e lieto fasse, 
Ch* un sì nobii guerrier si metta in prova; 
E '1 famoso Tristano ivi si trasse, 

E ciò che fea mrslier, per lui ritrova ; 
Non volle eh' altra mano il dispogliasse. 
Nè che ’n porgergli aita altri si muova; 

Ei sol gli apporta i cesti, ei sol gli cinge, 
E la vittoria aperta gli dipinge. 

CUIZ 

Or già s* è in gocrra posto Taulasso, 

E del fato di Fiorio assai gl* incresce: 

Ch* al suo colpi» primiero ei raggia in basso. 
Si sotto spera, che eoo Ini si mesce : 
Drizzasi 1' un ver 1* altri» a largo passo, 

E quanto può sai piede allo s* accresce : 
Poi più vicin con sollevate braccia 
Esamina ciascun ciò ch'altri faccia: 

CL 

E con finte percosse va tentando. 

Come trave il nemico acconcio all* opra : 
Or ferendo leggiero, ora schivando, 

Più l'occhio e l'arte che ’l valore adopra: 
E vanno il giro attorno ; ma poi quando 
Vide il Toscano il suo vantaggio sopra, 
Che ’l nemico scoperta avea la gola. 

Di ferirlo aspramente il tempo invola. 


civ 

E *1 porlaro all* albergo, dove sembra, 
Quanlunqne vivo pur, peggio che morto ; 
Nullo appar moto alle indoratile membra, 
E *1 capo inchino e ’n sn la spalla inlorlu : 
Tutto il popol miglior tosto a’ assembra 
Intorno al vineilur, pira di conforto : 

Che trniea eh’ un guerrier si chiaro e forte 
Non venisse al suu fin per simil morte. 
cli-i 

Ma tovr* opti* altro lieto era Tristano, 
Che più caro il teaea, rhe proprio frale ; 
Nè mrn di quello il figlio del re Bano, 
Ch* era a lui simil d' anni e di bonlate, 

E *1 meritato dou gli pone in mano 
Dicendo: Questo integro riservale 
Ter segno eterno dell* avuta gloria, 

E questo altro da poi per mia memoria. 

CLVII 

E gli te don di tutta 1* armadura, 

Ch* al superbo Clodino aveva tolta. 

Con la spada incantata e la cintura 
Di finissime gemme e d'oro avvolta; 

Poi, che fosse portata, prese cura 
A chi la guadagnò con pena molla 
L* anfora preziosa, indi si muove 
Per seguitar 1* incominciale prove, 


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ctmt 

E dire: Alti signori, in cortesia’, 

E per V alta virtù di chi i' onora. 

Quella coppia miglior, chi di voi fia 
Più io arme esercitata, si inoltri ora 
Sovra il destriero a giostra , e poi che sia 
Rotta la forte lancia, tragga fnora 
La spada micidiale, e del primiero 
Sien T arme di Brunoro e '1 tuo corsiero. 

ctxv 

Trovagli pure al 6n la destra spalla 
Con forza tale e cosi viene a pieno. 

Che ’ndormita la man di poco falla. 

Che non lass’ ire il braodo su '1 terreno, 
Dicendo i Or prove la virtù Norgalla, 

Se di quella di Gorre possa meno ; 

Ma si rinforza il fero Maligante, 

E più saldo e leggier che fosse innante : 

CtlX 

Del fratrl Dinadan le spoglie opime, 
Che ricchissime son. saran di quello, 
Che del brando ferir più forte estime 
De' gran giudicatori il pio drappello. 
Non (ini a pena le parole prime. 

Che sovra allo cavai possente e snello 
Arrivar Maligante vede armato, 

E '1 cavalier Norgallo d' altro lato. 

ctxvi 

Con mille colpi e tutti nella testa, 

11 cavalier Norgallo ri pernio te ; 

Non rivolge la ni’ onde atra tempesta. 
Quando più soffia il vento di Boote, 

Ned ei per tutto ciò queto s’ arresta, 

Nè le speranze sue rimangon vote; 

Ma col cor allo e con la spada stretta 
Fa del duol che gli vien, chiara vendetta. 

et* 

Ride il gran Lanrilotlo e dice : Ornai 
Non fia senza favor la lite nuova. 

Poi che i miglior gnerrier che fosser mai, 
Per tal giorno onorar vengono in prova: 
Or di voi r nno c 1* altro, come assai 
Aggia spazio acquistalo, il corso muova ; 
Poi di trombe svegliar qnel grido fare. 
Per cui Marte s’ accende e sprgne pace. 

Ctxvll 

Ma il nobil Lanrilotlo eli* ha timore. 
Che ne possa avvenir più grave danno, 
Entra in fra loro e frena quel furore. 

Che dolre sembra e poi o’ apporla affanno ; 
E 'I re Lago e i compagni il primo onore 
Al ravalier Norgallo uniti danno. 

Pereti' al correr dell* asta fu sovrano. 

Come l'altro alla spada oprar la mano. 

CI.XI 

Sprona 1' nn verso I* altro in tal furore, 
Che la vista mortai gli segue a pena, 

Qua! Austro e Borea, eli* alle lurbid* ore 
Si vengono a 'ncontrar sovra 1* arena : 
Tmovansi a mezzo il torso, e ilei rumore 
Tutta la chiusa valle e l'aria è piena. 
Troncanti ambe le lance e l'un destriero 
Trapassò via volando al suo sentiero. 

CCXV1II 

Così qnel di Brunoro ebbe le spoglie, 
L’altro di Dinadan senza contesa: 

Indi il buon Lanrilotlo si raccoglie 
Coo l' altra schiera a muover liti inteaa. 
Dicendo : Qual di voi spronin le voglie 
D' esercitare i piedi all' alta impresa 
Del leggier corso, innaozi si dimostri, 

E nessnn voto andrà de’ pregi nostri ; 

ctxit 

Afa quel di Maligante al rrndo intoppo 
Di volersi arrestar si mise in forse. 

Par olirà andò con debile galoppo, 

Non come iufino allor, volando corse; 

Che l' asta, che per lui fa dora troppo. 
Dritto al sno buon signore il colpo porse 
Nel volante frontal sopra la vista. 

Onde il buon cavalier più lode acquista. 

ctxtx 

Che due famosi cani arri il primiero 
Ch'avanzan di grandezza ogni molosso; 

E ciascuno è di lor sì forte e fero, 

Ch' ave e 1* orso e '1 leon di vita scosso ; 

E d'oro ornate con lavoro altero 
Tutto armalo ha di piastre il petto e ‘1 dosso; 
Del me de sino ave al collo aspro monile 
Ch' ogni agulo ferir si tiene a vile. 

ctxin 

11 percosso guerrier si piega alquanto 
Con l’elmo indietro che la lesta aggrava; 
Ma il gran core e ’l vigor gli giova tanto, 
Che in breve spazio in allo la rileva 
Ma più dolor gli apporta, eh' altro tanto 
Danno il prode avversario non riceva 
Che noi ferisce in fronte ma in quel loco. 
Che vien sotto la gola basso un poco. 

CLXX 

Avrà il secondo on animoso pardo, 

Clic di spoglia ricchissima è coperto ; 

Al coi correr veloce è il vento tardo, 
Snello e vago ha il saltare, e '1 morder cerio; 
Sarà il premio del terzo un leve dardo. 
Di cui d’ ebano è 1’ asta, e *1 ferro ha inserto 
Di si incantata, e si mirabil tempre, 

Che ciò, ch" ti può ferir, 1’ uccide sempre. 

CLXIV 

Volge il cavai ciascun e con la spada 
Tosto al secondo onor bramoso riede; 

L’ accorto Maligante opra che vada 
Ben grave il colpo e sol la frootc fiede ; 
L'altro ferisce lui per ogni strada, 

Ove ha più il modo e più scoperto il vede; 
Mena più spessi i colpi e non gli cale 
Se quel più che quell' altro, in guerra vale. 

CIJUM 

Nè fien voti di pregio gli altri ancora, 
E sia quanto potrà lunga le schiera ; 

Ch' assai tesor di spoglie mi dimora, 
Ond* io possa gradir la gloria vera. 

A si dolce invitar già mostra fuora 
La persona, eh’ avea sciolta e leggiera. 
Di veste srarca il suo cttgin Boucle, 
Appellando i vicini a quella sorte. 


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L AVÀRCHIDE 



c un 

Surge Landone il destro, che *n sn’l patto 
Che piò guarda all* Ibernia area la sede. 
Poscia Alibel di Logres e Fili asso 
Nodrilo in Catanesia »ol di prede; 

Virn dopo il bel Norlnallo Meliasso, 

Alla coi prao brllade ogni altro cede ; 

Poi s' aggiunge Manderò, e Bandegamo 
Vaghi di riportar di pino il ramo. 

CLXXItl 

Metterli Lancilolto indente rgnali, 

Poi dà il segno la tromba ; e quei repente 
Qual la rigida corda i levi strali, 

Lassan il seggio lor velocemente. 

Boorle va il primiero, e •’ avest'ali 
D'Aquila, non porria gire altramente; 
Seguelo assai vicin Landone il destro. 

Che tra i primi cursori era maestro. 

CL.VXtV 

Poi venia Bandegamo e presso a quello 
Il vago Mrliasso, che vincea 
De’ giovinetti il nobile drappello, 

Che della pari età nell’oste avea ; 

Poco lontan Manderò ed Alibclio ; 

Ma indietro a tatti gli altri rimanea 
Con suo troppo dolor Fina sso il bianco, 
Che vincer pur polca, veniva al fianco. 

CLXXV 

Già nel mezzo del corso avea Landone 
Racquietalo Boorle, e innanzi giva; 

Ch' al cominciare, il fren piò che lo sprone, 
In se mrdrsmo osalo, or rifioriva 
Il servalo vigor, ma il ciel s’oppone 
Alla speranza sua già ferma e viva ; 

Ch' ove i deslricr giacean di Lancilolto 
La notte a rinfrescarle, era condotto. 

CLXXV! 

E ’n fra I' umida paglia e ’l lordo fimo, 
Non riguardando beo, col passo scorse. 

Tal die si trova iu basso, e '1 volto il primo 
Nel baguato terren cadendo porse, 

Ogni noni, che rovinar dal sommo all'imo 
Il quasi vinci lor si presso scorse. 

Grida per la pietà poi seco ride. 

Quando il viso asciugarse irato il vide. 

CLXXVll 

Non s* arresta Boorle, e con gran gioia 
Di ciascun riguardante ha il sommo loco; 
Ratto spedito dall' avuta noia 
Arrivato è Landou dopo esso poco; 

Virn Brndegamo il terzo, e sen* annoia 
Tale il franco Mandor, che par di foco; 
Che poi eh' esser non paò fra* primi dui, 
Ferma speranza avea di vincer lui. 

cixxvm 

Alibel dopo lor venne, e Finasto 
Così giunti fra lor, che mal porria 
Alcun ben giudicar, chi s'abbia il passo 
Posto piò innanzi, o chi ’l perdente sia ; 

1/ ultimo a tutti gli altri è Meliasso, 

La cui tenera età la lunga via 

Mal potè sostenere, e '1 volto ha picoo 

D’ amaro lagrimar, di doglia il seno.] 


CLXX1X 

E la vergogna e l'ira in lui raccresce 
Lo splendor giovinil, che '1 face adorno ; 
Volgesi a Lancilolto, e lasso mesce 
Le note tra i stupir con greve scorno, 

E dice : Io veggio ben, eh' al ciel riurresce 
Di chi visse quaggiò piò lungo giorno, 

Se di lotto lo stuol di me più antico 
Solo abbassando noi si mostra amico. 

CLXIX 

Ride il pio Lancilolto, e gli risponde; 
Maggior d essi mercede avrete certa. 
Ch’alto desio, che ’n giovin core abbonde, 
Quanto l'altrui vittorie il pregio merla; 
Indi un' aurea ghirlanda, che le fronde 
Agguaglia dell' allor, di gemme inserta, 
Sovra i biondi capei gli pone, e dice; 

Al buon vostro voler portarla lice. 

CLXXXl 

I due famosi can Boorle prende: 
Landon quasi sdegnoso il leve pardo, 
Dicendo: Tale onor, signor, vi rende 
Pii il mio fero deslin. che 1* esser lardo. 

E 1’ altro a lui rideodo : Se v’ offende 
Il cielo, e del mio ben ha tal riguardo, 
Assai mi pregio io piò, perchè piò vale 
Favor divisi, di' ogni virtù mortale. 


CLXXXl! 

Il prezioso dardo ha Bandegamo, 
Lancilolto a Maudoro una cintura 
Dona arricchita di sotti! ricamo, 

Coo la spada, eh* è forte olirà misnra ; 

E per mai non aver ginsto richiamo, 

D’ adegnar bene il pregio assai procura 
Intra Finatso il bianco, ed A libello. 

Senza offender la mente a questo, o a quello. 
CLXXXl!! 

Ed tino aureo monile il qual gli avea 
Il gran re Clodoveo I* altr' ier mandalo. 
Che nuove volte il eolio gli cingea. 

Per richiesta di lui gl< fu portato; 

E due d' esso eguai parti ne facea, 

Poi di par n* ha ciascun cortese ornato ; 
Indi prega la schiera, cb'è piò degna, 

Ch* a uuova altra tenzone innanzi veglia. 

CLXXXIV 

Così fa in mezzo adibir di grave peso 
Grossa sbarra di ferro, e dice poi : 

Chi di qnesta in piò spazio avrà disteso 
Il corto per sua man di tutti voi. 

Avrà il famoso brando, che Galeso 
Oprò, quantunque indarno, sovra noi, 
Quando al fin cadde a terra ; ed è cotale 
Che no ‘1 può bene alzar forza mortale. 

«LUX? 

Dell' altro sia il suo scado, ch* è si grande 
Che tre simili a noi porria covrire 
Qnal convenne a gigante onde si spande 
L' aspra fierezza, clic facea morire 

I guerrier vinti, e in orride vivande 
Sovra la mensa poi gli fea venire : 

II terzo avrà di lui I' elmo e 'I cimiero, 
Ov'ha Marte legato e prigioniero. 


Diqitizex 


l'AVARCHIDE 

amvt 

Non contò gli «Uri don, che Maligante 
Era già ratto accorto e Gargantino, 

Poicia il re Pelinoro poco innante. 

All' incontro Agraven, che gli è vicino; 
Piò il’ un re, duce e cavalicro errante 
Già per ewrr con lor prende il cammino ; 
Ma vedendo Tristan già Mirto in piede, 
Privo d' ogni aperanaa indietro riede. 

«cent 

Dicendo: In colai prova guadagnai 
Questa nel suo lerrrn dal buon re Claro ; 
E per eh* altra miglior non vidi mai 
InGno a questo di, ne vissi avaro ; 

Or perché cedo a voi, a’ io meritai 
Che dono alcun de' miei vi fosse caro, 
Prendetela, vi prego, e non vi sia 
A sdegno il suo valor, poi eh* ella è mia. 

CLXXXVft 

Fu il primo Gargantin,che in man fi prende 
La salda sbarra, e ’ntorno la rimira ; 

Le forse e ’l peso esamina, e comprende, 
E tutto intento alla vittoria aspira, 

Alza quanto sa il braccio, indi lo stende, 
E eoi poter quanto ha spingendo tira 
La ferrea salma, che volando freme, 

E ben lunge da Ini 1' arena preme. 

exciv 

L* accetta il boon Tristan allegramente. 
Dicendo : E come vostra oggi la prendo. 
Non per eh’ a voi non ceda interamente. 
Che *1 vostro al mio valor sapremo intrudo ; 
La spada ben avrò come vincente. 

Poi che più di quei quattro il ferro stendo. 

Maligante lo scudo e Pelinoro 

Ila il grand* elmo lucente ornato d* oro. 

CLXtxvtn 

Dopo il primo avventar, viene Agraveno 
A cui il loco secondo in sorte è dato ; 
f.he di manco poter non parve nieoo, 

Mie fere al par di lui l’ illesso lato i 
Ma lien d* arte maggior che nel terreno 
Meglio è confitta, e in modo più lodato ; 
Pelinoro, ch'é’l terzo, innanzi passa, 

E i colpi d' ambe due più ìodietro lasaa. 

ezev 

Uoa possente scure ad Agraveno 
Diede pur Laneilotto, ch* ebbe insieme 
Del mrdesmo Galeso ; e fa sereno 
Il cor di Gargautin, che d’ ira freme. 

Con la mazza d'aeciar eh' avea Drumeno, 
Che dell’ Ircauia nelle parti estreme. 

Fu fabbricata in sì tnirabil tempre. 

Che ciò, else percolea, squarciava sempre. 

CtBHBZ 

Vien Maligante appresso, • certo stima 
Di poter* avanzar quei tre di molto; 

Ma perchè voole aver la palma prima. 

Usa tutto il saver, eh* ha in se raccolto ; 
Ch’ or la prende al più basso, ora alla ernia, 
Or 1' ha nel proprio mezzo il pogno avvolto 
E va intorno librando il come, e ’l d* onde 
Al securo avventar meglio risponde. 

CXCVI 

Al dritto saettar propone i pregi. 

Dato a quel fiur, il gran ftgliuol di Bano ; 
Una faretra pria d’ aurati fregi 
Piena di arali e 1’ arco Soriano ; 

Serba al secondo degli arcieri egregi 
Un forte anel, che per tirar lontano 
La corda incocche, ove un rubio riluce. 
Che del foco, e del sol vincca la luce. 

cxc 

Poi chinandosi a terra, dell* arena 
Rende aspro il ferro, e la sudante mano ; 
Stringel ben poscia, e la nervosa schiena 
Forma in arco incurvato, indi pian piano 
Ritorna in alto, e poi con tanta lena 
Il gettò da' suoi piè cosi lontano, 

Ch’ai segno dei tre primi innanzi vada, 
Quanto lunga due volle avea la spada. 

exevu 

Una (romba è del terzo ornata e bella. 
Di serico lavor contesta e d’oro: 

Già s’ appreseli t a il primo, e gli altri appella 
11 Norifolco onorato Ganesmoro, 

Dicendo: Quei che spinge amira stella 
A commetter ai venti i colpi loro, 

Vengan sena’ aspettar nuova richiesta 
A si uoorala impresa, come questa. 

cxci 

L’ultimo fu Tristan, eh* a lento passo 
Alla prova ordinate si presenta; 

Recasi il ferro in man, che giace in basso, 
Cosi leggiero a lui, eh’ a pena il senta; 
Poi d' ogni cura il cor mostrando cesso, 
Qual asta il rarriator, sì forte avventa, 
Che il nobil Maligante ha superalo, 
Quanto tira il baslon pastore irato. 

cxevui 

Sarge Baveno allora il pio cugino 
Del chiaro Laneilotto, indi il fratello 
Del fer Boorte eh' era a lui vicino. 

Muove seco anco il Franco Lionello. 

Son già i tre insieme: e ch'ai voler divino 
Chi sia in prova il primiero, o questo, o quello 
Coosenton si rimetta; e i nomi d’ casi 
Al profondo d* un elmo son commessi. 

cseii 

Grida il pnpol d' intorno, e *1 chiaro nome 
Del vinritor Tristan porla alle stelle; 

E Lsncilotto a lui : Le vostre chiome 
Già di mille corone ornate e belle 
Non devranno sdegnar, che di vii some 
Il loro antico onor si rinnovrlle; 

E gli porge d'oliva una ghirlanda, 

Ch’ ci guadagnò nella famosa Irlaoda, 

rxctx 

Fu tratto innanzi il Gallico Baveno 
Poi Ganesmoro e Lionello appresso ; 

Ivi conginngoo legni alti non meno. 

Che nell’ Ida Cretea pino, o cipresso; 
Pongon poi d* essi nell’ estremo seno 
Uoa colomba candida, eh' oppresso 
Ha l'uno e 1' altro piè da laccio breve, 
Ch* esser de* loro strali il seguu deve. 


Alza il re Gancsmoro il ino forte arco 
Con lo strai, ch’alia corda avea la cocca; 
Poi disegnato assai con l'occhio il varco, 
Che pio dritto conduce, il nervo scocca; 
Va la saetta ben, ma il colpo è parco, 
Che del segno più in basso alquanto tocca; 
Saona il verde sostegno, e per la tema 
L' ali il pavido necci scotendo trema. 

coi 

Virn Baveno il secondo e dritto coglie 
In laccio, che la lien, col forte strale. 

Tal che senza ino danno la disciuglie; 

Ed ella indi fuggendo spiega 1' ale. 

Ma Lionel, che scorge le sue spoglie 
Portarne il veoto, e 1* aspettar non vale; 
Lo strai, che sovra l’arco avea già posto, 
Ove la vide gire, addrizza tosto. 


E qoasi in fra le nnbi in alto ascosa 
Il colpo micidial l’ha ritrovala ; 
Percnotela, ove all’ omero si posa 
La sinistra ala, onde riman privala ; 

Tal che poi moribonda e disdegnosa 
Rivolgendo per l’aria, e ’nungainata 
Ai piè del percussor venne a cadere, 

E ’l popolo empiè il cicl di grida altere. 


Poi molto dopo lei qneU'ala ancisa 
Raggirata dal vento in basso scende; 

L’ una e I’ altra raccoglie in lieta guisa 
11 nobil Lionello e ’l pregio prende; 

Cosi fan gli altri ; t Lancilotlo avvisa. 
Che ’1 dì, che in occidente il corso stende.. 
Non I 1 ammonisce in van, che 1' oltav* opra 
Prima si rechi a Cu, che ’l sol sì copra. 


E dice : Chi vorrà venire in prova 
Della lancia avventar dritta e lontana, 
Avrà, sendo il miglior, non d’opra nuova, 
Ma di mano antichissima e sovrana 
Lo scodo, ebe donò, se ’l creder giova, 
Teli al figliuolo alla città Troiana, 

Da Vulcan fabbricato, ed a me il diede 
Viviana, e che sia tal mi facea fede. 

ccv 

L'altro una asta bellissima, ch'ancora 
Si pensa esser d' Achille in Pelio colta. 
Creuso il senesctal si drizza allora, 

E dopo forse poi schiera più folta ; 

Ma il magnanimo Arturo, che vien fuora, 
E con la maiesli, eh* era in lui molla, 
Dice : Io sarò con voi; fa la cagione 
Che non vennero io prova altre persone. 

ccvi 

E Lancilotlo stesso, che s' accorge 
Della troppa umiltà, va riverente, 

E lo scodo fatato in man gli porge. 
Dicendo : A voi con vien veracemente, 
Perchè in voi tal valore, o più si scorge, 
Che già nel suo signor primieramente ; 

E poi senza provar, tatti Intendemo, 

Che in ogni parte a noi sete sapremo. 


Però vi piaccia il prenderlo, e volere 
Che del vostro Creaso l'asta sia. 

Ride il famoso Arturo, e dispiacere, 

Dice, non voglio a tanta cortesia . 

E 'n memoria di voi m' aggrada avere 
Il prezioso dono, e per tal via 
Prenda l’asta Creuso: • ’l pregio porge. 
Che gliel serbi Agraven clic presso scorge. 



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ARGOMENTO 

D i Segarono e di Clodin suo figlio 
Piange t loda s so suH estremo fato ; 
Quindi del re Pagar segue il consiglio 
E i corpi ollien dal vincitor spietuto. 
flrgnaiin A varco il pianto e la scompiglio; 
Il duol di Claudiana è disperalo ; 

Albina sviene sa Clodino e spira: 

Degli uccisi guerrieri arde la pira. 

******* 


Drll. prore onorale ginn lo il Gne, 
Dietro al famoio re parie riescano, 

E dell* alberato unni trova il mnGne, 

Ore la tele sua sazia e ’l digiuno ; 

Poi «“h* allottando il sol I' aurato crine 
Nell* onda Occidental, vien I* aer bruno, 
Sorr’ aspro lettirrinol le membra stende, 
E del luogo sudar restauro prendo. 

Il 

Ma *1 pio figlio di Ban la nuda terra 
Presso al buon Galealto ha per sostegno; 
Penta a lui sol, nè mai le luci serra, 

Che di riposo aver si chiama indegno; 

E di cure mortali eterna guerra 
Si sente dentro al sen di doglia pregno, 
Or su questo rivolto, or sii quel lato, 

Or supino, ora io piè cangiando stato. 

Iti 

Tornangli tutte in cor I* alte fatiche 
Che per terra e per mar seco «offerse, 

E dove il del eoo le sue stelle amiche 
I)i vittoria il rammin seco gli aperte; 

Che ’l trovò sempre tal, che fra 1* antiche 
Coppie fide in amar simil non tccrte ; 

E non vuol più gradir felice sorte, 

Or eh* averla con lui gli ha tolto morte. 

tv 

Avvolto in tai pensier, come I’ Aurora 
Con le rotate mani il giorno adduce, 
Risveglia, e chiama dii dormiva ancora 
Della gente gradita, ond’ egli è duce ; 

Poi con onta ta pompa trac di fuora, 
Accesa intorno ampissima la luce 
Di candide farelle, il gran re morto, 

Ter locarlo del tempio al sacro porlo. 


Ove con larghe lagrime portato 
Sovra il gran limitare in allo il pose. 
Dentro albergo di piombo, fuori aurato, 
Che ’n fra drappi ricchissimi nascose t 
D* attorno tutto il loco è circondalo 
Di palme, e ’nsrgne sue vittoriose ; 

Sotto a lui poscia slau di Segurano 
Le spoglie appese di sua stessa mano. 

(fli 

Non perchè eternamente ivi dimore 
Che per Ini non gli par fede assai degna. 
Ma infin che sia di quella impresa fu ore, 
K che «!’ Arturo in roauo Avarco vegna ; 
CIT allora ei proprio con supremo onore 
Nelle fortunal* isole, ove regna 
Il buon sangue di lui per aspro mare 
A* suoi liti paterni il vuol portare* 

vu 

Or mentre ciò facea dall* altra parte 
Il misero Clodasso, e la pia moglie, 

L' afflitta Claudiana han tante sparir 
Lagrime a terra in angosciose doglie, 

Ch‘ avrian mosso a pietà Bellona e Marte 
K del fero l'Iulou le crude soglie, 

Non pur la gente languida, ch'ascolta. 

Or non men che di duol, di tema involta. 

vili 

Che r infelice popolo ornai vede 
Ch* ogni saldo sperar s* è fatto vano, 

Morto il suo valoroso Palamede, 

Che 'I Britanno furor lecca lontano ; 

Poi quel, nella cui mano avea pio fede. 
Clic *n tutte 1' altre, il fero Segurano, 

E I giovinetto re Clodia, nel quale 
Parca fosse il rimedio d* ogni male. 

tx 

Pur del suo vecchio re sentendo il pianto 
Lagrimando di lui, se stesso oblia ; 

Che '1 velica dispogliato il reai manto 
Chiamar la morir dispirlata c ria, 

Diceudo : E perchè m* hai lassato tanto 
In questo velo, oimè ! che s'io moria 
Molti auni sono andati, il più felice 
Era io del mondo, or sono il più infelice. 

x 

Ma pur potess* almeno in Unto duolo 
Aver questo crudele aspro conforto. 

Di vedermi ora iunanzi il mio figliuolo. 
Qual* ri si mostre, insanguinalo e morto, 

E potergli le piaghe affililo e solo 
Di lagrime lavar, poi dargli il porto 
(ih* alle spogliale membra ultimo dassi. 

Di terra ornala e di marmorei sassi; 



L A V A IV G II I D E 




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t’ AVARO n IDE 

XXV 

Ivi trovati eh* a caso mi *1 mattino 
Va il rampo visitando il pio Tristano, 
Come la mandra suoi fido mastino, 

A cni il lupo non sia molto lontano; 
Riguardagli esso, e poi eh' è più ricino, 
Vede il buon vecchio re, eh’ alia la inano 
I)’ amicizia per segno, e sceso in terra 
Domanda pace alla perduta guerra. 

XX Iti 

Il qnal tosto che scorge il ano Tristano 
Con dolce salutar vicin gli accorre. 
Abbraccia il collo, e slriogeli la mano, 

E *1 face in ricco seggio appo se porre ; 
Quand* ci gli mostra in abito ai strano, 

E ’n lugubre dolore il re Vagorre, 
Diceudo : Ecco, Cui manda altrui pielade 
A trovar voi per si dubbiose strade. 

XXVI 

Dicendo : 0 invitto, altero, e chiaro germe 
Del più onorato tronco, che mai fosse, 
Umil li prego per le ornate e ferme 
Virtù del sacro tao Meliadusse, 

Che non voplia oggi alle fortnne inferme, 
Ch* al lor più basso fine il cicl condusse 
Giunger più peso; e vi sovvegna ancora 
Dei re Vagorre, che fu vostro ogn’ora. 

xxx in 

Quando affisa la vista il cavallaro, 

E l’ onorato re ben raffigura, 

Sarge in piè riverente e poi : Qaal fero 
Destino avverso, o quale aspra ventura 
Qui conduce or, dicea, 1’ unico e vero 
Mio padre antico, in cui posi ogni cura 
Di servir sempre avvegna che la sorte. 
N’ha date al guerreggiar contrarie scorte? 

XXVIt 

Quand’ ode il buon Tristan ebe questo aia 
Vagorre, eh’ onorò mai sempre quale 
Padre e signor, in bassa compagnia 
Li si mostrava a prigioniero eguale, 

L* abbraccia, e dice : E quale avversa e ria 
Sorte vostro valor tarpate ha 1’ ale ì 
Che da ai altero grado oggi vi veggio 
D’ ogni servo più umil venuto al peggio ? 

XXXIV 

Indi in più degno seggio collocato. 

Segue oltra: Or che comanda 11 mio signore? 
Al qual nulla da me sarà negato, 

E sia la vita ancor, fuor che l’onore. 

Che d' alcun dritto amico domandato 
Non fu giammai, che noi consente il core, 
Cb* esser non può che di virtù ripieno, 

Poi che candido amor riceve io seno. 

XXVIII 

Gli risponde Vagorre : Non mie colpe 
Nè mio grave tentar soverchie impresa. 

Ma il troppo amor, eh’ io porto altrui, m* incolpe, 
E la pia carità pura e cortese 
Verso il niiser Clodasso e me ne scolpe 
La fé sincera, e 1 gran desio, eh' accese 
Gli spirti in me di non lassarlo mai, 

Ma seco aver comune il bene e i guai. 

XXXV 

Allora il vecchio re, poi che 1’ ha stretto 
Al collo intorno, come pio Ggliuolo, 
Comincia : O cavalicr, per gloria eletto 
Del nostro mondo da chi regge il polo. 
Non desir di mio ben, nè proprio affetto 
D' alcun congiunto, disarmalo e solo 
Intra l’arme nemiche m’ha condotto 
Al cospetto venir di LanciloUo; 

XXIX 

E pregato da lui vengo in ano nome 
A pregar Lanciotto, che gli renda 
Morti il genero e il figlio, e gravi some 
D' oro e di gemme per mercè si preoda ; 
S* a voi piace il lassarme, e dirmi come 
In ver lui più securo il passo stenda, 

E supplicarlo ancor, s' ad uopo vegna, 
Che svegli la pietà, che in esse regna. 

XXXVI 

Ma le vera pietà, ch'aver si deve 
Degli avversari ancor, non pur de’ suoi, 
Quando oppressi reggiani da peso greve, 
E ’l potergli alleggiar sia posto in noi ; 

E Lauto più a* all’ affannarsi breve 
Lunga e ferma speranza segua poi, 

Come a me avvien, che ’n pochi passi regno 
A chi di cortesia sostiene il regno, 

XXX 

Non potè senza lagrime a Ini dire 
11 famoso Tristan: Padre onorato 
Non sol potrete voi securo gire. 

Ove per chiaro amor sete invialo; 

Ma voglio insieme anch'io eoo voi venire, 
Infin di’ al padiglion v'aggia recato 
Del uobil LanciloUo, dov' io spero, 

Che'l vostro bel deaio si compia intero. 

XXXVII 

E che non ave a schivo l'ascoltare, 

Chi da' nemici suoi preghiere porti ; 

Nè che i duri nemici soglia odiare, 

Poi che gli ha in suo poter battuti o morti ; 
Ma le fortune afflitte consolare, 

Posti tutti io oblio gli oltraggi e i torti. 
Stimando, che ’1 perdono al vincitore 
Più d’ ogn' altra vendetta apporti onore. 

XXXI 

Cosi detto, comanda die da’ suoi 
Gli sia libero aperto e largo il varco. 
Ove esso il primo, e gli vico dietro poi 
Ideo col carro prezioso carco ; 

Giuugon senza trovar chi ’1 passo annoi, 
Ove il gran destra! tur di quei d* A varco 
Sotto 1' albergo suo soletto alasse. 

Con le pie luci aucor languide e baste. 

XXXVIII 

Per tai cagioni adunque, e ’n qnesla speme 
Negar non volli al misero Clodasso, 

Peggio or che morto, tal dolore il preme, 
D’ ogni ben nudo, e di speranza casto. 

Di voi pregar per le virtù supreme, 

Per 1’ alto cor, che già mai sazio, o lasso 
Non fu di bene oprar, che ’u voi dimora 
Più, clic in altro mortai fioriste ancora ; 


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L AVARCHIDE 



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L AVÀRCHIDE 


456 



un 

Così dello r abbracci» ; ed esso allegro 
Del ricevuto dono a Ini risponde : 
Figliuolo, io prego il eiel, che rivo e ’ulegro 
Versi ogni bene in eoi, cbe ’n Ini s‘ tKMMC ; 
Nè l’ ingombre pender noioso ed egro, 

Ma qual plalao felice lungo Tonde 
Allarghi e innalzi i chiari onor di voi, 

Ch' avanzili quanti fur maggiori eroi. 

UT 

Iodi baciato a Ina T iovitla mano, 

Con le tome bramale ai disparte ; 

E via volando aurora era lontano, 

Quando quei che rimiran d’alta parte, 
Tosto il conoacon che calcava il piano. 
Ove l’Euro con Tonde i liti parte; 

E ben ponno alimar, die «eco avea 
Il domandalo don che a' attendea. 

tT 

Onde il popol minor piò pronto e leve 
Varca V onda d’ Oron fuor della porta, 

E eoo voci di dnol noioso e greve 
Al funesto venir t' è fatto scorta ; 

E tanto ra crescendo in tempo breve, 

Ch* all’ andar dei destrier tardanza porla ; 
Pur Yagorre spronando quanto poote. 

Fa largo il gire alle infiammale ruote. 

tri 

Or poi che dentro allìn l’alma cittade 
Entrati son da' suoi virin ristretti, 

Di donne e veccchierei Irovan le strade 
Colme, e C ampie feoestre e gli alti tetti, 
Che in triste note invocan la pietade 
Degli dei lor per aiutargli eletti ; 

E chi condanna in ciò de' suoi la colpa, 
Chi *1 re medesmo, e chi fortuna incolpa. 
tTII 

Giunti poscia alla regìa, il gran romore 
In più doppi »' innalza e vola al cielo ; 
Clie ’1 vecchio re piangendo esce di fuorc 
Coperto il sea di ceneroso velo ; 

E del più ricco carro, ove il colore 
Cangia l’aurato pio, tratto dal zelo, 

Poi che Tesser tropp’alto il figlio impaccia, 
Le ruote e i legni il miserello abbraccia. 

LTIU 

Nè per dolce pregare indi si svolge 
Di dii ’l volesse in allo riportare ; 

Che con men forza polipo s’ avvolge 
In saldo scoglio, quando frange il mare; 
E ’n verso il ciel le crude note volge. 
Dicendo : O stelle rie, perchè forare 
Mi voleste anco tjuel eh’ al duro fato 
De* pegni miei piu caro era avanzato ? 
u> 

E se *1 voleste pur, perchè lassarme 
In tale età canuta e sbigottita ? 

Perchè non consentir, crude, privarme 
Innanzi al suo partir di qoesla vita ? 
Perchè di Lanciotto le fere arme 
Non mi potean per via corta e spedita. 
Troppo lor noia ornai del nostro sangue. 
Net di stesso, che lui rendere esangue ? 


ix 

Cosi dscea : Ma poi che *n questi e molti 
Tristi altri detti fu sfogato in parte. 

Diè loco al fio, che da qnei seggi tolti 
Far riportati i morti in larga parte, 

E sovra letti splendidi raccolti, 

Oy’ eran rose e violette sparte ; 

E *n tra mille odorali e sacri forni 
Ritocca l'aria d’infiniti lumi. 

un 

Ivi all’oso di lor locati intorno 
Far molti instrntti del funereo canto, 

I qoai con modo di tristezza adorno 
Diero il principio al doloroso pianto t 
Gli altri restando in tacito soggiorno 

Sol co! sospir gli accompagnare alquanto ; 
Ma dopo un breve star rarca di pene 
L* afflitta Claudiana innanzi viene, 

txn 

Di scinta e scalza in rozzo abito osettro. 
Di lagrime bagnata ; e T auree chiome 
Sul collo sparse dell’ avorio paro 
Eran fatte neglette e ’nrulte some ; 

E eoo alto gridar, doglioso e duro 
Segurano abbracciando, dice! Or come 
Ti soffrì il cor già mai, dolce mio sposo, 
D' esser ne* danni miei tanto animoso ? 
uni 

Non vi sovvenne, oimè, quando partiste ; 
Partiste, oimè, per non tornar più vivo, 
Che queste luci tagrimose e triste 
Vedette e questo vel d’ anima privo. 

Che con mille tmpromesse consentiste 
D’ esser per amor mio qnel tempo schivo 
Di gloria marzia), per non turbare 
Chi più che ’1 vostro cor diceste amare ? 

utv 

Non vi sovvenne, oimè, eh’ io resterei 
Col buon frutto di voi, eh’ ascoso porto, 
Trofeo de’ Franchi e de' Britanni rei. 

Senza soccorso, oimè, senza conforto f 
Ch* a pena senza voi porrian gli dei 
Condurmi, ahi lassa, in sì seeuro porto. 
Che di mille atrocissime tempeste 
Col faluro figliuol preda non reste. 

UT 

Or non pensate voi con qual periglio 
Rimanga ogni smarrita vedovella. 

Di sostegno nudata e di consiglio 
Ov’ è più ad uopo nell’ età novella ? 

Poi già sposa di tal, eh’ aggia vermiglio 

II terren fatto in questa parte e ’n quella 
Di si gran cavalier, dì tanti eroi, 

I cui figli e congiunti odiano or noi ? 
uri 

Ma il maggior danno mio fosse pnr questo, 
Che di tosto morir sarei contenta. 

Ma il viver olir* a voi grave e funesto 
Assai più d’altra morte mi tormenta; 

Ben giare io questa man seguirvi presto. 
Che da lei posso aver la vita spenta j 
Ma del vostro figliuol pietà raffrena, 

Che dell’ altrui fallir non porti pena. 


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lì Ai V' XK G H LO È p >| ^45a^ 

uni 

Rimarrà dunque viva, in fin ch’io mostre 
Al buon fratto di voi 1* umana luce. 

Sì eh* al mondo per me U glorie vostre 
Non restin «oca erede e senxa dace; 

Poi scorgendo il cara min le Parche noatre. 
Verrò nel qnintn cielo ove rilaee 
Vostra alma invitta in onorata parte, 

Nel grembo assisa del loperno Marte. 

unir 

Che Coi canuti erio tovra le spalle 
Sciolti ella ancora in dolorosi giri. 
Alle, «nei, alle strida aperto il calle. 
Ai singulti, alle lagrime, ai sospiri, 
Menada appar, che nella Frigia vaile 
Di Bererinaia sua la rabbia spiri ; 

E cinta l‘ alma d' importatili duolo. 
Stringe affannosa il misero figliuola. 

utvnr 

Ma perchè m’ ha negato fl doro cielo 
L* esser con voi nel trapassare insieme ? 
Ch’ almen v* avessi in amoroso xelo 
Gli occhi composti, eh’ atra notte preme, 
E ’1 da seno spirar trailo dal girlo 
In sen raccolto con le labbra estreme i 
E i detti ultimi vostri oditi avessi 
Da rimanerme in eoe poi sempre impressi. 

LXXV 

Dicendo j O mio dolcissisno Ondino, 

Di tosili altri già figli a me piò caso, 

Ch’ assai dì qua dal naturai confino 
M* ha tolti, ahi lassa, il erodo fato avaro. 
Per man di quel erode 1, che ’l rio destiao 
Creato ha solo al nostro sangue amaro; 
Chi sovra la Tamigia, a chi so 1’ Era, 

Chi dure il volse La sua aorta fera. 

nix 

Così dicendo, in lagrime e ’n sospiri, 
In singnlti amarissimi si versa, 

E con )’ unghie spietate in larghi giri 
La bella fronte area di sangue aspersa j 
Indi per raddoppiar gli aspri martiri, 

Al misero Clodin ratta converta. 

Gli cinge al collo le ondate braccia, 
Come troncone o maro edera allaccia, 

LXXV! 

Ma voij che già il pritnier di tutte foste, 
Che per mio sol tormento g et* reai, 
Medicaste vìvendo ogn’or l' imposte 
Piaghe di laro e gl' iofioiti guai, 

Prrrhè mai sempre ia voi chiose e riposto 
Le mie salde speranze collocai 
E r»l voi sol mirare, in dolce oidio 
Cadeva ogni peosier doglioso e rip. 

un 

Dicendo : O mio dolcissimo germano. 
Che di tanti il miglior rimato a»' era, 
Perchè eoi mio famoso Segorano 
Ricercaste la notte innanzi sera f 
Perchè ascoltaste, o miserello, in vano 
De* due parenti, oimè, la voce vera. 

Che troppo era il ralor giovine e 'ridotto 
Per opporse con 1' arme a Laneilotlo ? 

lxxvu 

Or dove debb* io piò volgere, ahi lassa. 
Gli orchi • la mente ad ingannarmi almeno? 
D' ogni conforto e di sostegno cassa 
Ritrovandomi, oimè, voi tale io seno? 

K per mia maggior pena anco mi latta 
La morte al mondo d'ogni tosco pieoo, 

F. fa conira l'osanxa che ’l dolore, 

Ch'ei non possa mancar, sostiene il core. 

LISI 

Ora come il membrar, che ss gran regno, 
E si possente e bel del nostro Avarco 
Non avea, morto voi, guida o sostegno, 
Non vi fé* della vita esser piò parco ? 

Pur vedevate ornai vicino al segno 
Il vecchio padre dell* estremo varco. 

Dopo il qual, dopo voi, dopo il mio sposo 
Tolto n’è lo sperar, non che '1 riposo. 

lxxviii 

Qui larqoe alquanto, e poi novellamente 
Rati bracci andò il figliool, doppia le strida; 
Indi, eh* a Seguran volge la mente, 

Altra «iva pietà ver lisi la guida. 

Lo stringe e dice: O della nostra gente 
Solo ferma speranza e scorta fida. 

In quell' uopo maggior ch’avem di voi. 
Quale aitila crude! v'ha tolto a ooi ? 

UXII 

Ma non V aspra Fortuna cootro a voi 
Che vi godete in citi la pace vera, 
Sfogò lotto il velen, ma contro a noi. 
Di cui cruda lassò la vita intera, 

Per farne preda e scherno esser da poi 
Dell’ empia gente scellerata « fera, 

E render queste mora eterno gioco 
Degli avversari suoi tra sangue e fòco. 

IXX1X 

Ov’ ot” ri affi derem senza la mano, 

Che tenea hioge altrui da queste mura t 
E senxa il gran valor di Segurano 
Come giare or fra noi rosa sicura ? 

Deh prrrhè dal rio seme (lei re Baoo 
Non v* aveste 1’ alte* ier piò larga rara ? 
Prrrhè non preponeste all' ardir vostro 
Della sposa il contento e '1 viver austro ? 

uinii 

Avria segnilo ancor, dii d'indi tolta 
Fu di vecchie matrone e di donatile, 

Ch' erano intorno a lei, da schiera folta, 
Con dolce forxa e placide favelle; 

Ma non men triste della gente accolta 
Empion 1' orecchie gii roci novelle ; 

Che la pia madre, l’ infelice Albina, 

Con dure note al figlio s’ avvicina. 

mi i 

Non ai ipegnea per rifuggir quell* empio, 
La fiamma antica della vostra gloria, 

Nè si polca per un contrario esempio 
Scnrar d'altri si chiari la memoria ; 

Ma ben sovra di noi mortale scempio 
Cade e sovra i nemici aita vittoria 
Dal cercar troppo onor ; che mal conviene 
A chi f esser di molti in se ritiene. 


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uxn 

Nè itnfi il vostro ardir forte «aria 
Postoti in questa guisa a tal periglio 
Qoel, cbe piò che la loci « P alma mia 
Amerò sempre, il mio famoso figlio, 

Che seguendo di voi l'altera via 
Fece il ferro d'altrui di se vermiglio; 

Così doppio apportò daono e dolore 
11 gran vostro ostinato e 'nvitto core, 
unu 

Così diceva ancor; ma la trist'alma 
Gii di vigor mancando, avvinta e frale, 
Cadde I' afflitta vecchia, itnmobil salma 
Del gener morto, e respirar oon vale ; 

L' altre donne d'intorno palma a palma 
Battendo delle mau, grido mortale 
Spargcan per la gran loggia, che durato 
Fora iofioo all» notte io tale stato s 

LXXXIU 

Ma con molli altri il saggio re Yagorre, 
Ch* a ciò ch'era da far 1' ordine impone, 

Fa la vecchia regina indi ritorre, 

E sovra oscuro letto la ripone; 

Così fa Claudiana, a coi soccorre 
Con ricordi paterni e con ragione, 
Diceodo: Non conviene » nobil core i 
Darsi io preda soverchia del dolore; 

UXltV 

E vi dee sovvenir che faste sposa 
Di chi d' ogni valor portò 1' insegna, 

E cercar di far fede io ogni cosa, 

Che di tal eavalier nasceste degna ; 

Il dimostrarli trista e dolorosa. 

In Gn do*e arrivar virlude insegne, 

Merla lode d'altrui; ma il troppo poi 
È da vii femminella e non da voi. 
liut 

Cosi dicendo, a ricercar •' invia 
Il vecchio afflitto e misero Clodasso, 

E 'I trova ascoso in allo, che foggia 
La turba, il mondo e se medesmo lasso, 

£ gli parla : Signor, forse saria 
Il miglior di mandar eoo ratto passo 
Dentro al frondoso bosco sgoti ferri. 

Per querce ivi atterrar, frassini e Cerri : 

L XXX VI 

E tolto apparecchiar, che nell' aurora 
Cominciamo a drizzar le sacre pire 
So la piazza reai ; che ogn' altra fora 
Angusta e '1 fiammeggiar porria impedire 
Oprando si, che oon Irapaise l'ora 
Di poter poi le ceneri coprire, 

E far quanto ronvien, pria che ritorni 
Al fine il sol dei nostri dati giorni. 
lxxxvk 

Però che Lancilotto al partir mio, 

Olirà ogni cortesia che volle usarme, 

Mi promise la fé, chiamando Dio, 

Nel duodecimo di non muover arme. 

Per darne spazio al santo ufficio pio 
Dovuto a' morti ed al fanereo carme : 

Ed io no 'I refuta', però mi pare 
Che si debba al bisogno il tempo osare. 


Lxxxvin 

Risponde il doloroso: O dolce amico, 
Fate por senta me quanto v' aggradai 
Cht 1' angoscia non lassa al senno antico 
Di partirme di lei trovare strada, 

Ma il vostro disegnar confermo « dico, 

Che con passo sollecito si vada 
A dispogliar la selva più vicina, 

E dar poi loco alla pietà divina. 

LXXXIX 

Non ritarda Vagorre, e tosto chiama 
Tatto il popoi d' A varco in ogni loco, 
Diceodo : Chi *1 suo re, chi ’l dover ama, 
Porti I' esca silvestre al sacro foco 
Ove i chiari signor d’ eterna fama 
Per difesa di voi curar si poco 
Le proprie vile, che abbattute e spente 
Himaser lasse alla nemica geute. 

xc 

Né tema alcun l' insidie de' Britanni, 
Perchè di Lancilotto ebb’ io la fede, 

Che sicuri viviam d'oole e di daoni, 
lofio che '1 sol duodecimo non riede. 

Non vi rimate alcun di robusti anni, 

Ch' al suo dolce pregar subito il piede 
Non rivolgesse ai boschi men lontani 
De' suoi ferri miglior cerche le mani. 

xo 

Chi possente cavai, chi carro adduce, 
Chi di se stesso ancor grava le spalle; 

E *o fin che 'I nono di con l'alba luce 
Si sentio risonar d’ Euro ogni rallet 
Che chi torna a pigliar, chi riconduco 
Gli arbori indietro per I* itlesso calle) 

Chi con la scure sua la selva atterra. 

Chi l'incarco d'altrui corregge e serra. 

xcn 

Poi cbe *1 decimo giorno io cielo apparse, 
Sopra l' ioslrutle pire si portaro 
1 dodici guerrieri, ove fur sparse 
Molte strida più gravi, e pianto amaro 
Mentre il sute iplcndeo, ma poi che scarse 
Fur di lume le piagge, c si mostrerò 
Le stelle aperte in cielo, in più d un loco 
Fn d'esse acceso il sacrosanto fuco. 

xeni 

E Claudiana, ov’era Segurano, 

Le biondissime sue famose chiome 
Tolte al capo reai, di propria mano 
Esser fe', lassa, preziose some ; 

Poscia io suooo alto, che s' odia lontano, 
Richiamando tre volle il chiaro nome, 
Disse : Del nostro amor vi risovvrgoa, 

Fin eh 1 a tornar eoo voi mi scota degna. 

*ctv 

Ma il feroce Volcan già verso il cielo 
Le cornate sue fiamme ravvolgea, 

E I silenzio, I' umore, il fosco c '1 gielo 
Dalle notturne tenebre scolea ; 

Nè men che soglia il bel sigaor di Deio, 
Avarco intorno di splendore empirà ; 

Poi compita la notte, in lui s' ammorza 
All' arrivar del di l'esca c la forza. 


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- 

L AVÀRCHIDE 



S3 


, 


xcr 

Coi generosi via ciascuno allora, 

Ove ha il piò caro pegno, ai raccoglie, 
Ed al pirciol calor, che rive ancora, 

Con largo riversar gli apèrti toglie ; 

La vecchia Albina io quello in cui dimora 
Il suo raro Clodia, l’anfora icioglie j 
La sua figlia all* Iberno: agli altri poi 
] piò congiunti van di talli i aooi. 


xcvt 

Lì di lagrime pie bagnando i volti, 
Le nnde ossa, e le ceoeri trovale, 

In delicati Iva di seta avvolti 
Hanno in piò saldi nodi riserrale : 

Alle qoai poscia, in vasi aorati e colti, 
Ove non spiri l'aria, collocate, 

Dier di lucenti marmi altero albergo, 
Scollo di lodi lor la fronte, e ’1 tergo. 


t 


I 

i 

I 


FINE DELI.’ AVAIICHIDE 


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a a a> a ® & 

DEI NOMI PROPRII E DELLE COSE NOTARILI 

cont&nutc 

NELL* AVARCHIDE 


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AVVERTIMENTO 
— <. — 


Il numero romano indica il canto, l'arabico la »lunza. 


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INDICE 

DEI NOMI PROPRII E DELLE COSE NOTABILI 

contenute 

NELL’ A V 

A R C II I D E 


A 

pilani, XIV, 5 , 6 . Segue il loro parere, e 


lenta la pace con Lanciotto, 18 e seg. 


Ascolta la ripulsa di qoeslo, 100. Si de- 


sta la notte e raccoglie nuovamente il 


consiglio, XV, 1 e seg. Libera Sanzio 

al fiondano, II, ? 3 ; XIII, 77; XVI. ito; 

prigione di Fiorio, it 3 . Sua armatura, 

XVIII, 1^. 

XVI, 4 alla 3 a. Parla alle schiere, 36 e 

Agraveno, fratello di Gaveno, II, 75; XIX, 

seg. Si mnove colla sua schiera e ucci- 

11 a. Suoi giuntiti ne' funerali di Galeal- 

de molli d‘ Avarco, 87, 88, 8<j e seg. 

lo, XXIV, .88. 

Pugna con Palamede, 1 0 3 e seg. Asta- 

Agrrval, II, 78. 

lito da molti e difeso a vicenda per eoi 

Agrogero, li, 161 ; V, 19, 3 jj XVIII, S7. 

si fa grande battaglia, lia e seg. Sue 

Dissuade (.Imiino ila) pugnare con Lao- 

parole al re Lago, XVII, 10. Accoglie 

rilutto, XXIII, 56 e seg. 

Lancilotto, XXII, 4 * 5 . Sue parole a lui, 

Albina, moglie di Clodasso, Vili, 3 <j_. Soo 

1 5 e seg. Lo ooora dopo la vittoria ri- 

addio a ('.lodino thè va al campo, 98 1* 

portala per esso, XXIV, ^ e seg. Gli 

se". Invila le matrone a porger roti a 

dona la spada di Utero, it. Ottiene da 

Pallide per la vittoria de' iaoi, IX, 3 ir 

lui il premio della vittoria ne' funerali 

teff., 53 e se*. 77. Soo pianto mi corpo 

di Galealto senza provarsi ne’giuoehi, ao 5 . 

di (.lodino, XXV, 73, muore 8 a. 

Arvinn il l'elione, duce de' Pomerani, II, 

Alibello di Logre», li, jG. Contende nel 

« 53 : XVII, Ììl 

cono, XXIV, 171. 

Avarco, cittì assediata dai Britanni, 1 , 6 ed 

Amillano, II, io 3 . 

altrove. 

Amoral di Gallia, II, n{. Ferito, è medi- 

Avirago, II, 

cito da Galealto, XVII, ito. 


Androidi ed Erogino, VI, 86, 87 e seg. 


Argano ro, II, 96. 


Arturo. Alterca con LancSIotto, I, 4 » r 


se*. 71, 7». Adonai capitani per assalire 

n 

A varco, li, 1, 8, i _5 e seg. Sua preghie- 

JLJ 

ra prima della battaglia di Gaveno e 


Clodino, III, 44 * Ordina 1 * ripugninone 


d‘ Avarco, e rivede le schiere, IV, 5 , e. 


seg. Le inanima alla battaglia. Vili, a e 

Ijaodegamo, padre di Bfaligante e di Dan- 

seg . Suo valore, ti < seg.; X, 10. Di- 

degamo, II, loo. 

Moglie Gaveno dal pugnare con Segura- 

— - fratello di Mitigante porla il nome 

no, ed estrae a sorte il nome del cam- 

di suo padre, II, iou. Suu valore, XIJ 1 , 

pione, 19 e seg. Accetta la tregua prò- 

76 ; XV, 3 a ; XIX, iz. Contende nel 

posta da Clodasso, XI, 5 a e seg. Assale 

corso, XXIV, 172. 

Avareo, XII, 37. Respinto con perdita, 

Randuino, II, i 5 o. 

61 e. seg.; XIII, a£. Conforta le schi e- 

Bano, re spogliato del regno da Clodasso, 

re, iS t seg. Entra co* suoi in battaglia, 

1, 3.. 

5 a e seg. Sue parole a Lionello, Si e 

Bareno, II, a 1 5 ; XII, 80, 10 a. Sua prò- 

seg. Iodi all' esercito fuggiti vo, il e se*. 

va dell'arco, XXIV, aot. 

Loda Maliganle, £1. Si consiglia co’ca- 

Blanoro, II, m; XIII, 78; XIX, lL 


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4 




INDICE DELLE MATERIE 


i<] 


Blonbtruie, II, tia; XVI 11 , t|, a»; XIX, 
la. Abbattuto da Separano, 3 i, 3 a. 

Coorte, re di Gare, I, 3 a; li, i)8. Nipote 
del re Bano, ili Sue pesta, V, So; VI, 
i e seg. Ferito da Draaeheno, a£. Fa 
strage de' nemici, li e seg. Anima i 
suoi, VII, 9. Pugna con Clodino, la e 
seg. E eoo altri, ijr. Sue parole al re 
Lago, 46. Risponde ai delti di Segura- 
no, 75. Pugna eoo lui, 77. E con Pa- 
lamoro, XII, 49, 5 o. Salva il re Lago 
abbandonalo dai Britanni, ILS r seg. So- 
stiene la foga de' suoi, 84. Chiamato a 
battaglia da Separano, 98, 99. Opponii 
a Separano, XIII, 9, iS, 19. Uccide Ito 
ed altri, 4 ** Pugna contro Bruooro e 
Rossano, 49* Ambasciatore a Lancilotto 
per pacificarlo con Arloro, XIV, i£ Sue 
parole a Lancilotto, 85 e seg. Pugna la not- 
te, XV, 99, 107. Chiamilo in soccorso 
da Maligaole, XVI, 6a, 62. Pagna con 
Segurano, 69 e seg . Indi con Palamede, 
flj e seg. Soccorre Arturo, 1 1 5 < seg. 
Difende V insegna reale, XVII, 54 « 56 . 
Abbattuto da Segurano, 60, fii, 70. Sue 
ferite, 78. Sor parole a Galrallo che lo 
risana, 90. Contende nel corso, XXIV, 
»?»■ 

Rr alleno, II, 1 oa ; XVI, ito, 1 » 3 . 

Bronadasso, II, » 56 : XIX, 5 ?« Avvisa Pa- 
lamede della strage che fa Laucilollo dei 
suoi, XXIII, a c seg. Ucciso da Lanci- 
lutto. 3 a. 

Bruco, li, 94. 

Brunuro, il oero, II, 1 Sa. Suo valore, V, 
1 5 , a 5 . 69, 86. Avvisa Separano e Clo- 
dino della fuga de' suni, VI, 69 e seg. 
Ordina la battaglia, VII, 5 . Suo valore 
X, 6; XIII, IO, |S; XVIII, So 69. Chia- 
ma Segurano per espugnar il vallo dei 
Britanni, ;a e seg. Lo raffrena nel trop- 
po suo impeto, 83 * Suo piano d' assalto, 
85 ; XIX, 5 jJj 90, 94. Suo consiglio a 
Tristano, XX, 1 19. Pugna ma Laucilot- 
to per vendicare la morir di suo fratello 
Dinadano ed i ucciso, XXII, non/ fine. 

Butlarino, guida i Noriri, II, 1 5 ? ; XVI, 
79, 119; XXIII, 8_ij 85 . Ucciso da Lan- 
cilotlo, 91, 97. 


C 


Calarlo, ir, XII, Sii XIX, ini 

Caradusso Brebatio, porla la reale bandie- 
ra britanna, li, 140; Vili, 1. La deca- 
de eroicamente, XVII, sj e seg. Si pu- 
gna pel soo corpo, XV 11 I, a e seg. 

Childeberlo, figlio di Clodovco, 11 , sao; 
Vili, » 3 ; XIX. > 1 5 . 

Claudiana, figlia di Clodatso, I, a. Prigio- 


niera, cL Sposa di Separano, 10. Gli di 
l'addio prima della battaglia, 1111, 71 
e seg. Suo dono a Pallade, IX, 53 e 
seg. Suo pianto sul corpo di Segurano 
XXV, &j e seg. E sol corpo di Clodino, 
69. Taglia le sue chiome per la morte 
di Segurano, q 3 . 

Clitomcde sacerdote, profetizza a Clodasio, 
Vili, 47. Accompagna le donne reali al 
tempio di Pallade, IX, S6. Narra le ge- 
sta di Segurano, gju Offre i trofei dei 
nemici vinti da Clodasao, a Marte, 109 
e seg. Sno discorso al popolo d' A varrò 
nel seppellire gli uccisi, XI, 86 e seg. 

Cludamiro, figlio di Clodoveo, II, sai ; 
Vili, 1A: XIX, 116. 

Clodasso. re d’ A varco, I, 7. Soo seggio, 
111 , 16. Accorre al rampo per la batta- 
glia di Clodino e Gaveoo, H Sua pre- 
ghiera prima di questa battaglia, 49* 
Chiama a sé Segurano e Clodioo, Vili, 
34 e seg. Invita il popolo d'Avarro al 
tempio di Marte, IX, l! e seg. Suo pa- 
lagio, 18 e seg, Sua discendenza, 5 o, 5 i. 
Offre a Marte i trofei de* nemici violi 
nella sua giovauezza, IX, 85 e seg. Pro- 
pone oua tregua per sotterrare i morti, 
e condizioni di pare, XI, 9 e seg. Soo 
dolore vedendo Clodioo in battaglia con 
Lancilotto, XXIII. 6_B e seg. Soo pianto 
per la morte di Cludino e di Segurano, 
XXV, 7. Suoi doni a Lannlollo per a- 
verne i dar corpi, 17 r seg. Suo pianto 
sui due radaveri, 5 ?. 

Clodino, figlio di Clodasso. drtto il Marte, 
guida i vassalli del padre, 11, 178, 179. 
Sfida a singolare battaglia i cavalieri 
Britanni, 3 , LU. Accetta da Gaveoo ter- 
minar la guerra con la battaglia d'essi 
due, ix. Pugna roo lui, e seg. S' a- 
stirne dalla mischia, V, 3 ; VI, 77. Pu- 
gna, 86; VII, 1 e seg . Pugna con B nor- 
ie, i_ 4 _- Chiamalo in Avareo da Clodas- 
so, Vili, 34, 15 e seg. Conforta sua 
madre Albina, 108. Suo valore, X, 5 , 6 
e seg. Suo consiglio a Clodasso, XII, 
za. Accorre all’assalto notturno de' ne- 
mici, XV, 78,91. Suo valore, XVIII, 
So. Teme di GaTeallo sotto l'armi di 
Laucilottu, XX, 4 ? * seg. Abbattuto da 
Galealto, 61 «//a 73. Portasi contro I.ao- 
rilutlo, XXIII, 49, 64 e *rg. t 86. E da 
loi ucciso, 90. 

Clodoveo, re de' Franchi, manda i suoi fi- 
gli a pugnare contro A varco, li, a 1 9 ; 
c sono, Clùldcberlo, Clotaro, Cludamiro 
c Teodorico, izo, lai, saa. 

Clotaro, figlio di Clodoveo, li, lai ; VII/, 
»_i_i XIX, 116; XXIV, 83 , $ 3 * 107. 

Condevallo, II, q 3 . 

Conooe, li, q 3 . 

Costante, II, 93. 

Crenso il Senescial, li, 85 ; V, a6 ; XIII, 
90. XXIV, ao 5 . 


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INDICE DELLE MATERIE 


- 






il e srg. Difende la reale interna, 5 _|j 
5 5, 58. Sur ferii*. Iti. Pugna cui cesto 
contro Taalaaao. XXIV, i 47. Vince. » 54» 
Furtooalo, II, iMj XVI, 119 ; XVIII, 
l4j XIX, ulL 


Diradano, fratello di Brunoro H nero, II, 
1 53 . Soo valore, V, 1 5 : XVI, iti ;XIX, 
57. Pugna con Lancilnllo, XXII, 86 r 
tre. Ucciso da lui, 9 5 . 

Drianle • Lieo, VII, 5 ;. 

Drumcno, dure de’ Boemi, II, 1 55 : XVIII, 
a8, h. Urciioda Lancilnllo, XXII, liti. 

Druscheno il perfido, II, 174. Ferisce Ga- 
veno Hi strale • Iradimento, 111 , 86 e 
teff., VI, io. Ferisce Boorle, 2 4 - Ri- 
aponde a Verralto e pugna con la lancia 
contro Boorle ed è ucciso, 4 >, 13 c se S- 


E 


Italia, sorella d* Ari uro, II, 80. 

Errilo, figlio del re Lago, II, io 5 . Soo va- 
lore, V, 6 e sre-y 4 a. 43 £ **$• Sue pa- 
role al padre che venne io ino soccorso, 
54. Lui soccorre a vicenda, 60. Salvalo 
da Boorle, Sa. Pugna, 97» Assale not- 
turno il rampo nemico, XV, 6 o. 74. 84 : 
XIX, 36 j jS. Contende ne' giuochi nei 
funerali di^Galeallo, XXIV, 86, £x e 
teff ., 109. Rimprovera Lanciotto che 
donava a Perse-valle il cavallo di Palame- 
de a lai promesso, ni. Dona lo stesso 
cavallo a Gaveno, 48 <* *c». 

Erogìno ed AndroCla, VI, 86, 87 e srg. 
EacUborre, li, ijoj VI, 6; XIX, uiL 
Estero, II, 1 54 . Ucciso da Lanciotto, XXII, 
Ifiie 


F 


Farano, duce de’ Sassoni, II, i 54 . Ucciso 
da Lancilolto, XXII, 1 o 3 . 

Ferrandone, II, 169 ; XII, 5 a. 

1*' io a iso il bianco, li, 98. Coo tende nel cor- 
so, XXIV, I 7 a. 

Fiorio il Toscano, II, 128. Assale nottur- 
no il campo nemico, XV, 60, 70, 83 , 
90 ai, 1,1 » XVI, n 3 , 125 . Soccorre 
Paradosso e pugna cuu Palamede, XVII, 


G 


O’jlrallo, signor dell* isole lontane, amico 
di Lancilolto, I, IL Cerca di pacificare 
Lancilntto e Artnrn, 45 . Fedele amico 
del primo, II, 1 36 . Soo regno c genti 
ivi e srg. Va al padiglione di Boorle 
ferito, XV, 84. Parla ad esso della 
ira di Lancilolto, «^ 5 . E promette di pu- 
gnare colle sue schiere, 98. Parla a Lan- 
cilotto dello alato del campo Britanno, 
XIX, 120 e srg. Indossa l'armi di Lan- 
ciotto, XX, 1 e srg. Suo scontro di lan- 
cia, 40 46, Li f srg. Pugua con Separa- 
no, &£ r srg. E ucciso da quest», 102. 
Appare a Lsncilutlo io sogno, XXIV, 
4 > r srg. Sue esequie, 54 c sig. Sua 
sepoltura, XXV, 4, 5 , 6. 

Gaiindo, lì, 1 63 : V 19 ; XVIII, 
Ucciso da Gateallo, XX, C srg. 

Gallinante, figlio di Girone, IL liu XVIII, 
23 . Ha in dono da Lancilolto una spada, 
XXII, Sj r srg. 

Ganesmoro, II, 79 ; XIX, IL Sua prova 
dell’ arco, XXIV, 200. 

Gargantino, II, 72: XVIII, lL Suoi giuo- 
chi oc* funerali di Galealto, XXIV, 187. 

Gaveno, signore d' Orcania, I, 2. Odia 
Lancilolto, ivi. Lo calunnia nel consiglio 
d'Arturo, 4 r se P- Consiglia di dar l'as- 
salto alla cittì d'Avarm, II, 3 u. Sur gen- 
ti, 79. Figlio del re Lotto e di Elia so- 
rella d' Arturo, 80. Guarda il destro cor- 
no dell' esercito, III, 4 - Accetta la sfida 
di Clodino, 1 3 e srg. Pugoa con questo, 
66 e srg. Ferito da Dru«cheno, 86. Par- 
la contro il re Lago, che consigliava la 
pace proposta da Clodasso, XI, 45 . Pu- 
gna, XII, 60. Sveglia i capitani e radu- 
na il consiglio, XV, 4 <* •*'*£• Abbraccia 
Lancilolto, XXIV, 20. Contende nr "giuo- 
chi funebri, 84, 9^ C 109 146 e srg. 

Girone il Cortese, II, iJLl. 

Giuochi funebri alla tomba di Galeallu,XXVJ, 

11 e «I* 

Gooebaldo il Gero, Borgognone, II, •Ìli 
- V, ij£. Suu consiglio a Clodasso cd ai 
capitani d" Avarco, XI, 26 r srg. 

Gosscmaole, dello il Core ardito, II, 85 . 
Sue gesta, IV, 98; XIII, 78. Sortito ad 
assalire notturno il campo nemico, XV, 
6^, 7 5 , 84; XY 11 I, lLì XIX, 1 2. Uc- 
ciso da Segurano, 28, 29. 

Graccdono, dalla vallea, H, s 64 ; V, 13, 


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475 


INDICE DELLE MATERIE 



3 ìi XVIir, in XIX, ij. Ucciso d. 
G «lesilo, XX, 76, 77. 

Grifone, li, 1 58 . Sno valore in battaglia, 
X, a ; XVII, So ; XIX, Ucciso da 
Tristano, So. 

Gondcro, U, 77. 


I 


Ideo, II, lÌQs A raliio di f.lodatso. Vili. 34 . 
liba, generale di Teodorico, II, 1 7 7 ; XIX, 

113 . 

Ivano, II, 87. 


L 


Lago, signore delTOrcadi, cerca di paci- 
ficare Lanrilotto ed Arturo, I, fio, 61 r 
seg. Ragiona della guerra con quello, 
li, 7, 1 3 . E parla in romiglio, a 4 * trg. 
Sue genti, io 5 . Guida il sinistro corno 
dell'esercito, in loogo di Gaveno ferito, 
IV, 5 a ; V, 3. Soccorre Eretto suo figlio, 
48 e trg. Suo valore, Sj r. trg. Soccor- 
so da Boorte, Si. Pugna, q 6. Ritorna ai 
sooi, 107,108. Sue parole a^oorte, VII, 
44, Contro Segurano, 96. Propone 
Tristano per combattere contro Segorano, 
X, jJ, (i. Propone una tregua per sot- 
terrare i morti, XI, 3 e trg. Suo discor- 
so in consiglio per la pace chiesta da 
Clodasio, 4 * c seg. Suo valore, XII, fio. 
Lasciato esposto ai nemici dai Britanni 
che fuggono, 6JL Consiglia di pacificare 
Arturo e Lanci lotto, XIV, ia e srg. De- 
sto da Arturo, XV, IL Soccorre i suoi 
contro Verrai lo, XVII, 3 . Parla ad Ar- 
turo ferito, fi e ttg. Rinnova la pugna, 
1 S. a 3 . Consiglia Galealto d'ottenere 
Tarmi di Lanciotto, onde impaurire i 
nemici, 100, 107. Si oppone a Segurano, 
XIX, Lì e trg. Ordina la battaglia, XXII, 
a 4 » Risponde a Lancilollo che propone- 
va serbare il digiuno fino a che fosse 
vendicato Galeallo ucciso da Segurano, io. 
Ricorda il valore della tua giovanezza, 
XXIV, ai. Suoi consigli ad Eretto per 
ben guidare il cavallo oella corsa, 87 e 
seg Ha io dono da Lanciluttu uoa taz- 
za, tal, taa, 1 ai . 

Lambegu, ajo di Lancilollo, II, 1 35 - Cer- 
ca di pacificarlo con Arturo, XIV, 35 . 
Suo discorso a Lancilollo, 67 r trg. 

Lancilollo, odiato da Gaveno, I, a. Sue 


risse con questo, lì e seg ., ìix Giura 
di non pugnar più per Artnro, 73. Si 
lamenta di luì con Viviana, 75 e trg. 
Non comparisce oella revista delT eserci- 
to britanno, lì. s 33 . Accoglie gli invia- 
ti d* Arturo, XIV, 3 ^. Nega di pacifi- 
carsi con Arturo c ricosa ogoi offerta, 5 jj 
e seg. Resiste alle preghiere di Lambe- 
go, 80 e trg. E alle parole di Boarie, 
Q i • Manda Galealto a sapere di Boorte 
ferito, XVII, 83 . Concede a Galealto di 

E ugnare per Artoro, XIX, ia4 e seg. 

o veste delle soe armi, XX, i e trg. 
Suo dolore per la morte di caso, XXI, 
7 e teg. t a a e seg. Riceve da Viviana 
nuove anni, incantate da Merlino, 3 * r 
seg. Suoi illustri discendenti acolpiti nello 
«cudo di Merlino, 54 al fine. Parla ami- 
chevolmente ad Artoro, XXII, 4 e seg., 
ai. Serba il digiuno per la morte dell'a- 
mico, a^ ÌL Suo valore. 5 a. Dona una 
spada a Gallinante figlio di Girone, 57 
e seg. Fa strage de’ nemici, jo r. seg. 
Uccide Dinadano, 86 alla 9 5 ■ Ed altri 
cospicui, 1 o 3 e seg. E Brunoro, 1 1 5 e 
seg. E Palamede e Brunadasso, XXIII, 
>4 e seg. E Clodino ed altri, 78 eseg. % 
alla ioa. E Segurano, 1 1 4 * al fine. 
Onorato dal re e dagli altri capitani, 
XXIV, I C seg. Abbraccia Gaveno, att. 
Gli apparisce in sogno Galealto, £a e 
seg. Invita l'esercito ai giuochi fooe- 
bri, 60 e seg. Porge i doni ai vincitori, 
107 e seg. Ed una tazza aire Lago, lai 
c seg. Premia i lottatori. t 3 q. E i vin- 
citori del cesto, 1 56 . Della giostra, 167. 
Della corsa, 180. Del disco, iga- Da ad 
Arturo il premio scusa ch'egli si provi, 
306. Suo dolore per Galeallo, XXV, a. 
Concede al re Vagorre i corpi di Clodi- 
no e di Segurano, 4 * e se K‘ 

Dandone, II, 94. Contende nel corso, XX IT, 

»7 3 . 

Lieo e Driaote, VII, 57. 

Lionello, II, 118. Nipote del re Bino, III, 
4. Contro Segorano, XII, 76 e seg. Suo 
valore, ioa. Sue prodezze coll' arco, XIII, 
54 * Sue parole ad Arturo, 58 * 5 ^ e seg. 
Saetta parecchi altri d’ Avarco, £_ì rseg. 
Pugna a cavallo e fa strage de* nemici, 
66 r seg. Assale notturno il rampo ne- 
mico, XV, fio, 6a. 68* 8a. Pugna pel 
corpo del re Caradosso, XVIII, e seg. 
Soccorre la schiera di Gaveno, 5 JL Al- 
lontana co' dardi gli assalitori del cam- 
po, XIX, 5 <j e seg.. 73 e seg. t 89. Sua 
prova dell' arco, XXIV, aitu_ 

Lodaganta, sorella di Ginevra, promessa da 
Arturo io isposa a Lancilollo, XIV, 38. 
Lolaro, capo degli Alatnansii, II, taS. 
Lotto, re, guida gl' Iberi, II, 175; VI, ia M 
Lucano, II, 76; XIII, 


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INDICE DELLE MATERIE 




' 

HI 


. 

O 

IMalchino il grosso, II, 97. Luti» ne’giuo- 


Odoacrc, re degli Broli, II, 178. 

chi funebri per Galealto, XXIV, i3o. 


Ottono, verare amico di Sirambro, II, t a 4* 

Mitigante, re di Gave. Partecipa all' eser- 
cito il consiglio d' Arturo e de' capitani, 
II, 4* f teff. Figlio di Bandegamo re di 
Gorre, 83. Pugna, XII, 53. Fortifica il 
campo krilaooo assalilo da noc'd'Avar- 
co, XIII, 71 e seg. 83. Ambasciatore a 
Lancilotto perchè deponga 1* ira e pegni 
contro i nemici d’ Arturo, XIV, 34* Suo 
discorso a lui 4> e Desto da Arto- 


Oxzooelio d* Bstraogorre, XIII, 78. 

P 

Palamede, cavalier d* A varco, I, ll Re 

ro, XV, lG. Assale notiamo il campo 


nemico, 5g, 6a, 73, 14*4*. to3. Sostie- 


* degli Ebridi, II, 1 5o. Sue gesta, IV, 64 

ne l'assalto di Seguraoo, XVI, la» Po- 


r srg.; XII, 48. Pugna con Tristano, 56. 

gna con Rossano, 7$. Giostra col cara- 


Indi contro Boorte, XVI, 78 e srg. Ac- 

lier Norgallo, XXIV, 1 5o e teg. Con- 
tende ne* giuochi funebri, 189. 


corre alla difesa de* suoi contro Arturo, 


97, io». 108. Tronca ambo le mani a 

Mambrino il saggio. Conforta i suoi, VII, 107. 


Paradosso, XVI, ag. Pugna con Fiorio, 

Manderò, li, 91. Contende nei corso, XXIV, 


3a e srg. E con Palamede, 45 e srg. 

172. 


XIX, 57, Avvisalo da Brnnadasto 

Mandrino, II, &8_i XIII, 78. Chiama Tri- 


della strage che fa Lanrilntlo de* suni, 

stano in soccorso di Gaveno, XIX, 99. 


portasi contro di lui, XXIII, 5, 1 4- Pu- 

Marabon della riviera, II, 166 : V, 4 7 v 83- 


goa con lui, in. Retta ucciso, 43. 

Margondo, II, 63; V, 19; XVIII, i4; 


Palamoro, 11, 6 a_l VI, 4. Invido di Sego- 

XIX, 5JÌ. Ucciso da Galealto, XX, 7 4, 75. 


rano per amore di Claudiana, lo avversa 

Malanasso, II, »65, 1 66: XVIII, «6. iq, la, 
Massimo, fratello di Vittorio, figli di Ciò- 


nel consiglio d* Avarco, XII, 10 e seg. 


Si mostra valoroso nel difendere la cil- 

dasso, I, 7. 


ti. 46 r seg. l'uena con Boorte, 49, So- 

Mcliasso il bello, di chi figlio, II, 87 ; 


Suo valore, XVII I, 60; XX, 44. 

XIX, 3G. Contende nel corso, XXIV, 1 7». 
Merangio della Porta, II, 1 7» ; XVIII, 


Pandragooe Utero, padre d* Arturo, I, 29. 


Figlio di Vortirnero, »W. 

Merlino. Alcune cose di lui sono oarrale 


Palride, V, io3. 

da Viviana, I, ^3 r seg. E padre di 


Pelinnro dì Nortombria, II, 71. Guida gli 

Taurino, li, 5a. 


arcieri, HI, 4- Contende ne’ giuochi fu- 

Meroneo, capo degli Alamanni, II, saS. 


nebri di Galealto, XXIV, 188. 

Mor assalto, II, LZi» Vi, ao; XV HI, LL- 

IN 


Pellicano, figlio di Merlino, medico, lì, 
9°i IL 

Persevalie, II, 114. Assale notturno il cam- 
po nemico. XV, 6^ 75. Ferito è medi- 
calo da Galealto, XVII, no; XXIV, 

84. g3 e seg. 

^abon, figlio di llosmunda e d Alarico, 


R 

Pione, re. Conduce la salma di Galcalto 

duce degli Aquilani, II, »5 q ; V, 19. 
Ucciso da Galealto, XX, 54, 55, 56. 
Nero Perdalo, II, 1 56. Suo valore, X, 7; 
XVII, 5oi XIX, ijj XXIII, 8^ 85. 


Ucciso da Laocilotto, toa. 


Nestore di Gave, II, 117; XVIII, 17^ a8. 


a Laocilotto, XXI, 1 e seg. 

3i ; XIX, 89 ; XXIV, 85, g_3 e srg. sai. 


Roderro detto il crudo Alano, II, 176 ; 

Norgalle (cavalier di). 11, tot. Assale noi- 


VI. an. 

turno il campo nemico, XV, 60, 69, 8 a ; 


Roribano, re, XXIV, 5a. 

XVI, si3. Soccorre Fiorio, XVII, 43. 


Rossano il Selvaggio, lì, 1 58. Sua batta- 

Pugna con Palamede, 4S e srg. Pcrcos- 


glia con Roorte, VII, sa e seg. E con 

so da Seguraoo, 5 ^ Gìl. Giostra con Ma- 


altri, X, 8- Pugna con Maliganle, XVI, 

bgaote, XXIV, iio e srg. 


74. Iodi per avere il vessillo reale bri- 

— 


tanno, XVH» 5o, 55. Ferito, XVIII, lì. 


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INDICE DELLE MATERIE 


l 




Serbino, figlio di Merlino, medico, II, 90, 
q 1 . Medica Gaveno, III, 98. 

Sicambro, vecchio c un o<Je «le'qnatlro figli 
di r.lodoveo, II, 1*4; XIX, 1 1 5 . 
Smnundu, figlio di Guncbaldo, II, (87. 


Salerò, fratello di Palamede, li, « 7 1 ; 
XVI, 119; XVIII, 3 *. Teme per tuo 10 
battaglia eoo Lancilollo, XXIII, 8. 

Sanzio, fatto prigioniero da Fiorio, e libe- 
ralo da Arturo, XV, ine scg. 

Segurano. Sputa Claudiana, 1 , in, Suo va- 
lore, II, 146, IÌ7- Sue genti, 149. Guar- 
da dalle porte d' Avarco la battaglia, e 
ragiona con Brunoro che veniva a lui 
per toccorto, VI, 81. Coirà in battaglia, 
VII, 37, 56 . Sue gesta, «Vi e scg. Suo» 
detti auoorte, 69^ Pugna con lui, 79. 
Uccide molli britanni, 84 < ?• c 

srg. Chiamato in Avarco da CUdasso, 
Vili, 3 ^. Soc parole a Gl odano, 54 
C scg. lodi a Claudiana f pria di parti- 
re pel campo, 87. Indi ad Albina, 96. 
Sue getta rammentate da Clitomede, IX, 
6a, e srg. Suo valore, X, 1, 4 , e sf 8 - 
14. Sfida il miglior nemico a «ingoiare 
battaglia, i 5 * li c scg. Sue parole a 
Tristano, ^ Pugna eoo lui, 7* e srg. 
La loro battaglia è divisa, ioa. Dona a 
Tristano il suo pugnale, 108. Riprende 
il consiglio del re Vagorre, XII, 9 C 
SCg. Sue parole a Palamoro, 19 C scg. 
Accorre a difendere la città assediala, 
38 . Percosso da Lionello, ?G c srg. Chia- 
ma a battaglia Boortc, 98. Esorta i suoi 
ad espugnare il vallo de' Britanni io 4 
c srg. Passa il vallo de’ nemici, XIII, 
3 c srg. Pugna eoo Tristano, 4 $* Bi- 
chiama dall' assalto l'esercito al venir 
della notte e parla ai capitani, 1 q 5 . Ac - 
corre all' assalto notturno dato dai ne- 
mici, XV, 78, 9», 95, 97. Provoca Tri- 
alano alla pogna, so 1, 109. Parla alle 
schiere, XVI, 4L Suo valore, 5 o, 18 e 
srg. Pugna con Boortc, e srg. Assa- 
le Arturo. ia 3 . Pugna pel vessillo britan- 
no, XVII, 5 u. Contro Boorte, 60. E Tri- 
alano, 6j_ 68. E di nuovo eoo easi pel 
corpo di Caradosso, XVIII, 1 c srg. 44 * 
Accorre alla chiamata di Brunoro per 
espugnar il vallo de* pernici, 78 e. srg. 
Go da la sua schiera all'assalto, XIX, s 
C scg. i8j iQj ao. Uccide Gusscmante, 
a8. Abbatte BÌomberisse, Il Passa at- 
traverso il campo nemico, tri t scg. al- 
la 44. Suo valore, 1 uS e srg. Insulta i 
Britanni, 118. Teme e confida all' appa- 
rire di Galeallo coll* armi di Lanciotto, 
XX, aj. Parla a' suoi, Ll Suo scontro 
di lancia. 4L Pugna eoo Galealto, 83 e 
srg. Lo uccide, usa e scg. Percosso da 
Tristano, 110. Si ritira, 117. Pngna con 
Lancilollo e resta ucciso, XXlll, 114 
al /ine. 


T 


A anlasso, li, »o 5 . Pugna col cesio, XXIV, 
i 43 . E vinto, [ili 

Taurino, figlio di Merlino, predice ai Bri- 
tanni la vittoria d' Avarco, 11 , 5 a, 83. 

Telatnoro, II, qS. 

Teodorico, figlio di Clodoveo, li, sa» ; 
Vili, lìL 

Terrigano, li, »6o : V, 13, 36 , 86 ; XVIII, 
57; XX, 44 : XXIII. 81, 84 . Ucciso da 
Lancilollo, 97, 101. 

Tristano, soccorre Arturo colle sue genti, 
I, 3 . Parla di Lancilollo, ori consiglio 
d’ Arturo, II, 3 ^ r srg. Dello I* Armoci- 
co, ilo, su. Figlio di Meliadus, issi. 
Duce del sinistro corno, III, 4 ì IV, 49 » 
5 o. Sue gesta, 78 c srg. Scelto quale il 
piu valoroso per pugnare contro Segura- 
no, X, 4 1 . Sue parole ad Arturo e al re 
Lago, 5 o. 5 i . Si arma, 53 e scg. Sue 
parole a Segurano, Oj c scg. Pugoa con 
lui, 7S e srg. La loro battaglia è divisa, 
mi. Gli dona il suo cinto, ilo. Sua 
parlata io consiglio contro il parere fe- 
roce di Gaveno, XI, 4 ? e Pugna 

con Palamede, XII, 56 . E con altri, e 
srg. Sun valore, 31 r srg. Opponsi a Sr fo- 
rano, XIII, LI» Li» 45 . Protegge la 
ritirata dei Britanni e poi ai ritira, 96 e 
scg- Conforta Artnro, XIV, 8 1 , mi e srg. 
Propone d'assalire alla notte il campo 
nemico, 39 r scg. Pugna, 99, iu 5 . Suo 
colpo a Segurano, XVI, 1 3 1 , 1 3 a. Glie 
ucciso sotto il cavallo, XVII, 19. Soc- 
corre alla reale insegna, && r scg. Pu- 
gna contro Segurano pel corpo di Cara- 
dosso, XVill, 2, 4 «* Vola in soccorso di 
Gavrno, 54 c srg. Incuora i suoi, (Li c 
srg. Prepara le difese all' assalto, de' ne- 
mici, 98. 106 e scg. Contro Segurano, 
XIX, ut c srg. Vendica sui nemici i 
Britanni orciai da Segurano, l \ 3 e scg. 
Accorre alla chiamala di Lionello, 66. 
86, 32. Soccorre Gaveno, 99 r srg. Suo 
scontro di lancia, XX, 4_a. Pugna con 
Segurano vincitore di Gairatto, 106 r 
scg. E ricupera il corpo del morto re, 11*1 
e scg. Lotta contro Malchino, XXIV, 
» 3 a, c scg. Vince gli altri nel giuoco del 
disco, iq». Accoglie il re Vagone, XXV, 
17. Lo presenta a LancdoUo, il 4* scg. 


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INDICE DELLE MATERIE 


u, 


riao, II, 9). 


li 


V 


v 

▼ 1 porre, re. Suo consiglio al re Clndas- 
so, XI, 14. Altro puntiglio «li imtrnrrc 
entro le mura I' asseilin, ripreso da Se- 
gurano, XII, 3 r %rg. Conforta Clodasso, 
e *’ offre ambasciatore a Candidilo per 
ottenere i corpi di ('.lodino e Srgnraoo, 



XXV, 1) r srg. Accollo da Tristano, a 3 . 
Sua preghiera a Lancilollo, 35 r *tg. 
Suoi conforti a Claudiana e Clodasso, 
83 e srg. 

Vrrralto, signor della Rocca, 11 , 168; YI t 
20. Riprende Dnischeno limoroso'di Boor- 
te, 40. Suo valore, e srg.; XII, 53 . 
Chiama Segnrann per espugnar il vallo 
de* Britanni, XY 11 J, 76. 

Verligern, padre di Vorlimero, I, 29. 

compagno di Mandoro e Costante, 

II, 92. 

Vittorio e Massimo, figli di Clodasso, T, 7. 
Viviana, fata, I, la. Conforta Lancilotto, 
75 t srg. Recagli armi fatate da Merli- 
no, XXI, la r srg. 

Yortimrro, padre di Pandragnne, I, 19. 
Figlio di Verliger», 


3 » 


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INDICE 

DE’ CANTI DELL’ AVARCIIID'E 


Ij Editore 

a chi legge. . . 

• Pa S- » 


■W-M*- 


Oanto 1 . 


Pa S- 1 

Canio II 



Canto III . 



Canto IV . 



Canto V , 



Canio VI . 



Canto VII. 



Canio Vili 



Canio IX . 



Canio X . 



Canto XI . 




Canto XII. ....... Pag. 197 

Canto XIII . n 311 

Canto XIV n 3 3 1 

Canto XV . » 347 

Canto XVI .... . . . . a 3ÌiS 

Canto XVII » a 85 

Canio XVIII. 3 ui 

Canto XIX 3 ig 

Canto XX . . * 33 ») 

Canto XXI * g 35 ? 

Canto XXII >375 

Canto XX 11 I >*393 

Canto XXIV. ....... n 4*5 

Canto XXV » 447 

ludice delle materie » 469 


t. ^ - j l944‘ 


993 


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